Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
MENTANA: “CHI E’ ALL’OPPOSIZIONE CRITICA LA LOTTIZZAZIONE IN RAI, MA QUANDO POI GOVERNA FA LA STESSA COSA”
“Nelle modalità di spartizione delle nomine in Rai, non mi pare che vengano seguiti criteri diversi da quelli soliti”.
Milena Gabanelli, intervenendo dal palco della Festa del Fatto Quotidiano nel dibattito “Alla ricerca della verità perduta nella rete” insieme a Paola Zanca ed Enrico Mentana, ha parlato tra le altre cose dell’assegnazione dei nuovi incarichi nella tv pubblica e dell’influenza della maggioranza di governo nelle decisioni.
“A me preme avere interlocutori competenti”, ha specificato, “poi per chi votano mi interessa molto poco”.
Il direttore del TgLa7 ha invece aggiunto: “Io sono abbastanza disilluso. Ho sempre visto che chi è all’opposizione critica le pratiche della lottizzazione in Rai. Poi quando diventa forza di governo si pone come problema: ‘Chi metto a me fedele in Rai?’. Il problema nasce dal fatto che la politica ha paura di scomparire”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
L’AMICO DI MINNITI E SALVINI FATICA A CONTENERE LA SETTIMA BRIGATA, PREOCCUPAZIONE PER I NOSTRI MILITARI IN LIBIA
Alla vigilia della settimana italiana che si annuncia decisiva per porre le basi della manovra economica e del primo consiglio dei ministri dopo l’estate, si riapre il fronte libico.
Era nell’aria da giorni, con la settima brigata in avanzamento, ma la formalizzazione del salto di scala nella crisi si ha con la proclamazione dello stato di emergenza a Tripoli per gli scontri tra le milizie intorno alla capitale.
La decisione assunta “per proteggere i cittadini e la sicurezza, gli impianti e le istituzioni vitali che richiedono tutte le necessarie misure militari e civili” dal consiglio presidenziale libico guidato da Fayez al Sarraj, sancisce la difficoltà dell’uomo appoggiato anche dal governo italiano, che solo ieri, insieme a Usa, Francia e Gran Bretagna, aveva diffuso un comunicato congiunto in cui si “condannava fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti”. A suggellare le difficoltà di al Sarraj e la la posizione non facile del nostro Paese, sempre sabato c’era stato un avvertimento a colpo di mortaio che ha sfiorato l’ambasciata italiana nella capitale.
Per l’esecutivo guidato da Conte, in procinto di celebrare i primi cento giorni, l’escalation rappresenta un problema non di poca rilevanza per diversi fattori che fatalmente incrociano dossier ‘caldi’ per il nostro Paese.
L’immigrazione, in primis, vista la presenza nel Paese dei famigerati centri di detenzione di migranti, che tentavano la rotta verso l’Italia in Europa.
Secondo, non va dimenticata ovviamente la presenza dell’Eni e i relativi nostri interessi geo-strategici nella regione.
Terzo, la presenza sul territorio di truppe italiane (“totalmente in sicurezza”, come assicurato immediatamente dalla Difesa) e di uomini dei nostri servizi, che molto si sono spesi nella stabilizzazione post Gheddafi, sotto la guida del generale Manenti, in predicato – probabilmente proprio lunedì – di essere sostituito.
Tornando in Libia, ora si tratta di capire se la misura di al Sarraj produrrà qualche effetto.
Il consiglio presidenziale è stato costretto alle misure di emergenza dopo la violazione reiterata delle fragili tregue proclamate nei giorni scorsi. Il governo di unità bolla i combattimenti come un “attentato alla sicurezza della capitale e dei suoi abitanti, davanti ai quali non si può restare in silenzio”.
L’obiettivo dei miliziani – sempre secondo il consiglio – “è quello di interrompere il processo pacifico di transizione politica” cancellando “gli sforzi nazionali e internazionali per arrivare alla stabilizzazione del Paese”.
Sarraj ha passato la domenica protetto nel suo quartier generale in una base navale incontrando ministri e responsabili militari, ai quali ha affidato i piani per ristabilire l’ordine.
I consigli municipali degli anziani, in uno strenuo tentativo di mediare tra le parti, hanno lanciato un appello a fermare gli scontri. Un appello che tuttavia sembra destinato a rimanere inascoltato.
La 7/ma Brigata, protagonista dell’assalto alla capitale che da lunedì scorso è costato la vita a oltre 40 persone e ha provocato centinaia di feriti, avanza da sud e punta sul centro della città .
La Brigata “continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata”, ha tuonato il leader Abdel Rahim Al Kani. “Noi non vogliamo la distruzione, ma stiamo avanzando in nome dei cittadini che non riescono a trovare cibo e aspettano giorni in coda per avere lo stipendio, mentre i leader delle milizie si godono il denaro libico”, ha incalzato Kani.
L’ambasciata italiana in Libia “resta aperta. Continuiamo a sostenere l’amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento”, ha scritto su Twitter la sede diplomatica, smentendo le indiscrezioni sulla chiusura della stessa e la fuga dei responsabili.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SEMPRE PIU’ ARIA DI REGIME SOVIETICO, CAMBIO ANCHE AI VERTICI DEI SERVIZI SEGRETI: PUTIN AVRA’ QUALCHE NOME FIDATO DA PROPORRE?
La decisione era nell’aria già da un paio di settimane, ma ora c’è anche il crisma dell’ufficialità : domani il governo avvierà la procedura per il cambio ai vertici dei Servizi segreti.
Come anticipato dal Corriere della Sera, a cedere il posto saranno due dei funzionari a cui il governo Gentiloni aveva prorogato l’incarico lo scorso 7 marzo: il direttore del Dis Alessandro Pansa (molto apprezzato da Conte che lo vorrebbe come suo consulente a palazzo Chigi) e il capo dell’Aise, l’agenzia per la sicurezza esterna, Alberto Manenti.
Confermato invece il direttore dell’Aisi Mario Parente, che conserverà la carica almeno per altri due anni.*
Ma la vera novità , riportata da Corriere della Sera e Messaggero, riguarda alcune indiscrezioni secondo le quali “dopo il caso della nave Diciotti, potrebbe essere avvicendato il comandante della Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino”. Ma su questo non c’è accordo all’interno dell’esecutivo: se a spingere per la revoca ci sarebbe il ministro dell’Interno Salvini, “a bloccare il cambio alla guida della GC potrebbe essere il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, ribadendo che la linea fin qui seguita sul salvataggio dei migranti è imposta dalla legge”.
Tornando alle altre nomine, tra i più accreditati come successore di Manenti all’Aise ci sarebbe il suo vice Gianni Caravelli, pupillo della ministra della Difesa Elisabetta Trenta.
Oltre a lui in lizza anche anche il generale della Guardia di Finanza Luciano Carta.
Al vertice del Dis potrebbe invece accomodarsi il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, ma si fanno anche i nomi dei due vicedirettori, Enrico Savio e il generale Carmine Masiello.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
IL M5S HA UN DISPERATO BISOGNO ELETTORALE DI FAR VEDERE CHE IN ALMENO IN PARTE VENGA ASSEGNATO E PENSA DI TOGLIERE INDENNITA’ DI DISOCCUPAZIONE, REDDITO DI INCLUSIONE DI GENTILONI, FONDI DI GARANZIA GIOVANI, GLI 80 EURO RENZIANI E RIDURRE L’OBOLO A 400 EURO
Secondo il sottosegretario all’Economia Laura Castelli per varare il reddito di cittadinanza siamo «gia in zona Cesarini» e per questo la squadra di governo dei Cinque Stelle «sta affinando il lavoro».
Castelli ha confermato che la copertura prevista dal progetto di legge originariamente era di «17 miliardi di euro» ma, come vedremo, è possibile che la cifra venga limata. Per le risorse necessarie il sottosegretario ha dichiarato che si pescherà «all’interno del bilancio dello Stato e ci sono le risorse che servono, senza bisogno di nuove tasse».
In parallelo all’esternazione di Castelli nei giorni scorsi sul sito della rivista «Economia e politica» diretta dall’economista Riccardo Realfonzo è uscita un’interessante simulazione delle coperture necessarie a far partire il reddito di cittadinanza.
Una simulazione così realistica che su Twitter ha ricevuto il plauso di Pasquale Tridico, principale consulente del ministro Luigi Di Maio per le politiche del lavoro. «Siamo nella giusta direzione» ha scritto.
Nei giorni precedenti alla domanda se il reddito voluto dai grillini fosse indirizzato a combattere la povertà o la disoccupazione Tridico aveva risposto: «È una misura che aggredisce la povertà ma allo stesso tempo favorisce il reinserimento nel mercato del lavoro, quindi è anche contro la disoccupazione».
In sintonia con le sue idee l’articolo di «Economia e Politica» sostiene che le risorse finanziarie vanno spostate «dalle politiche di attivazione a quelle di redistribuzione» e che bisogna combattere l’idea che «il reddito minimo di cittadinanza sia irrealizzabile».
Dovendo definire meglio la misura se ne parla come di una somma erogata mensilmente senza nessun tipo di restrizione su come, dove e quando spenderla in modo che possa risultare «potenzialmente alleviante rabbia e ansia esistenziale».
Si cita, per l’appunto, l’elaborazione di Tridico sul reddito minimo che pur condizionandolo «a diverse forme di attivazione» (vedremo quali) avrebbe anche effetti di stimolo sulla domanda aggregata.
Ma come finanziare il provvedimento? Non con spesa aggiuntiva, è la risposta, «piuttosto con una corretta razionalizzazione delle spese sociali, previdenziali, assistenziali e di stimolo fiscali esistenti, lasciando le tasse e altre fonti pubbliche di spesa quasi invariate».
Perfettamente in linea con le dichiarazione di Castelli.
Ma veniamo alla simulazione. Il costo di un reddito minimo di cittadinanza è stimato in 15 miliardi. Circa 950 milioni potrebbero rientrare dall’abolizione degli assegni di protezione temporanea della disoccupazione ovvero la Naspi, l’assistenza per la disoccupazione (Asdi) e il cosiddetto “discoll” ovvero l’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Secondo «Economia e politica» altri 2,750 miliardi possono essere incamerati dall’assorbimento del Reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni per la protezione dalla povertà assoluta. Due miliardi potrebbero arrivare dagli interventi di attivazione condizionanti (Neet giovani e percettori di Naspi) più il programma di Garanzia Giovani.
Il grosso però dei finanziamenti necessari per tenere in piedi il progetto grillino di reddito di cittadinanza dovrebbero arrivare da quelli che la rivista definisce come «sgravi fiscali per i ceti medi» e che giornalisticamente siamo abituati a chiamare «gli 80 euro di Renzi»: in tutto 9 miliardi.
Anche il bonus per l’acquisto di beni culturali voluto dallo stesso ex premier verrebbe prosciugato dal nuovo provvedimento portando risorse per 290 milioni.
Il totale della simulazione della rivista di Realfonzo, giudicato un test probante da Tridico, arriva a quota 14,991 miliardi. E qui ci fermiamo.
E’ evidente che al di là dei conteggi di ragioneria c’è un totale cambio di filosofia rispetto ai governi di centro-sinistra almeno su due punti-chiave: 1) le politiche attive del lavoro che vedrebbero quasi azzerate le risorse; 2) le differenti platee dei beneficiari del bonus da 9 miliardi, dal ceto medio ai cittadini che rientrano nella soglia Isee di definizione della povertà .
Per quanto riguarda la possibile entità dell’assegno minimo la rivista non fornisce numeri, possiamo però stimare che se restasse in piedi la vecchia idea grillina dei 780 euro mensili la nuova misura interesserebbe circa 1,6 milioni di individui, nel caso – molto probabile – che l’assegno scendesse attorno ai 400 euro i beneficiari salirebbero attorno ai 3 milioni.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
DEFICIT AL 2% PER EVITARE CHE ESPLODA LO SPREAD, NIENTE FLAT TAX, RIDIMENSIONAMENTO DEL REDDITO DI CITTADINANZA, TAGLI AI MINISTERI, ELIMINAZIONE DI DETRAZIONI E AGEVOLAZIONI FISCALI, CONDONO AGLI EVASORI PER RACIMOLARE 11 MILIARDI
Il piano di Tria per la Legge di Bilancio 2019, che il ministro dell’Economia sta preparando in vista del Documento Economico Finanziario il cui aggiornamento è previsto per settembre, considera il mantenimento del tetto del 3% sul deficit, mentre Luigi Di Maio e Matteo Salvini incitano via XX Settembre a prevedere lo sforamento.
Il ministro non intende violare le regole e anzi vorrebbe mantenere il deficit sul 2% scegliendo una strategia di estrema prudenza che porterebbe anche alla riduzione dal 2,2% lasciato dal suo predecessore Pier Carlo Padoan.
In questo modo Tria avrebbe la possibilità di presentarsi a Bruxelles con i numeri “giusti” ed evitare la crisi dello spread che in questi giorni sta manifestando i suoi primi effetti.
Ma un progetto del genere, sottolinea Enrico Marro sul Corriere della Sera, dovrà trovare risorse non solo per contenere il deficit, ma anche per almeno «avviare», come non si stancano di precisare al Tesoro, le molte riforme che Movimento 5 Stelle e Lega vorrebbero invece fossero attuate tutte nel 2019.
Avviare può voler dire molte cose, ma di certo vuol dire che i progetti come il reddito di cittadinanza e la flat tax non avranno inizialmente la forma e la platea di percettori promessa da M5S e Lega.
Reddito di cittadinanza e flat tax ridimensionati
Sulla tassa piatta all’italiana nei progetti della Lega c’era un anticipo per le partite IVA che è stato rivisto negli ultimi mesi per trovare una forma “potabile” per l’elettorato e contemporaneamente sostenibile per i conti pubblici.
L’estensione del regime forfettario passa naturalmente per l’innalzamento della soglia di ricavi: attualmente il tetto varia da 30 a 50 mila euro a seconda della categoria. Il punto è fino a dove arrivare. Ci si potrebbe spingere fin verso i 100 mila euro, incrementando in modo corrispondente anche gli altri parametri; ma siccome questo tipo di normativa fiscale (che coinvolge l’Iva) richiede l’autorizzazione dell’Unione europea, almeno nella fase iniziale risulterebbe più semplice fermarsi a 65 mila, soglia per la quale esiste già il via libera comunitario.
Per le coperture il governo potrebbe guardare all’imposta sul reddito d’impresa (Iri) un regime opzionale introdotto nella scorsa legislatura ma finora non entrato in vigore: in pratica le piccole imprese avrebbero avuto usufruire di una tassazione al 24 per cento sugli utili pagati in azienda, analoga all’Ires pagata dalle società .
Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza invece, posto che si passerà ad includere i fondi già stanziati per il Reddito di Inclusione del governo Gentiloni, la sua versione “soft” prevede che l’assegno scenda a 400 euro per aumentare la platea dei beneficiari a circa tre milioni di persone. Anche qui si tratta di riuscire a mediare con Lega e M5S portando in cambio l’affidabilità finanziaria ritrovata e i maggiori spazi di manovra sullo spread
Solo sei miliardi da spendere per i poveri Salvini e Di Maio
Ora, però, rimane il problema del cofinanziamento: il ministro vuole tagliare nei ministeri per tre miliardi di euro, una scelta che va a cozzare con le centinaia di richieste di aumento dei fondi.
E poi vuole utilizzare due misure precise per fare cassa: il cosiddetto riordino delle detrazioni e delle deduzioni fiscali, sogno di tutti i ministri dell’Economia dai tempi di Tremonti che però si è finora sempre infranto contro le categorie colpite dai tagli (agricoltori e camionisti ad esempio) che molto spesso costituiscono bacino elettorale dei partiti al governo o gruppi che potrebbero mettere in scena proteste pericolose per la stabilità dell’esecutivo.
La seconda misura allo studio è invece la famosa “Pace fiscale”, ovvero il condono delle liti pendenti con il fisco che potrebbe portare tre miliardi in cassa (dal riordino di detrazioni e deduzioni se ne attendono addirittura cinque).
Tagli più tax expeditures più pace fiscale uguale undici miliardi di euro, di cui cinque verrebbero utilizzati per contenere il deficit e sei per l’«avviamento» delle riforme economiche care a Lega e MoVimento 5 Stelle.
Un piano prudente e comunque già così di difficile attuazione. Ma sicuramente non piacerà .
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
NON SOLO L’INCHIESTA DI AGRIGENTO, MA ANCHE IL RISCHIO DI FINIRE INDAGATO DALLA PROCURA DI GENOVA PER I SOLDI DAL LUSSEMBURGO ALLA SPARKASSE E PROCESSATO DALLA PROCURA DI TORINO PER VILIPENDIO ALLA MAGISTRATURA
L’obiettivo della Lega è avere Salvini premier. Il Carroccio continua a guardare con timore verso l’esito delle vicende giudiziarie che la vedono debitrice di 49 milioni di euro agli italiani e scalda i motori per il nuovo partito del Capitano, che potrebbe essere, come da anticipazioni, il partito nazionale che le consentirà di raccogliere anche i voti degli italiani del Sud.
Il nome c’è già , o meglio ce n’è già uno depositato: la Lega per Salvini premier. Quello che manca è la certezza che basti per scrollarsi di dosso le grane giudiziarie eredità della vecchia gestione, anche se proprio oggi il procuratore di Genova Cozzi ha confermato tutto in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Ma c’è un altro problema che turba i sogni del Carroccio: l’escalation di inchieste che potrebbero vedere come protagonista il leader designato.
La contestazione di due nuovi reati da parte del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio — tra cui il sequestro per coartazione che prevede una pena fino a trenta anni di carcere — potrebbe rendere molto più difficile la scalata di Salvini verso Palazzo Chigi.
E il problema è che potrebbe non essere finita qui.
Perchè, scrive oggi La Stampa, Salvini, già indagato per il caso della nave Diciotti e potrebbe finire iscritto nel registro degli indagati (sempre a Genova) per il caso del trasferimento di tre milioni dal Lussemburgo alla Sparkasse di Bolzano.
Mentre la procura di Torino attende di poter procedere per vilipendio contro il segretario che definì la magistratura «una schifezza».
D’altro canto tradizionalmente gli elettori di centrodestra non hanno mai badato troppo alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto i loro leader (basti vedere le reazioni di fronte a un lancio dell’ANSA con la foto del loro beniamino).
Ma di certo per Salvini finire in guai simili (per mole di processi) a quelli di Silvio Berlusconi potrebbe non essere l’ideale se vuole davvero rappresentare il nuovo a destra.
Il problema però è che una nuova indagine potrebbe avere un potenziale effetto deflagrante sull’alleanza con il MoVimento 5 Stelle, che ha già registrato molti maldipancia per la vicenda dei migranti — anche se i contestatori di Salvini all’interno del M5S sono pochi e inascoltati dai vertici, gli unici che contano quando si deve prendere una decisione — tuttavia ogni corda tirata fino all’inverosimile prima o poi si spezza.
Senza contare che ci sono i problemi ormai sempre più grandi con Giovanni Tria e la sua concezione troppo “tradizionale” — diciamo così — dell’economia che sembra mettere in secondo piano le promesse elettorali del Capitano, già esposto a due clamorose figuracce sui 500mila clandestini da rimpatriare — dove è stato sfottuto persino dal suo vice Giorgetti — e sulle accise che dovevano essere abolite al primo consiglio dei ministri.
La tentazione di battere il ferro del successo elettorale finchè è caldo potrebbe essere l’unica strada da prendere prima che sia troppo tardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
“SI POTRA’ PROCEDERE CON I SEQUESTRI SOLO FINO A QUANDO CI SARANNO SOMME DISPONIBILI SUI CONTI DELLA LEGA”
Ci saranno tre giudici e ci sarà un’ordinanza. E se quell’ordinanza andrà nel senso di sequestrare i fondi ovunque siano, attuali e futuri, per la Lega di Matteo Salvini non si mette bene.
In sintesi: mercoledì prossimo il Tribunale del Riesame di Genova è chiamato dalla Cassazione (alla quale si era rivolta la Procura) a pronunciarsi sul sequestro di 49 milioni di euro considerati il prezzo della truffa sui rimborsi elettorali perpetrata negli anni 2008-2010 ai danni dello Stato, quando il capo del Carroccio era Umberto Bossi. Vicenda per la quale il 24 luglio 2017 lo stesso Senatur e l’ex tesoriere Francesco Belsito erano stati condannati in primo grado.
Nel decidere il da farsi (il pronunciamento potrebbe non essere immediato) i magistrati dovranno tener conto di un principio stabilito dalla Corte Suprema: si possono confiscare anche le entrate successive a quel periodo, fino alla concorrenza dei 49 milioni.
Procuratore Francesco Cozzi, se il Riesame dovesse accogliere in pieno la linea della Cassazione, cosa succederà ?
«Si procederà con i sequestri fino a quando ci saranno somme disponibili sui conti della Lega».
E se le difese impugneranno l’ordinanza, dovete attendere la Cassazione?
«Sì, secondo un certo indirizzo».
Non è dunque scontato che, anche di fronte a un ok del Riesame, andrete a sequestrare subito?
«No, tutt’altro, anche perchè la giurisprudenza sul punto non è uniforme. E prevale l’indirizzo che occorra attendere la decisione della nuova Corte Suprema nel caso di sequestri preventivi finalizzati alla confisca, cioè quello di cui parliamo. Bisogna anche tener conto che è in corso un processo d’appello (quello contro Bossi e il tesoriere Belsito rispetto al quale è nato il sequestro, ndr) che potrebbe portare a un’assoluzione, sentenza che farebbe cadere il sequestro».
Quindi la Lega non chiude la prossima settimana?
«Direi di no».
Gli eventuali sequestri potranno aggredire i conti periferici del partito?
«Sì, se dovesse essere accolto il principio della Cassazione si andrà a sequestrare tutto quello che è riferibile alla Lega. In proposito c’è stata di recente una sentenza che ha considerato il patrimonio della Lega Toscana riconducibile a quello della Lega nazionale. C’erano le prove dei versamenti dai conti centrali a quelli regionali. Comunque, bisognerà valutare caso per caso».
E se viene creato un nuovo partito?
«Di fronte a un nuovo soggetto giuridico completamente autonomo, non potremmo fare nulla rispetto ai versamenti futuri. Anche se il neonato partito è erede del precedente dal punto di vista ideologico e politico. Bisogna sempre valutare la continuità giuridica per procedere e in questo caso salterebbe».
L’idea di creare un nuovo partito non è dunque peregrina se si vuol salvare il futuro patrimonio?
«Certo, come non è peregrina quella di versare nelle casse qualcosa che non sia denaro o il reimpiego diretto di somme di denaro. Mi spiego, se lei domani porta quattro lingotti d’oro alla Lega che sono ab origine una donazione di cose diverse, io non posso sequestrarli. Se però mette dei soldi posso acchiapparli».
È un assist a chi vuole finanziare la Lega.
«È il dettato della Cassazione».
Solo una piccola parte dei 49 milioni di euro sono stati distratti da Bossi e Belsito, il resto potrebbe essere stato speso per attività di partito. Non c’è una sproporzione nel sequestro?
«Questo è un problema di merito. I bilanci sono stati ritenuti artatamente contraffatti. La “quota” di denaro che ha preso vie diverse da quelle politiche è stata considerata sufficiente a minare le fondamenta del conto economico. Se fosse sufficiente o meno io però non lo so, l’ha deciso il tribunale».
A che punto è l’inchiesta per riciclaggio dei fondi della Lega, legata ai 49 milioni? Secondo l’accusa potrebbero essere finiti anche all’estero…
«Va avanti ma non dico altro. Ricordo solo che questa indagine è nata da una denuncia e dunque come atto dovuto. E non da una cattiveria della Procura».
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
“SICUREZZA A RISCHIO, GIA’ IN RITARDO”: IL DECRETO MINISTERIALE ARRIVO’ SOLO DOPO 5 MESI
Il consiglio di amministrazione della società Autostrade sapeva del Ponte Morandi. Sapeva della necessità di intervenire, sapeva del progetto di potenziamento dei tiranti e del fatto che si trattava di lavori «fondamentali per la statica del ponte», come aveva scritto la società Spea nel redigere il progetto esecutivo dei lavori per conto del concessionario.
Il progetto fu infatti sottoposto al voto del cda presieduto da Fabio Cerchiai, che lo esaminò e lo autorizzò. Senza tuttavia classificarlo come intervento di «somma urgenza». Opera migliorativa sì, importante, certo, ma non urgente.
La ragione per la quale approdò alla stanza dei bottoni di Autostrade è semplice: l’amministratore delegato Giovanni Castellucci ha un’autonomia di spesa di 5 milioni di euro, mentre il valore dell’intervento superava i 20.
Comunque sia, la «calma» che trapela dai vertici di Autostrade sembra stridere con l’apparente fretta di uno dei suoi manager: Michele Donferri Mitelli, il dirigente delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Dal 6 febbraio scorso, appena cinque giorni dopo il parere favorevole del Provveditorato interregionale per le Opere pubbliche (il braccio locale del Mit, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) presieduto da Roberto Ferrazza, ha iniziato a premere sul Mit per ottenere il decreto che dava l’ok ai lavori.
Cinque mail, datate 6 febbraio, 28 febbraio, 23 marzo, 27 marzo e 13 aprile.
Una per provare a scongiurare tutto ciò che «comporta ritardi sui tempi di emanazione dei pareri e di approvazione dei progetti».
Una per ricordare che siamo «di fatto già fuori dalle tempistiche previste».
Un’altra per ricordare «l’incremento di sicurezza necessaria sul viadotto Polcevera» e «i consistenti ritardi sin qui accumulati e non recuperabili».
E le ultime per dire che, in sostanza, «non avendo avuto risposte (…) provvederemo all’avvio dell’iter approvativo dell’intervento», cioè della preselezione delle imprese per la gara d’appalto.
L’argomento era sempre lo stesso: il ritardo del decreto ministeriale.
Un atto necessario per far partire i lavori e per inserire l’opera nel piano finanziario, che arriverà l’11 di giugno a firma del direttore generale per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali, Vincenzo Cinelli. A quella data l’iter della gara d’appalto era già partito.
Ora il verbale del cda, le lettere di Donferri e il decreto del ministero sono al vaglio degli inquirenti che vogliono capire la ragione dei due approcci alla vicenda, da una parte l’apprensione del manager, dall’altra la serenità del ministero e del cda di Autostrade.
Scrive il dirigente di Autostrade il 26 di marzo 2018: visto che «non abbiamo avuto risposte sullo stato di avanzamento dell’istruttoria e non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di modifica e/o integrazioni», andiamo avanti «salvo vostro diverso avviso», allo scopo «di favorire la contrazione dei tempi relativi alla gara», e avviamo «a partire dal 16 aprile le attività di prequalifica», delle aziende.
Pericoli evidenti
Il 13 aprile Donferri riscrive al ministero per «confermarvi che provvederemo al bando di prequalifica delle opere». Il dirigente si sente in dovere di premettere che tutta questa fretta è dovuta alla «strategicità dell’opera».
Nella mail del 28 febbraio lamentava il continuo «protrarsi dei tempi di approvazione» calcolando che andando avanti con quel ritmo «l’intervento non potrà essere in esecuzione prima del secondo semestre del 2019 o inizio 2020».
Il ponte è crollato molto prima: 14 agosto 2018, 43 vittime.
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 2nd, 2018 Riccardo Fucile
“IL PD SIA IL PRIMO PARTITO SUL WEB”
Il dibattito all’interno del Pd per la ricostruzione del partito continua sul palco di Cortona nella giornata conclusiva della convention di Areadem, la corrente di Dario Franceschini e Piero Fassino.
E oggi a intervenire è nuovamente Nicola Zingaretti, già al centro di polemiche interne ai democratici nei giorni scorsi per le sue critiche al modello elitario di Macron.
Questa volta il governatore del Lazio incita i dem al cambiamento, che si può attuare solo se si ha il coraggio di guardare in facca “il mostro” sconfitta.
Esorta la platea a fare del Pd il partito “più forte sul web”, sfidando apertamente il M5s. E sottolinea l’importanza di un “dialogo sociale con i corpi intermedi”.
D’altra parte l’ex responsabile del tesoro Piercarlo Padoan commenta l’intervista del neoministro dell’Economia Tria, che a Repubblica afferma di confidare in un calo dello spread: “Spero che Tria abbia ragione – dice Padoan – ma non sono ottimista. Siamo su una china pericolosa”.
Franceschini, invece, nel discorso di chiusura della tre giorni, spezza una lancia a favore delle correnti, che non rapprensentano il male del partito. E spinge per aprire il congresso subito.
“Voglio un partito che nella rete sia il migliore e il più organizzato per combattere la sua battaglia delle idee”, afferma con decisione Zingaretti, aprendo una sfida diretta ai cinquestelle che della Rete hanno fatto il principale mezzo di propaganda.
“Nuovo partito significa dialogo sociale con i corpi intermedi”, aggiunge, “il Pd ha bisogno di una nuova agenda, nuova organizzazione sociale e nuove alleanze, in Italia e in Europa”.
Poi si domanda: “Possiamo farcela? Io credo di sì, ne sono convinto, se cambiamo però e guardiamo in faccia il mostro e affrontando i motivi, la radice della nostra sconfitta senza subalternità e senza paure”. E nega ogni ipotesi di intesa con i cinquestelle: “Non voglio allearmi con il M5s, li voglio sconfiggere e parlare con chi ci ha abbandonato”.
Zingaretti ritorna anche sulla questione del nome del partito: “Lungi da me porre il tema, sono d’accordo con Gentiloni. Voglio fare il segretario del Pd, il resto sono caricature: denigrano chi esprime delle idee a prescindere dalle idee”.
Quanto alla situazione economica del Paese, Padoan aggiunge: “Il giudizio di Fitch era in qualche modo atteso. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che il livello del rating non è cambiato, ma la direzione di marcia è quella sbagliata dal punto di vista degli interessi del Paese. Siamo su una china pericolosa”.
Per l’ex ministro dell’Econoia i mercati “ci stanno dando ancora un po’ di credito: il rating di ieri significa ‘non mi piace dove stai andando, ma per adesso non ti punisco di più e aspetto’. Spero che il ministro Tria abbia ragione quando dice che lo spread si sgonfierà , ma non sono così ottimista: si sono persi 100 punti base solo alla lettura del programma di governo, non sono cose che tornano indietro”.
Per l’ex ministro della Cultura Franceschini, bisogna “finirla con questa retorica che le correnti sono il male del partito: le correnti – che noi chiamiamo area – sono luoghi di confronto, sono utili e sono sintomo del pluralismo tipico di un grande partito”. Poi ammette: “Se con un minimo di generosità avessimo candidato Paolo Gentiloni a premier, le cose sarebbero andate diversamente”. E avvisa: “I delusi dal governo dei populisti non torneranno indietro se non li convinciamo. Non torniamo a quel fastidiosissimo senso di superiorità morale, che dà fastidio a pelle, è uno dei mali della sinistra”.
Per Franceschini “si doveva fare di più per evitare la scissione”. Occorre un processo di rifondazione, quindi “congresso subito: devono partire le procedure e deve finire sufficientemente in tempo per preparare le Europee”. Che” saranno un referendum: Europa sì o Europa no?”. L’obiettivo del congresso è riorganizzare un partito largo, da Calenda a Lorenzin a Errani, con una vocazione maggioritaria. Che lavori “sulle contraddizioni tra Lega e M5S perchè cadano”.
L’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti tratteggia il ritratto del leader ideale: “Vorrei un leader che sa dialogare, ascoltare e capire, che non sia solipsista. Vorrei un leader gentile, perchè di leader muscolari l’offerta politica italiana ne ha anche troppi”.
(da “La Repubblica”)
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