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IL RESPONSABILE SCUOLA DELLA LEGA HA LA TERZA MEDIA ED E’ CAPO DELLA COMMISSIONE ISTRUZIONE

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

PITTONI HA SCRITTO LA RIFORMA CHE DOVREBBE ARCHIVIARE LA BUONA SCUOLA, MA NEL CURRICULUM NON HA MAI DICHIARATO IL SUO TITOLO DI STUDIO

Il presidente della commissione istruzione al Senato, l’uomo che dovrebbe vigilare su abbandono , formazione e precariato, ha la terza media. §
A confermarlo, dopo mesi di voci sul suo conto, è lui stesso, il senatore Mario Pittoni, “l’uomo istruzione” della Lega di Matteo Salvini.
E proprio Pittoni, al telefono con l’Espresso, spiega di essere stato fino ad oggi reticente per “paura della guerra social”.
Si sente una risata dall’altro capo: “Sa, sono figlio della contestazione globale, erano tempi in cui ci si opponeva. Ho un padre insegnante e un fratello professore, quindi ho sempre respirato scuola e per questo sono preparatissimo. Non mi sono diplomato per ribellione”. Pausa. “Ripeto, preparatissimo. Ma questo non lo scriva che lodarsi non è bello”.
Per il Carroccio ha scritto il programma che rivoluzionerà  la scuola italiana. Ed è per questo che è stato nominato presidente della Commissione Istruzione Pubblica al Senato. Mario Pittoni, classe ’50, leghista di ferro, ha un curriculum vitae facilmente consultabile sul portale web del Comune di Udine.
Poche voci, scritte in uno stampatello stentato e una calligrafia incomprensibile (sì, è compilato a mano). Tra le voci degne di nota ci sono: addetto stampa di Edi Orioli, campione della Parigi-Dakar e direttore responsabile di una rivista di annunci.
Sempre nel cv si trova “nel 1991 ha creato Lega Nord Flash, opuscolo d’informazione di carattere nazionale”. Tra le capacità  e le competenze personali annovera “Senatore della repubblica nella XVI legislazione. Capogruppo Lega Nord in commissione istruzione”.
Alla voce “patente o patenti” ha inserito “X auto e moto”. La “X” in questo caso dovrebbe essere la traduzione di “per”.
Ma è a “tipo di istruzione o formazione” che il senatore ha scritto “iscrizione albo dei giornalisti pubblicisti dal 1981”, come se il titolo di studi, quello per cui lavora in commissione Senato, non abbia alcuna importanza e possa essere sostituito con altre diciture.
Ma eccole le grandi rivoluzione proposte da Mario Pittoni in campagna elettorale e rese note, il 14 marzo scorso, da Matteo Salvini in una conferenza a Strasburgo: unificazione del ciclo di studi di elementari e medie (in poche parole diventeranno una cosa sola). Ritorno al “professore prevalente” che insegnerà  le materie principali, seguendo gli alunni per tutto il percorso. Riavvicinare i docenti al proprio territorio e concorsi su base regionale, via alla chiamata diretta e infine ripristino del “valore educativo delle bocciature”.
Nel contratto di Governo qualcosa è stato mantenuto: chiamata diretta e trasferimenti. Aggiunti: l’abolizione delle classi “pollaio” e l’intensificazione delle ore di ginnastica. Lo stesso senatore ammette: «Stiamo lavorando per mantenere le promesse fatte e abbiamo già  depositato due disegni di legge importanti che riguardano gli insegnanti».
Il primo per l’eliminazione della chiamata diretta e l’altro per i posti vacanti. L’unificazione di medie ed elementari «è un progetto che stiamo portando avanti, perchè se ne parla da anni ma ci vuole tempo, è solo due mesi che siamo al Governo».
L’obiettivo è semplice «smontare la Buona Scuola punto per punto». La Buona scuola figlia, difficile dimenticare, di una ministra anch’essa al centro delle polemiche per il titolo di studio dichiarato.
Quando la verità  venne a galla, Movimento 5 Stelle e Lega (all’epoca Nord) chiesero le dimissioni immediate di Valeria Fedeli.
Ma alla fine come dice il presidente della commissione “Istruzione Pubblica” del Senato quello che «c’è da sapere non si impara su polverosi libri».
Vuole aggiungere altro? «Dovevo dirle qualcosa di importante, ma l’ho dimenticato». Qualche minuto dopo, via messaggio, il senatore ci comunica cosa si era dimenticato di aggiungere. «Quando, come nel mio caso, a spingerti è un’infinita passione, sei portato a studiare e approfondire ben più di quanto normalmente chiesto agli studenti. Di conseguenza sei facilitato nel trovare soluzioni».
Prima di chiudere la telefonata, l’ostinata raccomandazione: «Mi metto nelle sua mani, mi raccomando». Alla faccia del “valore educativo delle bocciature”.

(da “L’Espresso”)

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49 MILIONI IN COMODE RATE, MA SALVINI NON VUOLE RESTITUIRE I SOLDI AGLI ITALIANI

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

DALL’INCONTRO TRA I LEGALI DELLA LEGA E I PM DI GENOVA ERA STATA IPOTIZZATA UNA SOLUZIONE, MA SALVINI PIANGE MISERIA, COME SE I CONTRIBUTI PUBBLICI FOSSERO NOCCIOLINE

Un prelievo ‘graduale’ per consentire alla Lega di proseguire le proprie attività . Sarebbe questo l’oggetto dell’incontro tra i magistrati genovesi e i legali del Carroccio avvenuto questa mattina al nono piano di palazzo di giustizia.
Gli avvocati Giovanni Ponti e Roberto Zingari sono andati nella sede di via Bellerio per sottoporre questa ipotesi ai vertici della Lega.
È meglio la rateizzazione del prelievo graduale dei soldi dai conti del Carroccio dopo il verdetto del Riesame di Genova?
“Ma che rateizzazione? Non posso rateizzare quello che non ho”. Così ha tagliato corto il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, segretario della Lega, a margine di un evento alla Fondazione Don Gino Rigoldi di Milano.
E’ evidente che non ha alcuna intenzione di restituire agli italiani i soldi sottratti dalla Lega   altrimenti la soluzione mediata dai suoi legali sarebbe stata una strada percorribile (una parte dei contributi pubblici da trattenere, una parte da restituire a rate).
Lui ama solo il condono tombale.

(da agenzie)

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DI BATTISTA: “LA LEGA RESTITUISCA IL MALLOPPO”

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

DURISSIMO ATTACCO DELL’ESPONENTE GRILLINO: “LA LEGA DEVE RESTITUIRE FINO ALL’ULTIMO CENTESIMO, SONO SOLDI DEI CITTADINI”

La Lega “deve restituire fino all’ultimo centesimo il maltolto:non c’entra niente il processo politico, ma quando mai? Se fossi un militante della Lega gli chiederei di restituirli perchè sono soldi dei cittadini. Iniziassero i parlamentari trombati della Lega a restituire l’assegno di fine mandato come ho fatto io. Per me la Lega deve restituire, punto. Perchè le sentenze si rispettano perchè quei quattrini sono anche miei”. Durissimo l’attacco di Alessandro Di Battista (M5s) parlando dei 49 milioni di fondi della Lega a Otto e mezzo.
“Lo dico con maggiore veemenza di Di Maio perchè ho un carattere diverso ma siamo in piena sintonia”, aggiunge Alessandro Di Battista. “Posso dire che trovo ridicolo che Pd e Renzi che hanno intascato milioni di euro di rimborsi facciano la morale alla Lega”,
E sulla nazionalizzazione di Autostrade, l’esponente leghista sostiene che se “la Lega si tirasse indietro si sputtanerebbe. Mi auguro che non segua Giorgetti che rappresenta l’ala maroniana della Lega. E poi conflitto d’interessi e altri diritti sociali. La Lega – dice – si sputtana” anche se ferma la riforma anticorruzione di Bonafede, “mi auguro non lo faccia”.
Sul ddl anticorruzione, per Di Battista “Salvini potrebbe aver “ricevuto una telefonata dal San Raffaele dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri del ddl anticorruzione, gli hanno chiesto di fermarla per far tornare la pressione di Berlusconi a livelli normali… Scherzi a parte, se ferma l’anticorruzione si sputtana”.
Lo dice Alessandro Di Battista (M5s) in un’intervista a Otto e mezzo, in collegamento dal Guatemala. “Il Movimento la conosce la sua strada, intransigenza, barra dritta, etica: è quello che abbiamo sempre fatto. Non credo nei sondaggi. “Non devo difendere il governo per forza. Lo sostengo perchè ritengo che solo così sarà  possibile difendere alcuni diritti. Il M5s sta portando avanti in tanti risultati e deve continuare a farlo. Mi auguro che il Movimento vada avanti con durezza ed estremo rigore perchè alla fine contano i risultati. Salvini fa propaganda”, conclude.
L’esponente pentastellato attacca anche i sondaggi, che danno la Lega avanti al M5S. “Penso che Salvini sia pompato dal sistema mediatico in maniera vergognosa”
E sul suo futuro, Di Battista assicura che non si candiderà  mai al Parlamento europeo. “Tornare a fare politica in primissima linea con Luigi Di Maio mi manca, mi sento come un leone in gabbia. Mi sento a volte quasi in dovere di dare una mano ai miei colleghi. A dicembre torneremo e poi vedremo che fare.   Se dovessi tornare in prima linea sarei legato indissolubilmente a Luigi perchè la pensiamo allo stesso modo e insieme funzioniamo bene”. Quanto ai toni diversi usati sui 49 milioni della Lega, Di Battista risponde: “Io e Luigi abbiamo un carattere diverso ma da lui e Bonafede ho sentito più di una volta dire che le sentenze si rispettano. Quindi la Lega restituisca il maltolto”.

(da agenzie)

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E SILVIO DISSE: “LASCIATEMI VEDERE LA PARTITA”

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO CON I SOVRANISTI RESTA IN SOSPESO: “SALVINI NON SA COSA VUOL DIRE GOVERNARE UN PAESE, AGISCE DA IRRESPONSABILE SULLA PELLE DELLE PERSONE, COME NEL CASO DICIOTTI”

L’incontro, ormai, sembra essere diventato come la linea dell’orizzonte, che si allontana ogni volta che sembra avvicinarsi.
Al momento Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non hanno appuntamenti in agenda, dati per imminenti nei giorni scorsi, neanche prima della Vigilanza di giovedì che dovrà  affrontare il pasticciaccio Rai.
La questione va ben oltre gli organigrammi di viale Mazzini e ben oltre l’eventuale scambio tra il voto degli azzurri a Marcello Foa e la resurrezione dell’alleanza alle regionali in Abruzzo e in Basilicata.
È tutto politico il nodo, carico di ambiguità  irrisolte.
Ambiguità  rese ancora più dense dall’eclissi del Cavaliere, in un’estate scandita dagli sbalzi d’umore e da qualche acciacco. E dall’ingestibile protagonismo del leader leghista.
Sabato 25 agosto, il giorno in cui è stato indagato per “sequestro di persona”, il ministro dell’Interno si aspettava, per antico riflesso, che Berlusconi dichiarasse contro le toghe. Anzi, era certo che avrebbe trovato, in materia, una polveriera pronta ad esplodere.
E invece il Cavaliere, pressato da qualche collaboratore, si è mostrato quasi infastidito: “Sto guardando Milan-Napoli, lasciatemi stare”.
La sconfitta del Milan, pio, ha peggiorato l’umore.
La dichiarazione, neanche tanto sentita, è arrivata solo il giorno dopo, scritta dall’avvocato Ghedini con l’intento di evitare l’incidente diplomatico, sul punto di deflagrare. Direbbe Totò: “Ho detto tutto”.
Perchè più dell’insofferenza verso le toghe può l’insofferenza verso Salvini.
Proprio sul caso della Diciotti l’ex premier non ha nascosto un moto di sincero disgusto verso metodi da “barbaro” che “non sa cosa vuole dire governare un paese e agisce da irresponsabile sulla pelle delle persone”.
Qualche giorno dopo, per l’esattezza lunedì scorso, nel corso del consueto pranzo del lunedì, il realismo è prevalso sulla pancia.
E il Cavaliere ha cominciato a ragionare, se non di partito unico, di un percorso unico col barbaro. Una tentazione, una idea solo abbozzata, frutto di una analisi e di una consapevolezza.
L’analisi riguarda gli scricchiolii, sempre più rumorosi, all’interno del governo, sul tema dell’immigrazione, ma anche su quello della giustizia, dove — paradossalmente ma non troppo — Salvini ha incassato la solidarietà  di Forza Italia e il gelo o l’aperta polemica dei suoi partner di governo, in relazione ai 49 milioni da restituire. Consapevolezza riguarda il trend discendente dei consensi di Forza Italia: “Se andiamo avanti così — ha detto ai suoi commensali — prendiamo il 3 per cento”.
Tanto vale, questo il ragionamento, fare di necessità  virtù confondendo la propria debolezza nella forza altrui. Un eventuale nuovo contenitore non sarà  un secondo Predellino nè una fusione alla pari, ma comunque consentirebbe di stare ancora nel gioco. E di starci ancora da leader che tratta in prima persona prima che lo facciano, singolarmente, la varie bande di Forza Italia e i vari ras che, in queste settimane, hanno già  aperto una trattativa privata con Salvini o la Meloni: “La mia previsione — è la profezia che Giovanni Toti ha affidato a qualche amico — è che Forza Italia così non arriva a Natale”.
Ed evidentemente una analisi non dissimile deve averla fatta Matteo Salvini che, nelle ultime settimane, ha cambiato schema, ma non ha aperto una trattativa sul partito unico, almeno per ora: “Salvini — dicono fonti leghiste degne di questo nome — sta tentando con la Csu bavarese e con Orban una operazione molto ambiziosa, ovvero cambiare l’Europa attraverso il Ppe. Le prossime europee saranno un terremoto e i popolari, per governare, avranno bisogno dei populisti”
Detto in modo un po’ tranchant: per realizzare l’impresa non c’è bisogno di Berlusconi. Nè di un partito unico con Forza Italia, la cui prospettiva terremoterebbe il governo. C’è bisogno dei voti, a partire da quelli di Forza Italia in libera uscita.
E di stabilire una interlocuzione proficua con Bruxelles, il che spiega la “svolta” responsabile sulla manovra e sui parametri del tre per cento. Angela Merkel vuole un tedesco a capo della Commissione Ue e ha bisogno di una parte dei voti “populisti” che arriveranno al prossimo Parlamento di Strasburgo. Ed è disposta ad accettare anche un esponente della Csu come Weber per raggiungere l’obiettivo.
A ben vedere questa operazione non incrocia la necessità  di un partito unico di centrodestra, ma consente di continuare, con tutte le ambiguità  e i nodi irrisolti del caso, nella prospettiva di una “alleanza” fatta di unità  (anche se finta) nella diversità  (reale).
Almeno così la pensa Salvini che, numeri alla mano, si sta prendendo tutto (o quasi) il centrodestra senza pagare nulla.
Perchè dovrebbe aprire un dialogo con Berlusconi quando il partito unico lo sta già  realizzando nei fatti senza nulla concedere alla malmessa nomenklatura azzurra?
I più maliziosi pensano qualche ragione ci potrebbe essere, di natura extrapolitica (fino a un certo punto): un partito sul lastrico come la Lega potrebbe avere interesse a incassare, diciamo così, un supporto del Cavaliere che magari non ha più voti, ma continua ad avere le casse dell’Impero ancora piene di denari.
Un po’ come accadde ai tempi di Bossi. Ma questo è un altro discorso.

(da “Huffingtonpost“)

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DOPO CHE SI E’ SCOPERTO CHE NON AVEVA RINUNCIATO AL CONCORSO, CONTE E’ COSTRETTO A FARE RETROMARCIA

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

L’IRONIA DEL NEW YORK TIMES: “STA CERCANDO UN LAVORO DI RISERVA?”

Giuseppe Conte non aveva rinunciato al concorso per diventare professore di diritto privato all’Università  La Sapienza di Roma per motivi di opportunità , come sembrava aver annunciato nei giorni scorsi.
Il premier aveva   semplicemente chiesto lo spostamento dell’esame di inglese, che avrebbe dovuto sostenere oggi per impegni istituzionali. Ma nella serata di oggi il nuovo annuncio su Facebook: “Rinuncio”.
Per sensibilità  personale, precisa. E spiega che avrebbe voluto fare questo concorso per dimostrare di non volere ricavare un vantaggio a vita da questo incarico che porterà  avanti – assicura – per 5 anni.
La decisione, come trapela da Palazzo Chigi, non sarebbe stata presa in seguito a pressioni dai due vicepremier.
La nuova puntata della vicenda universitaria è arrivata questa mattina. All’esame di inglese si sono presentati due candidati: Giovanni Perlingeri, figlio del giurista Pietro, e Mauro Orlandi, allievo del professor Natalino Irti. A loro la commissione esaminatrice ha chiesto se volevano sostenere l’esame subito o in futuro con l’altro candidato che aveva chiesto lo spostamento dell’esame per motivi istituzionali.
Uno sviluppo che confligge con quanto dichiarato dallo stesso Conte ai nostri microfoni: “Il mio nuovo ruolo mi impone di riconsiderare la domanda”.
Gli altri due candidati hanno deciso di rinnviare aspettando il premier, ma hanno richiesto fosse messa a verbale la possibilità  di una valutazione di legittimità  circa il rinvio della prova.
Nei giorni scorsi tutto era stato preparato nella cittadella universitaria, a partire dal servizio di ordine pubblico allestito dal commissariato La Sapienza. Ma dopo polemiche varie, a Palazzo Chigi ha prevalso la riflessione sulla scarsa opportunità  di farsi giudicare da tre docenti conosciuti (professori di Diritto privato, a loro volta, alla Sapienza e alle Università  di Padova e Bologna) e imbarazzati dal dover valutare un presidente del Consiglio. Per la decisione finale – “non farò il concorso” – è stato decisivo ricordare il passaggio presente nel Decreto del presidente della Repubblica (numero 382, 11 luglio 1980) che obbliga un professore all’aspettativa, niente lavoro nè retribuzione, se nominato “alla carica di presidente del Consiglio”. Vincere un bando universitario e mettersi in aspettativa avrebbe offerto una cattiva immagine e regalato pallottole a un ricorso degli sconfitti.
La cattedra della Sapienza si libererà  il prossimo 31 ottobre con il pensionamento del professor Guido Alpa, di cui il premier è stato allievo prediletto. Nelle sue rare espressioni pubbliche il professor Alpa ha definito Conte “uno studente eccezionale” e “una persona molto per bene”.
Il concorso era stato indetto il 14 dicembre 2017. La commissione, presieduta da un altro docente della Sapienza, Enrico Elio Del Prato, scelto in quel ruolo proprio dalla facoltà , oggi avrebbe ascoltato la relazione orale dei candidati in lingua inglese su uno dei quindici lavori realizzati dagli stessi aspiranti docenti. Alla conversazione sarebbe seguita la valutazione. Ma i due candidati presenti hanno preferito rinviare e aspettare Conte.
La scelta del vincitore, al di là  della prova orale, sarà  affidata all’esame dei titoli presentati. Giuseppe Conte, oggi ordinario di Diritto privato all’Università  di Firenze, ha un curriculum lungo. P
er la candidatura alla presidenza del Consiglio della Giustizia amministrativa presentò un documento di 28 pagine, all’interno del quale erano inserite esperienze alla New York University e in altri quattro atenei internazionali gonfiate. Non si sa, per ora, quale curriculum il premier abbia consegnato per ottenere la cattedra alla Sapienza.
“Il primo ministro italiano sta cercando un lavoro di riserva?”.
E’ il titolo del New York Times, in riferimento alla partecipazione di Giuseppe Conte al concorso per diventare professore di diritto privato all’Università  La Sapienza di Roma.
“Giuseppe Conte – scrive il Nyt – trovandosi a ricoprire un incarico tradizionalmente precario, ha cercato di evitare di mettere tutte le sue uova in un paniere professionale perseguendo una posizione di riserva come insegnante in un’università  di Roma. La svolta: il paniere in questione è il governo italiano. E Conte è il premier”.

(da agenzie)

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CASE POPOLARI LECCE: “L’EX ASSESSORE, SU RICHIESTA DEL SENATORE LEGHISTA MARTI, PROVO’ A DARNE UNA A FRATELLO DEL BOSS”

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

IL FAVORE ALLA SACRA CORONA UNITA DELL’EX FORZA ITALIA APPRODATO ALLA LEGA

L’ex assessore alla Casa di Lecce, Attilio Monosi, si interessò per assegnare una casa al fratello del boss della Scu “su esplicita richiesta di omissis e di Damiano D’Autilia“, ex consigliere comunale.
Ed è dietro quell’omissis riportato dal gip del tribunale salentino Giovanni Gallo nell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito 7 persone lo scorso venerdì che l’inchiesta della procura di Lecce sui voti ottenuti in cambio delle case popolari assume maggiore rilievo.
Perchè, rivela il Nuovo Quotidiano di Puglia, il nome coperto da “omissis” è quello di Roberto Marti, senatore della Lega.
Il parlamentare, indagato già  dal febbraio 2017 nell’inchiesta che coinvolge 48 persone compresi numerosi ex amministratori e funzionari del Comune, secondo la ricostruzione degli investigatori, tre anni fa, fu complice del tentativo di favorire l’ingresso di Antonio Briganti, fratello del boss Pasquale, e di sua moglie Luisa Martina, in un’abitazione popolare. Non un immobile qualunque: la casa era stata confiscata alla criminalità  organizzata.
I fatti risalgono al 2015. All’epoca, Marti era in Parlamento con Forza Italia ed è poi transitato nei Cor di Raffaele Fitto prima di accasarsi nel Carroccio. Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza, Briganti fece pressioni per riceve una casa dopo l’incendio della sua abitazione.
Troppo alto il canone pagato per l’affitto della nuova casa. Così, ricostruire il giudice per le indagini preliminari, Monosi si interessa per facilitarlo “su esplicita richiesta di [omissis] e Damiano D’Autilia”. A far da tramite, ricostruisce il Nuovo Quotidiano di Puglia, l’ex autista dello stesso D’Autilia.
Il “piano” congegnato da Monosi non sarebbe andato a buon fine per un solo motivo: l’intervento dei finanzieri che proprio in quel periodo perquisirono gli uffici del Comune nell’ambito dell’inchiesta sfociata poi negli arresti degli scorsi giorni. Innanzitutto, sempre secondo la procura, Monosi prova la carta della delibera di giunta, istruita da un funzionario dell’ufficio Patrimonio. Ma, siccome la moglie di Briganti non si trovava in una posizione idonea nella graduatoria, l’opzione venne scartata. Non prima però, ricostruisce il quotidiano salentino, di un nuovo tentativo dell’ex assessore teso a convincere le 13 persone che la precedevano a rinunciare.
A questo punto, ecco il “piano B”. Secondo l’indagine, l’idea è quella di assegnare l’immobile in comodato d’uso alla cooperativa sociale Gens di Monteroni, “su specifica indicazione di Damiano D’Autilia, cui era riconducibile la predetta cooperativa”. In questo modo, secondo l’impostazione dell’indagine, Gens l’avrebbe poi girata in maniera illegittima ai coniugi Briganti, nonostante l’assegnazione dell’immobile alla coop presupponeva un fine sociale.
Tutto salta perchè, l’11 marzo 2015 i finanzieri — che come riporta il Nuovo Quotidiano di Puglia hanno in mano intercettazioni che corroborano la loro ricostruzione — si presentano in Comune e tra le altre cose sequestrano proprio la proposta di delibera.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PROMEMORIA PER I RAZZISTI: VI SPIEGHIAMO DA COSA FUGGONO E COSA PATISCONO GLI ERITREI

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

LE STORIE DI ALCUNI DEI SALVATI DALLA NAVE DICIOTTI

“Chi sono i migranti della Diciotti? Giudicate voi dalle testimonianze di alcuni di loro raccolte mentre venivano assistiti dai medici e dai volontari della clinica mobile di Medici per i Diritti Umani a Roma in questi giorni”: così Medu, con una lunga nota ricca di testimonianze e “storie vere”, replica alle “dichiarazioni di estrema gravità ” rilasciate nei giorni scorsi dal ministro Salvini, a seguito delle operazioni di fermo e foto segnalamento a Roma di 16 migranti eritrei sbarcati dalla nave Diciotti lo scorso 25 agosto a Catania.
Secondo il ministro dell’Interno i migranti della Diciotti – come la stragrande maggioranza di coloro che giungono dalla Libia – sarebbero dei furbetti che si fanno passare per rifugiati e si fanno gioco del paese che li accoglie.
Un messaggio questo che giunge ad un opinione pubblica sempre più sconcertata e confusa da una sistematica e irresponsabile disinformazione che viene da chi ricopre cariche istituzionali delicatissime”.
Di qui la necessità  di raccontare le vere storie di alcuni di loro.
“Sono tutti eritrei — premette Medu – dunque in fuga da una plumbea dittatura che impone a tutti i suoi cittadini il servizio militare a tempo indefinito (o vogliamo considerare “porto sicuro” anche l’Eritrea?)”.
AT, 37 anni, Eritrea. “Ho lasciato l’Eritrea a Gennaio 2016. Sono passato dal Sudan, dove sono rimasto per 1 anno e 7 mesi e poi sono entrato in Libia. Sono rimasto in Libia 1 anno e 2 mesi e tutto il tempo l’ho trascorso in un centro di detenzione. Era un posto molto grande, eravamo circa 3000 persone, ogni giorno qualcuno partiva e qualcuno di nuovo arrivava. A Settembre ricordo che eravamo addirittura oltre 3000. Questo giugno eravamo 2600 persone. Eravamo tutti insieme, uomini, donne e bambini. Il centro di detenzione era tremendo. Le condizioni igieniche erano terribili. C’erano pochissimi servizi igienici, sporchissimi, e non erano sufficienti per tutti. Anche l’acqua era pochissima, sia da bere che per lavarsi. Ci ammalavamo tutti. E molti sono morti durante la detenzione. Non c’era nessuna possibilità  di chiedere aiuto, nemmeno per la salute, nessun medico è mai venuto a visitarci. Lì se ti ammali, muori. E poi c’è la tortura, che è una cosa normale se non si è in grado di pagare. I trafficanti sceglievano qualcuno di noi, tra quelli che non avevano i soldi per pagare e lo costringevano a lavorare per loro e a torturarci. Ci davano un telefono per chiamare le nostre famiglie per chiedere di versare dei soldi e mentre eravamo al telefono ci picchiavano brutalmente”.
XY, 39 anni, Eritrea. “Sono fuggito dal mio paese nel 2013. Ho attraversato l’Etiopia, sono entrato in Sud Sudan dove mi sono trattenuto per 2 anni quindi mi sono spostato in Nord Sudan per 4 mesi e sono entrato in Libia. In Libia sono rimasto 1 anno e 5 mesi e sono stato detenuto per tutto il tempo. Di questi 17 mesi, 6 mesi li ho passati al buio. Questa è stata la cosa più tremenda che ho mai vissuto. Eravamo 150 persone in questa stanza, incluse donne e bambini. Ci tenevano al buio per incentivarci a pagare. È stato tremendo e adesso la mia vista non è più la stessa, non riesco a vedere più bene. I trafficanti “eleggevano” tra di noi qualcuno che facesse da rappresentate per loro, nessuno si poteva rifiutare. Così in qualche modo, anche al buio, erano sempre presenti. E erano i nostri a prenderci e torturarci. Durante questi mesi il cibo e l’acqua non erano mai sufficienti e nessuno ha mai potuto essere visitato da un dottore. Anche se dicevamo che stavamo male, le cure mediche ci venivano sempre negate”.
EZ, 26 anni, Eritrea. “Sono rimasto in Libia per 1 anno e 7 mesi. Per la maggior parte del tempo sono stato sempre rinchiuso in centri di smistamento o di detenzione. Sono stato rapito e imprigionato 2 volte e per 3 volte ho dovuto pagare il mio viaggio. Le prima due volte erano centri di smistamento. La cosa che mi ricordo maggiormente è il numero delle persone che morivano. Quasi ogni giorno qualcuno si ammalava di problemi intestinali. Non ci davano acqua ed eravamo costretti a bere acqua non potabile. Così in tanti si ammalavano, veniva la diarrea e morivano. Succedeva spesso. Un dottore non lo abbiamo mai visto. Solo qualche volta i trafficanti venivano e ci distribuivano delle medicine, erano le stesse per tutti . Però continuavamo a morire. E poi c’erano le percosse e le torture. […] La prima volta che mi sono imbarcato siamo stati intercettati dalla Guardia Costiera libica che ci ha riportato indietro. Ci hanno detto che ci avrebbero portato in un centro istituzionale. Poi però il nostro gruppo è stato diviso. Io, insieme ad altre persone, sono stato venduto a dei trafficanti e portato in un’altra prigione. Sono stato separato da mia moglie. Da allora non ne ho notizia”.
AS, 27 anni, Eritrea. “Sono fuggito dal mio paese a febbraio 2014 e nel 2016 sono entrato in Libia. La Libia è un posto tremendo. Sono stato rapito e detenuto 4 volte e per 4 volte ho dovuto pagare. Per essere qui oggi ho versato ai trafficanti 12.000 dollari (n.d.t raccolti con il sacrificio e la colletta di un’intera comunità ). La prima volta che sono stato rapito ero a Kufra, mi hanno tenuto in una prigione che era costruita sottoterra. La seconda volta che mi hanno rapito, mi hanno portato in mezzo al deserto e mi hanno lasciato lì. Mi hanno lasciato vagare a vuoto tantissimo tempo, poi mi hanno chiesto dei soldi per essere riportato indietro. La terza volta è stato a Bani Walid. Sono stato rapito e portato in un centro di detenzione gestito da un uomo che si chiama “Ahmed Whisky”. Lì era tremendo. Le guardie erano veramente crudeli. La quarta volta sono stato venduto ad un trafficante, un uomo eritreo che si chiama “Abdu Salam” che alla fine mi ha fatto partire. Ringrazio Dio per esser vivo oggi. E veramente non so come io abbia fatto a sopravvivere. Non puoi mangiare nè bere, sei sfinito, sei debole e stanchissimo e loro, oltre a questo, ti prendono, ti portano via, ti torturano e ti picchiano. Morivano in tanti. Ogni settimana morivano 2 o 3 persone. E la cosa più tremenda è che erano soprattutto le donne e i bambini a morire. Medici o delegazioni internazionali in questi 2 anni non li ho mai incontrati. Ad Ottobre 2017 girava la voce che in qualche prigione qualcuno entrava per osservare e a fare visite mediche, ce lo dicevano quelli che li avevano incontrati. Io non ho mai incontrato nessuno. In Libia non c’è niente che puoi fare per salvarti. Anche nei brevi periodi in cui resti libero non c’è niente che puoi fare. Alla polizia non si può andare perchè i poliziotti spesso sono corrotti e rischi di essere venduto di nuovo. Secondo me la situazione nel tempo è peggiorata. Prima in Libia entravano persone in continuazione. Adesso che gli ingressi si sono ridotti, i trafficanti devono farci girare di prigione in prigione per guadagnare i soldi. Così ci liberano e ci rapiscono di nuovo, ci spostano e ci vendono. Per continuare a guadagnare”.

(da “Redattore Sociale”)

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CONTRORDINE, ORA L’ITALIA RIABILITA IL GENERALE HAFTAR

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

MOAVERO OGGI E’ ANDATO A RENDERGLI OMAGGIO PER NEGOZIARE CON TOBRUK LA TUTELA DEGLI INTERESSI ECONOMICI ITALIANI … TIPICA SOLUZIONE ITALIANA: STARE CON TUTTI

L’HuffPost lo aveva anticipato ieri. Neanche ventiquattr’ore, e arriva la conferma.
Sul campo. L’Italia e il generale Khalifa Haftar negoziano alla luce del sole. Sul futuro della “nuova Libia”, sulla Conferenza di Roma, sulla data delle elezioni.
Protagonista della svolta diplomatica è il titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi. Non è un caso, che il ministro degli Esteri fortemente voluto dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, abbia tenute per sè, e non suddivise tra la sua Vice ministra, Emanuela Del Re e i tre sottosegretari, le deleghe più spinose: Nord Africa, Afghanistan, Medio Oriente. E nel presente, la priorità  nell’agenda estera dell’Italia si chiama Libia.
E Libia, per Moavero significa lavorare per una soluzione politica quanto più inclusiva, che tenga conto di una realtà  estremamente composita e frammentata e di attori regionali e globali che hanno mire sul futuro del Paese nordafricano.
Da qui la missione a sorpresa del ministro degli Esteri a Bengasi, per incontrare l’uomo forte della Cirenaica: il generale Khalifa Haftar.
A renderlo noto è un tweet della Farnesina precisando che l’incontro è focalizzato al “dialogo politico inclusivo promosso” dall’inviato speciale Onu per la Libia, Salam, “con tutti gli interlocutori per una Libia unita e stabile”.
Roma non scarica il premier del governo di Accordo nazionale, Fayez al-Sarraj, ma sa anche che senza un coinvolgimento delle forze — milizie, tribù anche della Tripolitania, oltre che il parlamento di Tobruk — che sostengono Haftar, la stabilizzazione della Libia resterà  una illusione.
Da qui la necessità  di discutere con Haftar il senso politico della Conferenza di novembre e la necessità  di definire una realistica “road map” che inserisca le elezioni, che Haftar, col sostegno di Egitto e Francia, intende mantenere nella data definita il 29 maggio nella Conferenza di Parigi, vale a dire il 10 dicembre 2018, all’interno di un piano di “institution building” che rafforzi le istituzioni nazionali libiche.
La novità  positiva, confidano ad HuffPost fonti di Bengasi, è che l’incontro si è svolto in un clima “collaborativo” e che Haftar abbia ascoltato “con rispetto e attenzione le considerazioni del ministro degli Esteri italiano”, garantendo il proprio impegno sia sul tema della sicurezza nel Mediterraneo che, non meno importante, per ciò che concerne gli investimenti italiani in Libia (petrolio e non solo).
Il momento è di estrema delicatezza, tale da consigliare prudenza e accortezza da parte italiana. Uscire allo scoperto e incontrare Haftar è un atto politico di estrema rilevanza per l’Italia, concordano fonti diplomatiche sollecitate da HuffPost, ma questa iniziativa non deve essere vista da al-Sarraj e dalle forze che ancora lo sostengono, come un “tradimento” da parte italiana. Perchè così non è.
Al-Sarraj, sottolineano le fonti, resta il primo ministro dell’unico Governo libico riconosciuto internazionalmente, dove quel “internazionalmente” riguarda e impegna anche la Francia. E questo è il segno politico della nota italiana sull’incontro di Bengasi: “Il ministero degli Esteri, dopo il “lungo e cordiale colloquio con il maresciallo Khalifa Haftar” che “ha rilanciato lo stretto rapporto con l’Italia, in un clima di consolidata fiducia”, ha fatto sapere che “fra i due vi è stata ampia convergenza per un’intensa cooperazione e sul comune impegno per una Libia unita e stabile”.
Lo si legge in un comunicato della Farnesina: Haftar “ha espresso il suo apprezzamento per l’impegno di politica estera dell’Italia, ritenuto imprescindibile per la Libia”.
D’altro canto, Haftar ritiene di poter negoziare sulla base di rapporti di forza sempre più a lui favorevoli. In diverse occasioni, l’ex uffficiale di Gheddafi ha assicurato che l’Esercito Nazionale Libico è pronto a marciare su Tripoli e che la cattura della capitale sarà  “rapida”.
A tale scopo, Haftar ha rivelato di essere in contatto diretto con alcune milizie presenti nelle città  di Misurata e Zentan. Durante luna diretta televisiva, Haftar ha annunciato che alcune milizie presenti a Tripoli sarebbero pronte a prendere d’assalto la città .
“Gli scontri degli ultimi giorni stanno cambiando la geografia della presenza delle milizie nella capitale”, ha sentenziato. “Non lasceremo cadere Tripoli, lì il popolo libico dovrà  vivere in sicurezza”.
Per quanto riguarda la Costituzione, Haftar ha detto che il progetto deve essere posticipato fino a dopo le elezioni e non prima. “Altrimenti, il popolo libico rifiuterà  la nuova Costituzione” L’incontro di Bengasi tra Moavero e Haftar ha anche il segno dell’inizio di un percorso di riavvicinamento tra Italia e gli altri due player cruciali nella partita libica: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il suo omologo francese Emmanuel Macron.
Nei giorni scorsi a Cernobbio, Moavero aveva ribadito che il governo al-Sarraj è il governo legittimamente riconosciuto in una situazione complessa come quella dello scenario libico. Lo scopo, nella visione del ministro, è arrivare ad un processo politico pacifico e inclusivo nella prospettiva delle elezioni nel Paese africano per le quali per non ancora stata fissata una data.
Con il generale Haftar, che tre giorni fa si era detto pronto a far saltare le consultazioni se non avrà  la garanzia della loro “trasparenza”, Moavero punta a condividere obiettivi e finalità  della Conferenza internazionale che si terrà  in novembre in Italia.
Una conferenza, aveva sottolineato il ministro a Cernobbio, che “intende percorrere la strada della stabilità , della pacificazione ma soprattutto la strada della sensibilizzazione di tutti gli attori interni ed esterni alla Libia che sono interessati a favorire un’evoluzione positiva di questo Paese verso una maggiore stabilizzazione e consenta al popolo libico di esprimersi al meglio come tutti i popoli hanno diritto di fare”. Concetti che il capo della diplomazia italiana ha ribadito nella sua audizione alle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato.
“La nostra posizione è che quando fare le elezioni lo devono stabilire i libici e le loro istituzioni. Noi non fissiamo date”, aveva ribadito in quella sede Moavero, aggiungendo che: “Su questa questione esiste una dialettica, dentro e fuori l’Italia. Ma è curioso che le date siano stabilite dall’esterno”..
Ma il titolare della Farnesina non è un uomo dedito alle bordate, e, pur ribadendo la posizione italiana sul voto, prova a non rinfocolare polemiche con l’Eliseo. “C’è un nemico di tutti in Libia ed è d’estremismo, il fondamentalismo. Non è questione solo di bisticci, competizione con questo o quell’altro Paese europeo”, ha avvertito il capo della diplomazia italiana., ricordando che “con la Francia abbiamo fatto una dichiarazione appena due giorni fa, anche l’1 settembre. Mi riconosco nelle dichiarazioni del presidente Macron sulla necessità  di dialogare con tutti e sostenere lo sforzo dell’Onu”.
Moavero non viene meno alla necessità  del dialogo convinto che “l’approccio inclusivo del dialogo con tutti gli attori – comporta che noi già  da tempo stiamo dialogando con tutti, nessuno escluso”.
Il che significa che il governo italiano intende lavorare “con tutti gli Stati, sia quelli che condividono le nostre visioni, sia con quelli che non le condividono, sia con quelli che sono animati da una certa competitività  nei nostri confronti”. Includere significa rilanciare la carta politica in una situazione segnata dal caos. Un caos armato. Nello stesso giorno della missione di Moavero a Bengasi, un attacco al quartier generale della la compagnia petrolifera libica (Noc) a Tripoli fa vacillare la fragile tregua tra le milizie nella capitale. A sferrare l’offensiva è stato un commando di almeno sei uomini armati, che sono stati tutti uccisi dopo aver causato la morte di due guardie di sicurezza e una decina di feriti.

(da “Huffingtonpost“)

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NAPOLI, ENNESIMO RAID INTIMIDATORIO DELLA CAMORRA. DE MAGISTRIS ATTACCA: “SALVINI NON FA NULLA”

Settembre 10th, 2018 Riccardo Fucile

“NON HA RAFFORZATO GLI ORGANICI, NON HA AUMENTATO LE PATTUGLIE DI NOTTE, PAGHI GLI STRAORDINARI AGLI AGENTI”

Ennesima “stesa”, ossia raid intimidatorio della criminalità , a Napoli: la polizia ha recuperato 18 bossoli in piazza Mercato, dopo una segnalazione giunta ieri sera al 113. I colpi sono stati esplosi da sconosciuti intorno alle 21. Nessuna persona è rimasta ferita, nè si segnalano danni. Si indaga anzitutto esaminando i filmati di videosorveglianza disponibili nella zona.
Le “stese” sono colpi sparati all’impazzata da elementi, spesso giovanissimi, dei nuovi clan che stanno prendendo il posto delle storiche cosche della camorra, decapitati da arresti e condanne: si spara per affermare il controllo sul territorio, allo scopo di spaventare eventuali rivali.
Nei giorni scorsi in uno di questi raid è rimasta ferita alle gambe una donna che, nel rione Forcella, era affacciata al balcone di casa.
“Cosa fa il governo per rafforzare, ad esempio, la presenza delle forze di polizia nelle nostre strade? Ha rafforzato gli organici? Ha intrapreso misure concrete? Nulla”. Così il sindaco di Napoli Luigi de Magistris commenta il susseguirsi di “stese”.
“Eppure vedo che alcuni parlamentari napoletani di M5S parlano come se fossero in campagna elettorale oppure all’opposizione del governo nazionale. Se volete che la sicurezza si consolidi a Napoli, come altrove, andate dal “vostro” ministro dell’Interno – scrive il sindaco in un post – e ditegli di rafforzare le presenze delle forze di polizia, di fare concorsi, di acquistare autovetture, di pagare gli straordinari per avere più pattuglie in strada di notte. Ditegli anche di consentire ai Comuni, compreso Napoli, di poter assumere personale della polizia locale, da graduatorie già  pronte, di poter avere gli strumenti normativi necessari per rafforzare il lavoro per la sicurezza. Insomma fate qualcosa di concreto per la sicurezza e se il ministro vi dovesse dire che non ci sono risorse ricordategli, se potete, che deve restituire 49 milioni di maltolto agli italiani. Con quei soldi anche la sicurezza sarebbe più forte”.

(da agenzie)

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