Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
NEL MARZO 2005, IL LEADER LEGHISTA GUIDAVA LA RIVOLTA CONTRO IL TRATTAMENTO DI FAVORE RISERVATO ALLA SOCIETA’ DI LOTITO CHE OTTENNE DI SPALMARE IL DEBITO IN 23 ANNI
Corsi e ricorsi. Un debito dilazionato in comode rate. 
Non parliamo di quello della Lega, dopo la sentenza sulla truffa dei rimborsi elettorali dal 2008 al 2010. Ma di un debito più antico e ancora più robusto.
Quello della società sportiva Lazio che nel 2005 ottenne, in virtù dell’applicazione di una legge del 2002, la dilazione in 23 anni del debito da oltre 140 milioni accumulato con il fisco (un trattamento in fondo ben più severo rispetto agli 80 anni per ripagare 49 milioni di euro concessi al Carroccio).
Solo che a quei tempi Matteo Salvini, allora europarlamentare della Lega Nord, era dall’altra parte della barricata. Letteralmente. E guidava la protesta davanti alla sede della Lega calcio, in via Rosellini.
Ecco cosa raccontava l’agenzia Ansa quel giorno: Al grido di ”Lazio fallita, Padania salvata”, l’europarlamentare leghista Matteo Salvini ha spiegato che ”i cittadini del Nord sono contrari a qualsiasi ipotesi di decreto spalmadebiti per le società di calcio, e anche a quelle norme che hanno consentito alla Lazio di Lotito di dilazionare i suoi debiti con il fisco”.
“Le norme fiscali che prevedono sconti o dilazioni nei confronti del fisco – ha spiegato Salvini – vanno cancellate. Cancellate per tutti a prescindere dal calcio. Al piccolo imprenditore – ha aggiunto Salvini – i debiti fiscali non li toglie nessuno”.
La delegazione dei militanti leghisti, una decina di persone, ha esposto davanti al portone della Lega un lungo striscione con la scritta: ”Il calcio paghi tutti i suoi debiti, nessuno sconto ai signori del pallone”.
Questo nel 2005. Tredici anni prima delle attuali disavventure del Carroccio nelle aule giudiziarie.
Il primo a ricordare il caso è Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri e coordinatore nazionale di Italia in Comune, lo schieramento di sindaci di cui fa parte anche Federico Pizzarotti.
“Il segretario della Lega tira un sospiro di sollievo per l’accordo raggiunto con la procura di Genova che sequestrerà centomila euro a bimestre per ottant’anni ma, come spesso gli capita, dimentica gli attacchi pesanti sferrati alla Lazio e al presidente Claudio Lotito quando, nel lontano 2005 questi sottoscrisse con l’Agenzia delle Entrate la dilazione del debito della società di calcio”.
Il debito della Lazio era il triplo di quello della Lega e l’accordo raggiunto col Fisco prevedeva rate corpose da saldare in 23 anni. La soluzione raggiunta dalla Lega prevede invece una dilazione in 80 anni.
“Come a dire – chiosa Pascucci – che il vero motto di Salvini è prima i leghisti, poi gli italiani”.
O tempora, o mores! Tredici anni dopo proprio la Lega propone alla procura di Genova di rateizzare quel che resta dei 49 milioni che il Carroccio deve restituire allo Stato per un importo di 600mila euro l’anno: 456 rate e 76 anni di tempo per restituire allo Stato il dovuto. Al confronto, Lotito impallidisce e scompare.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
MA ALLORA PERCHE’ SE LA PRENDE CON TRIA, VISTO CHE LUI SA DOVE TROVARLI?
Ieri il vicepremier Luigi Di Maio ha nuovamente attaccato il titolare dell’Economia Giovanni Tria dicendo che «un ministro serio trova i soldi».
Di Maio non vuole chiedere le dimissioni di Tria ma non ha usato mezzi termini: «pretendo che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che momentaneamente sono in grande difficoltà . Gli italiani in difficoltà non possono più aspettare, lo stato non li può più lasciare soli e un ministro serio i soldi li deve trovare».
Una posizione interessante quella del Capo Politico del MoVimento 5 Stelle, che fino a qualche tempo fa sembrava aver trovato tutte le coperture necessarie per realizzare il suo fantasmagorico programma di governo
Quando Di Maio aveva trovato un miliardo per Roma e 30 miliardi di sprechi da tagliare
Abbiamo così imparato che i ministri seri sono quelli che trovano i soldi mentre i candidati premier (che poi diventano ministri) possono promettere di aver trovato tutti i soldi necessari senza essere accusati di non essere ministri seri.
Si dirà , in campagna elettorale si promettono tante cose. Però c’è da aggiungere che quello di Di Maio è un vero e proprio vizio.
I romani ancora si ricordano di quando nel 2015 aveva detto che il MoVimento 5 Stelle aveva trovato (nemmeno promesso di trovare, li avevano proprio trovati) un miliardo di euro di sprechi e privilegi da tagliare che si potevano utilizzare per risanare il bilancio della Capitale.
Qualche mese dopo, nel febbraio del 2016, la cifra “trovata” dal M5S era aumentata di duecento milioni di euro.
Di Maio concludeva dicendo “metteteci alla prova”. I cittadini romani hanno accolto l’invito. Quei soldi, come è noto, non sono mai saltati fuori e nessuno ha rinfacciato a Di Maio o al Presidente della Commissione sula Revisione della Spesa, che nel frattempo è diventato assessore allo Sport della Capitale di essere dei “politici poco seri”.
Ma i soldi per il governo di Roma non hanno nulla a che fare con i molti miliardi necessari per il Documento di Economia e Finanza. Vero.
Infatti prima e dopo le elezioni Luigi Di Maio spiegava che il M5S aveva trovato il modo di recuperare 30 miliardi in venti minuti, il tempo di convocare una seduta del Consiglio dei Ministri e approvare un decreto legge.
Da quando il governo del cambiamento si è insediato il Consiglio dei Ministri si è riunito diciannove volte ma non ha ancora trovato quella ventina di minuti per approvare quel decreto con cui Di Maio prometteva di trovare trenta miliardi di euro.
Quando il MoVimento raccontava di aver trovato 70 miliardi di euro di coperture per il programma
In tutto questo Di Maio è ancora considerato un ministro serio (nonostante la figuraccia rimediata sull’Ilva dopo aver promesso letteralmente qualsiasi cosa).
Oggi la situazione è questa: i soldi che secondo il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico erano già nelle disponibilità del suo governo non ci sono.
La colpa però non è di chi si è inventato l’esistenza di quei soldi, la colpa è di un ministro che non è ancora stato in grado di trovarli.
La questione potrebbe far sorridere, se non fosse drammatica. Ma se non altro rivela l’estrema disinvoltura con la quale il MoVimento 5 Stelle mente agli italiani.
Perchè il M5S l’ha detto fino allo sfinimento di aver trovato i soldi, spiegando che le coperture per realizzare il suo programma di governo c’erano eccome.
A gennaio sul Blog delle Stelle il M5S spiegava che «i soldi ci sono, eccome, in un bilancio da 800 miliardi» per trovarli era sufficiente «avere lungimiranza e, appunto, le mani libere da condizionamenti di lobby e gruppi di interesse».
Cosa ne dobbiamo dedurre, ora che i soldi non si trovano? Che chi è al governo non ha lungimiranza e non ha mani libere dai poteri forti e dalle lobby? Ahia.
Il MoVimento 5 Stelle all’epoca annunciava di aver trovato il modo di recuperare 70 miliardi di coperture annue a regime.
Una montagna di soldi che era già tutta lì, bastava solo prenderla, senza aumentare le tasse o tagliare le spese (ad eccezione di quelle inutili e degli sprechi).
Superamento della Fornero, reddito di cittadinanza, “shock fiscale” con introduzione di tre aliquote. aumento della no-tax area, taglio delle accise. Era già tutto lì. Ed è quello che vuole fare anche il governo del cambiamento. Eppure ora i soldi non si trovano.
In molti avevano evidenziato come i conti fossero sballati, soprattutto quelli relativi al reddito di cittadinanza e al gettito dalla spending review.
Eppure a difendere la lista delle coperture per il programma era sceso in campo Lorenzo Fioramonti nientemeno che il ministro dello sviluppo economico in pectore nel governo Di Maio (e poi “retrocesso” a vice-ministro dell’Istruzione).
Durante un’epica apparizione a Otto e Mezzo Fioramonti continuò a dire che quei soldi c’erano anche se curiosamente si rifiutò di dire dove sarebbero stati fatti i tagli.
Ma gli italiani dovevano fidarsi perchè «Noi abbiamo una storia. Il MoVimento 5 Stelle è un partito che ha credibilità da questo punto di vista. Riduzione massiccia dei costi della politica. Lo abbiamo dimostrato già nel tempo e possiamo farlo. A differenza degli altri partiti non abbiamo clientele» (per inciso una delle idee era quella di tassare di più chi ha le concessioni autostradali, che il governo ora vorrebbe nazionalizzare).
Oggi quella credibilità tanto sbandierata il M5S non l’ha più. Alla fatidica prova dei conti tutti quei miliardi, che a volte secondo convenienza erano calcolati su base annua e a volte spalmati sul periodo della legislatura, non ci sono.
Prima o poi un ministro serio dovrà raccontarlo agli elettori.
(da “NextQuotidiano“)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI ARRANCA: “MAI DETTO CHE GLI IMMIGRATI SONO SCHIAVI, I GIORNALISTI HANNO TRADOTTO MALE”
L’Unione Africana esprime “sconcerto” per le frasi del vice premier e ministro dell’Interno
Matteo Salvini che, afferma l’organizzazione, “nella recente conferenza a Vienna ha paragonato gli immigrati africani agli schiavi”.
“L’Unione Africana – si legge in un comunicato dell’organizzazione postato online – chiede al vice premier italiano di ritirare la sua sprezzante affermazione sui migranti africani”.
L’Unione Africana, criticando la posizione del vice premier e ministro dell’Interno Matteo Salvini sulla questione dei migranti, “invita l’Italia a seguire l’esempio e sostenere altri Paesi membri dell’Unione europea, come la Spagna, che hanno dato sostegno e protezione ai migranti in difficoltà , indipendentemente dalla loro origine e status legale, prima che il loro status per l’ammissione venisse determinato”.
In una nota postata online, la commissione dell’organizzazione dei Paesi africani afferma inoltre che “l’emigrazione dall’Italia negli ultimi due secoli è stata il più importante caso di migrazione di massa nella Storia moderna dell’Europa”, poichè “dal 1861 al 1976 oltre 26 milioni di persone hanno lasciato il Paese” e “l’Italia ha beneficiato grandemente di questa gigantesca diaspora attraverso le rimesse e il commercio”.
Per Salvini “non c’è niente di cui scusarmi” con l’Unione africana “e smentisco qualsiasi equiparazione tra immigrati e schiavi. Se qualcuno volesse pensar male, forse c’è stato un difetto della traduzione francese”.
Tipico di chi tira il sasso e poi ritira la mano.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
FINIRANNO DI PAGARE NEL 2094 ( SE ESISTERANNO ANCORA)… CHISSA’ COME MAI AI COMUNI MORTALI NON E’ CONCESSO QUESTO TRATTAMENTO DI FAVORE
Ma alla fine la Lega in quanti anni rateizzerà gli ormai famosi 49 milioni che deve restituire allo Stato?
Ieri c’è chi ha parlato di 81 anni, calcolando come ancora tutti da restituire i soldi ma non è così: una parte è stata già sequestrata durante le indagini e dopo la sentenza.
Ma a quanto ammonta il totale? Secondo le informazioni che avevamo raccolto all’epoca erano 8,7 i milioni già recuperati dai magistrati, così suddivisi: 2 milioni di euro trovati su un conto di Bossi e Belsito, 2 milioni bloccati sui conti della Lega Nord e il versamento di un quinto della pensione da parlamentare di Umberto Bossi insieme a terreni e immobili sequestrati a Gemonio.
Restavano da restituire quindi circa 40 milioni di euro, che al ritmo di 600mila euro l’anno avrebbero richiesto poco più di sessantasei anni per restituire tutto.
Ma, scrive oggi Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, i soldi sequestrati alla Lega e collegati alla vicenda ammontano invece a tre milioni di euro.
Dando per corretto il punto di partenza, gli anni a questo punto diventano 76 e il piano di rientro terminerà nel 2094.
Lo stesso calcolo lo fa il Fatto Quotidiano nell’articolo di Ferruccio Sansa e Davide Vecchi, che ci informa che le rate sono 456.
Sempre il Corriere fa sapere che l’unica speranza di fare più in fretta è riposta nell’esito delle indagini per riciclaggio sulla destinazione dei soldi che risultano spariti e in parte potrebbero essere finiti in Lussemburgo.
L’attuale tesoriere Giulio Centemero nell’istanza che offre la restituzione della cifra ma premette che «l’esecuzione immediata del provvedimento di sequestro avrebbe l’effetto di determinare l’impossibilità della Lega Nord di svolgere le proprie funzioni e comprometterebbe la sua stessa esistenza per totale mancanza di risorse».
Nel documento si dice che nel 2017 «la Lega ha avuto proventi per 2,9 milioni di euro ma nel bilancio ha registrato un disavanzo di oltre 1 milione e 100mila euro».
Il nucleo della Guardia di Finanza guidato dal colonnello Michele Cintura ha rintracciato 140 mila euro per le spese correnti che sono già finiti sotto sequestro. «Pagheranno i parlamentari per eventuali reati commessi 10 anni fa da chi c’era prima di me. I parlamentari cacceranno fuori ogni mese il cash», ha detto ieri Salvini a «Dimartedì» su La7.
Fino al giorno prima c’era un complotto di magistrati contro gli eletti. Il giorno dopo è scoppiata la pace.
Una rateizzazione ti salva la vita, e soprattutto ti cambia l’umore.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
NON BASTAVA LA CONDANNA PER BANCAROTTA, ORA PURE IL CURRICULUM CON INDICATE UNIVERSITA’ CHE NEGANO DI AVERLO AVUTO COME DOCENTE
Nei giorni scorsi Gaetano Intrieri, esperto assunto da Danilo Toninelli al ministero delle
Infrastrutture, è finito nei guai per una condanna per bancarotta ricevuta nella vicenda della compagnia aerea Gandalf.
L’articolo de La Verità che raccontava la vicenda era stato però smentito da un’intervista rilasciata a Daniele Martini del Fatto dallo stesso Intrieri, il quale raccontava di aver pagato lui un debito di Gandalf e quindi poi di essersi ripreso i soldi (429mila euro) e l’intervistatore non gli chiedeva conto di quanto scritto dalla Cassazione nella sentenza (incredibile, trattandosi del Fatto!).
Il giorno dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna per bancarotta avevano sgomberato il campo: era stato lo stesso Intrieri a confessare di essersi appropriato della somma per regolare un suo debito con Banca Intesa.
Con buona pace delle balle raccontate dalla senatrice M5S Giulia Lupo su Facebook che evidentemente ritiene corretto passare il tempo (“pagata con i nostri soldi”, direbbe Beppe Grillo!) sul social network a fare l’intenditrice di giornalismo invece che ad appurare se le storie che le raccontano sono vere o no.
Oggi Gaetano Intrieri torna agli onori delle cronache grazie al Foglio, che in un articolo a firma di Luciano Capone ci fa sapere che non c’è traccia di un titolo di studio che ha citato nel suo curriculum.
Ma lui su Twitter nega tutto e smentisce il Foglio:
Dalla sua ha il curriculum: avrebbe un Master in business administration (Mba) al Massachusetts Institute of Technology (Mit), una delle più prestigiose università al mondo; avrebbe lavorato per otto anni in McKinsey, una delle più importanti multinazionali della consulenza strategica; sarebbe professore all’Università di Roma Tor Vergata; avrebbe una grande esperienza nella ristrutturazione delle compagnie aeree. Usiamo il condizionale perchè questo è ciò che dichiara l’esperto di Toninelli, ma poco o nulla di tutto ciò corrisponde alla realtà . Partiamo dall’Mba al Mit.
Intrieri scrive sul suo profilo Linkedin di averlo conseguito nel 1989-90 e lo ha ribadito il 17 maggio 2018 in una audizione in Senato sulla vicenda Alitalia (“Ho studiato in America, dove ho avuto la fortuna di frequentare un Mba”) e lo ripete spesso su Twitter.
Il dubbio però sorge quando, proprio sul social network, scrive ripetutamente di essere stato allievo del premio Nobel “Pietro” Modigliani (“Tanto rispetto per Savona, abbiamo avuto lo stesso maestro il più grande di tutti si chiamava Pietro Modigliani”; “Papà con tanti sacrifici mi mandò a studiare in Usa con il numero uno della storia dell’economia finanziaria e della finanza strutturata si chiamava Pietro Modigliani”). C’è un problema: è vero che Modigliani ha vinto il Nobel e che insegnava al Mit, ma non si chiamava Pietro. Si chiamava Franco, come sa chiunque mastichi un po’ di economia.
Il puntiglioso prof. Riccardo Puglisi, economista all’Università di Pavia e cacciatore di titoli accademici gonfiati, che insieme al Foglio ha notato lo svarione, ha scritto al Mit per chiedere se realmente Intrieri abbia preso un Mba: “Non abbiamo traccia di alcun individuo registrato come studente con questo nome”, rispondono da Boston. L’unico Mit dove Intrieri ha messo piede è quello di Roma, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e solo per merito di Toninelli.
Intrieri dice di aver preso, recentemente, un secondo Mba in Bocconi (che in realtà sarebbe il primo), e questo è vero. L’università conferma al Foglio che ha avuto uno studente con quel nome.
Non solo: anche se Intrieri si presenta come professore a Tor Vergata, l’università ha fatto sapere al Foglio che “il dott. Intrieri non è un dipendente del nostro Ateneo. Per il master in Ingegneria dell’impresa ha insegnato fino all’a.a. 2016/2017 per due moduli da tre lezioni ciascuno” e pertanto “non è corretto definirlo docente di Tor Vergata”.
La parte divertente di tutto ciò è che Intrieri ha dato le dimissioni quando si è venuto a sapere della condanna per bancarotta. Toninelli le ha respinte. Lui, invece, su Twitter annuncia querele e nega tutto ciò.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
VACCARO HA BISOGNO DI EMERGERE E SI AFFIDA A ROBOTWITY, SOFTWARE A PAGAMENTO PER AUMENTARE I FOLLOWER
Il senatore Sergio Vaccaro, eletto con in Campania con MoVimento 5 Stelle, è alla sua prima legislatura. Come tanti parlamentari ha bisogno di emergere e di distinguersi, ma soprattutto di accumulare follower su Twitter.
Nel mondo della democrazia diretta in Rete non sei qualcuno finchè non hai un bel gruzzoletto di seguaci che ricevono i tuoi aggiornamenti quotidiani sulla tua attività parlamentare.
Deve essere per questo che il senatore Vaccaro (o chi per lui gestisce l’account Twitter) ha deciso di ricorrere ai poteri forti per incrementare il numero di follower su Twitter.
A segnalare l’operazione è stato l’utente @MPSkino che ieri sera dopo aver ricevuto la notifica che Vaccaro era diventato un suo follower si è accorto della pubblicazione di alcuni strani tweet da parte del senatore.
I cinguettii — che ora sono stati rimossi — facevano tutti riferimento all’utilizzo di RoboTwity, un software a pagamento utilizzato per aumentare in maniera automatica il numero di follower sul social network del canarino blu.
Iscritto a Twitter dal 2010 evidentemente Vaccaro riteneva di avere un numero di seguaci inadeguati al suo incarico politico.
Il problema è che non si è accorto che l’estensione utilizzata per guadagnare nuovi “amici” postava messaggi automatici per farsi pubblicità .
Non è quindi Vaccaro ad aver postato quei messaggi, ma è un indizio molto chiaro del fatto che stesse usando l’estensione.
In uno dei tweet postati tramite RoboTwity il programma si pubblicizza dicendo di essere riuscito a guadagnare 400 nuovi follower in pochi giorni. Ma essendo un messaggio pubblicitario automatico non è detto che corrisponda al vero.
Non sappiamo quanti follower avesse Vaccaro prima di ieri, ma ieri sera ne contava 500 e oggi è salito a 559.
Nel breve periodo di tempo in cui l’account è stato “monitorato” Vaccaro è passato da 500 a 513 follower.
Il senatore pentastellato non è l’unico politico a ricorrere all’aiutino di RoboTwity, basta scorrere la lista degli hashtag per scoprire che anche alcuni esponenti politici venezuelani ne hanno fatto uso in questi ultimi giorni.
L’estensione consente di filtrare i tipi di account a cui fare la richiesta e di rendere più precisa la raccolta del follower ad esempio “pescando” tra i follower dei propri follower. Il prezzo di una licenza è di circa quattro dollari per ogni account Twitter al quale è connessa l’estensione, ma si possono ottenere sconti se la si usa per controllare più account
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
LE DELEGHE FANTASMA AI DUE VICE-MINISTRI
Narra la leggenda che il ministro dell’Economia Giovanni Tria abbia proposto a Massimo
Garavaglia della Lega e Laura Castelli del MoVimento 5 Stelle, suoi viceministri ancora senza deleghe, un documento con nessuna competenza specifica. Per questo, racconta oggi La Stampa in un retroscena firmato da Federico Capurso, Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo, i due hanno rifiutato tutto e adesso la guerra con il responsabile di via XX Settembre è aperta.
La questione delle deleghe va avanti da quando è cominciata la partita dei sottosegretari e i viceministri.
Prima della sua conclusione la stessa Castelli era finita in un grosso guaio: Nicola Biondo e Marco Canestrari, i due autori di Supernova, libro che racconta il M5S da dentro, avevano dichiarato che la fonte di alcune informazioni su Di Maio e sui grillini era proprio la deputata torinese.
Questo aveva fermato la sua corsa verso un ministero, ma poi era arrivata la nomina a viceministro a sancire la “pace” con il M5S.
La Castelli era però rimasta senza deleghe e questo aveva subito causato frizioni con Tria.
Ieri, racconta La Stampa, l’epilogo:
Ma i motivi di irritazione dei 5 Stelle nei confronti di Tria non si limitano solo alle priorità politiche della manovra. «Non veniamo presi in considerazione, ci scavalca», si lamentano i responsabili economici del M5S. Ci sono le riunioni al ministero del Tesoro convocate senza avvisare i 5 Stelle. E ci sono le deleghe, che il vice ministro dell’Economia Laura Castelli chiede a Tria da mesi ma che ancora non sono arrivate.
O meglio, una proposta è già finita sulla scrivania di Castelli e del suo omologo leghista Massimo Garavaglia. Ma al suo interno non è menzionata alcuna competenza specifica. In sostanza hanno avuto in regalo una scatola vuota e la reazione è stata durissima: la proposta respinta e i documenti non firmati.
Anche questa vicenda sarebbe quindi alla base dell’attacco di Di Maio a Tria che ieri non ha fatto però tremare il ministero dell’Economia: «Pretendo che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento — dice — trovi i soldi per gli italiani… Gli italiani in difficoltà non possono più aspettare, lo Stato non li può più lasciare soli e un ministro serio i soldi li deve trovare».
La «parte» di Tria è restare concentrato sull’obiettivo tecnico della manovra, su quella «quota 1,6» che è la percentuale magica del deficit oltre la quale non intende andare, nonostante le pressioni di 5 Stelle e Lega.
Per questo Tria avrebbe detto a Di Maio nei giorni scorsi che per il reddito di cittadinanza c’è solo un miliardo in più da aggiungere alla dotazione del reddito di inclusione eredità del precedente governo.
Questo avrebbe fatto esplodere il viceministro e dato fuoco alle polvere contro via XX Settembre. Che però rimane lì, imperturbabile, in attesa che qualcuno abbia il coraggio di cacciarlo da quella poltrona.
Scatenando la tempesta finanziaria perfetta.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
E ALLA FINE TUTTI HANNO CAPITO CHE VOGLIONO FARE UN REGALO AGLI EVASORI FISCALI
Ieri sera i due vicepremier del governo del cambiamento, Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono andati a Di Martedì a spiegare il grande lavoro che sta facendo l’esecutivo per mettere in atto quanto promesso nel contratto di governo.
Uno dei punti cardine dell’alleanza tra Lega e MoVimento 5 Stelle è la “pace fiscale”. Nel contratto si legge che «è opportuno instaurare una “pace fiscale” con i contribuenti per rimuovere lo squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica». Dal momento quindi che la pace fiscale è nel contratto allora s’ha da fare.
Il problema è che nè Salvini nè Di Maio lo vogliono chiamare per quello che è: ovvero un condono. Anzi, il più classico dei condoni.
Perchè anche se nel contratto si parla di situazioni in cui per “ragioni eccezionali” un contribuente ha contratto dei debiti con il fisco è evidente che l’idea di stabilire un tetto al di sotto del quale sarà possibile chiudere i contenziosi pagando solo una piccola percentuale del dovuto è di fatto un condono.
Perchè o si vanno a guardare i singoli casi, e allora non è necessario stabilire un tetto, oppure si deve avere il coraggio di parlare di condono.
Ma questo per il partito degli onesti e per quello dei legalitari ovviamente è inaccettabile.
Ieri Giovanni Floris ha fatto ai due vicepremier la stessa semplice domanda. Le risposte date da Salvini e Di Maio però erano contorte e non sempre in accordo tra di loro.
La domanda era che differenza c’è tra condono e pace fiscale? Luigi Di Maio ha risposto così:
Io penso una cosa noi ci apprestiamo a fare una riforma fiscale, cioè una riforma della tassazione, ovviamente entrata nel contratto di governo che si chiama flat tax. E quindi sta dicendo agli italiani “d’ora in poi pagherete le tasse in un altro modo semplificato”. Quando fai questo dici anche il passato — per le persone che sono in difficoltà , quindi nè per i super ricchi nè per i nababbi nè per quelli che hanno fatto i grandi evasori — puoi dire “guarda tu hai dei contenzioni con il fisco che ti inseguono e sei arrivato al punto in cui non puoi più pagare e non puoi più aprire un’impresa per ripagare i tuoi debiti. Troviamo un accordo in modo tale che ci si dice paghi tot e chiudiamo la pratica”. E d’ora in poi se evadi vai in galera.
Questa spiegazione ricorda molto da vicino quella dell’abusivismo di necessità , usato per difendere chi commette abusi edilizi per costruirsi una casa da chi magari lo fa per mettere su un albergo fronte mare.
Naturalmente il ministro del Lavoro si guarda bene dal dire quali possono essere i motivi che hanno portato un contribuente ad essere in debito con il fisco.
Sicuramente ci sono casi di persone che non sono riuscite a pagare le tasse, ma nella marea di coloro che hanno un contenzioso aperto ci sono anche molti che le tasse hanno deciso di non pagarle. Il risultato è che lo Stato cancella il dovuto a tutti coloro che rientrano nella soglia.
Per Di Maio però il condono è solo quello che “aiuta i furbetti”.
Come fare a distinguerli? «Si mette un tetto», spiega il ministro. Come se mettere una soglia massima fosse la garanzia che tutti quelli che hanno un debito entro il milione di euro (come da proposta del sottosegretario Massimo Bitonci) siano “evasori per necessità ”.
Ed a proposito di tetto ieri Di Maio ha dichiarato che secondo lui «il condono tombale è quando tu prendi quelli che hanno fatto i soldi qui li hanno portati in un paradiso fiscale e li portano qui oppure se tu dici che prendi quelli che hanno evaso un milione di euro o due milioni di euro e gli dici adesso ti accordi per 100 mila euro».
Quindi se il sottosegretario all’Economia del governo di cui fa parte Di Maio propone di stabilire un tetto ad un milione di euro (con tre aliquote al 25%, 10% e 6%) e propone anche una procedura di voluntary disclosure per fare emerge capitali nascosti al Fisco allora — secondo la definizione di Di Maio — la “pace fiscale” è proprio un condono tombale.
È venuta poi la volta del ministro dell’Interno. Qual è la differenza tra condono e pace fiscale per Matteo Salvini?
A fine giugno Salvini spiegava che l’idea era quella di rottamare le cartelle esattoriali sotto i 100mila euro. Ma come abbiamo visto nei giorni scorsi il suo compagno di partito Bitonci ha decuplicato quella cifra. Motivo per cui ieri il leader del Carroccio si è guardato bene dal parlare di cifre.
Salvini ha invece fatto ricorso alla retorica leghista dei “milioni di italiani che”. A volte sono i milioni di italiani che non arrivano a fine mese (da contrapporre ai migranti invasori). In questo caso sono i milioni di italiani che per qualche caso fortuito non hanno potuto pagare le tasse (versus i riccastri con villa in Sardegna):
per me la forma non è sostanza, a me interessa che milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi continuo a chiarire questo, non è quello che non ha mai fatto la dichiarazione dei redditi sconosciuto al fisco otto ville in Sardegna. Ci sono milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi e poi non sono riusciti a pagare tutto il dovuto perchè si sono ammalati perchè sono rimasti incinti, perchè si sono rotti una gamba, perchè il negozio ha chiuso.
Naturalmente è possibile e non si può escludere a priori che anche tra questi italiani onesti e perseguitati ci siano molti che non hanno pagato le tasse perchè non volevano, come fare a distinguere i buoni sfurtunati dai cattivi con otto ville in Sardegna?
La soluzione di Salvini è semplicissima. Laddove pochi minuti prima Di Maio aveva dichiarato che “quelli il Fisco li conosce già ” l’altro vicepremier ha detto: «Li andiamo a convocare come fanno in Svizzera. Uno per uno: “Lei ha un debito di 40mila euro che con le sanzioni è arrivato a 60mila e non me li darà mai. Quanti me ne può dare e perchè non ha pagato?”».
Curiosamente Salvini non parla della soglia da un milione di euro, perchè i telespettatori possono vedere un debito da 40mila euro come poca cosa, frutto magari di circostanze sfortunate.
Ci sarà quindi una verifica puntuale? Allora a quel punto sarà facile stanare i veri evasori. Non sembra che le cose andranno così perchè secondo Salvini la verifica si svolgerà in maniera diversa.
Basta controllare «se hanno la cartella esattoriale, non hanno il conto corrente, sono costretti a lavorare in nero non possono avere dipendenti e non pagano le tasse non penso che uno lo faccia perchè gode ad essere un fantasma».
Il che di nuovo non esclude che chi rientra in questa categoria non l’abbia fatto proprio per mettere da parte in nero i soldi in attesa che arrivi un governo che faccia un condono.
Magari come quello fatto da Berlusconi nel 2002 (con la Lega Nord al governo) che ha lasciato in pace molti “furbetti” che si sono limitati a pagare la prima rata.
Anche loro potranno beneficiare della pace fiscale? In un’intervista al Messaggero il sottosegretario Bitonci è stato molto più esplicito dei due leader. Alla domanda sulla pace fiscale l’ex sindaco di Padova ha risposto: «Sì, e sarà la più ampia possibile. Molto simile a quella del 2002».
(da “NextQuiotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
VOTO FISSATO ALLE 20, POI ANTICIPATO PERCHE’…C’E’ LA CHAMPIONS
Il voto salva-Foa è slittato ancora. In serata, si pensava in prima battuta, ma molto più
probabilmente alle 17, per evitare la concomitanza con… la Champions League che vede impegnate Juventus e Roma nella duplice sfida con le spagnole Valencia e Real.
Nella convocazione mattutina (alle ore otto) della vigilanza Rai toni altissimi, accuse, insulti.
A scatenare ancora una volta la bagarre è stata la forzatura imposta dalla Lega Matteo Salvini per imporre alla presidenza dell’azienda di viale Mazzini Marcello Foa.
Tra i membri della Vigilanza sono volate parole grosse.
Verducci (Pd) ha parlato di mercimonio, logiche spartitorie, inciuci e trattative che avrebbero portato alla ricandidatura di Foa già bocciato dalla commissione il 1 agosto scorso.
Durissimo su Foa “giornalista che ha insultato Mattarella, propagato notizie false e alimentato polemiche anti vacciniste”. Mule’, capogruppo di Fi è insorto: “Sono offese gravissime, mercimonio vuol dire traffico illecito riprovevole, così dice la Treccani. Ma lei è ignorante, nel senso che li ignora”.
Altro siparietto tra Mollicone (Fratelli d’Italia) e Faraone (Pd). Uno scontro al calor bianco dopo la decisione di votare una risoluzione presentata dai rappresentanti del Carroccio, un invito al cda della Rai di procedere alla nomina del nuovo presidente senza escludere Foa già silurato.
Per il Pd è un atto illegittimo, la Vigilanza, cioè il Parlamento, si è già espresso.
Nel caso venisse riproposto verranno presentati 4 ricorsi, in sede civile, penale, al Tar e al Tribunale delle imprese.
Per Giacomelli, sottosegretario Pd alle Comunicazioni del passato governo e’ in corso “una trattativa per acquisire il si di Berlusconi per conto di Di Maio. Perchè Salvini e la Lega non vogliono cambiare nome? Qual è il vero motivo per cui da tre mesi si è la impallata la Rai? Qual è la reale offerta della maggioranza a Forza Italia?”.
Michele Anzaldi, democrat d’assalto ha ricordato la vicenda Meocci,quando i consiglieri Rai “furono chiamati a risarcire 11 milioni”.
E la Santanchè (Fdi) è andata giù pesante accusando il Pd di linguaggio ricattatorio e ricordando i tempi in cui Renzi “occupò militarmente la Rai”. E Paragone ha cercato di rassicurare i grillini, pronti a votare Foa per onorare il patto di maggioranza ma preoccupati di fare un favore al Cavaliere: “La Rai non è merce di scambio, ha bisogno di assumere la decisione che ritiene più opportuna, ha bisogno di chiudere questo processo decisionale”.
La Vigilanza ha comunque approvato l’emendamento del parlamentare di Fi Mulè con cui si richiede l’audizione del prossimo presidente indicato dal Cda Rai, prima di procedere con il voto finale in Vigilanza.
“Sia Marcello Foa o Laganà o chiunque altro”, precisa il primo firmatario.
(da “Huffingtonpost”)
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