Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“LI AVRANNO ANCHE SPESI, MA COME NON SO”… “SALVINI? MI CHIEDEVA SOLDI PER RADIO PADANIA, TUTTI CHIEDEVANO SOLDI, ORA SONO SPARITI TUTTI, HO PAGATO SOLO IO”
“Quaranta milioni. Quando me ne sono andato dalla Lega ho lasciato 40 milioni a saldo contabile”.
Francesco Belsito, lei le casse della Lega le conosce fin troppo bene. Era tesoriere con Umberto Bossi. Poi gli scandali, due condanne in primo grado a Genova e a Milano…
Dopo le mie dimissioni nel 2012 sono entrati nelle casse del partito altri 19 milioni legati alle elezioni del periodo di Bossi, perchè i rimborsi erano scaglionati negli anni. E immagino che siano arrivati rimborsi per elezioni successive. Soldi ce n’erano.
Dove sarebbero finiti?
Penso che siano stati spesi. Come, non lo so. Non voglio dire che ci sia niente di illecito.
I vertici leghisti negano la sua ricostruzione. Dicono che lei parla per vendetta.
Dico soltanto le cose come stanno. Sono pronto a un confronto con Roberto Maroni e Matteo Salvini. Ma sui fatti. Non vale parlare con i tweet.
Ma lei non sente più nessuno della Lega?
Nessuno. Dal giorno delle dimissioni nell’aprile 2012. All’inizio fu una mia scelta, per non inquinare le prove. Ma poi sono spariti tutti. Ho pagato solo io, come se quello che è successo nel partito potesse essere tutto responsabilità del tesoriere.
Qual è la sua versione?
Il tesoriere è quello che deve cercare di finanziare le richieste dei dirigenti del partito. E tanti in quel periodo chiedevano. Proprio tanti. Venivano da me e domandavano soldi per iniziative di partito, per feste elettorali, per altre cose.
Oggi i pm sono a caccia di 48 milioni pubblici. E tanti si domandano cosa ne sappiano delle casse della Lega Roberto Maroni e Matteo Salvini, segretari dopo Bossi…
Maroni era nel consiglio federale che parlava di questioni politiche, ma a volte intervenivo anch’io per affrontare temi di cassa. Non so se sapesse. In quel periodo faceva anche il ministro ed era in rottura con Bossi.
E Salvini?
Lui non era nel federale. Ma tutti e due… quando sono diventati segretari… immagino che dandogli le chiavi del partito li abbiano informati di cosa aveva in cassa.
Dica la verità , lei non li ha mai più sentiti?
Mai, giuro. Sono il capro espiatorio.
Eppure è stato una delle figure chiave del Carroccio.
Avevo cominciato come braccio destro del precedente tesoriere, Maurizio Balocchi. Poi ne presi il posto.
Nelle sue mani passavano decine di milioni.
Vero, ma gli ho tolto tante castagne dal fuoco. La Lega prima si era lanciata in operazioni rovinose come la banca Credieuronord e il villaggio turistico in Istria.
Le casse della Lega hanno avuto vita tormentata?
Io ci ho messo una pezza, tirando fuori molti milioni.
Diventò perfino sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
E vicepresidente di Fincantieri, un posto che spettava alla Lega.
Scelto da chi?
Posso ipotizzare, le nomine le seguiva Giancarlo Giorgetti.
Ecco, lei conosceva tutti. Ce li racconti. Cominciamo da Giorgetti?
Intelligente, preparato. Quello che parlava di economia con Bossi. Il Gianni Letta della Lega. C’era allora e c’è anche adesso, sempre con un ruolo chiave. Credetemi, è lui la mente, più di Salvini. Altro che discontinuità .
Con Salvini era amico?
Con Matteo avevo buoni rapporti. Mi chiedeva denaro per Radio Padania.
Eppure adesso dicono di essere un’altra Lega. È vero?
Giorgetti era con Bossi e adesso è con Salvini. Matteo a vent’anni era già in Consiglio comunale a Milano. Non vedo tante differenze.
Lei risparmia sempre Bossi, perchè?
È uno puro, in fondo. Uno che ha creato da zero un partito con delle basi ideologiche. Parlava alla gente per strada, mica sui social. Intorno, però, tanti erano pronti a tradirlo.
Neanche lui ha sentito?
Umberto non ha neanche il telefono.
Così lei è solo?
Mi guardi. Da sei anni non faccio niente, soltanto processi. Cerco di fare il consulente.
E gli altri si sono salvati…
Bossi è parlamentare e presidente del partito. Non dimentichiamolo quando sentiamo dire che è un’altra Lega.
Ora ci sono i processi d’appello, lei rischia grosso.
A Genova in primo grado ho preso 4 anni e 10 mesi. A Milano 2 anni e 6 mesi. Ma ditemi voi se ha senso: io, comunque sia andata, soldi per me non ne ho preso.
Difficile vederla nel ruolo della vittima, non crede?
In questo ambiente nessuno è una verginella.
La Lega a Genova l’ha querelato. Si sente tradito?
Mi hanno scaricato. Ma adesso viene il bello: a Milano perchè il processo vada avanti la Lega oltre a me deve querelare per appropriazione indebita anche Bossi. Sarà da ridere.
Qualcuno dice che lei sarebbe pronto a parlare, a raccontare altre cose. È vero?
Sono rimasto senza lavoro. Ho tre figli. Non mi voglio mettere nei guai. Però, ripeto, sono qui. Se vogliono parlare di fatti vengano e vediamo dove sono finiti i soldi.
Ma lo Stato rivedrà mai quei 48 milioni?
Non sono rimasti al verde, ci sono gli immobili, come la sede di via Bellerio… 10mila metri quadrati. Una fortuna. L’avevano comprata con il sostegno di Gianpiero Fiorani.
Lo stesso che contribuì al salvataggio di Credieuronord. Il banchiere che oggi pare interessato a banca Carige?
Esatto.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
INTERCETTATI NEL 2013 DAI PM DI REGGIO CALABRIA… GIA’ 5 ANNI FA SI PARLAVA DI SPOSTARE IL PATRIMONIO IN UNA FONDAZIONE, POI I PIANI CAMBIANO
Vaffanbagno. Questa è la risposta che i consulenti della Lega Nord, già cinque anni fa, meditavano di dare a chi voleva sequestrare i soldi del partito che allora era guidato da Roberto Maroni e oggi è diventato il regno di Matteo Salvini.
Quando è iniziata la grande fuga della Lega Nord dalle sue responsabilità ?
Nella prima metà del 2013, con la regia dell’avvocato Domenico Aiello, stretto collaboratore e difensore legale dell’allora segretario del partito Maroni, la Lega Nord progetta un piano in due mosse: spostare il patrimonio dai conti della Lega a quelli di un soggetto diverso dal partito, che poteva essere un trust o una fondazione.
Questo soggetto avrebbe avuto un conto corrente separato da quello della Lega Nord e in caso di azioni giudiziarie i pm o i creditori del vecchio partito, per altre vicende diverse da quelle odierne, non avrebbero trovato nulla da prendere.
Cinque anni dopo i magistrati di Genova stanno cercando di capire che fine abbiano fatto 49 milioni mancanti all’appello.
Dopo la condanna in primo grado per gli sperperi della family di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito, la magistratura ha disposto il sequestro di circa 49 milioni di euro che lo Stato italiano ha elargito alla Lega per la sua attività politica sulla base di conti poi rivelatisi non veritieri. Sul conto della Lega nel 2017 erano rimasti solo 1,6 milioni.
Le intercettazioni delle telefonate dell’avvocato Aiello risalenti al 2013 e contenute nell’indagine Breakfast della Dia di Reggio Calabria, pur non avendo portato a nessuna conseguenza penale, sono interessanti per ricostruire la logica dei consulenti dello stato maggiore leghista di allora.
In particolare è interessante leggere la trascrizione della conversazione del 9 gennaio 2013 tra l’avvocato Aiello e il notaio Angelo Busani, grande conoscitore del diritto. Busani chiede ad Aiello: “Tu hai paura di azioni esecutive?” e Aiello: “Una l’abbiamo appena subita per circa 3 milioni. Era un ricorso per decreto ingiuntivo non opposto e poi il precetto. (…) prestazioni professionali erano. (…) Eh! Era, tra l’altro, un dirigente della Lega (Matteo Brigandì, avvocato e amico di Bossi, ndr)”.
A questo punto Busani propone di contattare una persona a cui far svolgere il ruolo di gestore del trust per mettere al sicuro le finanze della Lega Nord.
E Aiello frena: “No, prima devo capire la bontà dell’ingegneria… dell’architettura della struttura che mettiamo su”.
La risposta di Busani: “Domenico, la bontà è che i soldi non sono più sul conto della Lega e vaffambagno, se fanno l’esecuzione non li trovano! Però non so se sia buono per te”.
A quel punto, Aiello chiede a Busani di vedersi di persona. Poi l’avvocato Aiello fissa un incontro dal notaio Busani con Roberto Maroni per l’8 febbraio 2013. Il trust poi non fu poi fatto.
La Lega però, dopo le elezioni, nel luglio 2013 continuò ad accarezzare il progetto cambiandone la forma.
Il 23 luglio Domenico Aiello conversa con il commercialista Carmine Pallino del patrimonio leghista e dice che devono accelerare mettendo “il più possibile in sicurezza”. I due condividono l’ipotesi di realizzare una fondazione, che per Pallino è da intendere come salvaguardia del patrimonio. Aiello precisa che deve essere la “cassaforte padana”. Proprio l’avvocato di Maroni a tal riguardo spiega che per tal fine aprì un conto alla Cassa di Risparmio di Bolzano.
La disponibilità liquida presente allora presso la Banca Aletti, pari a 20 milioni di euro, fu spostata alla Cassa di Risparmio di Bolzano Sparkasse nel febbraio del 2013. Grazie all’entità della somma Aiello spuntò anche un tasso conveniente.
Il progetto dopo l’elezione di Maroni a Governatore è però saltato.
Quando i pm genovesi nel 2017 sono andati a cercare di sequestrare i 48,9 milioni sul conto della banca dove nel frattempo la Lega aveva ritrasferito i suoi fondi, hanno trovato solo un milione e 651 mila euro.
I dirigenti leghisti sostengono che in questi anni i soldi sono stati spesi per il funzionamento del partito. Ed effettivamente c’è traccia di uscite verso società di comunicazione o soggetti come Google che un’organizzazione politica può pagare per migliorare la sua immagine sul web.
Il punto però non è solo rintracciare la sorte dei 20 milioni di euro trasferiti nel 2013 alla Sparkasse. Il punto è anche capire se tutti i trasferimenti effettuati con lo scopo dichiarato di eludere i sequestri dei creditori siano leciti o meno.
A Genova è stata aperta un’indagine per riciclaggio ma è stata la Procura di Reggio Calabria, durante l’inchiesta Breakfast, a intercettare le telefonate dell’avvocato Aiello nel periodo 2013-2014 fino al passaggio di consegne tra il vecchio segretario Maroni e il nuovo, Matteo Salvini.
Quelle intercettazioni segrete sono state pubblicate nel 2016 sul Fatto e poi nel libro “Il potere dei segreti”.
Poi sono state acquisite dalla magistratura penale (la Procura di Reggio Calabria le ha sequestrate al Fatto nel 2016, dopo la pubblicazione) e sono state sottoposte anche alla magistratura civile romana in una causa per diffamazione intentata contro Il Fatto.
Già il 20 dicembre del 2012 Domenico Aiello spiega al suo amico avvocato Francesco Centonze, che se il partito non avesse avuto i 9 milioni di euro pignorati allora sul conto corrente della Lega (per cause civili che nulla hanno a che fare con la vicende attuali di Genova), ma li avesse spostati su questo fondo separato, non avrebbero potuto essere oggetto di sequestro.
La Procura di Genova non ha trovato i 49 milioni sui conti della Lega. Ieri Umberto Bossi ha dichiarato: “Quando ero io alla guida i soldi c’erano”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
AVEVA PROMESSO DI RISOLVERE IL PROBLEMA DI “500.000 CLANDESTINI”, ALLA FINE I RIMPATRI OPERATI IN TRE MESI SONO 300 IN MENO DI QUELLI DI MINNITI
Dopo tre mesi al Viminale, guardando i numeri dei rimpatri di migranti irregolari effettuati, Matteo Salvini si è accorto di quello che era noto ed evidente a tutti da mesi.
“Per ora l’unico accordo che funziona è quello con la Tunisia. Ne rimpatriamo 80 a settimana ma anche se ne espelliamo 100 ci metteremo 80 anni”.
Calcolo effettuato solo sui tunisini irregolari e per difetto visto che i dati forniti dal Viminale dicono che quelli effettivamente rimandati a Tunisi sono molto meno di 80 a settimana.
“Andrò in Tunisia entro settembre, da lì ne sono arrivati più di 4mila e non c’è guerra, carestia, peste e non si capisce perchè”, ha detto oggi Salvini a Rtl 102,5.
Il nodo dei 500.000 rimpatri di migranti irregolari promessi dal ministro dell’Interno in campagna elettorale è il vero nodo da sciogliere della politica antiimmigrazione di Salvini che, da giugno ad oggi, non è riuscito ancora a stipulare nessun nuovo accordo oltre i quattri ereditati dai precedenti governi e che hanno consentito fino ad ora il rimpatrio di circa 400 immigrati al mese, un trend risultato inferiore a quello degli stessi tre mesi dello scorso anno con il governo Gentiloni.
E Salvini torna ad annunciare nuovi patti addirittura con tutti i paesi di origine di chi arriva. “Entro autunno – dice – stiamo lavorando per fare gli accordi di espulsione e rimpatrio volontario assistito con tutti i Paesi” .
Ricomincia il disco rotto…
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DELL’AJA DEVE DECIDERE SE IL PROCESSO SI DEBBA TENERE IN INDIA O IN ITALIA… MA LORO CHE FINE HANNO FATTO?
«E allora i maro…?»: il tormentone che per anni ha impazzato sui social potrebbe a breve tornare di attualità .
La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri della Marina militare accusati di aver ucciso due pescatori nello stato indiano del Kerala, scambiandoli per pirati, sta per tornare di attualità sei anni dopo i drammatici fatti.
A giorni il tribunale internazionale dell’Aja aprirà finalmente il processo per decidere se a giudicare il comportamento dei marò debba essere la giustizia indiana o quella italiana.
Dopo essere stati costretti a rimanere per due anni nell’ambasciata italiana a Nuova Delhi, «prigionieri» delle estenuanti lungaggini della giustizia indiana, i due militari sono tornati in Italia ma attorno a loro è caduto il silenzio.
Girone e Latorre oggi
La ministra della difesa Elisabetta Trenta ha annunciato che domani, lunedì, incontrerà Latorre e Girone in vista della ripresa delle udienza
«Vi terrò aggiornati» ha annunciato la ministra, rispondendo in questo senso a una sollecitazione partita nei giorni scorsi dal parlamentare di Forza Italia Elio Vito; quest’ultimo aveva lamentato proprio la caduta di attenzione da parte del governo sulla vicenda tutt’ora aperta.
Ma che fine hanno fatto i due marò al centro del caso internazionale?
Entrambi, una volta rientrati in Italia, fanno ancora parte a tutti gli effetti delle Forze Armate italiane, l’uno presta servizio a Roma, il collega alla capitaneria di porto di Bari; entrambi hanno l’obbligo di non lasciare l’Italia.
I fatti del febbraio 2012
I due fucilieri sono accusati dalla giustizia indiana di omicidio volontario in relazione a quanto accaduto il 15 febbraio del 2012 al largo delle coste del Kerala.
Entrambi erano a bordo del mercantile italiano Enrica Lexis per un servizio antipirateria: videro un barchino di piccole dimensioni avvicinarsi alla nave italiana e da bordo aprirono il fuoco temendo si trattasse di un attacco da parte di predoni.
Le vittime rimaste uccise dal fuoco dei marò erano in realtà semplici pescatori. Costretti a scendere dalla nave e posti agli arresti. Girone e Latorre furono successivamente posti agli arresti dentro l’ambasciata italiana e per loro cominciò il calvario del processo, sfociato anche in un duro braccio di ferro tra autorità di Roma e Nuova Delhi.
Giustizia e politica
Il 22 ottobre si aprirà davanti ai giudici dell’Aja l’arbitrato per stabilire chi tra Italia e India dovrà giudicare i militari; il verdetto è atteso nel giro di un paio di settimane .
La posizione delle autorità indiane, dopo una fase conciliatoria potrebbe però farsi più dura; in India le elezioni sono alle porte e il partito nazionalista del premier Modi sta perdendo consensi.
Una vicenda come quella dei marò, che può fare leva sullo spirito di rivalsa nazionale potrebbe tornare utile per fini politici ma al contempo rischia di complicare i rapporti tra i due Stati.
Qualunque sia la decisione del tribunale internazionale, un ritorno di Latorre e Girone in India appare improbabile.
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO CONTRO LA LIBERALIZZAZIONE DEGLI ORARI, MA SONO QUELLI CHE DANNO LAVORO E CONSENTONO ALLE FAMIGLIE DI FARE ACQUISTI CON CALMA
“In materia di commercio, sicuramente entro l’anno, approveremo la legge che impone lo stop nei fine settimana e nei festivi a centri commerciali, con delle turnazioni e l’orario che non sarà più liberalizzato, come fatto dal governo Monti. Quella liberalizzazione sta infatti distruggendo le famiglie italiane. Bisogna ricominciare a disciplinare orari di apertura e chiusura”. Lo ha detto il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, a Bari per visitare la Fiera del Levante.Il disegno di legge della maggioranza, composto di due soli articoli, di fatto abroga i due articoli che hanno liberalizzato le aperture dei negozi e in particolare l’articolo 31 del cosiddetto “Salva Italia” varato dal governo Monti, che aveva introdotto su questo fronte la massima autonomia da parte degli esercizi.
La norma attualmente in vigore prevede infatti che “le attività commerciali (..) e somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza il rispetto di orari di apertura e di chiusura, dell’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonchè quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”.
Il nuovo testo reintroduce la chiusura domenicale obbligatoria e affida a comuni e regioni il compito di determinare il nuovo quadro delle regole, fissando un massimo di circa otto aperture straordinarie.
Diverse le associazioni dei consumatori che si sono dette contrarie alla scelta del governo. “Con i negozi chiusi per legge la domenica, fare spese tornerà ad essere un incubo: usciti dal lavoro durante la settimana, stanchi morti e con i figli in braccio appena ripresi dall’asilo, si è costretti a tuffarsi in supermercati affollati prima che chiudano per la giornata”, si legge sul sito dell’Aduc.
“La liberalizzazione degli orari dei negozi, come dimostrano le esperienze fatte in tutti quei Paesi che l’hanno sperimentata, ha portato molti benefici, e non solo ai consumatori. Aumenta infatti l’occupazione e, contrariamente a molte leggende popolari, non costringe i piccoli esercizi a rimanere aperti anche la domenica per sconfiggere la concorrenza dei grandi supermercati. Se sognare intimamente un ritorno al passato è naturale e umano, quando lo si applica all’arte di governare, si chiama conservazione e reazione. Altro che cambiamento e rivoluzione…”
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“PIU’ CHE GOVERNO DEL CAMBIAMENTO, SEMBRANO DUE ESECUTIVI DEL NON CAMBIAMENTO”
“Pensavo che questo fosse il governo del cambiamento, ma la cosa che meno si vede di meno per ora nell’attività dell’esecutivo è il cambiamento. Mi sembra che siamo ancora in una fase di apprendimento. Ma, ad ora, di cambiamento ne emerge poco, anche se nutro ancora speranze in questo governo”.
Sono le parole pronunciate a Omnibus, su La7, dall’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, che spiega: “Al contrario, c’è aria di grande ritorno a certe tradizioni della politica economica italiana, come il condono, su cui si è soffermato ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sottolineandone l’assoluta novità rispetto al passato in forma di ‘pace fiscale’. A me, invece, sembra uno di quei condoni che tutti i governi, forse tranne uno, hanno introdotto. Quindi, per ora poco cambiamento effettivo e tante indecisioni per quanto riguarda la struttura economica italiana, ma molto cambiamento di breve periodo nella condotta del governo di di giorno in giorno, come nell’atteggiamento verso l’Europa e nelle indicazioni di finanza pubblica”.
Interviene l’economista Antonio Maria Rinaldi, che chiede a Monti: “Non crede che invece nella volontà di questo governo ci sia finalmente la convinzione di invertire il tipo di politica economica, portando avanti politiche tese alla crescita?”.
“La volontà l’hanno sempre avuta tutti governi”, risponde il senatore a vita.
“Però mi sembra che gli altri abbiano un po’ razzolato male, mi si perdoni il termine” — replica Rinaldi — “Anzi, poi hanno fatto delle politiche di austerity particolarmente forti, anche se a voce dicevano il contrario”.
“Anzitutto, la prego di tenere presente che nessun governo fa mai volentieri una politica di austerità ” — ribatte Monti — “Il verbo ‘razzolare’ lo applico piuttosto a quella che è stata una caratteristica della grande maggioranza dei governi italiani, cioè quella di spendere denaro dei cittadini per cercare di guadagnare voti con la promessa di aumentare la domanda e di rilanciare l’economia. Io ho guardato con molta apertura questo governo quando è nato, tanto che in Senato non ho votato contro. Mi sono astenuto, come apertura di credito”.
E chiosa con alcune esortazioni al governo Conte: “Il cambiamento deve riguardare innanzitutto la struttura della economia e della società italiana negli aspetti che non vanno bene. E questo cambiamento non deve essere da una settimana all’altra, nel senso di posizioni dichiarate. In più, auspico che sia il governo del cambiamento al singolare e non “i governi del cambiamento”, cioè che l’azione di coordinamento di Conte trovi la forza per essere più incisiva per evitare la presenza abbastanza visibile di due governi forse del ‘non cambiamento’”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’UOMO FORTE DELLA CIRENAICA HA IN MANO LA LIBIA, L’ITALIA RISCHIA DI ESSERE ESCLUSA DAI FUTURI AFFARI DEL PETROLIO
L’uomo forte della Cirenaica ha rafforzato il patto con quelli di Misurata. Khalifa Haftar ha “blindato” con i suoi fedelissimi il parlamento di Tobruk.
L’ex ufficiale di Gheddafi ha portato nel suo campo alcune delle più potenti tribù della Tripolitania, stabilendo una nuova ripartizione dei proventi petroliferi.
E su queste basi ha aperto un canale diplomatico “sotterraneo” con l’Italia. Il messaggio è chiaro.
La proposta, riferiscono a HuffPost fonti di Bengasi vicine ad Haftar, è così sintetizzabile: trattare una onorevole uscita di scena dell’attuale primo ministro del governo di Accordo nazionale, Fayaz al- Sarraj (per lui potrebbe esserci un posto da ambasciatore in una sede prestigiosa) per essere, l’Italia, parte attiva e riconosciuta nella “nuova Libia” post voto.
Altrimenti, aggiungono le fonti, per il premier sotto assedio, si prospetta un esilio forzato.
I contatti sono già stati avviati e, in questo contesto, rientra anche la possibilità di un cambio di ambasciatore a Tripoli, visto che l’attuale, Giuseppe Perrone, ufficialmente in “ferie”, è stato considerato da Haftar e dal parlamento di Tobruk “persona non gradita” per aver sostenuto pubblicamente quella che, al momento, resta la posizione ufficiale di Roma: l’impossibilità di tenere le elezioni, presidenziali e legislative, il 10 dicembre 2018, come vorrebbe Haftar, sostenuto da Francia ed Egitto.
Durante una riunione tenutasi giovedì 6 settembre, con una trentina di leader tribali, trasmessa in diretta dall’emittente televisiva libica Al Hadath, il maresciallo Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico sostenuto dal parlamento di Tobruk, la cui legittimità non è riconosciuta dalla comunità internazionale, si è detto pronto a marciare su Tripoli.
Si è trattato delle prime dichiarazioni del militare, che controlla la gran parte della Cirenaica, dall’inizio degli scontri tra milizie rivali nella capitale libica.
In diverse occasioni, il maresciallo libico ha assicurato che l’Esercito Nazionale Libico è pronto a marciare su Tripoli e che la cattura della capitale sarà “rapida”. A tale scopo, Haftar ha rivelato di essere in contatto diretto con alcune milizie presenti nelle città di Misurata e Zentan.
Durante la diretta, il generale ha annunciato che alcune milizie presenti a Tripoli sarebbero pronte a prendere d’assalto la città . “Gli scontri degli ultimi giorni stanno cambiando la geografia della presenza delle milizie nella capitale”, ha detto il militare. “Non lasceremo cadere Tripoli, lì il popolo libico dovrà vivere in sicurezza”.
Per quanto riguarda la Costituzione, Haftar ha detto che il progetto deve essere posticipato fino a dopo le elezioni e non prima. “Altrimenti, il popolo libico rifiuterà la nuova Costituzione”.
Il “Generale” ha riaffermato il proprio sostegno alle elezioni e al riconoscimento dei loro risultati “nella misura in cui siano trasparenti”. “A Parigi c’è stato un accordo politico con le parti rivali in Libia, ma tutti gli accordi politici sono vani” (o “non sono utili”), ha sentenziato sempre secondo quanto riporta il sito Alwasat.
“Noi rispettiamo l’accordo di Parigi”, ha comunque aggiunto. Il riferimento, implicito, all’intesa raggiunta (ma non sottoscritta) nella capitale francese nel maggio scorso indicando la data del 10 dicembre per svolgere elezioni.
Quanto alla situazione sul campo, secondo i dati diffusi dall’ospedale di Tripoli, nel corso dei combattimenti che hanno sconvolto la città nei giorni scorsi hanno perso la vita 78 persone e altre 313 sono rimaste ferite.
Ecco perchè chi ha la possibilità , cerca di lasciare Tripoli e il Paese con la famiglia. Come riporta il Corriere della Sera, in un video-reportage di Lorenzo Cremonesi, i negozi sono chiusi, la popolazione cerca di rifornirsi di cibo e acqua e si mette in coda per fare il pieno alle auto in quei pochi benzinai ancora aperti in città .
Le persone scappano dai centri coinvolti negli scontri militari: “Vogliamo andare in Italia, anche se sappiamo che i porti sono chiusi — affermano -. Meglio partire che restare qui”. I tempi di Haftar sono politicamente calibrati: o c’è l’accordo, anche con l’Italia, altrimenti il golpe scatterà prima di novembre, prima, cioè, della Conferenza sulla Libia che Roma vorrebbe organizzare, col sostegno Usa, per l’appunto a novembre.
Accordo o golpe: scegliere. E presto. Anche perchè in ballo non ci sono “solo” gli affari (una torta, tra petrolio e ricostruzione, calcolata in oltre 130 miliardi di euro), ma anche sicurezza e migranti.
E una tragedia umanitaria che è sempre più apocalittica. Sono “atrocità indicibili” quelle a cui vengono sottoposti migranti e rifugiati che vivono a Tripoli. Lo denuncia l’Unhcr, l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. I pesanti scontri nella capitale della Libia hanno portato a un “drastico deterioramento” della situazione sia dei migranti che vivono nelle aree urbane, sia dei richiedenti asilo in stato di detenzione.
L’Unhcr riferisce di stupri, rapimenti e torture, perpetrate anche a danno di bambini. Una donna ha raccontato che criminali sconosciuti hanno rapito suo marito, l’hanno violentata e hanno torturato suo figlio di un anno. Il bambino – stando al racconto della donna – sarebbe stato denudato e molestato sessualmente dai criminali. Molti rifugiati erano detenuti in aree vicine agli scontri e a rischio di essere colpiti dai razzi. “Migliaia sono fuggiti dai centri di detenzione, in un disperato tentativo di salvare le loro vite”, riferisce l’agenzia, che da sempre “si oppone alla detenzione di rifugiati e richiedenti asilo” ma è presente ovunque si trovino per fornire loro assistenza
L’Unhcr chiede con fermezza che vengano messe in atto alternative alla detenzione, compreso l’uso immediato della struttura di raccolta e partenza a Tripoli, che fungerà da piattaforma per raggiungere la sicurezza in paesi terzi e che sarà gestita dal Ministero degli interni libico e dall’Agenzia Onu.
La struttura, già pronta per l’uso, può ospitare 1.000 rifugiati, vulnerabili e richiedenti. L’Unhcr chiede inoltre “una forte azione istituzionale per colpire i trafficanti responsabili”.
Quella delle torture ai danni di donne e bambini non è l’unica denuncia che ha fatto l’Alto Commissario Onu per i rifugiati. (Unhcr). Ha fatto sapere anche di avere “affidabili informazioni” sul fatto che scafisti e trafficanti di esseri umani si spaccino per agenti delle Nazioni Unite in Libia. In questo modo riescono ad arrivare più facilmente ai migranti. L’Unhcr sostiene che ciò avvenga in diverse parti del Paese nordafricano.
“Questi criminali sono stati individuati a punti di sbarco e ai crocevia dei traffici, sono stati visti con giubbotti e oggetti con le insegne simili a quelle dell’Alto Commissariato”, ha dichiarato l’Agenzia attraverso un comunicato. Le informazioni in questione arrivano in parte da “rifugiati che dicono di essere stati venduti a trafficanti in Libia e sottoposti a maltrattamenti e torture, a volte dopo essere stati intercettati in mare”.
Nella nota, l’Unhcr segnala anche il “drastico deterioramento” della situazione nelle strade di Tripoli, teatro di pesanti scontri tra le diverse fazioni in lotta per il controllo della città . Molti di loro erano trattenuti in aree vicine agli scontri divenute obiettivo dei razzi, e in migliaia sono fuggiti dai centri di detenzione nel disperato tentativo di salvare le proprie vite. Resta il fatto che a sette anni dall’abbattimento del regime di Muammar Gheddafi, e dall’eliminazione dello scomodo (per i segreti di cui era depositario) Colonnello, non si è riusciti a mettere in campo, da parte della comunità internazionale, uno straccio di “institution building”, un piano di costruzione di istituzioni democratiche, di partiti, di una magistratura indipendente, insomma, una parvenza di Stato.
Semmai, si è operato in senso inverso. Smantellando quel poco che esisteva di esercito libico, salvo poi accorgersi della necessità , per contenere l'”invasione” dei migranti, di costruire una parvenza di Guardia costiera, magari arruolando ex trafficanti di esseri umani.
Delle oltre 100 tribù in cui è frazionato l’enorme territorio di circa 1 milione e 760 mila km quadrati (più di sei volte l’estensione dell’Italia), le più grandi, attorno a cui orbitano le altre sotto-tribù, sono quattro: i Warfalla e i Ghadafa, appunto, e i Meqarha e gli Zuwayya. Ramificati nella parte orientale del Paese a sud di Bengasi, gli Zuwayya si trovano nella zona strategica del deserto libico, attraversata dalle condutture di petrolio. Mentre i Warfalla controllano la parte sud-occidentale del Paese lungo il confine con l’Algeria.E non meno decisiva fu il passaggio tra le fila degli insorti della tribù Zintan, originaria della città omonima situata a sud di Tripoli. Sette anni dopo, le stesse tribù, frazionatesi in milizie e sotto gruppi, sono quelle che dettano legge nel non Stato libico, nel quale i capi di governo sono solo figure di contorno, buone per presenziare ad una conferenza internazionale ma privi di autorità , e autorevolezza, anche rispetto ai sindaci, emanazione diretta delle tribù. Governare questo caos attraverso lo strumento militare esterno è pura follia.
Chi di guerra e strategie militari se ne intende, conviene che per provare a percorrere questa strada, vorrebbe dire impegnate, in tempi che si calcolano in anni, non meno di 50mila soldati, boots on the ground, mettendo in conto perdite significative, insostenibili per le opinioni pubbliche interne.
Resta la via diplomatica, che per non rivelarsi senza uscita, avrebbe bisogno di un’azione unitaria dell’Europa (l’interesse dell’amministrazione Trump per la Libia è pari a zero) in sintonia con attori regionali che hanno incidenza nei vari campi miliziani e tribali (Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, in primis).
Ma anche questo lavoro di ricucitura è tutto da realizzare. Intanto, Haftar estende le sue alleanze, interne ed esterne. E negozia.
Sulla base della convinzione che “l’85 % dei libici è con me”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
LE DUE COALIZIONI (CENTRODESTRA E CENTROSINISTRA) ENTRAMBE INTORNO AL 40%… TENSIONI AI SEGGI PER AGGRESSIONI NEONAZISTE
Socialdemocratici primo partito al 25,4%-26,2% ma facendo registrare il peggior risultato da un secolo.
Testa a testa tra i conservatori e il partito euroscettico dei Democratici Svedesi per il secondo partito. Sono i primi dati degli exit poll delle elezioni svedesi che delineano un quadro molto frammentato dell’elettorato, in cui il 41% ha cambiato partito dalle ultime elezioni nel 2014.
È ampiamente in testa il partito social-democratico nelle elezioni legislative in Svezia, molto più avanti dei conservatori e dell’estrema destra che delude le attese.
Secondo il primo exit poll della tv privata Tv4, i socialdemocratici sarebbero al 25,4%, circa 5,5 punti percentuali in meno rispetto a quattro anni, nel loro peggior risultato da un secolo.
Il partito anti-immigrati dei democratici per la Svezia sarebbe al 16,3% dei voti, in terza posizione, molto sotto il 25% atteso.
Per il secondo posto è testa a testa tra l’estrema destra anti-immigrati ed euroscettica dei Democratici svedesi di Jimmie Akesson, data tra il 16,3 e il 19,2%, e i moderati 17,8%-18,4%.
I grandi vincitori alle elezioni in Svezia, stando agli exit poll, sono i piccoli partiti. In primis gli ex comunisti, Sinistra, che hanno quasi raddoppiato il loro ultimo risultato e si sono aggiudicati il 9,8%.
Bene anche il partito di centrodestra, Centro, e i cristiano democratici che hanno incrementato di un terzo le preferenze del 2014.
Testa a testa, quindi, anche tra le due coalizioni: quella di centrosinistra (Socialdemocratici + gli ex comunisti + Verdi) al 39,2%, quella di centrodestra (Moderati + liberali + Centristi + Cristiano democratici) al 39,6%.
Tensioni ai seggi in Svezia: i media locali riportano infatti di alcuni episodi di intimidazioni e aggressioni ai danni di elettori e giornalisti da parte di membri dei movimenti neo-nazisti.
Il quotidiano Svenska Dagbladet ha riferito che membri del Movimento di resistenza nordica hanno fatto irruzione in diversi seggi e hanno cercato di fotografare elettori, schede elettorali e giornalisti i presenti.
I blitz, segnalati nelle località di Boden, Ludvika e Kungalv, hanno causato forte apprensione tra gli elettori.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 9th, 2018 Riccardo Fucile
MANGANELLATE E CENTINAIA DI ARRESTI, MIGLIAIA DI PATRIOTI IN PIAZZA … IL MITO DEI SOVRANISTI NOSTRANI FA SPRANGARE IL SUO POPOLO
Migliaia di russi sono scesi in piazza per protestare contro l’impopolare riforma delle pensioni nello stesso giorno in cui il Paese è chiamato a eleggere 22 governatori, quattro sindaci e 16 assemblee legislative locali, nonchè rimpiazzare sei seggi della Duma rimasti vacanti.
L’oppositore Aleksej Navalnyj – che sta scontando una condanna a 30 giorni di fermo amministrativo con una sentenza a orologeria – ha indetto cortei in una cinquantina di città , ma solo in quattro sono stati autorizzati.
Le elezioni sono il primo test per il Cremlino dopo l’annuncio a giugno di una riforma molto impopolare per aumentare l’età pensionabile, che ha ridotto la popolarità del presidente Vladimir Putin e portato nelle strade decine di migliaia di cittadini.
Le contestazioni vanno avanti e la polizia russa ha fermato oltre 290 persone in tutto il Paese durante le proteste contro la riforma delle pensioni.
L’osservatorio indipendente per i diritti Ovd-Info sottolinea che gli arresti sono avvenuti anche a Ekaterinburg negli Urali e a Omsk in Siberia. A Mosca, impegnata oggi nelle elezioni del sindaco, almeno duemila persone si sono radunate in piazza Pushkin gridando slogan contro il presidente Vladimir Putin. A San Pietroburgo hanno fatto uguale oltre mille persone.
La riforma voluta da Putin ed annunciata tre mesi fa dal premier Dmitry Medvedev fa salire l’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne a causa dei “gravi problemi demografici” che pesano sul sistema pensionistico, secondo quanto affermato dal presidente russo.
L’aspettativa di vita media in Russia è di 66 anni per gli uomini e 77 per le donne, stando a dati della Banca Mondiale di due anni fa.
Ruslan Shaveddinov, ex portavoce della campagna elettorale di Navalnyj e uno dei presentatori dei “Navalnyj Live” su YouTube, uno dei pochissimi dello staff a non essere stato fermato alla vigilia, è stato arrestato mentre manifestava sotto la statua di Pushkin di Mosca dove gli attivisti si sono radunati a partire dalle 14 locali, le 13 in Italia.
(da agenzie)
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