Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
VERTICI SOTTO INCHIESTA, LITIGI TRA UFFICIALI, RAPPORTI OPACHI CON LA POLITICA
Chiunque arriverà , «dovrà rimboccarsi le maniche. Perchè troverà macerie: erano decenni che l’Arma dei Carabinieri non soffriva di una crisi così grave».
Il militare che lavora al Comando Generale di Roma forse esagera, ma non è l’unico a pensare che la Benemerita stia vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia recente.
Una crisi latente da tempo, esplosa con l’indagine Consip.
Uno scandalo che ha tramortito, in un domino di cui ancora non si vede la fine, tutti. Dal comandante generale Tullio Del Sette (indagato per favoreggiamento) ai capi di stato maggiore, ascoltati come testimoni; passando ai comandanti di reparti specializzati, accusati di depistaggio; e ai carabinieri iscritti nel registro per falso ideologico e materiale; per finire con la caduta di eroi simbolo dell’Arma come il colonnello Sergio De Caprio, meglio conosciuto come “Capitano Ultimo” per aver arrestato Totò Riina, allontanato su due piedi lo scorso mese da una delle nostre agenzie di intelligence perchè considerato improvvisamente «non più affidabile».
Leggendo le carte e le accuse dei magistrati – tutte ancora da provare – sembra che sul caso Consip l’Arma si sia spaccata a metà .
Con il vertice della piramide impegnato a rovinare attraverso fughe di notizie insistite un’indagine giudiziaria che rischiava di compromettere l’immagine del Giglio magico di Matteo Renzi, e la base – rappresentata dagli investigatori del Noe – concentrata al contrario a costruire prove false pur di inchiodare Tiziano Renzi, il padre del segretario del Pd.
Un cortocircuito mai visto nel Corpo, un disastro giudiziario e mediatico che ha indebolito ancor di più la posizione del numero uno Tullio De Sette, indagato dallo scorso dicembre a Roma per favoreggiamento e divulgazione di segreto istruttorio, con l’accusa di aver fatto trapelare a soggetti terzi (come l’ex presidente della Consip Luigi Ferrara) l’indagine sulla stazione appaltante dello Stato su cui stavano lavorando i pm di Napoli.
Per lo stesso reato sono iscritti anche il ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia: il comandante della Legione Toscana, è stato accusato di aver spifferato informazioni segrete sia da Luigi Marroni (l’ex ad di Consip ha detto che era stato anche Saltalamacchia, suo amico, a dirgli «che il mio cellulare era sotto controllo») sia dall’ex sindaco Pd di Rignano sull’Arno Daniele Lorenzini.
«Durante una cena a casa di Tiziano», ha specificato in una deposizione, «sentii Saltalamacchia» suggerire al papà dell’ex premier «di non frequentare un soggetto, di cui tuttavia non ho sentito il nome, perchè era oggetto di indagine».
Se gli ultimi mesi sono stati difficilissimi, va evidenziato che Del Sette, nato 66 anni fa in Umbria, a Bevagna, era inviso a pezzi dell’Arma anche prima dell’iscrizione nei registri della procura, e che fonti del Comando generale non negano come molti generali, davanti ai guai giudiziari del loro capo, non si siano certo stracciati le vesti.
Già : il comandante generale, arrivato al posto di Leonardo Gallitelli all’inizio del 2015, è infatti stato giudicato fin da subito “troppo” vicino alla politica: anche se la lunga carriera dell’Arma ne faceva un candidato autorevole, in molti non gli perdonavano (e non gli perdonano) i sette anni in cui è stato capo ufficio legislativo del ministero della Difesa, sotto governi sia di destra sia di sinistra; nè la scelta, nel 2014, di accettare la chiamata del ministro Roberta Pinotti, per diventarne capo di gabinetto. Non era mai accaduto prima che un carabiniere assumesse quell’incarico fiduciario.
A Del Sette viene poi contestato un carattere non facile.
Se Gallitelli, mente fredda e raffinata, ha puntato su una guida inclusiva e meritocratica, seppur giudicata da alcuni troppo “curiale”, Del Sette ha preferito un comando verticistico, che per i critici ha finito con l’essere divisivo.
«Del Sette è persona di grande valore, molto leale con le istituzioni. Ha lavorato bene con i ministri di ogni partito, come Martino, Parisi, anche con Ignazio La Russa. Molte delle leggi vigenti portano la sua “firma”, compreso l’accorpamento del Corpo forestale ai carabinieri», spiega chi lo stima e ha lavorato con lui al dicastero della Difesa.
«Cosa lo ha penalizzato negli ultimi tempi? Su Consip credo si sia trattato di un’ingenuità , e la sua posizione sarà archiviata. Al comando generale invece, non l’ha mai aiutato il suo carattere fumantino. È un uomo capace, che però si arrabbia facilmente. Soprattutto quando si convince che il suo interlocutore non rispetta le gerarchie e i ruoli che lui ha definito».
Del Sette viene definito sia dai suoi estimatori (che sono molti) sia dai suoi nemici (che sono ancor di più) un uomo schivo, persino timido, ma poco propenso alla mediazione.
Appena nominato dai renziani a numero uno dei carabinieri, ha deciso in effetti di spazzare via la vecchia nomenclatura costruita in sei anni dal suo predecessore, scegliendo di andare allo scontro frontale con alcuni generali fedelissimi di Gallitelli. Molto stimati, però, dalla base dell’Arma.
Così, se il Capo di Stato maggiore Ilio Ciceri è stato sostituto da Vincenzo Maruccia (anche lui sentito come testimone dai pm di Roma per la vicenda Consip), e il generale Marco Minicucci è stato sottoutilizzato, un altro pezzo da novanta come Alberto Mosca ha dovuto cedere la poltrona di comandante della Legione Toscana a uno dei pupilli di Del Sette, proprio Saltalamacchia, dovendosi accontentare del comando della Legione Allievi Carabinieri.
Clamorosa poi la scelta del colonnello Roberto Massi: l’ex comandante dei Ros considerato uno degli ufficiali più brillanti dell’Arma, e promosso da Gallitelli capo dell’ufficio legislativo nel 2014, dopo una breve convivenza con Del Sette ha preferito fare armi e bagagli e trasferirsi all’Anas nel 2016. All’ente nazionale per le strade Massi ricopre l’incarico di “responsabile della tutela aziendale”.
L’unico gallitelliano che è riuscito a stringere un patto di ferro con il comandante umbro è stato Claudio Domizi, ancora influente capo del personale del primo reparto.
«Le tensioni interne sono iniziate fin dal suo arrivo, ma sono peggiorate nel tempo. La crisi Consip le ha fatte solo esplodere», ragiona preoccupato un militare con le stellette, che considera i colleghi gallitelliani veri responsabili della spaccatura, perchè nostalgici e incapaci di accettare il nuovo corso.
Tutti, però, mettono sul banco degli imputati anche il sistema della rotazione obbligatoria degli ufficiali (che costringe pure i carabinieri più esperti e capaci a cambiare reparto dopo due anni) e l’assenza di una vera meritocrazia interna. «Qualche tempo fa a Reggio Calabria durante un giuramento a passare in rassegna i reparti, oltre agli ufficiali, è stato anche un appuntato del Cocer, il sindacato interno dei carabinieri a cui Del Sette si è molto appoggiato dall’inizio del suo mandato», racconta uno degli scontenti «Forse a voi civili sembra una sciocchezza, ma nell’Arma è una cosa inverosimile, che ha fatto accapponare moltissime divise».
Ottimi rapporti con Maria Elena Boschi e lo stesso Lotti, qualche incontro con l’imprenditore renziano Marco Carrai (tra cui una cena a casa del compagno di Mara Carfagna, Alessandro Ruben, che ama invitare mimetiche e stellette nel suo salotto), Del Sette ha dovuto gestire anche la patata bollente del colonnello Sergio De Caprio, “Ultimo”.
L’attivismo “anarchico” dell’ex vice comandante del Noe (che ha collaborato con il pm John Woodcock a quasi tutte le inchieste più delicate degli ultimi anni su politica e potere, da quelle sulle tangenti di Finmeccanica alla P4 di Luigi Bisignani, passando dalle tangenti della Lega Nord a quelle sulla Cpl Concordia) non è mai stato amato dai piani alti della Benemerita.
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta proprio nel luglio del 2015, quando una delle intercettazioni del fascicolo sulla Cpl (una telefonata privata tra il generale della Finanza Michele Adinolfi e Matteo Renzi in cui il segretario del Pd definiva il suo predecessore Enrico Letta «un incapace») è finita in prima pagina sul “Fatto Quotidiano”.
Del Sette, dopo un mese di buriane politiche e polemiche infuocate, deciderà di firmare una circolare che toglie ai vicecomandanti dei reparti le funzioni di polizia giudiziaria. Una norma considerata da molti “contra personam”.
«Continuerete la lotta contro quella stessa criminalità , le lobby e i poteri forti che le sostengono e contro quei servi sciocchi che, abusando delle attribuzioni che gli sono state conferite, prevaricano e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere», polemizzò senza mezzi termini “Ultimo” in una lettera di saluto ai suoi uomini. Poi grazie alla mediazione dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti e del capo dell’Aise Alberto Manenti, De Caprio a fine 2016 viene distaccato ai servizi segreti. Per la precisione all’ufficio Affari interni, quello che controlla gli 007 italiani che righino dritto.
Se malumori e dissapori sono una costante di ogni struttura gerarchica, la crisi dell’Arma supera i livelli di guardia a inizio del 2017.
Alle indagini sulla fuga di notizie si aggiungono prima quelle sul capitano Gianpaolo Scafarto del Noe, accusato dai pm di Roma di aver falsificato le prove nell’informativa. Poi quelle al suo capo Alessandro Sessa, numero due del reparto, incolpato nientemeno per “depistaggio” per non aver detto la verità (questa l’ipotesi della procura) durante un’audizione con i magistrati. Infine il tentativo di ritrattazione dello scorso giugno di Luigi Ferrara, il manager Consip che aveva tirato in ballo Del Sette come colui che lo aveva messo sull’avviso in merito a un’indagine giudiziaria sull’imprenditore Alfredo Romeo e la stessa Consip: dopo un confuso interrogatorio, in cui probabilmente il manager ha cercato di proteggere proprio Del Sette, i pm hanno iscritto anche Ferrara nel registro degli indagati. Per falsa testimonianza.
La crisi strutturale del corpo “Nei Secoli Fedele” ha toccato nuove vette qualche giorno fa, quando i pm romani hanno scoperto che Scafarto mandava documenti riservati sull’inchiesta Consip a ufficiali ex Noe traslocati con “Ultimo” ai servizi segreti. L’ipotesi investigativa è che questi stessero ancora collaborando alle indagini su Consip portate avanti dagli ex colleghi. “Ultimo” e tutti i suoi uomini (De Caprio aveva portato con se due dozzine di fedelissimi, di cui la gran parte provenienti dal Noe) sono stati così allontanati dal nuovo incarico, e sono rientrati nell’Arma.
Un allontanamento avvenuto senza accuse formali da parte della magistratura, e senza una richiesta esplicita di Manenti.
È stato Marco Mancini, un alto funzionario del Dis (il dipartimento che coordina le agenzie d’intelligence) coinvolto in passato nel sequestro dell’imam Abu Omar a chiederne la testa. Dopo aver scoperto che Scafarto e gli investigatori del Noe, sempre nell’ambito dell’inchiesta Consip, lo avevano seguito e fotografato, mandando ai collaboratori di “Ultimo” all’Aise le risultanze dei loro appostamenti.
L’incarico di Del Sette terminerà il prossimo gennaio. Ed è probabile che il suo successore verrà nominato non dal governo Gentiloni, ma da quello che entrerà in carica dopo le elezioni politiche, previste per la prossima primavera. In pole position ci sono il numero uno del comando interregionale Ogaden Giovanni Nistri (romano, tre lauree, giornalista pubblicista, ex comandante del comando per la Tutela del patrimonio e direttore del Grande Progetto Pompei, che ha ottimi rapporti con il Pd) e il generale Riccardo Amato, numero uno della divisione Pastrengo ed esperto di antimafia, che gode dell’appoggio del Quirinale.
Subito dietro c’è Vincenzo Coppola (chiamato “il paracadutista”, una vita in prima linea nelle missioni di peacekeeping e da marzo promosso numero due dell’Arma), mentre il generale Ilio Ciceri e Riccardo Galletta, capo della Legione Sicilia, sembrano avere tutti i titoli necessari, ma meno chance.
Il primo, considerato il miglior uomo macchina possibile, sconta il peccato di essere considerato un gallitelliano, mentre il secondo – all’inverso – un uomo di Del Sette. A chiunque toccherà , risollevare l’Arma non sarà impresa facile.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso”)
argomento: polizia | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
TRA LUNGAGGINI E POCHE RISORSE L’UNICA COSA CHE PRODOTTO E’ UN NUOVO DIPARTIMENTO A PALAZZO CHIGI
Ciro e Mattias, due dei tre fratellini rimasti intrappolati per 16 ore sotto le macerie della loro abitazione crollata a Casamicciola, sono salvi.
La storia simbolo del terremoto che ha colpito Ischia si conclude a ora di pranzo e puntella il momento emotivamente più alto di un incubo che in mezzo a tanto dolore per i due morti, i tanti feriti e le case sbriciolate, ha restituito una fiammella di speranza a quell’Italia ferita nuovamente dal sisma, a quasi un anno esatto da Amatrice.
Ma quello che è successo nel cuore dell’arcipelago delle isole Flegree è più forte dell’happy ending di una singola vicenda e mette in luce un grande interrogativo: come reagirà questa volta il governo?
L’interpellato prova a rispondere e la linea, dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda al segretario del Pd, Matteo Renzi, è la stessa di un anno fa: puntare su Casa Italia.
“Dobbiamo correre di più su Casa Italia”, twitta Renzi poche ore dopo che a margine del Meeting di Rimini il ministro aveva affermato: “Dobbiamo lavorare sul progetto Casa Italia, mettendoci ancora più risorse”.
Ma il progetto, annunciato con grande enfasi il 25 agosto 2016 dall’allora premier Renzi sull’onda dell’emotività dopo il terremoto che ha fatto 299 vittime nel Centro Italia, vive una fase di stagnazione evidente.
Poche risorse stanziate, dodici mesi dove gli incontri e le consultazioni con le istituzioni locali, le organizzazioni professionali e le associazioni imprenditoriali, sindacali e ambientaliste hanno dato vita a risultati risibili. La montagna ha partorito il topolino.
Nella manovrina di aprile lo sforzo più evidente – tre miliardi in 3 anni per la ricostruzione – ma quella che Renzi aveva presentato come “una visione per la casa Italia che sia capace di affermare la cultura della prevenzione” si è tradotta in 10 progetti pilota, finanziati con 25 milioni di euro.
Pochi soldi spesi eppure è lo stesso gruppo di lavoro voluto da palazzo Chigi e guidato dal professore Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico di Milano con la collaborazione di nomi eccellenti come il senatore e architetto Renzo Piano, a mettere nero su bianco che lo sforzo deve essere maggiore.
Il documento che il gruppo guidato da Azzone ha lasciato in eredità a palazzo Chigi, dove sta nascendo un nuovo Dipartimento, è stato reso pubblico dal Sole 24ore e indica una cura che è anni luce lontana dalle soluzioni messe in campo nell’ultimo anno.
Scrive il quotidiano di Confindustria: “La messa in sicurezza sismica dell’Italia ha un costo che oscilla da un minimo di 36,8 miliardi e può arrivare a oltre 850 miliardi, a seconda della tipologia costruttiva degli edifici e della classe di rischio del comuni in cui sono stati costruiti”.
Pur volendo prendere in considerazione la soglia minima della forchetta, cioè 36,8 miliardi, è evidente lo squilibrio che esiste tra quello che servirebbe per rendere l’Italia sicura dagli eventi sismici e quello che è stato fatto in quasi 365 giorni. I numeri spiegano meglio di ogni altra considerazione la lentezza di un carrozzone che ha sì intenti nobili e un orizzonte temporale di due decenni, ma che è di fatto fermo alla linea di partenza. Nel frattempo, però, è arrivato un nuovo terremoto a ricordarci che l’Italia è strutturalmente fragile.
Nella sezione del sito di palazzo Chigi dedicata a Casa Italia è allegato un documento dove sono indicate le nove tappe fin ora messe in fila.
La prima è il lancio del progetto, contestuale alla dichiarazione da parte del Consiglio dei ministri dello stato di emergenza per le zone colpite dal terremoto nella notte tra il 24 e il 25 agosto.
La seconda è l’annuncio di Renzi, su Twitter, del project manager, cioè Azzone. A settembre la prima riunione a palazzo Chigi con i soggetti più disparati, da Confindustria ai sindacati, dal Wwf al Forum del Terzo settore.
Seguono poi la firma del decreto del presidente del Consiglio che nomina la struttura di missione di Casa Italia, l’intervento di Renzo Piano in Senato, datato 29 settembre, quando a palazzo Madama vengono esaminate le mozioni sul progetto.
Si arriva a novembre e anche qui un nuovo annuncio: al Politecnico di Milano è Renzi ad affermare che il progetto Casa Italia “noi lo trasformiamo in un dipartimento di palazzo Chigi”.
Annuncio e impegno: “Giocare insieme – afferma l’allora premier – e fare di questo tema un tema politico è la scommessa di questo post terremoto”. Stessa linea che Renzi ripropone nel suo post odierno pubblicato su Facebook, dove scrive che “ogni mese, del resto, accade qualcosa che dimostra quanto sia cruciale tale progetto (Casa Italia ndr)”.
La vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso novembre spazza via il governo Renzi e a palazzo Chigi arriva Paolo Gentiloni.
È il 14 marzo quando, in occasione della presentazione delle Giornate del Fai, il premier annuncia che l’unità di missione per Casa Italia sarà trasformata in un Dipartimento della presidenza del Consiglio.
L’obiettivo? “Dare continuità all’operazione”, spiega Gentiloni. A capo del Dipartimento arriva Roberto Marino, già alla guida del Dipartimento per l’Editoria, ma la struttura non è ancora operativa e lo studio del gruppo guidato da Azzone è ancora da tradurre in azioni concrete. Casa Italia, per ora, ha di fatto solo la sua casa istituzionale, cioè un nuovo Dipartimento a palazzo Chigi, e peraltro ancora precaria.
L’unico scossone dell’impegno del governo su un percorso lento e farraginoso è lo stanziamento di tre miliardi in tre anni (2017, 2018 e 2019) previsto nella manovrina varata da palazzo Chigi, approvata dal Parlamento e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 24 aprile.
Ad annunciare l’impegno del governo è lo stesso Gentiloni in occasione di una conferenza stampa convocata l’8 aprile al museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo Da Vinci” di Milano proprio per provare a rilanciare Casa Italia. Le risorse stanziate, tuttavia, riguardano la ricostruzione, mentre Casa Italia, come si legge sulle slide di presentazione sul sito del governo, ha come focus la prevenzione rivendicata come “la scelta di un approccio diverso”.
Un “approccio diverso” che fino ad oggi si è tradotto nell’avvio di soli dieci cantieri in altrettante località (Catania, Reggio Calabria, Isernia, Piedimonte Matese, Sulmona, Sora, Foligno, Potenza, Feltre e Gorizia) e in uno stanziamento, per finanziarli, di 25 milioni di euro. I cantieri, si legge sempre sul sito di palazzo Chigi, sono stati messi in piedi per “sperimentare sul territorio metodi diagnostici e soluzioni progettuali innovative”.
Ma il gap tra la lentezza con cui si muove il governo e la rapidità con cui i terremoti mettono in ginocchio il Paese tratteggia, in modo inesorabile, i contorni, sempre più definiti, del fantasma Casa Italia.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: terremoto | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
AVEVANO PASSATO IN ANTICIPO LE DOMANDE AL VINCITORE DEL CONCORSO
Concorsi pubblici truccati, la Finanza arresta due persone.
Due nomi molto noti: Gabriele Saldo, direttore generale di Riveracqua ed ex consigliere regionale di Forza Italia e Federico Fontana, presidente della commissione d’esame e docente all’università di Genova. Sono agli arresti domiciliari.
Così prevede l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Imperia.
Oltre ai due arrestati, sono indagati il vincitore del concorso, Fabio Cassella, che secondo l’accusa avrebbe ricevute le domande di esame in anticipo da Saldo, che a sua volta le aveva ricevute da Fontana; Gianluca Filippi, terzo classificato, che non è stato assunto, e il papà di quest’ultimo, Marco, professionista sanremese che secondo l’accusa si sarebbe mosso per far passare il figlio.
La sesta indagata è Flavia Carli accusata di aver partecipato alla prova di esame con degli auricolari collegati al cellulare del figlio
Il direttore generale della Rivieracqua S.c.p.a., società a capitale interamente pubblico costituita allo scopo di gestire il Servizio Idrico della Provincia di Imperia, e il presidente della commissione d’esame relativa a concorsi pubblici per l’assunzione di personale sono accusati di aver lasciato trapelare «fin da marzo» anticipazioni dalle Commissioni esaminatrici sugli argomenti oggetto delle prove di esame, per i concorsi pubblici banditi dalla Rivieracqua S.c.p.a..
Dall’analisi della copiosa documentazione cartacea e informatica acquisita nel corso delle perquisizioni effettuate a luglio dalle Fiamme Gialle Imperiesi, è emerso un quadro probatorio tale da far scattare l’ordine di custodia cautelare.
In particolare è stato possibile accertare, anche attraverso numerosi pedinamenti, riscontri visivi e riprese fotografiche che il presidente della commissione esaminatrice aveva fornito al direttore generale di Rivieracqua le domande d’esame, successivamente consegnate a un candidato, risultato poi vincitore di uno dei concorsi.
I due arrestati non sono gli unici indagati nell’inchiesta del concorso.
A Saldo e Fontana vengono contestati i reati di «rivelazione di segreto d’ufficio, per aver divulgato anticipatamente le domande delle prove d’esame, e di truffa ai danni dell’ente pubblico, per aver creato un nocumento alla pubblica amministrazione in quanto le graduatorie finali erano “viziate” dalle condotte illecite poste in essere».
Ma le indagini non sono concluse. Si sta valutando la posizione di altri candidati collocati in graduatoria in posizione utile per essere assunti e «che mantenevano assidui contatti con i vertici della Società ».
(da “il Secolo XIX”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
ORSINI SPIEGA PERCHE’ NON E’ PIU’ IN GRADO DI COLPIRE L’OCCIDENTE IN MANIERA EFFICACE
Alessandro Orsini è un sociologo Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS e del sito d’informazione Sicurezza Internazionale.
Fa parte della commissione per lo studio dell’estremismo jihadista e si occupa di analizzare il terrorismo di matrice islamica.
Qualche giorno fa Orsini era ospite di In Onda su La 7 dove ha spiegato che la capacità dell’ISIS di organizzare e portare a compimento attentati è in declino.
Il gruppo Stato Islamico non avrebbe più le risorse nè le capacità operative per colpire in maniera efficace (dal loro punto di vista ovviamente) l’Europa e l’Occidente.
Questo non significa che la guerra contro l’ISIS sia finita ma che stiamo assistendo ad cambiamento nella strategia dei terroristi di condurre la guerra contro l’Occidente.
«L’ISIS è un’organizzazione terroristica fallimentare»
Orsini non ha detto che bisogna festeggiare perchè ora l’ISIS e i gruppi terroristi radicali hanno capacità operative limitate.
Le persone che sono morte negli attacchi di Barcellona e Cambrils non sono vittime di serie B. ma l’analisi dei fatti è qualcosa che non ha niente a che fare con il vissuto emotivo.
L’analisi della storia degli attentati terroristici in Europa ci dice quindi che qualcosa è cambiato dagli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo nel gennaio 2015 e agli attentati di Parigi del novembre 2015.
Gli attacchi non sono diversi perchè ci sono meno morti, ma perchè chi mette in atto i piani terroristici non ha evidente, la stessa preparazione e gli stessi armamenti di chi li ha preceduti.
Se gli attentatori di Parigi avevano potuto beneficiare di una sorta di addestramento paramilitare minimo e avevano a loro disposizioni fucili d’assalto ed esplosivi gli ultimi attentatori invece operano in maniera più opportunistica.
L’analisi comparata delle stragi dell’ISIS svolta da Orsini mostra innanzitutto che l’arma davvero letale negli attacchi terroristici dell’ISIS del 2015 è stato il fucile mitragliatore, e non l’esplosivo (artigianale o meno). Già con gli attacchi di Bruxelles del marzo 2016 però gli attentatori non avevano più a disposizione i mitragliatori. E quindi hanno fatto meno morti.
La loro capacità di fuoco si era quindi notevolmente ridotta.
Secondo Orsini questo è dovuto al fatto che le agenzie di sicurezza sono riuscite a impedire ai terroristi di entrare in possesso delle armi.
Con l’attentato del 14 luglio 2016 assistiamo ad un ulteriore cambiamento: non più un commando (che prevede un certo grado di coordinamento e organizzazione) ma la figura del “lupo solitario” che prende un camion e semina morte e terrore sul lungomare di Nizza.
Una strage, così come quella dei mercatini di natale a Berlino. Ma l’obiettivo non è solo quello di seminare il terrore lasciando intendere che l’ISIS può colpire “ovunque e in ogni momento”. L’obiettivo è quello di vincere la guerra, facendo molti morti e convincendo altri kamikaze ad un unirsi alla lotta dello Stato Islamico. Ma le cose non stanno andando così.
Il declino operativo dell’ISIS
Uno dei motivo è che la sconfitta dei miliziani dello Stato Islamico in Iraq ha comportato la difficoltà di avere maggiori risorse economiche da destinare alla pianificazione degli attacchi nel nostro Continente.
L’obiezione che viene mossa ad Orsini è che non è vero che le capacità operative dell’ISIS sono in declino, prova ne è che l’ISIS continua a colpire in Europa.
Ma come rileva il docente della LUISS il fatto che le azioni di Daesh siano meno efficaci non vuol dire che la guerra con l’ISIS sia finita.
Quello che è interessante è che le persone che partecipano e organizzano gli attentati sono impreparati. Non hanno armi, non hanno la capacità di costruire cinture esplosive (che pur non essendo letali quanto i kalashnikov fanno molta più paura) e si fanno saltare in aria mentre cercano di costruire un ordigno con bombole da cucina.
Nessun terrorista professionale progetterebbe un piano così fallimentare.
I cinque terroristi di Cambrils sarebbero stati molto più letali se avessero colpito la città in cinque punti differenti con i mitragliatori.
I terrositi che hanno realizzato la strage di Parigi del 13 novembre 2015 avevano ricevuto un addestramento militare in Siria nei domini dello Stato Islamico. La differenza è che i cinque terroristi di Cambrils hanno ucciso una sola persona mentre i sette kamikaze di Parigi hanno causato 132 morti.
Questa, per Orsini, è una buona notizia. Perchè dal punto di vista militare l’ISIS è in crisi. Nell’interpretazione del docente della LUISS questo si deve ai musulmani d’Occidente che non hanno accettato la “soluzione” proposta dall’ISIS.
Di fatto quindi i terroristi del gruppo Stato Islamico non sono riusciti a raccogliere adesioni tra i milioni cittadini di religione musulmana che abitano in Europa.
Il motivo non è difficile da indovinare. La maggior parte delle 5.224 vittime degli 866 attacchi dell’ISIS nel 2017 è di religione musulmana.
Un musulmano europeo quindi non solo rischia di morire per mano dell’ISIS perchè cittadino europeo ma anche perchè musulmano. A meno di non voler considerare alcuni morti di serie A e altri di serie B questo è un dato del quale va tenuto conto se si vuole capire l’arretramento dell’ISIS. Esattamente come ha detto Corrado Formigli a In Onda.
La conta dei morti e la localizzazione della maggior parte degli attacchi non cambia nemmeno se prendiamo in considerazione il 2016 o il 2015.
Questo non vuol dire che la guerra con l’ISIS sia finita o che non ci saranno più attacchi. Ma invece che assistere ad un numero maggiore di attentati, con un crescente numero di terroristi reclutati tra i cittadini europei assistiamo ad attentati che pur uccidendo persone innocenti non sono così letali come potrebbero essere se davvero l’ISIS stesse vincendo la guerra della propaganda nelle menti e nei cuori dei giovani musulmani europei.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Attentato | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
E LUI LO DENUNCIA PER PRESUNTE “AGGRESSIONI”
“Prima Rosato (Pd), adesso Gasparri (Fi). La vergognosa legge sull’immunità parlamentare continua a difendere la casta, ponendola al riparo dalla giustizia e dalle regole democratiche che valgono per qualsiasi altro cittadino”.
Davide Casaleggio, con un post sul blog di Beppe Grilo a sua firma, ha dichiarato che il senatore azzurro si è difeso dalla querela per diffamazione “con lo scudo”.
Il parlamentare poco dopo ha diffuso una nota in cui ha annunciato di aver mandato ai suoi legali di “denunciare lo stesso Casaleggio e la sua società : “La denuncia”, si legge, “è corredata da ampia documentazione relativa alle aggressioni subite in rete dal senatore Gasparri.
Il caso risale a luglio 2016, quando il senatore in rete ha accusato il figlio del cofondatore M5s di gestire “falsi account” e ha definito i grillini “sterco”.
Per queste parole Casaleggio junior aveva deciso di querelare il parlamentare a dicembre scorso.
Oggi ha annunciato che la giunta per le immunità parlamentari di Palazzo Madama ha ritenuto che quelle fossero opinioni “espresse nell’esercizio delle sue funzioni”. Quindi non potrà essere giudicato per diffamazione.
“E’ uno scudo fatto di arroganza e potere”, ha scritto Casaleggio sul blog, “che va ben al di là della tutela delle azioni parlamentari”.
Quindi la sua ricostruzione dei fatti: “Dopo le accuse gratuite, abbiamo sporto denuncia. Ma lo scudo che protegge quelli come Gasparri e Rosato e gli consente di poter calunniare senza temere, ha fatto in modo che un giudice sottoponesse il caso a una giunta per valutare se il tweet fosse o meno un’opinione espressa nel giudizio delle sue funzioni di parlamentare. Proprio così, hanno decretato i colleghi a maggioranza (grazie all’asse Pd-Forza Italia): lo sterco di Gasparri è insindacabile. È attività parlamentare. Gli insulti di Gasparri sono diversi da quelli dei cittadini comuni”.
Casaleggio ha infine ribadito che, in caso di vittoria M5s alle elezioni, tra i punti del programma di governo ci sarà la modifica della scudo per gli eletti: “Quando il Movimento 5 Stelle sarà al governo si impegnerà fortemente per evitare che esistano diversi livelli di giustizia e per fare in modo che l’immunità parlamentare sia uno strumento di democrazia e non uno scudo fatto di arroganza e potere”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL MOTIVO? HANNO INSERITO UN SACCO DI INFILTRATI NEL MOVIMENTO
Con la serenità che gli è propria, il per nulla complottista deputato eletto con il MoVimento 5 Stelle e poi sospeso Riccardo Nuti ha scritto stasera su Facebook che “i partiti” hanno deciso di far vincere il M5S in Sicilia. Questo perchè, ipotizza il serenissimo deputato, i partiti avrebbero infiltrato così tanto il M5S da auspicare una sua vittoria alle elezioni regionali:
“È abbastanza evidente, finora, come i partiti, in Sicilia, abbiamo deciso di far vincere il M5S. Pensare sia incapacità o difficoltà sarebbe ingenuo. Pensare ad una sottovalutazione del voto in Sicilia sarebbe da novizi. I finti litigi interni, i balletti su primarie sì, primarie no, i tanti candidati (e spesso di livello basso) per sparpagliare i voti ricordano lo stesso teatrino adottato, poco più di un anno fà , a Roma. A questo punto c’è da chiedere loro: perchè? Avete infiltrato così tanto il m5s per poter continuare a mantenere intatti, o quasi, i vostri interessi e attivare la strategia del gattopardo? I vostri Marra locali sono già pronti o cos’altro?
Riccardo Nuti è stato sospeso alla fine dell’anno scorso dal M5S per non aver risposto al magistrato avvalendosi della facoltà di non rispondere insieme alle colleghe Giulia Di Vita e Claudia Mannino, che hanno avuto la sua stessa sorte.
La sospensione è stata reiterata per altri sei mesi dopo il rinvio al giudizio dei tre parlamentari.
Nuti ha ipotizzato complotti contro di lui e prima delle elezioni comunali di Palermo ha accusato il candidato sindaco Ugo Forello e l’attuale candidato governatore Giancarlo Cancelleri di aver tramato contro di lui nel caso delle firme false.
L’esposto presentato insieme alle altre due deputate che disegnava la teoria del complotto è stato archiviato dalla procura di Palermo.
Nei commenti ovviamente lo maltrattano: “Raramente ho letto analisi così folli ed egocentriche. Ti esprimi sempre per attirare attenzioni od in maniera strumentale a tuoi programmi od aspirazioni personali. Rappresenti un problema per i cittadini che rappresenti, con i tuoi limiti ed il tuo egocentrismo di basso livello. Quante sciocchezze sei capace di esprimere non lo so più”, scrive ad esempio Andrea.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
SARA’ IL SINDACO DI BERGAMO IL RIVALE DI MARONI: “HO DATO LA MIA DISPONIBILITA’ ALLA COALIZIONE”
“Sì. Non ho mai smesso di pensarci. Mi sembra una prospettiva abbastanza concreta”. Così il sindaco di Bergamo Giorgio Gori risponde a chi gli chiede se continui a pensare alla sua candidatura a governatore della Lombardia per il centrosinistra.
Le elezioni regionali sono in programma nel 2018.
“Poi — dice Gori al Meeting di Comunione e liberazione — spetterà alla coalizione decidere ma io ho dato la mia disponibilità ”.
Già a fine giugno, dopo il disastro delle elezioni amministrative, Gori aveva rilanciato il proprio impegno.
“Il centrodestra governa la Regione ed è al potere da venticinque anni — aveva detto tra l’altro a Repubblica — Se è vero che questo voto ci dice che la gente vuole cambiare, il cambiamento siamo noi, non Maroni. Per me, ci sono tutte le condizioni per batterlo”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
E’ “CRESCIUTO CON PAOLO VILLAGGIO E JERRY LEWIS, HA IMPARATO TANTO DA DE ANDRE’ E GABER”: MA DI TUTTA QUESTA GENTE COSA CAZZO HAI CAPITO?
Quando è morto Paolo Villaggio, ha scritto che è cresciuto coi suoi film e che gli piaceva tanto.
Quando è morto Jerry Lewis, ha detto la stessa cosa.
Se gli chiedi di Fabrizio De Andrè, e l’ho fatto anche di persona, ti risponde che lo conosce a memoria, che Storia di un impiegato è uno dei suoi dischi preferiti e che da Faber ha imparato (sì, imparato) tanto.
E ripete cose analoghe se gli parli di Giorgio Gaber.
E’ cresciuto con Villaggio, che ha irriso quel capitalismo cinico che il leader della Lega Nord non pare avvertire così alieno.
Ha sorriso con Lewis, che ha fatto della leggerezza un’arte: quella stessa leggerezza che Salvini non ha praticato proprio mai. Neanche per disgrazia.
Ha “imparato” da De Andrè, che riteneva uniche “anime salve” quei diseredati e reietti che lui — al massimo — abbraccerebbe con un esercito di ruspe.
E ama oltremodo il Signor G, che ha elevato la libertà intellettuale — non proprio parente stretta di Salvini — a regola di vita.
Fa piacere che Salvini ami Villaggio, Lewis, De Andrè e Gaber. Molto piacere.
C’è solo una cosa che mi sfugge: esattamente, caro Salvini, di tutta questa gente cosa (cazzo) hai capito?
Andrea Scansi
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: LegaNord | Commenta »
Agosto 22nd, 2017 Riccardo Fucile
USANO I SOLDI DEGLI ITALIANI PER INGRASSARE UN BOSS MAFIOSO CHE HA PRESO IN GESTIONE I LAGER? SIAMO ARRIVATI A FINANZIARE LA CRIMINALITA’ MAFIOSA?
Un gruppo armato composto da “centinaia di mercenati, poliziotti e membri dell’esercito” e guidato da un “ex boss della mafia” sta bloccando le partenze dei migranti che dalle spiagge di Sabratha, in Libia, cercano di raggiungere l’Italia.
Tutto con il sostegno del governo di Tripoli.
Lo si legge nelle rivelazioni di alcuni testimoni raccolte da Reuters.
Il gruppo armato, denominato Brigata 48 e formato da contractor, gestirebbe anche un centro di detenzione per migranti nella stessa area a ovest della capitale, la più interessata dalle partenze verso le coste italiane.
Il gruppo diventerebbe così una delle cause dietro al netto calo di arrivi registrato nei mesi di luglio e agosto, generalmente periodo di punta per gli sbarchi grazie alle buone condizioni del mare, insieme all’intensificarsi dell’attività da parte della Guardia Costiera libica.
Le fonti sentite dall’agenzia di stampa britannica presenti a Sabratha parlano di un gruppo armato che “opera sul territorio, sulle spiagge, per impedire le partenze delle imbarcazioni cariche di persone dirette verso le coste italiane”.
“Centinaia di persone”, continua il racconto di un testimone anonimo, stanno portando avanti una “decisa campagna” lanciata da questo ex membro della mafia che oggi è alla guida del gruppo armato.
Per farlo, lo squadrone avrebbe preso possesso anche di un centro di detenzione precedentemente in mano ai trafficanti di esseri umani dove, oggi, rinchiudono i migranti che riescono a bloccare prima della partenza.
Racconto che, spiega Reuters, troverebbe conferma in una foto in loro possesso nella quale si vede un gruppo composto da centinaia di persone sedute sulla sabbia di fronte a un alto muro, presumibilmente parte della struttura.
Versione suffragata anche dalle testimonianze raccolte dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) di diversi migranti sbarcati in Italia che hanno fatto tappa a Sabratha: “Ci hanno detto che è diventato molto difficile partire da lì — racconta Flavio Di Giacomo, portavoce Oim Italia — Ci sono persone che fermano le barche prima che riescano a partire”
Ci sarebbe l’azione di questo squadrone di mercenari, quindi, dietro al crollo degli arrivi a luglio e agosto.
Durante il settimo mese dell’anno sono sbarcati sulle coste italiane 11.193 persone, contro le 23.552 durante lo stesso periodo del 2016.
Sarebbe proprio il governo di Tripoli, partner italiano nel contrasto all’immigrazione sulla rotta del Mediterraneo, a finanziare e supportare, dicono le fonti, il gruppo armato. Governo che, di fronte alla richiesta di spiegazioni da parte dei giornalisti britannici, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Riassumendo: coi soldi elargiti dal governo italiano, la Libia paga un boss mafioso e mercenari in vendita al miglior offerente per fare il lavoro sporco di eliminazione dei profughi.
Ne deriva che il governo italiano sta favorendo una organizzazione mafiosa criminale, invece che combatterla.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »