Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX SENATORE CON VITALIZIO CERCA FINANZIATORI PER UNA CROCIERA NEL TIRRENO
Non prendete impegni per settembre perchè ci saranno non una ma addirittura due rivoluzioni della gggente che vuole dire basta.
L’11 e il 12 settembre infatti sono previste due importanti manifestazioni di protesta. La prima organizzata dal Movimento Liberazione Italia del generale dei Carabinieri in pensione Antonio Pappalardo.
La seconda avrà luogo sempre a Roma ma il giorno dopo ed è organizzata da Riprendiamoci l’Italia, Avviso di Sfratto.
Quest’anno infatti i Forconi hanno deciso di giocare d’anticipo e c’è da scommetterci che anche questa volta sarà un successo.
Sulla sua pagina Facebook il generale promette che l’11 settembre “sarà un giorno tragico per gli abusivi e disonesti”.
Il Movimento Liberazione Italia ha davvero intenzione di cacciare questo governo abusivo (perchè non eletto da nessuno!) e già in un’occasione ha tentato di passare dalle parole “ai fatti”.
Era il 14 dicembre 2016 e Pappalardo tentò senza successo di arrestare l’ex parlamentare Osvaldo Napoli che si trovava a passare nei pressi di Montecitorio.
Pappalardo si è da qualche tempo allontanato dal movimento rivoluzionario dei Forconi del 9 dicembre perchè — ha spiegato in una recente intervista — erano “datati e vecchi e soprattutto non volevano più fare quella rivoluzione che il Popolo Italiano vuole fare”.
La rivoluzione però non sarà una rivolta armata ma una rivoluzione “per cambiare il sistema” perchè “le cose non vanno bene” e l’obiettivo è quello di cambiare l’assetto istituzionale a partire dalla forma scelta dalla Repubblica italiana ovvero quella dello Stato unitario e non federale.
Il primo cambiamento che la rivoluzione rivoluzionaria di Pappalardo apporterà alla Costituzione sarà quello di dare vita ad una repubblica federale fondata su sei stati federati che sono: la Pedania, le Tre Venezie, l’Etruria, la Partenopea, la Sicilia e la Sardegna.
Tutto sarà possibile grazie alla “Carica del 1001”, la scelta del nome non sembra essere casuale e pare far riferimento proprio al famoso cartone animato, perchè le rivoluzioni sono una cosa seria.
La Carica dei 1001 è un viaggio in veliero da Marsala a Roma che vuole percorrere al contrario la spedizione dei Mille (i quali però partirono da Quarto, a Genova).
Il programma è denso di appuntamenti e scopriamo che i 1001 in realtà sono poco più di una ventina.
Ci sono i 18 valorosi del Veliero “Lady” e i meno fortunati di un panfilo da 15 metri. Le bevande sono incluse, la colazione probabilmente solo nel “Lady”, l’unico dotato di cambusa.
Costo della “rivoluzione” croceristica è di sessantamila euro più IVA (il che la rende meno conveniente della lotta all’immigrazione di Defend Europe).
Saranno 90 fortunati Liberatori a sostenere le spese della rivoluzione, alla modica cifra di 800 euro a testa.
Per motivi di spazio non tutti i Liberatori potranno partecipare alla crociera. Ma quelli che lo faranno avranno la fortuna di essere insigniti di una medaglia ricordo da mostrare ai nipoti o alla fidanzata e soprattutto potranno cantare durante tutto il viaggio l’inno “Liberatori Alati”.
Una volta sbarcati ad Ostia i Liberatori marceranno in corteo fino a Piazza Montecitorio, ovviamente cantando l’Inno.
Per tutti coloro invece che non parteciperanno alla crociera si immagina che siano ancora validi i consigli dati da Pappalardo qualche tempo fa: portatevi un panino.
A farvi compagnia ci saranno anche quelli del Popolo Unico evidentemente stanchi di lottare con gli uffici dell’Anagrafe dei Comuni italiani.
A Roma i Liberatori avranno anche una guida turistica d’eccezione. Si tratta di Simone Carabella già difensore degli italici costumi dall’invasione degli immigrati nonchè capo popolo dei genitori no-vax. Ed infatti la manifestazione di Pappalardo, che oltre alla politica corrotta lotta contro immigrati e vaccini, è stata inserita di diritto tra le manifestazioni dei genitori che contrari all’obbligo vaccinale che temono che i vaccini siano pericolosi.
E niente paura se la rivoluzione dell’11 settembre non andrà a buon fine.
Per rimediare il giorno dopo viene organizzata un’altra rivoluzione, quella di Riprendiamoci l’Italia. E se non bastasse il 15 settembre ci potremo tutti tenere per mano nella grande catena umana intorno al Parlamento.
Non mancheranno ovviamente quelli che parteciperanno per CACCIARE QUESTI NEGRI e riprendersi l’Italia.
E sarà bello, bello davvero, vedere sovranisti, pseudofascisti, federalisti e signoraggisti tutti uniti andare a fare “la rivoluzione” in crociera e scoprire che per cambiare le cose dovranno organizzare un’altra rivoluzione e poi un’altra ancora. Perchè nel gergo di questi rivoluzionari “rivoluzione” è diventato sinonimo di manifestazione.
Ma non c’è nulla di rivoluzionario nel manifestare per chiedere di sbattere fuori tutti gli immigrati o di abrogare la legge sui vaccini obbligatori.
Però per sessantamila euro e una crociera pagata, vuoi mettere?
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
RAZZISMO IN UN RISTORANTE, TRIPADVISOR ALLA FINE LA CENSURA.. PROTAGONISTA FABIO CENERINI, EX AN, EX FLI, ORA SEGUACE DEL GABIBBO BIANCO A SPEZIA
«Il ristorante? Un posto incantevole, ma sinceramente non ho apprezzato che a servire, con un costume ampezzano, fosse una persona di colore».
Lo ha scritto proprio così, letteralmente, su TripAdvisor, l’utente Fabio C., di La Spezia, venuto a cena a fine agosto nel ristorante El Brite de Larieto, graziosa malga con agriturismo subito sopra Cortina.
È stato servito da S., ventiseienne, originaria del Guinea Bissau, che vive a Verona da molti anni. E qualcosa non gli è piaciuto: la cameriera.
Quando i titolari del locale hanno letto la recensione hanno stentato a crederci.
La loro colpa, secondo il cliente, sarebbe stata di avere consentito alla propria collaboratrice, unica tra i dipendenti di origini africane, di indossare un costume etnico ispirato ai vestiti tradizionali delle Alpi. Inappropriato, evidentemente, per il colore della pelle.
Succede anche questo nell’estate 2017, in cui un albergo svizzero è balzato al (dis)onore delle cronache per avere invitato con un cartello «i clienti ebrei a farsi la doccia» prima di entrare in piscina.
«Non ho apprezzato una persona di colore a servire con costume parzialmente ampezzano – scrive Fabio C. – Se fossimo in un ristorante internazionale a Milano sarebbe diverso, ma sarebbe come andare in Marocco e in un ristorante tipico invece di trovare un marocchino che serve in sala ci trovassi un tedesco biondo vestito da marocchino », aggiunge, incurante degli stereotipi.
È di poche settimane fa la notizia della guest house di Santa Maria, nei pressi di Tropea, che a una coppia di uomini aveva scritto: «Qui non si accettano nè animali, nè gay». Poi il proprietario aveva precisato: «Mi scuso se posso sembrare troglodita».
In questa storia cortinese, invece, nessuno si scusa per il commento basato, incredibilmente, sul colore della pelle della cameriera.
Non lo fa Fabio C., utente con all’attivo ottantacinque recensioni sul popolare sito di recensioni turistiche e gastronomiche.
Non lo fa TripAdvisor. Anzi. Quando Giuliana, Ludovica e Riccardo Gaspari, famiglia proprietaria del ristorante – che ha tra i suoi collaboratori un lavapiatti cingalese, due ucraini, una moldava, un tunisino in un’atmosfera di allegra diversità etnica all’ombra dei larici delle Dolomiti – hanno letto la recensione, l’hanno immediatamente segnalata al sito web.
Esiste infatti una sezione fatta per sottoporre al giudizio dei gestori del portale recensioni «inappropriate, incitazioni all’odio, pregiudizi».
TripAdvisor, in modo sorprendente, ha risposto loro così: «A seguito della segnalazione, abbiamo completato la nostra indagine. La recensione rispetta le nostre linee guida. La nostra community è globale e multi culturale. Proprio perchè si tratta di un contesto unico e diversificato, certi modi di dire, termini in gergo o frasi che possono essere considerate ingiuriose per qualcuno, possono non esserlo per altri. Dato che conforme alle nostre linee guida, la recensione rimarrà pubblicata».
I titolari del ristorante, che al momento non hanno approfittato della possibilità di rispondere alla recensione, che in 3 giorni ha raccolto 24 voti positivi (tanti, per gli standard di Tripadvisor), ritengono che il ragionamento sia «assurdo: tutto il personale veste un costume ampezzano e non abbiamo intenzione di farlo cambiare a una cameriera solo perchè è di colore. Perchè se si tratta di una ragazza africana deve dare fastidio?». Ancora: il ristorante «ha sempre avuto personale di nazionalità diversa, per noi conta la professionalità e la bravura, non il colore della pelle».
Alla fine, quando il caso è finito sui media, TripAdvisor ha cambiato idea e tolto il commento.
Per la cronaca Fabio C. è Fabio Cenerini, capogruppo della lista Toti al comune di La Spezia, un passato in An con passaggio in Futuro e Libertà prima di convertirsi al Gabibbo bianco.
Uno abituato a cambiare costume, anche se non ampezzano.
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
“E’ LA CONTROPARTITA AL MAXI-FINANZIAMENTO DA 15 MILIONI DI EURO”… BARCATA DI SOLDI PUBBLICI PER COPRIRE IL DEFICIT
Un Gp presentato in grande stile da Roberto Maroni che verserà 15 milioni di euro in tre anni per “questa grande avventura”, come dice il governatore lombardo, mentre i Cinque Stelle in Regione lanciano la polemica sui privilegi della casta e i biglietti riservati ai consiglieri regionali.
“Nel weekend ci sarà il Gp di Monza. Un evento straordinario a cui ho già avuto il piacere in passato di assistere” esordisce così su Facebook il consigliere regionale lombardo del M5S, Stefano Buffagni,sostenendo di aver chiesto di “poter comprare” i biglietti per assistere al gran premio di Monza.
“Oggi scopriamo che ogni consigliere regionale ha a disposizione 6 biglietti da usare come vuole. Siamo 80 consiglieri (senza considerare eventuali assessori). Si parla di almeno 480 biglietti omaggio. Pazzia! Noi ovviamente non accettiamo questi omaggi, come abbiamo fatto per tutti gli eventi, compreso Expo”.
Buffagni aggiunge che i biglietti omaggio per i consiglieri ci sono “perchè la Regione ha versato 20 milioni di euro per coprire i disastri di chi gestiva l’autodromo… quindi sempre i lombardi pagano… anche quei 480 biglietti senza aver fatto partire una azione di responsabilità contro gli ex manager”
Ma davvero ogni consigliere ha diritto a 6 ingressi?
In effetti nel pomeriggio è arrivata una comunicazione a tutti i consiglieri, in cui del presidente del consiglio regionale Raffaele Cattaneo spiega che il governatore Roberto Maroni mette a disposizione dei politici che ne facciano richiesta coppie di biglietti per i tre giorni del Gran Premio, da venerdì a domenica, per prove e gara.
Dunque, due biglietti a testa per tre giorni di eventi. Uguale, sei.
E che il maxi omaggio alla Regione possa essere legato al robusto finanziamento che Palazzo Lombardia ha garantito alla Formula Uno, non stupisce più di tanto i consiglieri eletti, non solo grillini.
A cinque giorni dalla corsa, il botteghino ‘regolare’ invece fa registrare un +9% nella vendita dei biglietti, rispetto ai 140mila spettatori che hanno invaso l’autodromo l’anno scorso.
Domenica a Monza ci sarà anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, come un anno fa c’era stato Matteo Renzi, in pieno braccio di ferro per salvare il gran premio d’Italia.
Spettacolo delle Frecce Tricolore e Inno di Mameli intonato da Francesca Michelin, per uno spettacolo di sport ‘sorvegliato speciale’ sul fronte della sicurezza.
Maroni deve pur farsi rieleggere, no?
(da agenzie)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
“A DURA SPARARONO UN UNICO COLPO ALLA NUCA, NON ANDO’ COME DISSERO I CARABINIERI”… NEL COVO DOCUMENTI DI MORO MAI RITROVATI
A Genova in via Fracchia fu un’esecuzione rivelazioni sulla strage Br legata al Caso Moro
Un esposto presentato alla Procura della Repubblica di Genova riapre le indagini sull’irruzione dei carabinieri nel covo delle Brigate rosse di via Fracchia, trentasette anni dopo il blitz in cui persero la vita quattro esponenti della colonna genovese delle Brigate rosse.
Sul covo genovese delle Br si stanno concentrando anche le indagini della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro: nell’archivio brigatista sarebbero stati tenuti documenti relativi alla prigionia dello statista ucciso il 9 maggio 1978.
IL BLITZ
Il 28 marzo 1980, poco dopo le quattro del mattino, i carabinieri del nucleo speciale antiterrorismo del generale Dalla Chiesa entrarono nell’appartamento al primo piano di un palazzo nel quartiere Oregina di Genova.
«I carabinieri, fatti segno a colpi di arma da fuoco, hanno reagito prontamente, sostenendo un violento conflitto nel corso del quale i quattro occupanti dell’appartamento, tre uomini e una donna, sono rimasti uccisi, mentre un sottufficiale dell’Arma è rimasto ferito» riporta il comunicato del comando generale che venne diffuso al termine dell’operazione.
I quattro brigatisti uccisi erano Annamaria Ludmann, proprietaria dell’appartamento, Lorenza Betassa, Pietro Panciarelli e Riccardo Dura, l’assassino del sindacalista Guido Rossa.
Come scritto nel comunicato dell’Arma, i brigatisti avrebbero aperto il fuoco dopo l’irruzione, ferendo il maresciallo Benà ad un occhio. Solo allora i carabinieri avrebbero sparato, uccidendo i quattro.
Ma per Luigi Giuseppe Grasso quella notte le cose non andarono così.
Per questo lo scorso 11 agosto ha presentato un esposto in procura, con cui denuncia «l’omicidio volontario, non so se anche premeditato, di Riccardo Dura».
L’Espresso ha contattato Grasso, classe 1947, sfortunato protagonista di un errore giudiziario negli anni ’80. Venne arrestato dal nucleo antiterrorismo il 17 maggio 1979 con l’accusa di essere una delle menti delle Br genovesi: nel 1984 fu condannato a tre anni di carcere per “partecipazione a banda armata” .
Dopo un lungo iter giudiziario, Grasso è stato risarcito dallo Stato italiano per la sua ingiusta reclusione. E fu proprio nel corso di questa vicenda che, nel gennaio 2000, riuscì a mettere le mani sul fascicolo riservato di via Fracchia.
«L’azione di via Fracchia era una perquisizione disposta dal magistrato Di Noto al fine di “acquisire nuovi o ulteriori elementi” a carico mio e degli altri presunti brigatisti arrestati nel maggio del ’79» afferma Grasso all’Espresso «si doveva perquisire un appartamento sospetto, dato il processo che si sarebbe aperto una quindicina di giorni dopo».
E proprio per ciò che è scritto nel mandato di perquisizione che Grasso riesce a ottenere il fascicolo su via Fracchia: «Ancora ricordo il commento del responsabile dell’archivio del Tribunale.
“C’è stata un’esecuzione”, mi disse non appena leggemmo i documenti».
L’ESPOSTO
L’esecuzione fu quella di Riccardo Dura. «Come riporta l’autopsia, è stato ucciso da un unico colpo di rivoltella alla nuca, a una distanza tra trenta centimetri e un metro, dall’alto verso il basso. Non aveva nessun graffio, contusione, nè proiettile di fucile nel corpo» prosegue Grasso.
Sul corpo del brigatista non ci sono colpi di mitragliamento «come invece ci sono sugli altri tre, la cui agonia deve essere stata straziante. Non escludo che, per quanto terribile sia solo immaginarlo, gli spari che li hanno raggiunti in testa siano stati dei “colpi di grazia”».
Nelle quattro pagine dell’esposto, che l’Espresso ha potuto leggere, vengono indicati altri elementi che contrastano con la versione ufficiale del blitz del 28 marzo.
Come il ferimento del Maresciallo Benà .
«Il foglio di ricovero del carabiniere indica le sei del mattino, un’ora e mezza dopo l’inizio del blitz. Alle cinque e mezza viene avvertito il chirurgo oculistico dell’Ospedale San Martino, dove viene portato da un’auto dei carabinieri» si legge nella denuncia «Il ferimento del carabiniere avvenne evidentemente più tardi e in altro modo. Lo sparo, secondo i rapporti, sarebbe partito dalla pistola del brigatista Lorenzo Betassa, frontalmente. Ma il foro d’entrata non corrisponde: il proiettile entra da dietro. È stato fuoco amico, forse nel trambusto seguito al terribile evento».
«I carabinieri hanno detto di aver sfondato la porta dell’appartamento. Alcuni giornalisti hanno scritto invece che i carabinieri avevano avuto le chiavi da Patrizio Peci e Rocco Micaletto (due capi delle Br che hanno collaborato con la giustizia, ndr). Per me le cose non sono andate in nessuno dei due modi» afferma Grasso all’Espresso «non è credibile che i brigatisti dormissero senza una sentinella in un appartamento “caldo”, nè che non avessero la porta serrata. Magari quella notte la porta è stata aperta a qualcuno di conosciuto, di cui ci si poteva fidare».
A sostegno di questa ipotesi, nell’esposto sono riportati alcuni eventi: «Le sorelle di A. R., un mio conoscente, che vivevano nel quartiere Oregina, avrebbero udito delle grida “Traditore, traditore” di una voce di donna».
E ancora: «Il 1 gennaio del 2000 andai al bar Guarino di Castelletto con delle persone. Mentre conversavano, indicarono una persona, e dissero “lui è l’unico che si è salvato in via Fracchia”.
A tal proposito, la moglie di Guido Rossa ha raccontato di un uomo portato via dall’appartamento, coperto da un giaccone».
LE INDAGINI DELLA COMMISSIONE MORO
Sull’operazione di via Fracchia sta indagando anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Le morti dei quattro Br, infatti, potrebbero essere collegate al rapimento e all’uccisione dello statista.
Nell’archivio che i brigatisti tenevano nell’appartamento sarebbero stati trovati manoscritti e registrazioni del presidente della Dc durante i 55 giorni di prigionia. Lo scorso 26 aprile è stato ascoltato il colonnello Michele Riccio, a capo del blitz del 28 marzo 1980, che ha dichiarato: «Siamo arrivati all’appartamento su indicazione di Patrizio Peci e di un altro brigatista arrestato. Abbiamo fatto degli scavi nel giardino da cui è uscito fuori parte dell’archivio brigatista».
Ma nei documenti delle indagini, il giardino non è mai indicato.
Il 19 giugno è stato sentito anche il giudice Luigi Carli, che si è occupato del fascicolo di via Fracchia: «Durante riunioni con i giudici torinesi, ho sentito parlare del ritrovamento delle carte di Moro». Neanche di queste c’è traccia nei rapporti.
«Le audizioni che abbiamo svolto in Commissione hanno fatto chiarezza sul ritrovamento di buste di documenti nell’appartamento di via Fracchia che non risultavano negli atti successivi alla perquisizione» dichiara all’Espresso Giuseppe Fioroni, presidente della Commissione Moro «non si può ancora avere la certezza assoluta che queste carte riguardassero Moro, nonostante il giudice Carli abbia riferito che ne sentì chiaramente parlare nel corso di una riunione con i colleghi di Torino». La commissione si sta occupando anche del possibile coinvolgimento della colonna genovese delle Br nel sequestro Moro: «Ci sono alcuni elementi emersi che fanno riferimento a forti collegamenti tra Mario Moretti (capo della colonna brigatista che rapì e uccise il presidente Dc, ndr) ed esponenti di Genova. Ma al momento non mi è possibile dire più di questo» aggiunge Fioroni.
«Non mi interessa sapere cosa è stato trovato nell’appartamento» conclude Grasso «la mia denuncia si riferisce solo alle anomalie nell’uccisione di Dura e nel ferimento del maresciallo Benà .
Al colonnello Riccio, che aveva guidato le operazioni, andrebbe chiesto cosa è veramente successo. Lui conosce gli uomini che erano con lui quella notte e chi e perchè ha sparato. Fu attacco di nervi? Una disobbedienza? Un ordine?».
(da “L’Espresso”)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DELL’ASSOCIATED PRESS CON NOMI E TESTIMONI INCHIODA IL GOVERNO ITALIANO…ECCO PERCHE’ VOLEVANO CACCIARE LE ONG, NON VOLEVANO TESTIMONI AL LOSCO ACCORDO
La fonte è una delle più autorevoli in assoluto, ma non è la sola.
Scrive l’Associated Press: «Under a deal backed by Italy, Libya’s struggling government in Tripoli has paid militias that were once involved in smuggling migrants to now prevent migrants from crossing the Mediterranean to Europe…»
«Secondo un accordo sostenuto dall’Italia (‘backed by Italy’, sostenuto in senso diretto dall’Italia), il governo di Tripoli ha pagato le milizie che una volta erano coinvolte nel contrabbando di migranti per impedire agli immigrati di attraversare il Mediterraneo verso l’Europa, una delle ragioni della drastica diminuzione del traffico, secondo milizie e funzionari della sicurezza».
La conferma di quanto riferito ieri da Remocontro, nel riprendere un reportage del Times di Londra da Roma. Meno infiorettata e limitata ai fatti riscontrati, la cronaca del WP.
“L’Italia ha pagato 5 milioni di dollari , attraverso i suoi servizi segreti, per trasformare i trafficanti di esseri umani in neo sceriffi al servizio di chi li paga.”
La notizia dei soldi italiani arrivati in qualche modo a trafficanti e scafisti per la loro ‘conversione’, ha creato scontento tra alcune forze di sicurezza libiche: ‘Attenti ad arricchire le milizie, consentendo loro di acquistare più armi e diventare più potenti’, ammoniscono
«In the country’s chaos, the militias can at any time go back to trafficking or turn against the government, they say». Nel caos del paese, le milizie possono in qualsiasi momento tornare alla tratta o rivolgersi contro il governo, dicono.
Sorprendente anche il sostegno europeo per l’accordo, scrive il Washington Post.
Non solo soldi italiani per convertire i trafficanti.
“L’Unione europea ha dato dieci milioni di euro al governo di Sarraj per aiutarlo a fermare i migranti. In primo luogo, i soldi sono destinati a rafforzare la guardia costiera della Libia, rafforzando il confine meridionale e migliorando le condizioni per i migranti nei centri di detenzione. Ma i fondi possono anche essere utilizzati per sviluppare “un’occupazione alternativa per coloro che sono coinvolti nella tratta”
Ed ecco svelato un altro segreto.
Il calo esponenziale della traversate degli ultimi due mesi: condizioni del mare, ma soprattutto, ‘trafficanti pentiti’. Pentiti proprio forse no, ma arruolati con altri incarichi.
Le due milizie più potenti della città di Sabratha, il maggior punto di partenza dei migranti
Una conosciuta come ‘Al-Ammu e l’altra come ‘Brigata 48’, milizie o bande armate, se preferite, guidate da due fratelli della grande famiglia al-Dabashi della zona
“I re del traffico a Sabratha”, vendono definiti.
Bashir Ibrahim, portavoce della milizia al-Ammu, ha affermato che un mese fa le due forze hanno raggiunto un accordo “verbale” con il governo italiano e il governo di Serraj per combattere il traffico.
Ha detto che la milizia al-Ammu, composta da circa 400 a 500 combattenti, è affiliata al Ministero della Difesa di Serraj, mentre la Brigata 48 rientra nel ministero dell’Interno.
Da allora, le milizie hanno impedito alle imbarcazioni migranti di lasciare le rive intorno a Sabratha. In cambio, le milizie ricevono attrezzature, barche e stipendi, ha detto Ibrahim.
La milizia al-Ammu, ufficialmente chiamata Brigata del martire Anas al-Dabashi, è stata pagata dal 2015 per proteggere il complesso petrolifero Mellitah a ovest di Sabratha, sito congiunto tra Libia e l’italiana Eni. Come vedete, molti conti nazionali così tornano.
Più difficile la partita libica. Ibrahim, il portavoce degli ex banditi, ha definito la situazione come una ‘tregua’; tutto dipendente dal continuo flusso di soldi alla milizia. «Se il supporto alla brigata di al-Dabashi si ferma, non avrà la capacità di continuare a fare questo lavoro e il traffico tornerà ». Più chiaro di così!
Dalle parti di Roma, invece l’ipocrisia insiste. Il ministero degli Esteri italiano ha negato che Roma abbia fatto un accordo e ha detto che “il governo italiano non negozia con i trafficanti”. Tuttavia, osserva l’attenta collega del Washington Post, l’integrazione delle due milizie nelle forze di sicurezza di Sarraj permette all’Italia di far finta di lavorare con le forze del governo riconosciuto e non con milizie o trafficanti.
Testimoni di Sabratha, intervistati dall’AP, parlano invece di trattative dirette tra funzionari italiani e leader della milizia.
Inoltre, secondo la fonte di Middle East Eye, un informatore avrebbe fatto riferimento a una riunione a Sabratha tra i funzionari di intelligence italiani e i membri della milizia Anas Dabbashi.
Un’altra fonte in Sabratha, sempre secondo l’agenzia araba, avrebbe poi affermato che ogni negoziazione mirante a prevenire la partenza dei migranti dalla costa libica deve aver coinvolto la milizia Dabbashi, il cui leader, Ahmed Dabbashi — noto anche come al-Ammu -, in cambio di un suo aiuto nell’impedire ai migranti di lasciare il Paese avrebbe anche chiesto favori all’intelligence italiana per poter stabilire una propria sede nella zona. La milizia Dabbashi è stata per anni impegnata pesantemente nel traffico di esseri umani e nel traffico di carburanti nella zona.
Una vicenda del genere, supportata da varie testimonianze autorevoli, dovrebbe portare alle automatiche dimissioni del governo, in primis Gentiloni, Minniti e Alfano e a essere indagati dalla magistratura italiana per aver finanziato associazioni criminali coi soldi dei contribuenti italiani.
Ora si capisce perchè hanno voluto cacciare le Ong, scomodi testimoni dei loro loschi accordi con gli scafisti.
E ai cazzari finti destri italiani che volevano “cacciare gli scafisti” ora non resta che esultare perchè li paghiamo.
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
FINANZIAMO I PEGGIORI REGIMI MILITARI CHE AFFAMANO I POVERI E VIOLENTANO LE DONNE…ALTRO CHE A PESARO, IL MINISTRO E’ DEGNO DI ESIBIRSI AL BAGAGLINO
“Ad un certo momento ho temuto che, davanti all’ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci, ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei”.
Così ha parlato il ministro dell’Interno Marco Minniti alla Festa dell’Unità di Pesaro.
“Non potevamo continuare a gestire in questo modo i flussi migratori e abbiamo agito in modo nuovo. Ora l’Europa ci ringrazia per questo”
Se non fosse noto che costui è un ministro degli Interni di un Paese democratico, verrebbe da pensare a una delle migliori parodie di Oreste Lionello al Bagaglino.
Nel dettaglio:
1) aver accolto in Italia, come doveroso, 170.000 profughi ( di cui il 40% ha diritto all’asilo politico, dati ufficiali, non quelli taroccati dalla fogna razzista), ovvero un numero di persone inferiori al pubblico che ha assistito alla festa della Taranta alcune sere fa, è un fenomeno “ingestibile” solo per gli incapaci.
Vi sono Paesi, europei e non, che ne hanno accolto 5 o 10 volte tanto, senza tante tragedie.
2) La soluzione c’era: permettere a costoro, attraverso la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio, di attraversare le frontiere e andare dove avevano parenti pronti ad accoglierli. Se poi siamo dei vigliacchi che hanno paura di mettere l’Europa di fronte alle proprie responsabilità è un altro discorso.
3) Mai un atto del “salvatore” Minniti per obbligare gli Stati europei inadempienti ad accogliere i 40.000 profughi che si erano impegnati due anni fa a ricevere entro settembre 2017.
4) La democrazia si tutela perseguendo i reati, caro Minniti: i blocchi stradali, le minacce, le violenze, le istigazioni all’odio razziale sono REATI, ficcatelo in testa e come tali vanni perseguiti a norma di legge. La maggiore responsabilità del governo sta nell’aver concesso per anni l’impunità a questa gentaglia, senza capire che il razzismo disgrega l’unità nazionale e costituisce un pericolo alla sicurezza delo Stato pari alla mafia. Bastava agire per tempo mettendo qualcuno in galera, sequestrando beni e privando della patria potesta, colpendo i mandanti e il problema era risolto in una settimana.
5) la legalità si difende con le scelte di campo: se da una parte ci sono Ong che salvano 40.000 esseri umani in un anno dalla morte e dalla fame, dalle violenze e dagli stupri e dall’altra una associazione a delinquere come i trafficanti della Guardia costiera libica che (come provato dalla Procura di Trapani) prendono le mazzette per scortare i profughi fuori dalle acque libiche, ci si deve schierare con le persone oneste, NON CON CHI COMMETTE REATI.
Servirsi di criminali per ridurre i salvataggi è come affidare alla Mafia la gestione del nostro Meridione e poi ringraziarla perchè “controlla il territorio”.
6) Quanti soldi servono per fermare il flusso migratorio? è stato chiesto al ministro dell’Interno: “Almeno quanto è stato speso per la rotta dei Balcani: 6 miliardi”. Ovvero la soluzione è regalare 6 miliardi di euro a uno o due governi liici, 100 tribù del deserto e non si sa a chi altro, perchè possano compensare il mancato guadagno da trafficanti che hanno incassato finora. Senza avere alcuna garanzia sulla fine che faranno gli esseri umani “respinti”
7) Ultima considerazione sulla base del Pd presente a Pesaro: im altri tempi un esponente della peggiore destra come Minniti sarebbe stato preso a pernacchie, ora stanno pure ad ascoltarlo.
Non a caso le sedie sono sempre di meno e chi non va più a votare sempre di più.
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
PER I RAZZISTI NOSTRANI ESISTONO STUPRI DI SERIA A E DI SERIE B, SE FOSSE STATA LEI LA SOLA VITTIMA SE NE SAREBBERO FOTTUTI… CONTA SE LA VITTIMA E’ CAUCASICA O ANDINA? E MAGARI “SE LA SAREBBE ANDATA A CERCARE”
Cosa vuol dire straniero, per le persone a cui il termine scatena tanta indignazione e rabbia? Migranti, richiedenti asilo, profughi, clandestini, rifugiati, cittadini italiani dalle origini extraeuropee?
Alla fine per loro non sembra fare molta differenza, il concetto è utilizzato per riferirsi a chiunque “crei problemi” e non abbia la pelle perfettamente bianca o un pedigree sufficientemente italiano.
I politici ci sguazzano e i social impazzano, ma anche i media, c’è da dire, fanno la loro (pessima) parte.
Così, se i due polacchi aggrediti sono stati definiti coralmente e senza incertezze soltanto “turisti”, i quattro nordafricani stupratori sono invece dati per certi come stranieri
“Straniera” a dire il vero sarebbe anche la trans peruviana violentata dopo la ragazza polacca, ma di lei si dice poco in generale, perchè i media hanno scelto perlopiù di titolare di un solo stupro, aggiungendo poi nel corpo dell’articolo frasi tipo: “e poi, sulla via del ritorno hanno anche stuprato un trans peruviano”.
Come se lei fosse un incidente di percorso in una triste storia che ha come protagonista unica la coppia aggredita in spiaggia.
Come se lei fosse un lui, nonostante un aspetto e un nome tali da farla definire “trans”. Con l’articolo maschile però, vecchio vizio duro a morire dei media nostrani, che solletica la pruderie del pubblico a casa e rinforza l’idea di “scherzo della natura” a cui uno stupro poco può fare o togliere, tranquillamente liquidabile con un “e poi sulla via del ritorno”, che assolve al dovere di cronaca senza rovinare troppo la bella e triste storia della coppietta bionda aggredita dai mostri africani.
Esiste quindi una violenza sessuale di serie A e una di serie B in base alla vittima, e questo è chiaro, ma non sono chiare le condizioni che declassano il reato: è peggio se la vittima è caucasica anzichè andina?
O il punto è che la prima era rispettabilmente accompagnata da un uomo e la seconda vive regolarmente da sola la notte?
O il focus è l’attività in corso al momento dell’assalto, turista vs prostituta?
O ancora, potrebbe essere una questione genital-ormonale, che rende più grave la violenza sessuale agita su una donna biologica anzichè su una trans?
Quale che sia la risposta, chiude l’elenco delle diverse tipologie di stranieri la categoria “invisibili”, ovvero quelli di cui non fa gioco parlare, come la sex worker che li ha soccorsi per prima: ha rilasciato lei le parole più empatiche e umane che io abbia letto sulla vicenda.
In pochi però le hanno riportate, che già c’era la storia della trans peruviana sulla via del ritorno, ci mancava solo il ritratto di una prostituta umana, straniera e pure dolce a creare casino sui ruoli.
Meglio un bel favolone di quelli classici, con gli europei dalla parte dei buoni e l’uomo nero nel ruolo del cattivo, che già gli italiani leggono poco e poi siamo un popolo tradizionalista, a noi la storia piace leggerla così.
Meglio non cambiarla.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
PRONTO A SFIDARE IL SUO PARTITO CON UN GOVERNO DEL PRESIDENTE
“Sulla presidenza della Regione facciamo un ragionamento sostenuto da questo o quel potente? Sto facendo un ultimo tentativo estremo di costruire una coalizione, attraverso un meccanismo previsto dallo statuto del Pd. Non sono un autocandidato illegittimo, sono il candidato legittimo del Pd che avrebbero dovuto proporre gli alleati. Il 17 settembre e’ vicino, nessuno attribuisca a Crocetta la voglia di rompere o disintegrare il centrosinistra. Io sto facendo una proposta unitaria, chi non la accetta vuol dire che vuole rompere e che pensa che basta mettere insieme 4 notabili della politica per vincere le elezioni”.
A dirlo il presidente della Sicilia, Rosario Crocetta.
“L’ipotesi del governo del presidente è molto realistica. Se loro continuano a sostenere Micari e rifiutano le primarie, non possono non ritirare dal governo la loro delegazione”, sottolinea il presidente della Regione ribadendo con i giornalisti la sua intenzione di formare un ‘governo elettorale’ nel caso in cui i partiti che reggono attualmente la sua giunta, primo tra tutti il Pd, non aprano alla sua proposta di fare le primarie e continuino ad appoggiare la candidatura del rettore dell’Ateneo palermitano Fabrizio Micari. “Non li ho mai posti davanti a questo ricatto – aggiunge – mi daranno atto di aver rispettato gli assessori, ma ora uscirebbero qui tutti”.
“Io credo che il progetto Micari sia perdente: non cammina con le gambe della società e dei partiti della coalizione, è un progetto destinato a perdere”, ha aggiunto Crocetta.
“Se qualcuno vuole fare il prepotente – ha ammonito – pagherà il prezzo della propria prepotenza e siccome è una sconfitta annunciata, nessuno se la prenda con Fausto Raciti. Altri non hanno l’obiettivo di vincere le elezioni; hanno l’obiettivo di come fare fuori Rosario Crocetta: è un gioco sulle spalle della Sicilia. Micari se è convinto che non è così, si misuri con le primarie”.
“Il progetto Micari – ha concluso Crocetta – è un progetto nato a Roma con Leoluca Orlando che ha fatto esattamente la stessa cosa che ha fatto con le amministrative. È andato a Roma, si è fatto candidare dal Pd e poi ha detto che era civico, noi gli abbiamo fatto una legge che con il 40% vinceva e poi ha fatto tutto da solo. Io non posso accettare che la Sicilia venga commissariata da Roma”.
“Ci siamo sentiti con Renzi. Ieri era in programma un incontro, ma ho ritenuto che, dopo la riunione della segreteria, fosse necessario prima un confronto con il segretario Raciti e poi successivamente comunicare io a Renzi le nostre decisioni. Coinvolgere il segretario nazionale non mi sembrava responsabile in questo momento”.
Riguardo l’incontro con il segretario del Pd Matteo Renzi, Crocetta ha aggiunto: “Più tardi chiamerò il segretario regionale Fausto Raciti e deciderò con lui quando incontrare Renzi”, ha concluso Crocetta.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
CON UNA GUARDIA COSTIERA LIBICA INDAGATA DALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE PER CRIMINI CONTRO L’UMANITA’
Il Vertice di Parigi ha focalizzato le possibili soluzioni per risolvere la questione dei migranti immaginando di rendere sistematico il modello attualmente sperimentato in Libia dall’Italia, allargandolo anche ad altri Paesi africani: un modello che esternalizza le frontiere affidando i controlli ad altri.
L’Europa ha quindi deciso di spostare le frontiere sul confine meridionale della Libia, e dopo aver chiuso di fatto il Mediterraneo all’azione umanitaria indipendente, decide quindi di appaltare alla Libia il respingimento dei migranti e il confinamento in luoghi che nulla hanno a che vedere con l’accoglienza; già fatto in Turchia, in futuro si farà in altri Paesi.
Il modello Libia, presentato come esempio di future partnership con altri Paesi africani, consentirebbe — nelle intenzioni dei capi di stato – di distinguere nettamente tra rifugiati e migranti economici direttamente sul campo, in modo che i secondi siano respinti indietro. A fronte di questo però ci sono rapporti di organizzazioni umanitarie e inchieste giornalistiche che documentano come le autorità libiche non siano in grado di controllare le operazioni dei trafficanti, nè di prevenire le violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo nei campi di detenzione.
L’Unhcr e alcune Ong hanno anche lanciato l’allarme sulla collusione tra trafficanti e settori delle fragili istituzioni libiche, cosa di cui si era avveduta anche la stessa procura di Trapani.
E la Guardia Costiera libica è indagata dalla Corte Penale Internazionale per gravi crimini – inclusi crimini contro l’umanità — e ha sparato verso i soccorritori delle Ong.
Quindi il nodo centrale di come possano essere assicurati i diritti umani resta irrisolto o forse ancor più stretto.
Come si fa a essere rassicurati quando i diritti umani sono affidati per delega a “autorità ” dalle vacillanti capacità (o volontà ) di aderire ai principi del diritto internazionale umanitario, in un contesto dove neanche gli organismi internazionali — Unhcr e Oim — sarebbero in grado di garantirne il rispetto?
Come si fa a essere rassicurati se si propone un cosiddetto Codice di condotta che avrebbe costretto, così come proposto in origine, le organizzazioni impegnate nelle operazioni di ricerca e salvataggio a violare le norme internazionali firmate sotto gli auspici della Federazione internazionale della Croce Rossa?
Ieri ActionAid Italia insieme a Amnesty International Italia ha sottolineato come il vertice potesse essere un’occasione importante per riconoscere che le migrazioni richiedono un’attenzione particolare e vadano percepite come risorsa in un Paese sempre più anziano, come il nostro.
Quello che esce dal vertice di ieri non sembra presagire nulla di buono. Soprattutto perchè tali provvedimenti non sono accompagnati da questioni che per ActionAid risultano imprescindibili:
1. La richiesta agli Stati europei di promuovere e proteggere i diritti umani dei migranti creando la sola via possibile e cioè l’apertura di corridoi umanitari e di canali di ingresso legale, unico antidoto all’azione dei trafficanti.
2. Il superamento del Regolamento di Dublino – che è stato paventato nel vertice – deve essere garantito e non subordinato alla diminuzione degli arrivi dalla rotta del Mediterraneo centrale, affinchè sia possibile una distribuzione dei migranti tra gli Stati Membri, per assicurare il diritto a una vita dignitosa e il rispetto dei diritti di richiedenti e titolari di protezione internazionale.
3. Mettere a disposizione risorse aggiuntive per consentire di vigilare in maniera indipendente sul rispetto dei diritti umani negli Stati del Nord Africa, inclusa la Libia, invece e prima di delegare loro soccorsi e controllo delle frontiere.
4. Dichiarazioni diverse, in primis dal nostro governo, che non facciano il gioco di quanti animano l’attuale dibattito inseguendo populismo e in alcuni casi dando spazio al razzismo.
Le derive populiste trovano terreno fertile quando le risposte delle istituzioni sono incerte e le dichiarazioni pubbliche lasciano spazio a dubbi sui fatti, sui ruoli e sulle responsabilità degli Stati così come di altri attori.
È sempre più urgente un ritorno ai valori costituzionali, civili, etici e morali fondanti il nostro Paese e l’Unione Europea.
Il rischio sempre più reale è che il nostro Paese e l’Europa avallino le possibili violazioni dei diritti umani commesse oggi in Turchia, in Libia e domani chissà dove, senza chiedersi poi quali siano le condizioni dei migranti e che fine davvero facciano le migliaia di persone che non si vogliono nei nostri Paesi e che non si vuole più nemmeno vedere nel Mar Mediterraneo.
Persone che hanno gli stessi desideri che abbiamo tutti noi. E quindi che hanno diritti che vanno rispettati.
Respingere, bloccare, rimandare indietro in nome di cosa? Sicurezza? Paura? Mancanza di coraggio?
Non si può fare sacrificando diritti e principi democratici.
Marco De Ponte
Secretary General of ActionAid Italy
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