Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
E’ AMMESSO SOLO SPENDERE 100.000 EURO PER LE MARCHETTE DI DEL DEBBIO O SPUTTANARNE ALTRETTANTE PER IL TAPPETO ROSSO… E’ RUSCITO A FAR FARE BELLA FIGURA PERSINO A RENZI (CHE HA RINUNCIATO PER NON CREARE PROBLEMI)
Via il patrocinio della Regione dal Festival della Mente di Sarzana: uno dei relatori è Matteo Renzi.
L’annuncio su Facebook dell’assessore regionale spezzino, Giacomo Giampedrone, che annuncia la volontà di togliere patrocinio e logo dell’istituzione regionale alla ormai consolidata e prestigiosa kermesse culturale del Levante ligure.
Immediato il posizionamento del presidente della Regione, Giovanni Toti, che ha rafforzato la proposta del suo assessore: “Renzi può benissimo presentare il suo libro in Liguria, ma non lo farà a spese dei liguri e non in una manifestazione pubblica che è di tutti, “, confermando la decisione di ritirare logo e patrocinio alla kermesse.
A spese dei liguri invece vanno bene i 100.000 euro per il tour propagandistico di Del Debbio o gli altrettranti spesi per il red carpet di cui ride tutta l’Italia.
A far esplodere la polemica è la partecipazione al Festival del segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi:
In tarda mattinata il segretario dem fa sapere con una nota che non andrà al festival di Sarzana. E il sindaco, Alessio Cavarra, dirama, attraverso una nota, la sua amarezza: “La Regione Liguria fa una figuraccia, a chi può far paura la presentazione di un libro? Avevo chiesto a Matteo Renzi di presentare il suo “Avanti” anche nella nostra città e in un evento previsto fuori dal programma del Festival della Mente. Pensavo che sarebbe stato utile a tutti discutere e dialogare: i libri servono a questo”.
Cavarra ribadisce che, d’accordo con il segretario Pd, si è deciso di rinviare la presentazione: “Evitiamo alibi per fare polemiche contro Sarzana”, dice il sindaco. E promette, a breve, di fissare una nuova data, perchè Renzi possa illustrare il suo libro nel Comune spezzino.
(da agenzie)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
“HO IL DOVERE DI SBATTERE FUORI CHI E’ RAZZISTA”… “ACCOLGO ANCHE DIECI SENZATETTO MA DI QUELLI NON PARLA NESSUNO”
“Forza Nuova? Fuori il razzismo dalla chiesa. Se qualcuno entra e prova a lanciare messaggi razzisti io non comincio la messa”, dice don Massimo Biancalani, 55 anni, parroco della parrocchia di Vicofaro, nel cuore di Pistoia, che dopo aver postato su Facebook la foto di giovani migranti in piscina, si è visto crocifiggere da Matteo Salvini con l’inevitabile seguito, via web, di insulti e epiteti razzisti.
Al grido di “Dio, patria e famiglia”, Forza Nuova ha annunciato che sarà in prima fila ad ascoltare la messa di don Massimo “per vigilare sull’effettiva dottrina del parroco Biancalani”.
In segno di solidarietà il vescovo Fausto Tardelli ha inviato il suo vice don Patrizio Fabbri a concelebrare domani la messa delle 11 a fianco di don Massimo. Un gesto isolato, racconta il parroco, accompagnato da un sospetto maturato in questi giorni: “Che ci sia un qualche legame tra Forza Nuova, Casa Pound e certi ambienti ecclesiali tradizionalisti“.
Domenica calda, don Massimo?
Per me sarà assolutamente normale. Io sono un prete semplice: cerco di seguire il vangelo. Che si basa sul valore dell’amore e dell’accoglienza.
Amore, in realtà lei ha definito nemici i razzisti.
Come persone sono miei fratelli, è la loro ideologia che avverso. Come diceva papa Giovanni XXIII, bisogna distinguere tra l’errore e gli erranti.
In un’intervista ha minacciato di prendere a calci nel sedere un razzista che dovesse entrare in chiesa.
Anche Gesù scacciò i mercanti dal tempio. Le porte della chiesa sono aperte a tutti, ma se qualcuno intende profanarla con messaggi razzisti incompatibili con il vangelo il mio dovere di prete è quello di sbatterlo fuori.
Quindi lei con quelli di Forza Nuova non ci parla?
Ripeto, la chiesa è aperta a tutti. E io sono disponibile a parlare con tutti. Ma nella chiarezza evangelica.
Niente timori?
No, già in passato, quando sostenni l’esigenza di costruire una moschea a Pistoia, quelli di Forza Nuova minacciarono un presidio fuori della chiesa, ma poi non vennero, forse perchè il tempo fu inclemente, domenica invece ci sarà il sole… A parte le battute, quello che mi amareggia è un retro pensiero che mi sono fatto in questi giorni.
Quale?
Che ci sia un qualche legame tra Forza Nuova e Casa Pound e certi ambienti ecclesiali tradizionalisti.
Il suo vescovo però le ha espresso solidarietà .
Lui sì, ma per il resto silenzio e gelo, salve due o tre persone.
Tipo?
Don Alessandro Santoro, il parroco fiorentino delle Piagge, ad esempio. O il vescovo emerito di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro, che mi ha incoraggiato ad andare avanti e a mettere nel conto che ogni gesto di apertura provoca reazioni. E pochi altri.
Eppure papa Francesco è considerato l’ultimo baluardo in difesa dei migranti.
Lui sì, ma la Chiesa è più ondivaga. Un prete mi ha telefonato da Genova per dirmi che un sondaggio cittadino ha rivelato che solo 7 parrocchie su 278 hanno aderito all’appello di papa Francesco ad accogliere profughi. Speriamo che sia un caso limite.
Lei invece ne ha accolti una quarantina.
Distinguiamo. Ventiquattro sono profughi inviati dalla prefettura, gli altri sono quelli che si trovano in una terra di nessuno.
Per ogni migrante 35 euro al giorno.
Per quelli mandati dalla prefettura, per gli altri pensa la parrocchia. E tutti sono inseriti in programmi di recupero e di lavoro. Abbiamo un orto biologico, un panificio e anche un esperienza bellissima di sartoria. Sarti bravissimi del Gambia che sono andati anche sul Tg2.
L’accusano di pensare ai migranti e non ai pistoiesi.
A Pistoia il Comune per l’accoglienza dei senza tetto ha una struttura per sole quindici persone. La Caritas non fa accoglienza. Io in parrocchia ne accolgo dieci.
Molti l’accusano di ingenuità e provocazione: ma c’era proprio bisogno di postare la foto dei profughi in piscina?
E’ stato un gesto dettato da semplicità . Io quello che faccio lo racconto con tranquillità . Come gesto normale, non ho fini reconditi.
Li riporterà in piscina?
E perchè no? Anzi abbiamo in programma di fare un salto al mare per due e tre giorni prima dell’inizio delle scuole. Dove sta il problema?
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
IN SICILIA CENTRODESTRA IN SUBBUGLIO PER LA SCELTA DEL CANDIDATO
Barricato nel castello di Arcore, smagrito dalle diete, smanioso di prendersi l’ultima grande rivincita, Silvio Berlusconi è sicuro che l’Italia stia reclamando volti “nuovi”, figure extra-politiche capaci di riportare al voto la massa degli scontenti.
Per cui, mentre gli altri leader indugiano in vacanza, l’ex premier è lì che passa frenetico in rassegna personaggi capaci di destare curiosità .
Uno è convinto di averlo tra le mani, politicamente se ne è invaghito e pretende adesso di imporlo come candidato dell’intero centrodestra per la Regione Sicilia, dove si vota il 5 novembre.
L’“unto” da Silvio è Gaetano Armao, avvocato palermitano, fondatore di un movimento dalle tinte autonomiste che fa appello a tutti gli “indignati” dell’isola. Berlusconi ne ignorava l’esistenza fino al 21 luglio, quando il proconsole forzista Gianfranco Micchichè glielo portò a colloquio.
L’attrazione fu così fatale che lo stesso Miccichè, ripassando due settimane dopo da Arcore, vi ritrovò non soltanto Armao ma pure la di lui compagna, Lara Bartolozzi, magistrato. Solo a quel punto gli venne il sospetto di aver scatenato un cortocircuito. Già , perchè sul nome di Armao divampa ora un incendio che rischia di mandare all’aria i piani del centrodestra, in Sicilia e nel resto d’Italia.
Regalo ai grillini
Mezzo partito del Cav è in rivolta. Giorgia Meloni e Matteo Salvini (l’ha ribadito ieri bacchettando i suoi) non ne vogliono sapere. E mentre Silvio resta convinto di avere estratto dal cilindro «la soluzione ideale», tutti gli altri ci vedono un clamoroso abbaglio.
La ragione? Armao non è così “tecnico”, tantomeno così “nuovo”. Bazzica da vent’anni le stanze del potere siciliano. È stato assessore nelle giunte di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo. Di lui le cronache si sono spesso occupate, non sempre per esaltarne le gesta. Gli contestarono da sinistra un conflitto d’interessi per via di vecchi rapporti professionali con il gruppo Falck.
L’inchiesta che ne seguì non ebbe seguito, idem quella scoppiata dopo lo scandalo dell’autoblu regionale prestata alla compagna: la Procura archiviò in quanto, nel prestito alla collega, non ebbe a ravvisare «lesione all’interesse patrimoniale o all’attività funzionale dell’ente».
Però della vicenda sparlò l’Italia, e se mai la candidatura Armao verrà formalizzata, i grillini la rispolvereranno certamente.
Pure ricorderanno le consulenze all’immobiliarista Stefano Ricucci, del quale il nuovo astro berlusconiano è stato “trustee”, cioè fiduciario per certe posizioni all’estero, specie nei paesi dove le tasse pesano meno; compreso (pare) il paradiso fiscale del Belize di cui Armao è stato console onorario per la Sicilia.
Ultima buccia di banana: l’avvocato non è stato giudicato idoneo nel concorso nazionale per professore di seconda fascia. Nonostante la competenza acclarata nel diritto amministrativo, sul piano accademico Armao non può fregiarsi del titolo di prof e resta ricercatore.
L’ostacolo Musumeci
Quando si presentò con la sua lista, nel 2012, il capo degli “Indignati” raccolse un trascurabile 3,4 per cento. Stavolta avrebbe in più l’appoggio di Cuffaro e di Lombardo, ma rispetto alla Sicilia dei giovani, cui punta Berlusconi, quei due sarebbero il bacio della morte.
Per questi motivi e anche, certo, per le solite gelosie, il coro di forzisti e alleati è: «Silvio lascialo perdere, scegli piuttosto Nello Musumeci», onesto “fascistone” di Catania, mai sfiorato da una chiacchiera, che alle ultime Regionali prese il 25,7 per cento nonostante un centrodestra diviso.
Musumeci ha un difetto: non sta simpatico a Silvio, nel 2006 commise il sacrilegio di parlare più a lungo di lui durante un comizio. Poi si fa consigliare da due finiani che il Cav, ricambiato, detesta: Fabio Granata e Carmelo Briguglio.
Infine, spalleggiato da Salvini e dalla Meloni, Musumeci non ha la minima intenzione di tirarsi indietro. Con o senza Berlusconi, lui si candiderà lo stesso.
Come finirà ? C’è il precedente sciagurato di Roma, quando Berlusconi si impuntò per Guido Bertolaso, strada facendo virò su Alfio Marchini, fece perdere Giorgia Meloni per un pugno di voti e al Campidoglio arrivò Virginia Raggi.
Possibile che Silvio conceda il bis in Sicilia; ovvero, per amore dell’unità , alla fine converga malvolentieri su Musumeci. Per ora insiste. E contrattacca: proprio a Palermo, fanno notare i suoi, Meloni e Salvini scelsero mesi fa come candidato un ex delle Iene, Ismaele La Vardera, che mise entrambi alla berlina.
Ecco, «se c’è qualcuno che non può darci lezioni sono proprio loro».
(da “La Stampa”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
EMERGENZA ABITATIVA: STANZIATI 40 MILIONI, MA LA RAGGI NON HA MAI PREPARATO IL BANDO PER ASSEGNARLI
Oltre 3.200 sfratti coatti l’anno nella Capitale a fronte di sole 200 case popolari assegnate nello stesso periodo.
E un dettagliato elenco di 74 edifici occupati “da sgomberare” in cui secondo l’Unhcr vivono circa 3mila rifugiati politici: in questa lista sono evidenziati 16 stabili da sgomberare “urgentemente”, con 300-400 famiglie di tutte le nazionalità — anche italiane — che potrebbero ritrovarsi senza un tetto se davvero la prefettura procedesse a breve.
Cosa tutt’altro che scontata. Ma resta il fatto che senza “bandi speciali”, graduatorie ad hoc e alloggi alternativi, ad oggi la città di Roma non è in grado di fronteggiare l’emergenza abitativa, se non per tamponare piccole e sporadiche situazioni.
Una condizione che accomuna cittadini italiani e stranieri, compresi coloro che hanno ottenuto l’asilo politico nel nostro Paese.
E’ italiana oltre metà delle 60 famiglie che dormono da giorni sotto i portici della centralissima piazza Santi Apostoli, proprio di fronte al palazzo della prefettura, cacciate il 10 agosto da un edificio ex Inps a Cinecittà .
Così venerdì, dopo lo sgombero di 450 eritrei dall’edificio occupato in via Curtatone (nella lista dei 16), è iniziato lo scambio di accuse tra Comune e Regione.
Con la giunta Raggi che accusa Zingaretti di non aver fatto il proprio dovere e la Pisana che ribatte di aver stanziato 40 milioni e incolpa il Campidoglio di non aver sottoscritto la convenzione necessaria per sbloccarli.
CON L’ADDIO AI RESIDENCE IL COMUNE RISPARMIA. MA MANCANO ALTERNATIVE
Il progressivo abbandono della dispendiosissima politica dei “residence” — strutture private affittate al Comune di Roma a prezzi stratosferici — se da un lato ha prodotto ingenti risparmi nelle casse capitoline (per ora 13 milioni l’anno) dall’altra ha sottratto agli amministratori la possibilità di utilizzare un bacino di alloggi per dare un tetto a chi esce da occupazioni abusive o subisce uno sfratto forzoso.
Il problema è che nessuno ha fin qui sopperito a questa mancanza.
L’utilizzo del buono casa (contributo all’affitto) da parte del Campidoglio è un modus operandi troppo articolato per essere esteso in tempi medio-brevi a chi non vive già nei residence.
D’altra parte, sono fin qui andate deserte anche le gare del Comune di Roma per la gestione dei posti letto cosiddetti “extra Sprar”, dedicati ai rifugiati politici che hanno visto accettata la richiesta d’asilo e che non possono tornare nei centri d’accoglienza. E se le forze dell’ordine dovessero procedere nei prossimi mesi allo sgombero — come avvenuto a via Curtatone — anche solo di una parte degli edifici presenti nella lista delle “urgenze”, la Capitale si ritroverebbe virtualmente con centinaia (se non migliaia) di senza fissa dimora, italiani e stranieri, a cui non poter dare risposte. Con tutto il carico di tensioni sociali che ne conseguirebbe.
LA DELIBERA TRONCA E I BANDI MAI EFFETTUATI
La bomba a orologeria è innescata. Ad oggi nella Capitale vige ancora la delibera 50 del 2016 a firma dell’ex commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, che prende atto delle deliberazioni 3154 e 3155 della Regione Lazio e che fu redatta in seguito a un lungo braccio di ferro con l’allora prefetto di Roma, Franco Gabrielli.
L’atto commissariale, come detto, contiene un elenco di 74 edifici occupati prima del 31 dicembre 2013, di cui 16 stabili (via Curtatone era in cima alla lista) da sgomberare “in via prioritaria” perchè “pericolanti”, “gravati da sequestro preventivo” o “la cui occupazione comporta danni erariali”. In realtà , la delibera Tronca non è solo una mera agenda a beneficio della Questura, tutt’altro.
L’atto prevedeva che il Comune procedesse ad “individuare ed assegnare gli alloggi ai nuclei familiari presenti (…) attraverso uno specifico bando speciale in conformità alla normativa di settore”, riservando loro una quota del 15% degli immobili disponibili. Insomma: gli sgomberi solo a soluzioni alternative e graduatorie già pronte. E’ a questo che si riferiva Gabrielli nell’intervista data venerdì a Repubblica, in cui chiedeva conto del “lavoro fatto insieme a Tronca”.
Peccato che il “bando speciale” non sia mai arrivato.
Al momento, l’unico atto seguito alla 50/2016 di Tronca è una deliberazione della giunta Raggi del 25 luglio 2017, a firma dell’ormai ex assessore Andrea Mazzillo, contenente delle linee guida sull’emergenza abitativa nel suo complesso e un “piano d’azione generale” ancora preliminare, che non prevede nemmeno un capitolo ad hoc per i rifugiati.
“Stiamo lavorando concretamente — spiega a IlFattoQuotidiano.it la presidente della commissione capitolina Politiche Sociali, Maria Agnese Catini — e abbiamo posto le basi per dare una risposta a 6mila famiglie nel giro di 3 anni.”
IL BRACCIO DI FERRO SUI SOLDI DELLA REGIONE
Ma con quali fondi Roma Capitale dovrebbe gestire l’uscita dalle occupazioni di queste persone e la ricollocazione delle famiglie in difficoltà ?
La Regione Lazio, nel marzo 2016, aveva individuato in 197 milioni di euro il valore totale dell’emergenza abitativa a Roma, proponendosi di destinare 764 alloggi Ater a questo scopo, di cui una percentuale di circa un terzo alle occupazioni “storiche”. Un’azione, quella dell’assessore regionale Fabio Refrigeri, che si è trascinata dietro molte polemiche, fra cui l’accusa di essere sceso a patti con i Movimenti di lotta per la casa o di voler creare un canale preferenziale in favore degli occupanti.
Il clima politico ha dunque spinto la giunta Zingaretti a provare a rimediare quei soldi attraverso la vendita degli alloggi Ater, con gare andate due volte deserte.
La soluzione tampone è stata trovata a maggio, attraverso lo stanziamento di 40 milioni di euro, 30 in favore del Comune di Roma e 10 destinati all’Ipab San Michele, istituto pubblico che si occupa di gestione del patrimonio.
“Ma il Campidoglio non ha ancora firmato la convenzione — spiegano dalla Regione Lazio — e finora non ci sono stati contatti con il nuovo assessore (Rosalba Castiglione, nominata il 4 agosto al posto del dimissionario Andrea Mazzillo, ndr)”. “Le convenzioni si fanno insieme, non si impongono”, replicano fonti informali vicine a Mazzillo, che nel frattempo aveva trovato altri 35 milioni nelle more dei conti del Comune.
RIFUGIATI E PERSONE SOTTO SFRATTO: UNA BOMBA SOCIALE
Insomma: da una parte chi si occupa di ordine pubblico preme per una stretta, dall’altra gli enti locali non sono pronti a raccogliere i cocci e dare assistenza almeno a chi ne ha diritto.
E senza dialogo, come accaduto per via Curtatone, il rischio è che ognuno vada avanti per la sua strada.
Secondo i dati forniti dall’Unione Inquilini, ogni anno a Roma viene utilizzata la forza pubblica per eseguire 3.215 fra sfratti e sgomberi, “circa 10mila famiglie fuori casa in 10 anni”, sottolinea il segretario nazionale Massimo Pasquini.
Come detto, sul territorio di Roma ci sono circa 3mila migranti che hanno già ottenuto lo status di rifugiato politico dal Governo italiano e che risiedono all’interno dei 74 stabili occupati, “di cui il 90% appartengono a enti pubblici di varia natura”, afferma ancora Pasquini.
Un quadro che preoccupa non poco anche l’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che dopo la sgombero di via Curtatone ha commentato che “in 4 anni di occupazione è mancata una strategia concreta di intervento sociale ed abitativo, assente anche per le altre grandi occupazioni di rifugiati a Roma”. Infatti “le alternative proposte non avrebbero garantito una sistemazione a tutte le persone presenti e non erano accompagnate da garanzie per soluzioni credibili di lungo periodo”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
LO SCARICABARILE E IL MINISTRO RESTA CON IL CERINO ACCESO IN MANO… E SI SCOPRE CHE IL COMUNE NON INTENDEVA DARE ALCUN ALLOGGIO AI PROFUGHI
Come volevasi dimostrare, Marco Minniti ha deciso di non caricare sul suo ministero il prezzo dell’impopolarità sugli sgomberi.
E così, dopo le dichiarazioni di Manconi, arriva la conferma: non si procederà a nuovi sgomberi senza le “soluzioni alternative” di cui aveva parlato anche il capo della polizia Franco Gabrielli nell’intervista a Repubblica in cui aveva accusato Comune e Regione di non essere intervenuti per tempo a Palazzo Curtatone e Piazza Indipendenza.
La decisione del ministero, è evidente, ha il pregio di scontentare tutti.
Scontenta chi ha elogiato le scelte del ministero su Palazzo Curtatone, perchè è una chiara marcia indietro.
E scontenta chi le ha criticate, perchè adesso non potrà che pensare che allora il primo sgombero è stato in effetti non opportuno.
Per tutta la durata dell’emergenza di Piazza Indipendenza il ministero ha scaricato le responsabilità sugli enti locali che non sono stati in grado di fare nulla fino allo scoppio del problema e in cambio ha ricevuto risposte soprattutto dal Comune, che ha fatto notare di essere stato avvertito dello sgombero solo 12 ore prima e ha detto che il censimento fatto dalla polizia non aveva segnalato la presenza di 37 bambini nel palazzo.
Ora il Viminale, dopo la guerriglia di piazza Indipendenza, fissa quello che sembra essere un punto di non ritorno:
Mai più sgomberi così. Mai più rifugiati buttati fuori da palazzi occupati abusivamente se prima non è stata garantita loro una sistemazione alternativa. «La prossima settimana scriveremo nuove linee guida per effettuare gli sgomberi ordinati dai giudici, e le invieremo a tutti i prefetti d’Italia. Tra le disposizioni ci sarà sicuramente quella di non autorizzarli se prima non è stata concordata una sistemazione dove alloggiare chi ne ha diritto. È una regola di buon senso, e non sarà l’unica». (La Repubblica)
Ovviamente, visto che il buonsenso non è nato ieri pomeriggio, viene da chiedersi perchè non si siano seguiti gli stessi criteri per Palazzo Curtatone.
La decisione è stata anticipata nel pomeriggio di ieri dal senatore Pd e presidente della commissione Diritti umani Luigi Manconi, durante un intervento su SKY: «Non posso virgolettarlo, perchè non sono stato autorizzato a farlo, ma posso dire che il ministro dell’Interno Minniti non autorizzerà altri sgomberi a Roma senza che vi siano pronte soluzioni abitative».
Ora, tecnicamente, non spetta al ministro autorizzare o meno l’intervento in un immobile occupato per riconsegnarlo al legittimo proprietario: è un decreto prefettizio a disporlo, dopo aver acquisito il parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Però di prassi il Viminale viene sempre informato preventivamente. E può fare pressioni per una deroga dei termini o per dilazionare la procedure quando a richiederlo siano ragioni di sicurezza sociale.
Il ministero quindi farà valere una regola, una moral suasion e una logica che non ha utilizzato a Palazzo Curtatone facendo finire le scene di Piazza Indipendenza su tutti i giornali d’Europa e prendendosi le critiche di tante associazioni umanitarie per la disumanità del comportamento della polizia. L’operazione di cleaning, come l’ha chiamata il prefetto Paola Curtatone che ha accusato anche i movimenti per la casa di aver sobillati gli occupanti a rimanere in strada per protesta (???), rimarrà un unicuum in attesa che i comuni e le regioni si preparino.
Ma c’è un problema politico che il Viminale ha sottovalutato (come spesso cà pita): racconta oggi Federica Angeli su Repubblica che la Basilone ha raccontato che la linea del Campidoglio, nei numerosi tavoli tecnici istituiti per affrontare la vicenda “via Curtatone” nei sette mesi precedenti, era stato quello di chiusura assoluta.
«Non ricollocheremo gli occupanti abusivi, daremo la priorità alle graduatorie per gli alloggi». E dalla Regione Lazio replicano, documenti alla mano che, «da maggio non c’è stata alcuna risposta dal Campidoglio sui 40 milioni stanziati dalla Regione Lazio».
Facile comprendere il motivo di questo atteggiamento da parte del Comune di Roma: non vuole prestare il fianco a critiche politiche sulle priorità dell’accoglienza mentre Di Maio gioca a Law & Order per ragioni elettorali.
Ma se gli enti locali, a Roma come altrove, preferiscono non trovare “soluzioni alternative” per non dare fiato alle opposizioni (campa cavallo, ‘chè l’ente locale cresce) e il ministero annuncia che non ci saranno interventi senza “soluzioni alternative” il risultato è che si scontenteranno tutti.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
QUALCUNO GLI RICORDI LA LEGGE: NEGLI ALLOGGI PRIVATI OGNUNO OSPITA CHI GLI PARE…SE NON GLI STA BENE SI DIMETTA
Il sindaco Pd di Forano, Marco Cortella, paese di 3168 mila abitanti in provincia di Rieti che accoglie 40 richiedenti asilo politico, non vuole che arrivino nel suo paese altre 40 persone che sono state sgomberate da Palazzo Curtatone.
Si tratta di un gruppo di etiopi, eritrei e somali che occupavano il palazzone di proprietà di Idea Fimit a due passi dalla stazione Termini e dalla sede del Csm.
Attenzione: in questo caso non stiamo parlando di richiedenti asilo che si inseriscono all’interno del piano di accoglienza del ministero dell’Interno, ma di rifugiati già valutati come tali e che andrebbero a vivere in alcuni alloggi messi a disposizione da un privato: il gestore di Palazzo Curtatone.
Si tratta quindi di una proprietà privata utilizzata a questo fine dal gestore che non percepisce soldi pubblici per la decisione.
Eppure Cortella dice di essere contrario all’ospitalità : “Sono assolutamente contrario ad un’ipotesi del genere, come peraltro ho detto al Prefetto di Rieti, perchè la comunità non l’accetterebbe e non per un problema di razzismo ma per oggettivi problemi caratterizzati già dall’elevato numero di migranti ospitati a Forano.
“Domani mattina cercherò di convocare un consiglio comunale straordinario per affrontare questa situazione, che mi auguro resti soltanto un’idea, che giudico insensata da ogni punto di vista”.
Intanto, fa sapere il sindaco, “Ho avuto modo di sentire telefonicamente Vincenzo Secci della Sea srl il quale mi ha informato che ancora non c’è nessun accordo con il Comune di Roma, in quanto peraltro le abitazioni gli sono state richieste gratuitamente, mi avrebbe fatto sapere eventuali aggiornamenti”.
Sarebbe opportuno che il sindaco di un comune conoscesse almeno la legge: nella propria abitazione il proprietario può far risiedere chi pare a lui, non siamo in un regime . Quindi la sua opinione è pari a zero: se non gli sta bene si dimetta e queste cazzate le dica agli avventori del bar
(da agenzie)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
DIETRO DI MAIO L’OMBRA DI CASALEGGIO E DEI POTERI FORTI
«Questa volta è troppo». A chi lo ha sentito al telefono, Roberto Fico ha trasmesso tutto il proprio disagio per quello che, di buon mattino, aveva letto.
Luigi Di Maio si era appena lanciato in una difesa della polizia finita sotto accusa per lo sgombero di centinaia di rifugiati africani dal palazzo di via Curtatone, nel centro di Roma.
«Non possiamo vedere scene di guerriglia come quelle e poi alla fine mettere sotto inchiesta i poliziotti e la Polizia di Stato per una frase», ha detto il vicepresidente della Camera ospite di Omnibus, La7.
La frase, pronunciata da un funzionario contro i profughi, è stata: «Se lanciano qualcosa spaccategli un braccio».
Di Maio minimizza («fa più notizia quella frase infelice che persone che lanciano bombole contro gli agenti») andando oltre lo stesso capo della Polizia, Franco Gabrielli, che invece ha condannato e promesso conseguenze per il funzionario.
Per Di Maio diventa una questione quasi identitaria, perchè la difesa si allarga anche alla sindaca Virginia Raggi, accusata dal Viminale di non aver garantito soluzioni abitative alternative, e dall’Unicef di «colpevole assenza». «La Raggi si deve occupare prima dei romani – afferma il grillino – E fa niente se mi definiranno razzista…».
Fico non lo definisce tale, ma per la prima volta da mesi ne prende platealmente le distanze, riaprendo di fatto la sfida per la candidatura a premier che sarà certificata a Rimini il 24 settembre.
La svolta securitaria di Di Maio è indigeribile per il collega e lo strappo diventa scenografico: «Uno Stato che si organizza in questo modo per sgombrare un palazzo abitato da bambini, donne e uomini che hanno oltretutto lo status costituzionale di rifugiati – scrive Fico su Facebook – è uno Stato che non mi rappresenta».
Nel giro di poco si accodano altri parlamentari, spesso in contrapposizione con la linea dura sui migranti sposata da Di Maio.
Il senatore Nicola Morra e il deputato Giuseppe Brescia sono tra i primi a criticare la violenza della polizia e a riproporre le divisioni già emerse sullo Ius soli e sulle Ong nel Mediterraneo.
L’immigrazione, come spesso anche altri dibattiti sui diritti civili, continua a far deflagrare l’apparente compattezza del M5S.
Nel Movimento convivono due posizioni ormai inconciliabili. Ma la scelta imposta dall’alto è sempre più palese.
Beppe Grillo e Davide Casaleggio continuano a perseguire un preciso calcolo, convinti che il tasto della sicurezza contro i migranti sia quello giusto per conquistare voti. Di Maio incarna questa posizione. Fico quella contraria, «gandhiana» per usare le parole di Morra.
Favorevole allo Ius soli, più morbido sulle Ong, Fico potrebbe a breve far sapere se sfiderà o meno Di Maio alle primarie. Ma, per ora, non vuole dir nulla, nemmeno agli uomini della Casaleggio che ne hanno sondato le intenzioni.
Dopo il primo turno online che, salvo ripensamenti, dovrebbe essere aperto a tutti gli attivisti, Fico deciderà se insistere nel rappresentare l’alternativa alla linea realista del collega e arrivare allo scontro totale.
Di certo, sull’immigrazione una sintesi non sembra più possibile, nonostante i fatti di via Curtatone abbiano rimesso al centro gli interrogativi sulle politiche di accoglienza della giunta Raggi.
(da “La Stampa”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
COME FACCIA UN PERSONAGGIO DEL GENERE A ESSERE ANCORA IN POLIZIA NON SI SA
“Caricate!” urlò agli agenti del reparto mobile, saltando sul posto. “Caricate!” ripetè. Stava arrivando il corteo degli operai Thyssen che protestavano perchè l’azienda voleva licenziare oltre 500 persone. In testa c’erano il segretario della Fiom Maurizio Landini e quello della Fim Marco Bentivogli.
Una garanzia per chi manifestava, ma anche per chi doveva garantire l’ordine pubblico. Eppure: “Caricate!” gridò il funzionario della questura che comandava quella squadra del reparto mobile. Le prese anche Landini.
“Non siamo delinquenti — disse poi, imbestialito — Non si mena chi è in piazza a difendere i lavoratori”.
Mentre prendeva le manganellate il capo del sindacato dei metalmeccanici gridava: “Siamo come voi, che cazzo state facendo?”. Ma ormai la carica era cominciata.
Fu documentato, tutto, grazie alla telecamera di Zoro, che mandò tutto in onda a Gazebo, su Rai3.
Una “carica a freddo”, la definirono i lavoratori. In quelle immagini si vide anche il confronto tra Landini e il dirigente della questura, quello del Caricate! Si urlarono in faccia, “Dimmelo prima!” rispose il superpoliziotto al capo della Fiom, prima di scomparire in una telefonata con chissà chi.
Quattro manifestanti rimasero feriti e tra questi due sindacalisti, quattro agenti rimasero contusi. La questura, quel 2 novembre 2014, spiegò poi che la carica di contenimento serviva a evitare che i manifestanti occupassero la Stazione Termini.
Caricate!: la voce è la stessa che ieri da piazza dei Cinquecento, durante lo sgombero dei migranti vicino alla Stazione Termini, è finita su tutti i giornali online.
“Se tirano qualcosa spaccategli un braccio” si sente dire in due video di fanpage.it e di Repubblica.it. Una frase sulla quale la polizia ha annunciato un’inchiesta interna, che il prefetto Franco Gabrielli tanto “grave” da “avere conseguenze”.
“Levatevi dai coglioni, carica, forza” si sente dire ancora una volta dalla stessa voce in un altro filmato pubblicato dal fattoquotidiano.it mentre i migranti scappano attraversando le strade, salendo e scendendo i marciapiedi delle fermate degli autobus, mentre viene superato da decine di agenti e una donna corre a fatica.
Le unità al suo comando, scrive l’Ansa, ieri sono state estromesse dal servizio nella seconda parte della giornata.
Lui non risponde al telefono e ad amici e colleghi dice che non parlerà . L’associazione dei funzionari di polizia parla di “strumentale clamore” nato da una “frase sbagliata”, pronunciata “dopo ore di tensione”.
Le solite scuse corporative di chi giustifica anche le mele marce al proprio interno.
Ma il “clamore” segue i servizi del funzionario di polizia non solo questa volta.
Non solo con i migranti di piazza dei Cinquecento.
Non solo con gli operai di Landini.
I video di giornali e amatoriali lo mostrano in prima fila in altre due situazioni tra le più tese nella Capitale negli ultimi due anni.
A febbraio a riempire i giornali sono le proteste dei tassisti e i loro scontri con le forze dell’ordine. Al sesto giorno è una “carica di alleggerimento” ad allontanarli dalla sede del Partito democratico, in largo del Nazareno.
E’ stata una giornata carica di tensione, scoppiano bombe carta davanti a Montecitorio, volano bottiglie, finestre finiscono in pezzi, i tavolini dei bar rovesciati. Il traffico in tilt, il centro nel caos.
La carica arriva all’improvviso, alcuni tassisti — carichi ed “energici” fino a quel momento — non se ne accorgono, ma alla fine viene travolto tutto dal rullo dei manganelli. Qualcuno riesce ad allontanarsi in tempo, qualcun altro non ce la fa.
Due manifestanti finiscono a terra, la testa sanguinante, un trauma cranico.
Vergogna, dicono i loro colleghi rivolti ai poliziotti, chiamate un’ambulanza. Il dirigente in borghese che si vede in quella parte di strada è il funzionario del Caricate!
Nel maggio 2016 le cronache di feriti, denunciati e cariche sono dal Campidoglio, dove a manifestare erano i movimenti per la casa, per le questioni annose che si ripropongono ancora oggi.
Sono le frange più estreme di chi protesta per l’emergenza abitativa. Il servizio d’ordine è difficile. La sede del Comune di Roma è difeso quasi all’ultimo metro dai poliziotti del reparto mobile, aiutati dal getto degli idranti. I manifestanti resistono, spingono.
Il funzionario esce dalla barriera degli agenti scudati, poi si sposta e sparisce di nuovo. Da lì, da quella parte, comincia la carica: finirà lungo la scalinata.
Ma non c’è solo Roma.
E’ il primo dicembre 2012 e a Livorno, in piazza Cavour, risuona la sua voce che cerca di trattare con i partecipanti di un corteo non autorizzato, ma appena concluso. Una manifestazione di anarchici, antagonisti e No Tav, qualche centinaio di persone. E’ un presidio che si trasforma in un serpentone che attraversa per poche centinaia di metri il centro della città : da piazza Grande alla statua di Cavour, appunto.
Un corteo senza permesso ma pacifico, in una zona pedonale, nelle vie dello struscio, concluso senza particolare agitazione.
Ma alla fine spuntano le camionette del reparto mobile. La cronaca di SenzaSoste, giornale dell’area antagonista livornese, rischia di essere parte.
Ma, al netto del tono, è difficile non riportarla per leggerla con gli occhi di oggi: “Arrivano le prime camionette che si fermano all’imbocco della piazza e fanno scendere i celerini già armati di manganello, scudo e casco. Da questo momento in poi la ‘gestione’ della piazza viene presa in mano da un dirigente dall’accento romano visibilmente fuori di sè e intenzionato a provocare in qualsiasi maniera. Si presenta di fronte ai manifestanti e inizia ad urlare che se non ci fossimo dispersi subito ci avrebbe caricato (e in sequenza: pestato-massacrato ecc). I dirigenti locali sono in evidente difficoltà , parlano poco e danno l’impressione di essere totalmente succubi di fronte agli ordini dell’esaltato che era lì presente”.
Le forze dell’ordine cominciano a identificare i partecipanti alla manifestazione, peraltro arcinoti alle forze dell’ordine. Ma qualcosa non va: a un certo punto i poliziotti del reparto mobile — scudo e manganello — si allargano come una macchia d’olio e caricano.
Un ragazzo di 18 anni rimane sotto i colpi, a rimanere ferita è la madre che cerca di proteggerlo dopo averlo visto soccombere. Per qualche minuto sono scene di guerriglia davanti allo sguardo attonito dei livornesi che passeggiano o fanno shopping.
Qualcuno di loro, anzi, chiede alla polizia di smettere, chè non c’è bisogno. Di lì a poco arrivano le ambulanze. Gli organizzatori useranno il giorno dopo le stesse parole degli operai della Thyssen: “E’ stata una vera e propria aggressione a freddo”.
E’ la prima di due giornate terribili per Livorno, le più difficili degli ultimi anni. L’indomani, di domenica, tutto degenera: la risposta si trasforma in vendetta.
Contro “le violenze della polizia” sfilano in 600 persone, ma 200 di loro arrivano ad assediare la prefettura. Pietre, mattoni, bombe carta: agenti e carabinieri devono riparare all’interno del palazzo del governo, sette di loro vanno all’ospedale.
Tempo dopo per quei fatti saranno condannati 21 manifestanti. Il sindaco Alessandro Cosimi (Pd) quel giorno resterà stupefatto: “Quello che è successo mi sembra che sia un passaggio di livello e non ha niente a che vedere con l’agibilità democratica della città ”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 26th, 2017 Riccardo Fucile
“CI SONO DELLE REGOLE, LE COSE VANNO FATTE NEL RISPETTO DELLA DIGNITA’ UMANA”
“Quelle immagini non possono che provocare sconcerto e dolore, soprattutto dalla violenza che si è manifestata. E la violenza non è accettabile da nessuna parte”.
Lo dice il segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, a margine del Meeting di Cl riferendosi allo sgombero di piazza Indipendenza.
“Però – sostiene il Cardinale Parolin – credo che, da quello che ho visto e da quello che ho letto, ci sia la possibilità di fare le cose un po’ meglio, fare le cose bene, perchè ci sono le regole. Adesso, per esempio, ho visto che ci sarà questo impegno a trovare per queste persone delle abitazioni alternative prima di arrivare a questi estremi. Io penso che se c’è buona volontà si possono trovare le soluzioni senza arrivare a queste manifestazioni così spiacevoli”, conclude.
A chi gli chiede se forse sarebbe stato meglio programmare meglio le cose, Parolin risponde: “Eh, probabilmente sì. Ma è tutta una polemica. Questo a me dispiace. Se invece ci mettessimo un po’ più tranquilli a pensarci alle cose, forse riusciremmo a risolvere perchè soluzioni ce ne sono, non mancano”.
“Una parte non piccola del dibattito civile e politico di questo ultimo periodo si è concentrata sul come difenderci dal migrante. Certo, per il potere politico è doveroso mettere a punto schemi alternativi a una migrazione massiccia . È doveroso stabilire un progetto che eviti disordini e disagi tra coloro che accolgono”, ma non “dimentichiamo, almeno noi, che queste donne, uomini e bambini sono in questo istante nostri fratelli”, ha aggiunto.
(da agenzie)
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