Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
E’ LA DIMOSTRAZIONE CHE NON ESISTE ALCUNA INVASIONE, VISTO CHE LA META FINALE NON E’ IL NOSTRO PAESE… ANZI, DOVEVAMO ACCOMPAGNARLI ALLA FRONTIERA, MUNENDOLI DI UN PERMESSO D’ASILO TEMPORANEO, VALIDO IN TUTTA EUROPA
La polemica della sera è quella relativa al fatto che cinquanta migranti, sbarcati dalla nave Diciotti e trasferiti nel centro di Rocca di Papa, si sono allontanati .
In particolare, sei si sarebbero allontanati il primo giorno di trasferimento, cioè venerdì 31. A questi si aggiungono 2 eritrei destinati alla diocesi di Firenze che sono si sono allontanati il 2 settembre, altri 19 il cui allontanamento è stato riscontrato il 3 settembre, e 13 destinati a varie diocesi e spariti ieri. All’interno del gruppo, quattro si sono allontanati quando erano ancora a Messina.
Le persone che si sono allontanate si erano limitate a “manifestare l’interesse per formalizzare la domanda d’asilo”. Tutte erano state identificate con rilievi fotodattiloscopici e inserite in un sistema digitale europeo.
Per la legge, queste persone hanno libertà di movimento e quindi non sono sottoposte alla sorveglianza dello Stato, come precisa il Viminale, quindi dov’è il problema?
“È allontanamento volontario, non fuga”, precisa il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu. “Si fugge da uno stato di detenzione e non è questo il caso, nessuno vuole rimanere in Italia, si sa”.
“Queste persone – spiega Soddu – davanti ad una situazione di affidamento o prima o dopo avrebbero potuto scegliere di allontanarsi volontariamente” perchè la struttura che li accoglie non ha il compito di trattenerli.
I migranti che si sono resi irreperibili “potranno chiedere asilo ricominciando quella procedura che era stata avviata nelle nostre strutture, a partire dal centro di accoglienza straordinaria” Mondo Migliore.
In concreto: uno puo’ chiedere asilo e avviare la pratica in Italia o tentare di raggiungere altri Paesi dove spesso hanno parenti o amici cui appoggiarsi e che hanno ottenuto la regolarizzazione.
A dimostrazione che non esiste alcuna invasione del nostro Paese, dato che la destinazione finale è un’altra.
Se si è formato “un tappo” è grazie ai quei Paesi con governi razzisti che non hanno rispettato la ricollocazione fissata dalla Ue, Orban e compagni di merende di Salvini al seguito.
Se Renzi (e ora il prestanome Conte) avesse fornito loro un permesso di asilo temporaneo, accompagnandoli alle varie frontiere, molti sarebbero riusciti, prima o poi, ad attraversarle per raggiungere la meta ambita.
A quel punto l’Italia si sarebbe svuotata di almeno i due terzi dei profughi, invece che pietire gli altri Paesi di prenderne in carico una quota, ottenendo solo schiaffoni.
Il punto è semplice: solo l’anno scorso Francia, Svizzera e Austria ci hanno “restituito” circa 40.000 migranti. Con il permesso temporaneo avremmo potuto negare il rientro obbligato e sarebbero rimasti in carico degli altri Paesi europei.
Ovvio che a quel punto sarebbe scoppiata una polemica feroce con altri Stati, ma era la via da percorrere per dare una lezione a tanti governi che “ci hanno lasciati soli” e far esplodere le contraddizioni di un’Europa dove ci sono Paesi che prendono miliardi, si cuccano solo i diritti e non accettano i relativi doveri di solidarietà .
Era un’ipotesi concreta ventilata da Renzi e Minniti, salvo poi farsela addosso nel timore delle polemiche degli altri Stati europei.
Per fare una cosa del genere ci vogliono le palle, quelle che Salvini non ha, preferendo essere forte coi deboli e debole coi forti.
Lui preferisce le battutine sui 50 migranti “irreperibili” senza sapere che nessuno li obbliga per legge a rimanere in Italia o sugli “scheletrini” che da morti di fame ora hanno la forza di scappare.
Ci sono tanti maiali razzisti obesi, ma non per quello non riescono a raggiungere una pasticceria per rimpinzarsi di creme e pasticcini.
Non per questo esplodono.
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
TEORIE COMPLOTTISTE PER SCREDITARE I NEMICI E INFLUENZARE L’OPINIONE PUBBLICA: UNA RAFFINATA STRATEGIA DI PROPAGANDA ORGANIZZATA
Alzi la mano chi non ha creduto, almeno per cinque minuti, alla storia delle torri gemelle buttate giù dal governo degli Stati Uniti.
O chi invece ha dentro di sè il dubbio che le case farmaceutiche tengano chiuso in un cassetto il rimedio anti Aids.
Il tutto ovviamente pianificato nelle segrete stanze del circolo Bilderberg.
Potete abbassare le mani: non siete dei creduloni, ma semplicemente vittime di alcune delle tante teorie del complotto che girano in rete.
Perchè il cosiddetto complottismo non è il banale racconto di una serie di menzogne ma una raffinata strategia di propaganda per influenzare l’opinione pubblica nella sua capacità di comprendere l’attualità .
Umberto Eco ha fatto notare come le teorie complottiste siano uno strumento di potere utilizzato per screditare i nemici politici e alterare la fiducia delle popolazioni nei confronti delle loro classi dirigenti.
Se proviamo a pensare cosa sia successo dopo il 2008 riusciamo a comprendere a pieno le parole di Eco.
Dopo la crisi finanziaria dei mutui subprime è iniziata a circolare in rete una spiegazione sempre più virale e distorta dei fatti: gruppi occulti di potere bancario e politico avevano tramato alle spalle del popolo per arricchirsi a dismisura.
Tutto il post Lehman Brothers è stato raccontato come questa macchinazione delle èlite.
La crisi dei debiti sovrani europei, la dittatura dello spread, la Troika in Grecia sono stati identificati in rete come un complotto studiato a tavolino dalle classi dirigenti. Questo racconto manipolato si è fatto spazio all’interno di un contesto che ha visto il web diventare sempre più pervasivo nel settore dell’informazione grazie all’esplosione dei social network.
Le teorie complottiste hanno arato il terreno per la rottamazione dei tradizionali partiti e l’avvento di nuovi movimenti come gli Indignados, Occupy Wall street, Podemos, Movimento 5 telle e Lega.
In Italia queste due organizzazioni politiche sono quelle che nel tempo hanno costruito una forte narrazione dell’attualità ricorrendo a teorie complottiste.
Il sovranismo a trazione salviniana fa un ampio ricorso al racconto alternativo della realtà : le tradizionali istituzioni politico-economiche (partiti, europa, banche) sono continuamente descritte come centri di potere occulto che danneggiano il popolo. Lo slogan “Prima gli italiani” nasce da una narrazione che vede la comunità -nazione minacciata nei propri confini materiali ed identitari dagli immigrati.
La Lega ed il suo leader ci descrivono quotidianamente un’Italia sotto l’invasione di un altro popolo quando invece tutti gli indicatori ci dicono che i numeri degli sbarchi sono diminuiti e simili a quelli di altri paesi europei.
Per inoculare questo sentimento è stata impostata una propaganda che descrive il fenomeno delle migrazioni come un’invasione di massa pianificata da alcune organizzazioni internazionali per destabilizzare l’Italia.
Sulla fanpage di Matteo Salvini queste teorie vengono rilanciate in un video molto virale (oltre 700mila visualizzazioni) dal titolo “Ecco il piano segreto di Soros per finanziare l’invasione di massa pianificata”. Salvini parla dell’Ong Open society come di un’associazione nata per realizzare un’immigrazione incontrollata, l’apertura del mercato delle droghe e la ridiscussione degli stereotipi sulla famiglia e sui generi.
Il racconto delle èlite che finanziano l’invasione di massa pianificata tramite le Ong sono riprese e rilanciate da un network di pagine Facebook e blog – L’intellettuale dissidente, Oltre la linea, Il mondo nuovo, Giano bifronte, Il populista – che propugnano queste teorie come un copia e incolla.
I numeri generati da questi articoli, post e tweet valgono in termini di coinvolgimento di utenti online molto di più che articoli ed editoriali pubblicati dalla stampa nazionale.
In altri termini grazie all’esplosione dei social ed al loro appeal narrativo le teorie complottiste riescono ad essere più lette e condivise sulla rete di qualunque articolo scientifico. Sul quotidiano sovranista “Il populista” si arriva addirittura ad evocare, per il caso dei migranti sulla nave Diciotti, una regia occulta ordita “dall’altra parte del mediterraneo per mettere in crisi il governo del cambiamento”.
In tempi di fake news e post verità il racconto complottista ha trovato terreno fertile per mettere le radici all’interno dell’opinione pubblica digitale.
La narrazione semplicistica e alternativa della realtà – la sinistra radical chic amica dei migranti e nemica degli italiani, l’euro che ci ha reso schiavi dell’Europa delle banche — non sono più il racconto di qualche blog strampalato ma sono ormai diventati il pensiero mainstream in larghi strati della popolazione italiana.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
ADDIO ALIQUOTA PER TUTTI AL 15%
La flat tax, sì, ma solo per le partite IVA. E sarà una flat tax “flessibile” visto che potrebbe arrivare ad avere ben tre aliquote.
Il governo gialloverde sembra aver capito l’antifona dei mercati e dell’Europa e dimostra di non avere alcuna intenzione di provocare una crisi dello spread e un autunno caldo: e l’atteggiamento della Lega nei confronti delle trattative per la Legge di Bilancio ne è una spia chiarissima.
E infatti la promessa da campagna elettorale di un’aliquota unica e di un taglio di tasse generalizzato per tutta la platea dei contribuenti si sta lentamente trasformando in un sistema a tre aliquote (e già fa ridere chiamarlo flat tax) per imprese (con possibile esclusione delle società di capitali) e professionisti con ricavi fino a 100mila euro e che il sottosegretario all’Economia Massimo Bitonci traduce nel 5% per le start up, 15% per chi ha ricavi fino a 65mila euro e 20% per quelli fino a 100mila euro di fatturato. Un sistema leggermente diverso dal 15% per tutti i contribuenti nella tassa unica promessa in campagna elettorale, e il Sole 24 Ore spiega anche come sarà coperta:
A sostenere la misura dovrà contribuire la pace fiscale che spazia dal pre-accertamento agli accertamenti veri e propri con il rilancio del contraddittorio tra Fisco e contribuenti, comprese le liti fiscali pendenti e la riscossione con la definitiva rottamazione del magazzino della ex Equitalia.
A completare il quadro anche una terza versione della voluntary disclosure sul contante e le cassette di sicurezza. Non solo. Nel vertice di ieri della Lega al Viminale il menù delle proposte fiscali per la manovra di Bilancio è stato arricchito con il rilancio della web tax sul money transfer.
La filosofia della retromarcia responsabile l’ha enunciata Salvini martedì: «Non posso pretendere che l’anno prossimo tutti paghino il 15 per cento, ma nella manovra ci sarà un primo passo, tanti artigiani e tanti professionisti pagheranno meno tasse». Tutto per 3 miliardi.
Ma non finisce mica qui. Racconta infatti Repubblica che la terza retromarcia di fronte all’elettorato gialloverde sta avvenendo sulle pensioni: lo smontaggio della Fornero completo sarebbe costato 14 miliardi, da settimane si parla invece di quota 100, con il limite di una età anagrafica di 64 anni e almeno 35 anni di contributi, con un costo che scende a 3-4 miliardi.
L’ambiguo senso dei gialloverdi per la spesa pubblica, emerge anche dall’introduzione sempre più frequente nei lori interventi della parola “coperture”.
Si parla di tagli lineari selettivi dell’1-2 per cento per 3-5 miliardi, si punta ad un intervento una tantum sulle pensioni più alte, sopra i 5 mila euro, per recuperare mezzo miliardo, si lavora alla rottamazione (dai 2 ai 6 miliardi).
L’ecatombe delle promesse elettorali si stava già verificando da mesi: indimenticabile la sceneggiata di Salvini in campagna elettorale sul taglio delle accise da fare al primo consiglio dei ministri, mentre anche il reddito di cittadinanza del MoVimento 5 Stelle potrebbe seguire la stessa sorte.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
“OGGI PIU’ CHE MAI E’ PERICOLOSO IL SONNO DELLA RAGIONE CHE GENERA MOSTRI”
Pubblichiamo la lettera di una professoressa, Antonella Botti, che esprime preoccupazione per la piega odierna del dibattito politico
Non ho vissuto l’età dei totalitarismi, l’età della morte del pensiero critico ma oggi più che mai posso considerare quanto sia pericoloso il sonno della ragione. Nell’età del ritorno dei Malvolio di montaliana memoria un semplice prendere le distanze non può bastare, non è piu possibile una “fuga immobile” anzi può rappresentare una scelta immorale, un disimpegno colpevole. Oggi non è più tempo di tacere, è tempo di prendere una posizione perchè ogni esitazione potrebbe mettere a rischio le grandi conquiste culturali del secondo dopoguerra. La cooperazione internazionale, la democrazia, l’integrazione, la tolleranza non possono essere valori negoziabili.
Quello che maggiormente preoccupa non è il ristretto e circoscritto disegno politico di Salvini ma la constatazione dei consensi numerosi che colleziona, non è di Di Maio che mi preoccupa e del suo serbatoio di voti “protestanti”, ma la constatazione che la protesta sinistroide abbia consegnato il paese ad una destra becera e livida e che una larga fetta anche di intellettuali non si sia resa ancora conto che si è prostituita alla peggiore delle destre, non a quella progressista e europeista, ma alla destra razzista e violenta di Salvini.
Ad una destra incapace di cogliere i segni del tempo, incapace di progettare un mondo di uomini in grado di vivere insieme pacificamente nella consapevolezza che ogni vero progresso raggiunge la sua pienezza col contributo di molti e con l ‘inclusione di tutti, seguendo l’insegnamento terenziano alla base della nostra cultura occidentale: “Homo sum humani nihil a me alienum puto”
Appartengo al mondo della formazione, sto, pertanto, in trincea a contatto con una generazione vivace, intelligente, elettronica e “veloce” che “vivendo in burrasca” rischia di precipitare nel baratro dell’indifferenza o, nella peggiore delle ipotesi, dell’intolleranza, dell’aggressività pericolosa e ignorante.
Questi stessi giovani, invece, meritano di essere salvati, meritano una cultura in grado di coniugare pathos e logos, una cultura che percepisca l ‘uomo come fine e non come mezzo, che consideri l'”altro da sè” una risorsa importante giammai una minaccia
Nell’età delle interconnessioni non c ‘è niente di più assurdamente anacronistico dei muri e dei silenzi colpevoli. È solo nelle DIVERSITà€ che si può cogliere il vero senso della BELLEZZA e l’essenza di un impegno costruttivo che non è mai discriminante ma sempre inclusivo, totalizzante e interdipendente.
Non è neanche questione di destra o di sinistra, di rosso o nero ma il problema è, soprattutto, di carattere culturale.
La vera emergenza è quella di costruire un argine contro ogni forma di populismo, contro la xenofobia, contro i nuovi razzismi in nome di una società civile che riparta dall’UOMO, non prima dall’uomo Italiano, nè come in passato prima dall’uomo della Padania, ma dall’UOMO in quanto umanità È necessario che in ogni campo sia politico che economico, culturale e sociale non si perda mai di vista l’uomo, la sua dignità , il suo inestimabile valore e, al di là di ogni faglia e filo spinato, lo si consideri il fine ultimo di ogni progetto.
INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI, c’è molto da fare, a partire dalla formazione scolastica. Se uniti si costituirà una forza inarrestabile, la forza della cultura, la sola che possa costituire un argine autentico contro la deriva pericolosa del populismo e della miseria, principalmente di quella della mente e dello spirito.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
“GLI OPERAI UN TEMPO ERANO SOLIDALI TRA LORO, OGGI INVECE I POVERI SI ODIANO A VICENDA. ED E’ QUI LA SFIDA”
Il regista britannico Ken Loach, 82 anni, è una delle voci cinematografiche più celebri del nostro tempo e uno dei pochi registi a cui è stata assegnata la Palma d’oro due volte.
Artista da sempre impegnato, si occupa spesso di temi sociali e politici. La sua opera ha abbracciato la guerra civile spagnola (“Terra e libertà ”, 1995), lo sciopero dei bidelli di Los Angeles (“Il pane e le rose”, 2000), l’occupazione dell’Iraq (“L’altra verità ”, 2010), la guerra d’indipendenza irlandese (“Il vento che accarezza l’erba”, 2006) e il lato coercitivo – quasi disumano – dello stato sociale che non c’è più (“Io, Daniel Blake”, 2016).
Se oggi la “rivolta populista” ha innescato un ampio dibattito sul ruolo delle disuguaglianze economiche e dell’esclusione sociale, Ken Loach è stato uno dei più grandi narratori della coscienza della classe operaia e della sua graduale trasformazione nei decenni del neoliberismo.
Il colloquio è stato registrato durante le riprese di “Demos” un documentario internazionale di prossima uscita, girato dal regista italiano Berardo Carboni, in cui l’autore di questa intervista attraversa l’Europa alla ricerca dei germogli di un’alternativa politica ed economica in occasione del decimo anniversario dalla crisi finanziaria del 2008.
Loach, stiamo attraversando un momento di grande trasformazione geopolitica e di disorientamento globale. Il suo lavoro è sempre stato considerato politicamente impegnato: quale pensa possa essere il ruolo che la creatività può svolgere in un momento come questo
«In generale penso che nell’arte si abbia solo la responsabilità di dire la verità . Ogni frase che inizia con “l’arte dovrebbe” secondo me è sbagliata perchè si basa sull’immaginazione o la percezione delle persone che scrivono o dipingono. Penso ci siano diversi ruoli che l’arte può svolgere. Uno di questi è affermare i principi fondamentali del modo in cui le persone possono vivere insieme. Il ruolo di scrittori, intellettuali e artisti è quello di considerare i principi fondamentali. Si tratta di portare una visione di lungo periodo della storia, della lotta. E anche se potrebbe essere necessario fare un ritiro tattico, è importante essere consapevoli che si tratta pur sempre di un ritiro, mentre i principi fondamentali sono quelli che dobbiamo tenere a mente. Questo è qualcosa che possono fare coloro che non sono coinvolti nel logorio della politica quotidiana».
Nel suo lavoro l’elemento umano non appare semplicemente come un’illustrazione della teoria, ma incarna e diventa realmente il politico. L’arte ha il potere di dimostrare che, alla fine, ci sono persone reali dietro ai grandi processi economici e politici?
«La politica vive nelle persone, le idee vivono nelle persone, vivono nelle lotte concrete che le persone fanno. Determina anche le scelte che abbiamo – e le scelte che abbiamo a nostra volta determinano il tipo di persona che diventiamo. Il modo in cui interagisce una famiglia non è un concetto astratto di madre, figlio, padre, figlia, ma ha a che fare con le circostanze economiche, il lavoro che svolgono, il tempo che possono trascorrere tra loro. L’economia e la politica sono legate al contesto in cui le persone vivono, ma i dettagli di quelle vite sono molto umani: spesso molto divertenti o molto tristi – e in generale pieni di contraddizione e complessità . Per gli scrittori con cui ho lavorato e per me il rapporto tra la commedia personale del quotidiano e il contesto economico in cui quella vita si svolge è sempre stato molto significativo».
È chiaramente una relazione dialettica: il cambiamento economico trasforma il comportamento umano e il comportamento umano, soprattutto attraverso l’azione collettiva, trasforma le relazioni economiche.
«Pensi a un lavoratore. La sua famiglia funziona o cerca di funzionare, ma individualmente non ha forza perchè non ha potere. È semplicemente una pedina di una determinata situazione. Ma penso che il senso di forza collettiva sia qualcosa di molto importante. È qui che diventa difficile. Non è facile raccontare una storia in cui la forza collettiva è immediatamente evidente. D’altra parte, è spesso rozzo e sciocco finire ogni film con un pugno nell’aria e un appello militante all’azione. Questo è un dilemma costante: come si fa a raccontare la storia di una famiglia operaia, tragicamente distrutta dalle circostanze economiche, ma senza abbandonarsi alla tristezza e all’impotenza?
C’è infatti una componente di speranza anche in un film sostanzialmente cupo come “Io, Daniel Blake”. C’è la resilienza di una solidarietà umana, i poveri che si aiutano a vicenda, la gente che applaude quando Daniel Blake scrive sul muro del centro per l’impiego.
Insomma, una resistenza verso la mercificazione della vita umana. Forse è un punto da cui partire.
«Sì e questo è qualcosa che i commentatori borghesi non comprendono: i lavoratori non smettono di mettere in questione il sistema, di farsene gioco. Nelle trincee e in guerra c’è una commedia amara ed è qui che vediamo il senso di resistenza, anche nei luoghi più bui. E poi c’è la solidarietà , il sostegno reciproco e la generosità di spirito. Ad esempio, qui in Gran Bretagna abbiamo avuto una crescita vertiginosa delle “food banks”, i supermercati popolari dove viene fornito cibo gratuito. In “Io, Daniel Blake”, quando la donna distribuisce il pacco di cibo a una donna che non ha niente, non dice “ecco il tuo cibo caritatevole”, ma dice “posso aiutarti con i tuoi acquisti?”. Ma se da un lato c’è questa generosità , dall’altro c’è lo Stato, che spesso si comporta nel modo più crudele possibile, sapendo che sta spingendo le persone alla fame. Le nostre società sembrano un Giano bifronte. La società capitalista si trova in questa situazione schizofrenica e dipende da noi organizzare la solidarietà ».
Spesso sembra infatti che l’alienazione economica si sia trasformata in un’alienazione verso il nuovo volto dello Stato: uno Stato che non protegge più, ma che punisce soltanto. Pensa che questo sia parte di fenomeni come l’ascesa del nazionalismo, della xenofobia, persino della Brexit?
«Sì, credo che l’umore che il populismo di destra realmente indica sia un fallimento della sinistra, in modo simile a quanto avvenuto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, qui in Europa. I partiti di destra entrano in scena con una risposta molto semplice: il problema è il tuo vicino, il tuo vicino è di un colore diverso, il tuo vicino cucina cibi che hanno un odore diverso, il tuo vicino ti prende il lavoro, il tuo vicino entra in casa tua. Il pericolo è che questa retorica sia sostenuta dalla stampa di massa, dalle televisioni, dai media vecchi e nuovi».
Il suo lavoro ha sempre investigato la solidarietà fra lavoratori. Ma come è cambiata questa solidarietà di classe? Ha vissuto di persona la transizione dal capitalismo sociale del dopoguerra all’arrivo e trionfo del neoliberismo. Come ha visto la solidarietà trasformarsi in questo periodo
«La cosa più importante è stata la riduzione del potere dei sindacati. Negli anni Cinquanta e Sessanta erano forti perchè le persone lavoravano in organizzazioni sociali come fabbriche, miniere o porti e a quel punto era più facile organizzarsi. Ma quelle vecchie industrie sono scomparse. Oggi le persone lavorano in modo molto più frammentato. E se è vero che siamo più forti quando siamo in grado di fermare la produzione, se non siamo organizzati al punto di produzione siamo sicuramente più deboli. Il problema è che la produzione è ora molto frammentata e con la globalizzazione la nostra classe operaia è sparsa fra Estremo Oriente e America Latina».
I lavoratori di Deliveroo o Foodora su una bicicletta potrebbero non considerarsi nemmeno lavoratori.
«Sì, o aprono un franchising, o sono cosiddetti lavoratori autonomi. È un problema enorme. È una questione di organizzazione per la nuova classe operaia».
Pensa che il concetto di classe abbia ancora senso? Molte persone non si considerano classe operaia anche se sono poveri…
«Credo che la classe sia fondamentale. Semplicemente, cambia forma seguendo le richieste di capitale per un diverso tipo di forza lavoro. Ma ancora di forza lavoro si tratta. E viene ancor sfruttata, e sta ancora fornendo valore aggiunto, anche più di prima. Se non capiamo la lotta di classe non capiamo nulla».
È una delle grandi sfide di oggi: far ripartire una dinamica di conflitto partendo da un popolo frammentato che non si concepisce come parte dello stesso gruppo.
«È una sfida per la nostra intelligenza. Mi ricorda una storia divertente. Recentemente stavo parlando con alcune persone molto gentili in Giappone e insistevo sulla necessità di capire la classe e il conflitto. Una donna molto gentile mi ha detto: “Mostreremo il tuo film ai funzionari del governo giapponese”. Le ho chiesto il perchè. E lei: “Beh, per fargli cambiare idea”. Al che ho risposto: “Ma questo è il punto che ho appena fatto! Non cambieranno idea, si impegnano a difendere gli interessi della classe dirigente. Non devono essere persuasi, devono essere rimossi!”. È un punto molto difficile da affrontare quando l’idea di far funzionare il sistema è così profondamente radicata. Questa è una delle terribili eredità della socialdemocrazia che dobbiamo combattere».
Si tratta di una forma efficace di controllo sociale, quando i tuoi sottoposti credono di poterti parlare e che tu prenderai in considerazione le loro preoccupazioni.
«Per questo motivo dobbiamo rilanciare l’intera idea di richieste transitorie. Dobbiamo avanzare richieste che siano assolutamente ragionevoli ma che siano basate sugli interessi della classe lavoratrice e che quindi non possano venire accettate. Così si possono smascherare».
Ad esempio, chiudere i paradisi fiscali sembrerebbe una richiesta molto ragionevole
«Esatto, ma non lo possono fare!».
Una volta lei si è candidato per le elezioni del Parlamento europeo…
«L’avevo dimenticato».
Qui in Inghilterra l’Europa non è mai stata molto dibattuta come ora, dopo la Brexit. Pensa che vi siano ancora speranze di costruire una democrazia transnazionale o che sia troppo tardi
«Non conosco la risposta. Tuttavia, ritengo che la solidarietà internazionale sia chiaramente importante. Non so se può essere organizzata in Europa. La struttura dell’Unione europea è davvero così difficile, è difficile capire come introdurre il cambiamento senza fare tabula rasa. Ogni cambiamento deve essere approvato da ogni governo e sappiamo tutti quanto sia difficile la fattibilità di tale processo. Chiaramente, abbiamo bisogno di un’Europa diversa, basata su principi diversi: sulla proprietà comune, sulla pianificazione, sulla sostenibilità e in generale sul lavoro per l’uguaglianza. Ma non possiamo farlo mantenendo al centro il profitto e l’interesse delle grandi aziende. Effettuare tale cambiamento va oltre le mie capacità . Yanis Varoufakis mi assicura che può essere fatto. Sono sicuro che ha ragione. Mi fido di lui, ma non so come».
(da “L’Espresso”)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
TUTTI GLI ERRORI CHE COSTANO CARO AI CONTRIBUENTI
ATAC è in fiamme, non solo in senso figurato, ma anche nel vero e proprio senso della parola. Da inizio anno il numero di “Flambus”, autobus andati a fuoco e non recuperabili è aumentato del 71 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017.
Un dato che indica come la situazione stia peggiorando. Tuttavia non era difficile aspettarsi qualcosa del genere, dato che la Giunta Raggi ha fatto il concordato, ma non ha pensato di fare dei cambi operativi.
Anzi, l’azienda ha deciso di aumentare i costi, assumendo nuovo personale (secondo il piano del concordato), e la Giunta Raggi ha fatto un bando per gli autobus nuovi andato tristemente deserto
Quel concordato che di fatto ha accollato ai contribuenti romani la ristrutturazione di un’azienda fallita, che spende il doppio per il suo personale rispetto a quanto guadagna da tutti gli introiti da biglietti e abbonamenti.
E la soluzione populistica per aumentare gli introiti da biglietti? Aumentare il costo del personale.
La soluzione, adottata su un singolo autobus, era stata infatti quella di mettere dei tornelli sull’autobus e altre due persone che controllavano il tornello. Come se la gestione dei costi fosse sconosciuta.
Un dato interessante è quello che ATAC avrebbe fatto un utile nel primo semestre dell’anno. Molto semplice da spiegare: basta diminuire il numero di corse in maniera continua e mantenere sostanzialmente stabili i sussidi da parte degli Enti Pubblici.
E le corse degli autobus, dopo un 2017 tragico, sono diminuite ancora di più nel 2018. Nei primi quattro mesi (mancano dati aggiornati), la caduta rispetto al contratto di servizio con il Comune di Roma è stata di oltre il 16 per cento, contro il 13 per cento del 2017.
Mentre i sussidi che nel complesso valgono circa 700 milioni di euro l’anno. ATAC potrà anche riuscire ad avere un grande utile in futuro: basterà non fare circolare più del tutto gli autobus
Oltretutto, grazie al concordato, gran parte dei costi sono stati messi nella gestione fallimentare e quindi a carico dei cittadini romani onesti che pagano le tasse. Cosa sarebbe da fare invece per ATAC? In primo luogo è necessario ridurre i costi operativi.
Qualunque famiglia sa che se le proprie spese sono doppie rispetto alle entrate, prima di tutto deve cercare di ridurre le spese e non sperare di vincere alla lotteria per aumentare le entrate.
E quali sono le spese principali di ATAC? Il Carburante? No, quello vale il 3 per cento dei costi totali. Quale è allora il costo principale? Manco a dirsi, il costo del personale che vale quasi il 50 per cento dei costi totali.
ATAC ormai opera molte meno vetture chilometri di ATM a Milano, ma con oltre 2000 dipendenti in più.
È chiaro che ci vorrebbe la volontà politica per fare questo (tagliare il personale inutile), ma la Giunta ha detto chiaramente tramite il concordato che vuole assumere nuovo personale.
Il costo per vettura chilometro (indicatore principe nel settore del trasporto pubblico locale) è in continua crescita per ATAC e ormai quasi 3 volte i migliori casi europei e del 50 per cento superiore a Milano.
Il secondo punto per i romani è quello di avere un servizio decente a dei costi che siano inferiori. E questo è fattibile tramite una gara di assegnazione del servizio seria e trasparente, con un’authority in grado di controllare, in modo da ridurre gli sprechi che i cittadini onesti pagano ogni anno con le loro tasse.
Una gara trasparente che, grazie alla democrazia diretta, sarà raggiungibile tramite il referendum che la Giunta Raggi è stata obbligata a fare a novembre, dopo un rinvio che è costato molti altri soldi al contribuente onesto romano.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
UNA CAPITALE DA INCUBO TRATTEGGIATA NELL’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO AMERICANO
Una città sporca in preda a gabbiani di dimensioni sproporzionate, attratti dai rifiuti lasciati in giro, che minacciano gli stessi cittadini: è una Roma da incubo quella descritta dal New York Times che alla Città Eterna e ai suoi nuovi ‘inquilini’, prepotenti e aggressivi, ha dedicato un articolo.
Come sottolinea il prestigioso quotidiano, “i romani per anni si sono lamentati del degrado della loro città : le buche, i bus che vanno a fuoco, i parchi maltenuti e la spazzatura non raccolta, che appesta le strade e intasa il fiume”.
“Ma i gabbiani non si lamentano degli spazi incolti e del cibo gratuito”, ha sottolineato il New York Times, ricordando di quando l’amministrazione capitolina guidata da Virginia Raggi fece arrabbiare gli abitanti della città pubblicando sulla pagina Facebook del Campidoglio “una foto di un gabbiano trionfante sul Foro romano”.
Ai post irati degli utenti, l’amministrazione rispose facendo marcia indietro, scusandosi e sostituendo l’immagine con le sue procedure “per ridurre i gabbiani in città “.
Il quotidiano cita tra le cause della loro presenza nella Capitale la discarica di Malagrotta. “Era la più grande in Europa, fino a quando le autorità non decisero che non era adatta per trattare i rifiuti. Dalla sua chiusura nel 2013, la spazzatura non raccolta di Roma ha rimesso tutto in moto. Il Vaticano ha aggiunto rare prelibatezze al menu”, prosegue l’articolo, ricordando quando un gabbiano attaccò e uccise le colombe lanciate dal palazzo apostolico in occasione della preghiera per la pace in Ucraina nel gennaio 2014.
Nonostante la repulsione che possono provocare – “cibandosi di rifiuti, puzzano come la spazzatura” – e la paura che trasmettono – “possono staccarti una mano con una beccata”, dicono testimoni intervistati – “per i gabbiani è solo la legge della selezione naturale”: “Non si possono incolpare perchè seguono il loro istinto di proteggere i loro piccoli e apprezzano le strade all-you-can-eat” di Roma, conclude l’articolo.
(da agenzie)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
A TARANTO EMERGE LA SOLITA CONTRADDIZIONE DEL M5S E LA BASE PENTASTELLATA LOCALE PARLA DI TRADIMENTO… MITTEL E SINDACATI PRONTI ALL’ACCORDO CON LA BENEDIZIONE DI DI MAIO
Dalle 14 di oggi sindacati, commissari dell’Ilva, Arcelor Mittal e Governo si incontrano al Mise per cercare la stretta finale al negoziato sul definitivo passaggio della società dall’amministrazione straordinaria al nuovo investitore.
Il tempo è agli sgoccioli: il 15 settembre scade la proroga ai commissari e a fine mese l’Ilva, che già perde un milione al giorno, finisce i soldi in cassa.
Attorno al tavolo, oltre alle sigle metalmeccaniche, anche quelle di altre organizzazioni come trasporti e chimici essendo comprese nel perimetro Ilva, e quindi soggette a cessione, anche aziende diverse come Taranto Energia, le cui centrali sostengono l’approvvigionamento energetico del sito di Taranto, o Ilva servizi marittimi, che gestisce la flotta delle navi per il trasporto delle materie prime. È evidente però che il focus sia tutto sulla capogruppo Ilva.
Per la rilevanza strategica dell’azienda, per il suo impatto ambientale e occupazionale, per i numeri in gioco.
Nessuna delle parti in causa dichiara ottimismo, anche perchè ci sono ancora diversi nodi da sciogliere, tuttavia c’è cauta fiducia. Secondo fonti vicine al dossier, la “quadra” potrebbe arrivare con una ridefinizione degli impegni ambientali di Mittal su Taranto e con un aumento di alcune centinaia di unità del numero di addetti che lo stesso Mittal dovrà assumere.
La partita si gioca su questo terreno sia perchè il ministro Luigi Di Maio, che sta gestendo il caso da metà giugno, ha sinora reputato non adeguata alle aspettative del Governo l’offerta ambientale e occupazionale di Mittal, sia perchè al doppio miglioramento, Di Maio ha subordinato la tutela del pubblico interesse.
Che è l’aspetto che non deve venir meno se si vuole mantenere l’aggiudicazione dell’Ilva a Mittal attraverso la partecipata Am Investco dopo che Di Maio, forte dei pareri dell’Autorita Anticorruzione e dell’Avvocatura dello Stato, ha dichiarato che la gara conclusasi a giugno 2017 è illegittima.
Ma l’illegittimità , ha subito spiegato Di Maio, non basta a far annullare la gara; occorre che ci sia anche una ragione concreta di pubblico interesse. E questo pubblico interesse si può ancora salvare se con Mittal si definisce un’intesa avanzata proprio sul risanamento ambientale e sui posti di lavoro.
Sul primo punto, Mittal ha rafforzato gli impegni a suo carico in relazione al contratto di aggiudicazione sottoscritto con i commissari un anno fa.
Rispetto a quest’avanzamento, ci potrebbe essere una riduzione ulteriore delle tempistiche di alcuni interventi in modo che la messa in sicurezza ambientale di tutto il sito sia la più accelerata possibile e si concluda prima del 2023.
Che è la data ultima stabilita nel Dpcm di settembre 2017 relativo all’Autorizzazione integrata ambientale. Intanto, è stato già valutato positivamente dai sindacati l’avanzamento dei lavori relativi alla copertura dei parchi minerali, che, sotto il profilo della lotta alle emissioni e al contrasto alle polveri, è tra gli interventi più significativi.
Lunedì i sindacati hanno effettuato un sopralluogo all’area di cantiere della copertura parchi minerali e riscontrato che, dopo l’avvio a febbraio scorso, una serie di opere preliminari sono già state costruite, comprese le quattro grandi torri che reggeranno l’enorme copertura ad archi che sarà in acciaio prodotto dalla stessa Ilva, costo dell’opera circa 300 milioni.
Sull’occupazione, Mittal non ha ancora esplicitato una proposta nuova.
Ufficialmente sarebbe quindi ancora fermo ai 10mila assunti, massimo 10.100, numero considerato inadeguato da sindacati e Governo.
Ma è anche vero che la multinazionale nelle scorse settimane si è detta disponibile a trovare una soluzione soddisfacente per tutti a condizione, però, di non compromettere il conto economico dell’intera operazione.
E allora può essere possibile che l’asticella degli occupati sia portata a 10.500-10.700, magari non tutti subito, ma in due tranche. In questo modo, essendo meno di 14mila tutti gli addetti Ilva, i circa 2.500 o più che rimarrebbero fuori, verrebbero gradualmente avviati ad un piano di esodi volontari, agevolati e incentivati.
Ci sarebbe un bonus di 100mila euro lordi a testa. In ogni caso, sin quando non ci sarà il passaggio a Mittal o l’uscita anticipata volontaria, ci sarebbe la copertura della cassa integrazione straordinaria.
Ma un accordo con Mittal potrebbe avere contraccolpi politici, visto che a Taranto molti movimenti ambientalisti, che hanno votato Cinque Stelle a marzo, vogliono la chiusura dell’Ilva e sulla stessa linea è anche la base pentastellata locale.
C’è infatti da settimane un pressing sui social. Si parla di «tradimento del mandato elettorale» e per domani sera diversi movimenti hanno indetto nel centro di Taranto un nuovo presidio di protesta.
Presidio “no stop” cittadini: «Fabbrica va chiusa»
Singoli cittadini di Taranto, sostenuti da associazioni, medici e comitati, organizzano un sit-in (24 ore no-stop) in piazza della Vittoria, a partire dalle ore 18 di domani, per chiedere al ministro Di Maio e all’Esecutivo di tenere fede «alle promesse elettorali sottoscritte nel `Contratto di governo con la Lega’ che prevede la chiusura delle fonti inquinanti».
L’iniziativa, viene precisato, nasce «alla luce delle ultime dichiarazioni del Governo che – in piena continuità con i governi precedenti – intende cedere l’Ilva al gruppo ArcelorMittal condannando, di fatto, Taranto ad almeno altri 10 anni di inquinamento, malattia e morte»
In piazza «per una 24 ore di dibattito e sensibilizzazione sulle criticità sanitarie ed ambientali – aggiungono cittadini e associazioni – accanto a proposte che, partendo dalla chiusura del siderurgico, prevedono la decontaminazione e la bonifica ad opera degli attuali lavoratori Ilva, in una nuova prospettiva di riconversione economica dell’intero territorio».
(da “La Stampa”)
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Settembre 5th, 2018 Riccardo Fucile
PISTOLA IN PUGNO CONTRO I NERI AL GRIDO DI “VI AMMAZZIAMO TUTTI”… VENNERO PICCHIATI SEI RAGAZZINI AFRICANI COLPEVOLI SOLO DI RIDERE… IL GIP: “MODALITA’ BRUTALI E RIPUGNANTI”
“Neri di merda dovete morire entro stasera. Vi ammazziamo tutti, falli scendere che te li riporti in comunità tutti morti”.
Così ha urlato con la pistola in pugno uno degli aggressori dei sei migranti minorenni pestati e minacciati la sera di Ferragosto tra Trappeto e Partinico, in provincia di Palermo.
Davanti a lui l’operatrice della comunità che era arrivata a bordo di un pulmino per portare in salvo i suoi ragazzi. Un’aggressione scoppiata perchè quei sei ragazzini gambiani in riva al mare, davanti a un pub di Ciammarita, si stavano divertendo e ridevano.
Un contatto pretestuoso con la domanda: “Tutto a posto?”. Il “Sì” di quei ragazzi sorridenti ed è finita con un raid punitivo, al quale hanno preso parte anche tre donne. Una di loro in braccio aveva anche un bambino. “Che cazzo ridete? Voi venite qua nel nostro territorio, perchè non andate in Africa?”, hanno urlato gli aggressori prima di picchiare duro.
Con un’indagine lampo la procura di Palermo e i carabinieri della compagnia di Partinico hanno chiuso il cerchio attorno al raid razzista di Ferragosto, il quinto in un mese e mezzo in provincia.
A coordinare le indagini il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il sostituto procuratore Giorgia Spiri. Sette gli arresti decisi dal giudice per le indagini preliminari Walter Turturici a carico di un’intera famiglia. In carcere sono finiti Antonino Rossello (accusato anche di avere violato la sorveglianza speciale alla quale era sottoposto), Roberto Vitale e il fratello Salvatore, Emanuele Spitaleri. Per Valentina Mattina, moglie di Spitaleri e sorellastra dei Vitale, Giacomo Vitale, padre di Roberto e Salvatore, e Rosa Inverga, moglie di Giacomo Vitale, il gip Walter Turturici ha deciso gli arresti domiciliari.
Violenza privata e lesioni con l’aggravante dell’odio razziale, le accuse contestate dalla procura. Un’ottava persona, Maria Cristina Schirò, resta indagata. Antonino Rossello, Roberto Vitale e il fratello Salvatore hanno una sfilza precedenti tra i quali rapina, furto, lesioni, minacce, spaccio di stupefacenti, danneggiamento, porto abusivo di armi. Roberto Vitale, soprannominato “Spavento”, sarebbe stato tra i più violenti.
La notte di Ferragosto tra Trappeto e Partinico si sono vissuti attimi di terrore. I sei ragazzini avevano partecipato a una festa organizzata da un pub con il consenso della direttrice della comunità dove risiedono. E’ lì che hanno incontrato la famiglia dei Vitale.
Quella domanda e poi uno schiaffo sferrato a uno degli stranieri. La reazione di uno degli amici, in sua difesa, e il ferimento di Roberto Vitale ha scatenato la punizione. Inflitta con lanci di pietre, colpi di mazze da baseball e spranghe. Le prognosi per i ragazzi aggrediti e per la loro operatrice, arrivata alla guida del pulmino per riportarli in comunità , sono state dai 5 ai 20 giorni.
I carabinieri hanno ascoltato quattro testimoni, perquisito case e auto e visionato le immagini di un sistema di videosorveglianza che a Partinico ha ripreso le immagini della seconda fase dell’aggressione.
Perchè i sei ragazzini, una volta saliti sul pulmino, sono stati inseguiti, tamponati e accerchiati da almeno quattro auto e costretti a scendere giù dal mezzo. Nemmeno il tentativo di riportare la calma da parte dell’operatrice è servita. Le donne lanciavano pietre, gli uomini picchiavano duro. Alcuni migranti sono riusciti a scappare, anche l’operatrice è stata ferita.
“Una prolungata e selvaggia aggressione dettata da abiette finalità di discriminazione razziale”. Così si esprime nel suo provvedimento il gip Walter Turturici. Quella sera hanno ricostruito nelle loro denunce i migranti, e hanno confermato i testimoni, almeno 25 persone sono scese dalle auto che hanno accerchiato il pulmino. Le indagini continuano per bloccare gli altri violenti.
(da agenzie)
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