Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
OPERAI ILVA DUBBIOSI SULL’INTESA RAGGIUNTA
L’onorevole Rosalba De Giorgi, eletta a Taranto per i Cinque Stelle, è stata fortemente contestata questa sera a Taranto dagli ambientalisti e dai rappresentanti dei movimenti e delle associazioni che nel centro cittadino hanno indetto un presidio di 24 ore per chiedere la chiusura dell’Ilva.
La manifestazione era programmata da giorni ma è coincisa oggi con la firma dell’accordo al Mise.
La parlamentare ha deciso di presenziare al sit in ma, appena i manifestanti e gli attivisti l’hanno vista, l’hanno circondata e insultata.
Le hanno gridato “Assassina”. La parlamentare, scortata dalla Polizia, ha dovuto rapidamente abbandonare piazza della Vittoria. La contestazione è stata molto forte.
Una serie di movimenti e associazioni ambientaliste attestate su posizioni radicali chiedono infatti lo stop all’Ilva e l’avvio della riconversione economica del territorio e non accettano l’accordo di oggi che invece, sia pure su basi nuove, assicura la continuità produttiva dell’acciaieria. La parlamentare è stata eletta nel collegio Puglia 10, il collegio camerale del capoluogo ionico, riportando circa 60mila voti di preferenze.
L’accordo divide gli operai, ambientalisti contrari: le reazioni.
L’accordo sull’occupazione tra Mittal e sindacati divide gli operai dell’Ilva, mentre il governatore pugliese Michele Emiliano annuncia che non darà il suo assenso sul piano ambientale “senza garanzie sulla salute dei miei concittadini”, e l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, parla “di buon punto di partenza per un nuovo corso che guardi al futuro facendo tesoro degli errori passati”.
La città è ancora lacerata dalle contrapposizioni e nel tardo pomeriggio è iniziato un sit-in di protesta, che durerà 24 ore, promosso da cittadini e associazioni che chiedono il rispetto del contratto di governo che annunciava chiusura delle fonti inquinanti e riconversione economica del territorio. In piazza della Vittoria, tra i tanti, campeggia uno striscione: “Taranto senza Ilva”.
Con la cessione dello stabilimento a Mittal, sostengono i promotori della protesta, si sta “condannando, di fatto, Taranto ad almeno altri 10 anni di inquinamento, malattia e morte”.
Per il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, invece, “alla fine ha prevalso il buon senso in tutti, la politica strumentale ha fatto un passo indietro”.
“In generale – ha aggiunto il primo cittadino – mi sembra di comprendere che in molti aspetti, al netto di qualche numero, l’accordo sia figlio della piattaforma che già avevamo contribuito ad allestire con il precedente ministro”. Il riferimento è alla gestione del dossier Ilva da parte dell’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.
In attesa di discutere l’accordo sindacale in assemblea, c’è chi, tra gli operai, ammette di non avere “tanta fiducia in Mittal.
Credo – afferma Piero, un lavoratore del reparto Grf (Gestione rottami ferrosi) – che rivivremo anni difficili, già vissuti con i Riva, se non peggio. Ma spero di sbagliarmi, forse il mio pensiero è dettato da quanto accaduto un passato”.
Un’ipotesi “di accordo molto penosa. Troppi dubbi – evidenzia un altro lavoratore – su tutto: io non sono per nulla contento. Comunque so già che sarò in netta minoranza al referendum. Pertanto non andrò neanche ad esprimere il mio parere”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
ANNUNCIO IMMINENTE, GLI AVVOCATI STANNO STUDIANDO COME SOTTRARRE I 5 MILIONI IN CASSA AL SEQUESTRO DEI BENI
Minaccia “l’ira dei giusti” sulla via che già da mesi ha studiato per bene con i suoi. Matteo Salvini è furioso per la decisione del riesame di Genova di accogliere il ricorso della procura sul sequestro dei beni della Lega per 49 milioni di euro, la cifra di rimborsi elettorali ‘spariti’ per cui sono stati condannati l’ex segretario Umberto Bossi, l’ex tesoriere Francesco Belsito e tre ex revisori dei conti.
La nuova via ‘studiata’ con Giancarlo Giorgetti e i fedelissimi è un nuovo partito: a breve, “annuncio imminente”, ci dicono autorevoli fonti leghiste.
Il nome? “Lega per Salvini premier” è dato come il più realistico. Perchè il nome ‘Lega’ non si tocca, è il mantra del segretario. Che è anche un modo per dire che non sarà un partito unico con Forza Italia.
Il nuovo partito “ci permetterà di sopravvivere”, dicono i suoi. E’ il modo per aggirare il sequestro disposto dai giudici, “altrimenti qualsiasi cosa mettiamo sui conti correnti ci verrà presa per affari di una Lega che appartiene al passato…”, si sfogano.
Del resto, “siamo costretti a chiudere”, è l’allarme lanciato da Giorgetti una settimana fa in vista della decisione del riesame arrivata oggi.
Ora che si è vista accogliere il ricorso, la procura di Genova dovrà rivolgersi al tribunale per avere il provvedimento con il quale procedere effettivamente al prelievo. I soldi verranno poi “congelati” nel Fug, il fondo unico della giustizia, in attesa che la sentenza di condanna di Bossi e Belsito diventi definitiva.
Ma se l’operazione ‘nuovo partito’ riesce ad arrivare in porto presto, i giudici rischiano di non riuscire a prendere ‘il malloppo’ che sarà in sicurezza nelle casse della nuova creatura politica, con tanto di nuovo simbolo che sarebbe già registrato in Gazzetta ufficiale.
Al momento nelle casse della Lega ci sono 5 milioni di euro.
E’ una manovra spericolata, in barba alle sentenze e al ruolo della magistratura. Zittisce anche l’alleato pentastellato, da Luigi Di Maio a Giuseppe Conte, esponenti di un Movimento da sempre vicino ai giudici. Eppure stavolta non dicono nulla.
Si premurano solo di assicurare che “non ci saranno conseguenze sul governo”. Nulla sulla scelta di Salvini e i suoi di giocare a ‘Bonnie and Clyde’ con i pm.
Il vicepremier leghista non demorde. Presto, il congresso fondativo.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
TEMETE L’IRA DEI GIUSTI? QUELLA LA DEVE TEMERE SALVINI, NON I GIUDICI CHE PERSEGUONO I LADRONI
Pugno di ferro se si tratta di punire mendicanti e disagiati. Vittimismo e attacchi ai giudici in pieno stile Berlusconi quando si tratta di restituire i soldi rubati agli italiani sotto la gestione di un tal Umberto Bossi che è talmente esponente della ‘vecchia’ storia della Lega da essere attualmente uno dei senatori eletti con la Lega alle ultime elezioni. Ossia Bossi è il passato solo quando fa comodo.
Il cartello che circola su Twitter mostra il volto sorridente del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Sopra l’avvertimento dai toni apocalittici: “Temete l’ira dei giusti” affiancato dal logo ‘prima gli italiani’.
Così, a poche ore dalla sentenza che ha confermato il sequestro dei 49 milioni di euro ala Lega, Salvini interviene nel dibattito e, se due giorni fa dichiarava di attendere con “serenità e curiosità ” oltre che “assoluto rispetto della magistratura”, oggi il vice presidente del consiglio dichiara, sullo stesso cartello: “Non ci fermeremo!”.
“Non ho nulla da rispondere. Non entro nelle polemiche. So solo che dalle 11.40 del 14 agosto stiamo lavorando senza sosta alle indagini per il crollo del ponte”.
Lo ha detto il procuratore capo Francesco Cozzi rispondendo al leader della Lega Matteo Salvini che, saputo del sì del tribunale del Riesame al sequestro dei beni della Lega, ha detto di sperare che la procura si impegni a lavorare sul crollo del ponte Morandi.
Sono sempre quelli che sventolano le manette per i più deboli, per i poveri, quelli che firmano decreti di sgombero dei senza casa, che poi frignano quando vengono beccati e devono restituire tutto”.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
AUMENTO DELLE PENSIONI MINIME, UNA PARVENZA DI REDDITO DI CITTADINANZA DOPO LE EUROPEE, RIDUZIONE LEGGERA DELLE ALIQUOTE FISCALI E DELLA SOGLIA PER ANDARE IN PENSIONE… MA BISOGNA TROVARE I SOLDI
La war room di Palazzo Chigi ha messo a punto il piano di battaglia in vista della legge di stabilità . Un piano che prevede una manovra i cui costi si aggirano intorno ai trentacinque miliardi. E che contiene, da subito, un pezzo di reddito di cittadinanza, la quota 100 sulle pensioni e i primi mattoni della flat tax.
Insieme a Giuseppe Conte (“Ci saranno tutte le misure qualificanti”, ha detto oggi il premier) si sono riuniti il ministro dell’Economia Giovanni Tria, quello degli Affari europei Paolo Savona e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti (in vece di Salvini).
Assente Luigi Di Maio, impegnato a perfezionare l’accordo sull’Ilva, sostituito da Laura Castelli, viceministro a via XX settembre.
Hanno messo a punto uno schema che prevede di far partire la misura simbolo del Movimento 5 stelle con una speso contenuta tra i 9 e i 10 miliardi (di cui poco meno di 3, come vedremo, già stanziati), l’introduzione di quota 100 per le pensioni per un ammontare di 8 miliardi, stima che si spera di ritoccare al ribasso, e un doppio fronte per aprire la strada verso la flat tax.
Da un lato l’introduzione dei regimi minimi per le partite Iva fino a 100mila euro, dall’altro un primo ritocco delle aliquote Irpef, con l’obiettivo finale di ridurle a due entro fine legislatura, per un costo totale stimato tra i 6 e i 7 miliardi.
Il tutto con una quindicina di miliardi già fissati, tra spese indifferibili e, soprattutto, sterilizzazione delle clausole di salvaguardia che scongiurino l’aumento dell’Iva.
Un quadro subordinato alla capacità di Tria da un lato a trovare le coperture adeguate, che Conte ha assicurato verranno trovate, e all’abilità politica dello stesso ministro dell’Economia ma anche del premier Conte di condurre quella che si prospetta come una complicatissima trattativa con l’Europa sui margini di flessibilità .
Con l’ex professore di Tor Vergata che, in tutto questo, continua a professare la necessità di tenere il rapporto deficit/Pil entro l’1,6%. Il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen ha oggi da un lato detto che le parole rassicuranti di Di Maio e Di Matteo Salvini “sono stati importanti per un’audience più vasta”, ovvero per i mercati.
Dall’altro che adesso Bruxelles si aspetta “impegni che tengano fede a quanto hanno detto”. Un sentiero tortuoso. Soprattutto per Tria, atteso già domani alla prova dell’Ecofin.
Ma andiamo con ordine.
I 5 stelle hanno sempre stimato il costo del reddito di cittadinanza intorno ai 16 miliardi. Per introdurlo si sono studiati tre step in successione nel corso del 2019. Il primo riguarda quelle che gli uomini di Luigi Di Maio chiamano le “pensioni di cittadinanza”.
Un innalzamento delle minime che costerebbe intorno ai due miliardi, che sarebbe effettivo dal primo gennaio.
Il secondo, che procederà di pari passo, riguarda la riforma dei centri per l’impiego. Costerebbe intorno ai due miliardi, ma si spera di poter attingere per circa la metà a risorse comunitarie.
Il completamento del secondo step avverrà nelle previsioni tra maggio e giugno. E solo allora scatterà l’introduzione del reddito vero e proprio.
Dei dodici miliardi necessari, ne servirebbero solo sei per coprire la seconda metà dell’anno. In parte già garantiti dai quasi 3 miliardi già previsti nel 2019 per il Reddito d’inclusione varato dal governo Gentiloni.
Secondo i calcoli, per raggiungere l’intera platea dei 9 milioni di beneficiari stimati, potrebbe mancare all’appello poco più di un miliardo, rendendo così necessario ritoccare lievemente le soglie d’accesso.
Per questo è allo studio un piano di anagrafe digitale, insieme al team guidato da Diego Piacentini. Anche perchè l’erogazione del reddito non avverrà tramite conto corrente, nè si vorrebbe ricorrere alla soluzione delle card, e si sta cercando un metodo alternativo.
Definiti i contorni di massima della riforma delle pensioni. Si stima un costo di 8 miliardi, ma se ne potrebbero rosicchiare forse un paio. L’idea, infatti, è quella di fissare a 64 anni d’età l’asticella minima per poter lasciare il lavoro, restringendo così i confini dei beneficiari.
Ambizioso il progetto sulla flat tax. La Lega dà per assodata, forse già nella nota di aggiornamento al Def, l’introduzione dei regimi minimi per le partite Iva fino a 100mila euro. Ma la parte sostanziale verte sulle aliquote Irpef. Oggi gli scaglioni sono cinque. Prevedono il 23% per i redditi fino a 15mila euro, il 27% per quelli tra i 15 e i 28mila, il 38% tra i 28 e i 55mila, il 41% dai 55 ai 75mila e il 43% dei 75mila in su. Il progetto è quello di ridurle a due entro fine legislatura, una del 21% e l’altra del 33%, per un costo stimato intorno ai 15 miliardi. Ma ci si muoverà per gradini successivi. L’idea potrebbe essere o di ritoccare al ribasso quelle esistenti, o di ridurle da subito a tre. Una del 21% per i redditi da 15 a 28mila euro, una del 38% per quelli da 28 a 75mila, mantenendo fissa al 43% quella per chi eccede da tale somma. Il pacchetto per l’anno prossimo avrebbe un impatto stimato tra i 6 e i 7 miliardi.
Il confine tra il wishful thinking e la realtà passa per un complicatissimo lavoro di quadratura delle coperture interne e per un braccio di ferro dagli esiti ancora incertissimi con Bruxelles.
Ma le cartine sono state spiegate sul tavolo, e gli obiettivi fissati sulla mappa. Per il bilancio finale della battaglia si dovrà aspettare dicembre.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
I DATI DEL VIMINALE LO SMENTISCONO: NEGLI ULTIMI 20 ANNI IL 32% DEI MIGRANTI SBARCATI NON HA PRESENTATO RICHIESTA DI ASILO PERCHE’ NON VOGLIONO RESTARE IN ITALIA…SONO ERITREI, SOMALI, SIRIANI E SUDANESI E SANNO CHE LA DOMANDA VERRA’ ACCOLTA ANCHE ALTROVE
I commenti del “leader del governo”, il ministro della Propaganda Salvini, sull’allontanamento volontario dai centri di accoglienza individuati dalla Cei di una parte dei richiedenti asilo della nave Diciotti, sono, come sempre, pillole di veleno introdotte nel dibattito pubblico sull’immigrazione per consolidare l’immagine negativa dei rifugiati e del diritto di asilo.
Salvini non sa, o fa finta di non sapere, che il fenomeno dell’allontanamento volontario determinato da varie ragioni, tutte peraltro note, è un fenomeno vecchio e molto consistente per alcune nazionalità .
Quanto sia consistente lo dicono i dati: dal 1997 al 2017 (cioè negli ultimi 20 anni) sono state presentate 728mila domande di asilo a fronte di 1.069.000 persone sbarcate. Quindi il 32% di loro non ha presentato domanda di asilo.
Questo non vuol dire che non sono bisognosi di protezione o d’accoglienza ma, più semplicemente, che non vogliono restare in Italia.
Una circostanza che il Viminale ha utilizzato, anche favorendo l’allontanamento delle persone (affinchè non pesassero sul nostro sistema d’accoglienza), a tal punto che l’Ue ha dovuto introdurre procedure e strumenti (gli hot spot) per impedire quelli che sono chiamati movimenti secondari interni, che disattendono il Regolamento di Dublino. Questa è anche la ragione per cui sono stati ripristinati i controlli in molte frontiere interne all’Ue, sospendendo per lunghi periodi gli accordi di Schengen e la libertà di circolazione, mettendo in discussione le basi della stessa Ue.
Tra le persone maggiormente coinvolte in questo fenomeno dei movimenti secondari ci sono proprio gli eritrei.
I dati del Viminale dicono che dal 2012 al 2017 gli eritrei sbarcati nel nostro Paese sono stati 113mila (parliamo quindi di persone identificate), ma quelli che hanno chiesto protezione in Italia nello stesso periodo sono meno di 16mila, ossia il 14% circa.
Anche tra i somali a fronte di circa 35mila sbarcati sulle nostre coste negli ultimi 6 anni, hanno presentato domanda di asilo poco più di 9.500 (circa il 27%).
Per non parlare dei siriani: su 62mila arrivati in Italia negli stessi anni, solo 5.800 hanno presentato domanda di asilo, ossia il 9%.
Il record è però dei sudanesi: su 30mila sbarcati in Italia, poco più di 1000, ossia il 4%, ha presentato domanda di asilo.
Stiamo parlando di Paesi dove sono in corso conflitti ben noti internazionalmente (Somalia e Siria), o una persecuzione che produce continue stragi (Sudan) o dove vige una dittatura feroce (Eritrea).
Tant’è che i richiedenti che provengono da quei Paesi si vedono riconosciuto il diritto di asilo nella quasi totalità dei casi. Si tratta cioè di richiedenti di asilo che sanno, fin dal loro approdo sulle nostre coste, che otterranno un titolo di soggiorno e l’accoglienza di cui hanno diritto.
Se abbandonano i luoghi dove sono destinati in Italia è, quasi sempre, per raggiungere parenti e amici in altri Paesi.
Ma anche perchè sanno che le garanzie e il welfare dei Paesi del Nord Europa sono molto più solide che da noi.
Sono uomini e donne consapevoli dei loro diritti, che rischiano anche di incorrere in un rinvio in Italia per l’applicazione del Regolamento di Dublino, pur di non raggiungere luoghi dove si sentiranno più protetti.
Altro che millantatori, finti perseguitati, come sostiene il ministro della Propaganda.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
LA PROCURA ORA POTRA’ RIVOLGERSI AL TRIBUNALE PER PROCEDERE AL PRELIEVO SUI CONTI
Nell’ennesima battaglia sui 49 milioni che la Lega deve restituire dopo la condanna in primo grado di Umberto Bossi, dell’ex tesoriere Francesco Belsito e dei tre ex revisori dei conti per truffa allo Stato in merito a rimborsi elettorali dal 2008 al 2010, gli avvocati della Lega, Luca Ponti e Roberto Zingari, di fronte al tribunale del Riesame di Genova avevano puntato su nuovi elementi per bloccare il sequestro.
In primis la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che a giugno aveva condannato lo Stato italiano per aver violato la proprietà privata abbattendo i celebri ecomostri di Punta Perotti.
Il tribunale però ha dato torto ai legali, stabilendo che “la sentenza della Grande Chambre di Strasburgo, che per sua prassi si pronuncia solo sul caso concreto senza stabilire principi di diritto validi in astratto, attiene a fattispecie completamente diversa (confisca di terreni come sanzione accessoria al reato di lottizzazione abusiva) da quella oggetto del presente procedimento (confisca diretta del profitto di una truffa) in quanto la prima ha carattere sanzionatorio equiparabile all’irrogazione di una pena, mentre quella in esame ha carattere restitutorio di un indebito arricchimento”.
Un’altra contestazione della Lega, che tramite i suoi avvocati ha invocato la sacralità di “diritti fondamentali denunciati dall’articolo 49 della Costituzione prevedendo le modalità di finanziamento, che sia pubblico o privato, ai partiti politici”, è stata bocciata dai magistrati genovesi.
Che scrivono in primis che “la confisca obbligatoria è finalizzata al fine certamente legittimo e conforme ai principi dell’ordinamento giuridico interno e sovranazionale che assicura allo Stato il profitto del reato ricercandolo ‘ovunque e presso chiunque'”.
E poi ricordano come “le parti civili del presente procedimento sono gli stessi organi costituzionali dello Stato (nella fattispecie il Senato e la Camera dei deputati)”.
Infine, scrivono sempre i giudici, “non solo non esiste alcuna norma che stabilisca ipotesi di immunità per i reati commessi dai dirigenti dei partiti politici, ma anzi esiste una precisa disposizione di legge che impone la confisca addirittura come obbligatoria nel caso in esame”.
A questo punto scatta l’iter per attuare il sequestro dei 49 milioni, con la Guardia di finanza di Genova già al lavoro.
Il tribunale seguendo l’ultima sentenza in merito della Corte di Cassazione dispone “il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta anche delle somme di denaro che sono state depositate o verranno depositate sui conti correnti e depositi bancari intestati o comunque riferibili alla Lega nord successivamente alla data di notifica ed esecuzione del decreto di sequestro preventivo emesso dal tribunale di genova in data 4 settembre 2017, fino a concorrenza dell’importo di 48.969.617 Euro”.
La procura dovrà rivolgersi al tribunale per avere il provvedimento con il quale procedere effettivamente al prelievo. Nel frattempo, però, la Lega può fare ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento del provvedimento.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
“IL MIO PIANO PREVEDEVA PIU’ OCCUPATI, 11.500 CONTRO I 10.700 ATTUALI E MENO AMMORTIZZATORI SOCIALI”… “LE GARANZIE SULL’ART.18 ERANO GIA’ PREVISTE E LA GARA ERA PERFETTAMENTE REGOLARE”
Nel giorno dell’Ilva Carlo Calenda giura che si congratula con Luigi Di Maio, senza polemica. “Ho visto che mi ha risposto in modo maleducato (“oggi non gli rispondo” aveva dichiarato il suo successore alle agenzie), ma va bene lo stesso. Bene che non abbia chiuso l’Ilva, come aveva promesso in campagna elettorale, bene che sia confermato il piano ambientale per Taranto, bene che i sindacati abbiano trovato l’intesa. Oggi per me è una giornata bellissima”.
E sull’ipotesi di illegittimità della gara l’ex ministro è tranchant: “Di Maio pubblichi il parere, oppure spieghi perchè oggi è diventato complice nel delitto perfetto di Calenda”.
Lei sostiene che il suo piano prevedeva più occupati. Dobbiamo pensare che i sindacati siano improvvisamente tutti impazziti?
“Per carità , non lo direi mai. I sindacati sono arrivati all’intesa in zona Cesarini. Il mio piano prevedeva che una parte dei dipendenti lavorasse per una società formata da Invitalia e gli enti locali di Genova e Taranto, e dunque prevedeva più lavoro, meno trattamenti con ammortizzatori”.
Ma sapevate che il sindacato non avrebbe mai accettato che i lavoratori uscissero dal perimetro di Ilva.
“Sapevamo che stavamo garantendo più occupazione: 10.000 assunzioni Mittal e 1.500 nella Newco. Faccio notare che Mittal da sempre sostiene di riuscire a produrre con 8.500, 9.000 lavoratori: oggi siamo davvero sicuri che di qui a 5 anni ne entreranno altri? Vedremo, me lo auguro”.
Difficile pensare che i suoi complimenti a Di Maio siano sinceri.
“Devo riconoscere che ci vuole coraggio a cambiare idea, ci vuole coraggio a prendere voti a Taranto promettendo la chiusura dell’impianto e poi fare l’intesa con Mittal. Per questo dico: bravo Di Maio”
Oggi si sente tradito da una parte del sindacato?
“No. Noi abbiamo fatto 32 incontri sull’Ilva. Alla fine abbiamo avanzato una proposta che era complicata da far accettare, in una situazione come quella. C’era chi voleva trattare, come Marco Bentivogli, chi preferiva passare la mano al nuovo governo. Legittimo, bene così”.
Il sindacato sostiene che le garanzie dell’articolo 18 e quelle sui livelli salariali non erano mai state ottenute.
“Ecco, su questo voglio essere chiaro. Loro hanno tutto il diritto di difendere questo accordo, ci mancherebbe altro. Ma non possono farlo raccontando balle. Le garanzie sui diritti, incluso l’articolo 18, e quelle sui livelli salariali c’erano. Forse qualcuno dimentica che la bozza dell’intesa è sul sito del Mise e quindi consultabile. Io la sto diffondendo via Tweet. Basta leggerla per verificare quello che sto dicendo. Quelle garanzie erano assicurate fin dal primo giorno in cui abbiamo aperto il tavolo”.
Ha qualcosa da rimproverarsi oggi sulla strategia che ha adottato in sede di negoziato?
“Assolutamente no. Sull’Ilva noi abbiamo fatto un lavoro enorme, contro molti soggetti, contro il Movimento 5 Stelle e persino contro Michele Emiliano (il quale mi pare sia sparito dopo aver protestato per la mancata convocazione al tavolo). Abbiamo fatto un percorso di successo: abbiamo trovato un soggetto pronto a investire, abbiamo tutelato l’ambiente, io come ultimo atto ho persino lasciato la cassa piena a Di Maio (uno stanziamento di 100 milioni per i commissari), che con quei soldi è riuscito a allungare per mesi la trattativa. Cosa dovevamo fare di più?”
Oggi il ministro insiste ancora sull’illegittimità della gara.
“E’ semplicemente ridicolo che continui ad arrampicarsi sugli specchi, sostenendo che la gara è irregolare ma che l’affidamento è irrevocabile per l’interesse pubblico. Intanto pubblichi il parere, come ha promesso, poi ne riparliamo. La verità è che lui ha dovuto cambiare idea, e si è dovuto fare complice del delitto perfetto di Calenda”.
Lei ha ringraziato i commissari e i tecnici del ministero (Simonetta Moleti, Enrico Laghi e Giampiero Castano). Pensa che in questa vicenda i tecnici abbiano superato il politico?
“I tecnici hanno superato il politico anche quando c’ero io come ministro. Sono persone eccezionalmente preparate, quel riconoscimento è riferito all’intera vicenda Ilva, non solo a questa ultima fase”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
“IL FUTURO DEL CENTRODESTRA E’ LIBERALE”… E ALLORA CHE COSA STAI A REGGERE LO STRASCICO A SALVINI?
“Continuo a leggere su molti giornali notizie sulla nascita di un ipotetico ‘Partito unico del centro-destra’. Non ho ritenuto neppure necessario smentirle, fino ad oggi, perchè la realtà dei fatti mi pareva sufficiente a renderne evidente l’assoluta mancanza di fondamento”.
Lo dichiara il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in una nota.
“Da mesi stiamo lavorando in tutt’altra direzione, per un rilancio, una riorganizzazione, un rinnovamento profondo di Forza Italia. Naturalmente la nostra prospettiva politica rimane il centro-destra, che anzi vogliamo far ripartire, ma abbiamo ben chiaro il nostro ruolo politico – ben diverso da quello di altre forze della coalizione – e soprattutto i nostri valori di riferimento, la nostra identità , la nostra storia orgogliosamente liberale, la nostra concezione dell’impresa come nucleo vitale della società , i nostri programmi che hanno dettato quello della coalizione con cui ci siamo presentati agli elettori pochi mesi fa”, aggiunge l’ex premier.
“Il tema del ‘partito unico’ semplicemente non esiste, non ne abbiamo mai neppure discusso, nè al nostro interno, nè con altre forze politiche: Forza Italia va avanti, perchè il futuro del centro-destra è un futuro liberale”.
(da agenzie)
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Settembre 6th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO CHE CANCELLAZIONE DELLA FORNERO CHE AVREBBE RIGUARDATO 750.000 LAVORATORI, ORA SIAMO PASSATI A 200.000
Nel contratto del governo del cambiamento tra Lega e MoVimento 5 Stelle la proposta di quota 100 serviva a garantire il superamento della Legge Fornero con un nuovo meccanismo per il pensionamento: bastava avere 62 anni e 38 di contributi (la somma di età e contribuzione faceva appunto 100) per andare in pensione.
Una proposta dal costo-monstre di 14 miliardi di euro per 750mila aventi diritto.
Una proposta che però sembra incompatibile con il nuovo corso della Lega, che improvvisamente ha cominciato a dire che bisogna rispettare i vincoli europei.
E infatti, già prima che Salvini venisse fulminato sulla via di Bruxelles, erano già spuntate una serie di proposte di modifica per alleggerire l’impianto complessivo di quota 100 e i suoi costi: la prima era il limite di età a 64 anni e 41 anni di contributi, che avrebbe portato a restringere la platea a 600mila persone e 11,5 miliardi di spesa complessiva.
Una seconda ipotesi invece prevede lo stesso limite ma con soglia di contributi a 43 anni e 5 mesi, proposta che dimezzava i costi e la platea.
Ora se ne affianca una terza che è l’unica parzialmente compatibile con una manovra complessiva di 10-12 miliardi (senza Iva): quella che introduce almeno altri due paletti. I contributi per calcolare quota 100 non possono tenere conto di più di 2 anni di versamenti figurativi (malattia, disoccupazione, ecc.) e inoltre chi va in pensione in anticipo deve sottostare al penalizzante ricalcolo della pensione con il metodo contributivo.
Qui i costi sarebbero di 3 miliardi (con 220 mila uscite), a meno che non si arrivi – come pure è stato ipotizzato – a sopprimere anche i finanziamenti per l’Ape sociale che di fatto consente alle categorie disagiate di lasciare il lavoro a quota 93.
In questo caso il cerchio si chiuderebbe: paradossalmente l’accesso alla pensione verrebbe reso ancora più difficile nel 2019 per almeno i 50 mila lavoratori che potrebbero beneficiarne.
(da “NextQuotidiano”)
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