Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
LA RESISTENZA DEL MINISTERO DELLE ISTITUZIONI: SE SALTA LUI, SALTA IL GOVERNO
C’è “l’esclusivo interesse della nazione” che ha in mente Tria. E c’è “la manovra del popolo”, con la richiesta, fatta filtrare dai Cinque Stelle e dalla Lega, di arrivare al 2,4% di deficit/Pil per coprire il reddito di cittadinanza, perchè è evidente che i tagli non bastano.
È un gioco duro, condotto come sempre con crescente tensione ed esibizione di muscoli.
Alla fine al Tesoro sono convinti che l’accordo si farà , con un obiettivo di deficit attorno all’1,8-1,9 al massimo, perchè in ballo c’è la tenuta stessa del paese.
E chissà se è un caso, a proposito di tenuta, che quando Tria stamane ha preso la parola lo spread era in rialzo a 237 punti base e quando ha terminato il discorso era sceso a quota 228. In mezzo le sue parole solenni che, nel momento cruciale della trattativa sui conti, richiamano la responsabilità di chi è chiamato a ricoprire incarichi di Governo: “Ho giurato sull’esclusivo interesse della nazione e non di altri. Poi ognuno può avere un’idea dell’interesse della nazione”.
Perchè questo è il punto, alla vigilia del giorno più lungo, in cui sarà approvata al Consiglio dei ministri la Nota di aggiornamento al Def. Chi ha una consuetudine col ministro assicura che c’è una soglia oltre la quale non andrà mai, “perchè non sarà lui a mettere la firma sul default del paese”.
Non è una questione di tira e molla, di perfidia delle tecnocrazie che sono lì da vent’anni.
Superare il limite del consentito con Bruxelles, e al momento sarebbe l’1,6, significa mettere nel conto la procedura di infrazione e accendere la miccia dei mercati. Manovra rischiosa, dannosa proprio per il popolo.
Ecco perchè Tria ammonisce i tanti sordi che non vogliono sentire: “Stiamo attenti perchè a volte se uno chiede troppo poi deve pagare interessi maggiori e quello che si guadagna si perde in interessi. Se si perde fiducia sulla stabilità finanziaria nessuno investe, se si crede che domani c’è il disastro nessuno compra i nostri titoli”.
Interesse della nazione e disastro.
Il Tesoro è si è trasformato, anche nel linguaggio, in una specie di ministero istituzionale: certezza per il Quirinale, riferimento per quella rete di protezione, da Mario Draghi a Bankitalia, attenta alla messa in sicurezza del paese, addirittura lodato dalle opposizioni per responsabilità , come se fosse, appunto, un luogo terzo delle istituzioni e non un ganglio della nuova maggioranza politica che anzi ne colpevolizza la struttura, in quanto freno del cambiamento.
Il giorno prima del Def è chiaro che ognuno tiene fino all’ultimo, ma non tutti hanno le stesse armi per la battaglia finale.
E quella di Tria è atomica: “Se salta lui — sussurrano fonti autorevoli — salta il governo”.
Perchè è inimmaginabile che si cambi ministro, in nome del cambio dei saldi. Immaginate una crisi, a sessione di bilancio aperta, con lo spread che si impenna e l’Italia che torna il malato che rischia di contagiare gli altri paesi.
Una specie di 2011, riveduto e corretto. Prospettiva che, al dunque, dovrebbe piegare anche i negoziatori più esuberanti.
E se 2,4 è una richiesta lunare, anche il 2 per cento di deficit non è scontato.
Perchè la verità è che una vera trattativa con Bruxelles non c’è stata. Nè il premier ha mai preso di petto, nell’ambito di un negoziato europeo, le raccomandazioni della Commissione all’Italia, che chiedono una riduzione dello 0,6 del deficit strutturale. Se prese in senso letterale quelle raccomandazioni significano che il deficit dovrebbe scendere all’1 per cento.
Ecco il punto che spiega perchè al Tesoro la soglia di sicurezza è ancora posta all’1,6 con la possibilità di scostarsi al massimo di due decimali.
Nè è immaginabile un cambio dei saldi a manovra in corso, con una cifra messa nella Nota di aggiornamento e il Parlamento che la cambia, perchè questo comporterebbe la necessità di riscrivere la manovra.
Il problema, per il tecnico Tria, è che non c’è stato un negoziato politico, perchè da che mondo è mondo il compito dei tecnici è quello di far quadrare i conti, ma spetta alla politica creare le condizioni.
Renzi, nel bene o nel male ad esempio, creò le condizioni di uno scambio politico, assicurando accoglienza sui migranti in cambio di flessibilità , il che consentì anche di cambiare una manovra in corsa.
Stavolta, lo stesso dossier ha prodotto un irrigidimento, dopo l’estate delle navi bloccate in mare da Salvini.
Parliamoci chiaro: oltre l’1,8-1,9 per Tria non si può andare, perchè già questa soglia può mettere il paese a rischio procedura di infrazione. Al momento non basta.
E a fine giornata il ministro delle Istituzioni sembra riscuotere più successo tra le opposizioni che in maggioranza: “Noi — dice Brunetta — siamo fiduciosi in Tria. Altrimenti non ci rimane che attendere un immediato declassamento delle agenzie di rating”.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
SI PAGANO LE MARCHETTE ELETTORALI SULLA PELLE DEGLI ITALIANI E DEI RISPARMIATORI…QUANDO SALTERANNO I CONTI E GLI ITALIANI SI RITROVERANNO NELLA BRATTA NON BASTERA’ LORO UN BARCONE PER SCAPPARE
Quando è emerso a ridosso della presentazione della nota di aggiornamento al Def, Salvini si è ritrovato insospettabilmente vicino a Luigi Di Maio.
Sventolando la stessa bandiera, e tornando a mettere nel mirino via XX settembre.
Quando ieri sera Luigi Di Maio ha riunito la compagine di governo del Movimento 5 stelle, il messaggio è stato univoco: non solo l’1,6% come soglia del rapporto deficit/Pil non basta, ma non esiste nemmeno un compromesso che la porti di qualche zerovirgola più su.
Si deve andare decisamente oltre al 2%, puntando al 2,4%.
Ragionamento che il segretario della Lega ha sposato in pieno nelle ultime ore. Quando, cioè, ha capito che entro i confini non solo dell’1,6%, ma anche dell’1,8-1,9% prospettati dal Tesoro come accettabili, della “sua” riforma della Fornero sarebbe rimasto ben poco.
Così, a ventiquattrore dal Consiglio dei ministri che fisserà la cornice dentro cui dipingere la legge di bilancio, gli indicatori che marcano la distanza tra i due vicepremier da una parte e il ministro dell’Economia dall’altra, sono quantitativi e qualitativi.
Aggettivi che si sostanziano di numeri e che danno vita all’ultimo step della strategia massimalista dei due leader di governo nei confronti del Tesoro.
Quantitativi perchè il numero da cui dipende l’entità della manovra ha uno scarto di quasi un punto tra quello immaginato dai due leader di maggioranza per dare adito alle promesse elettorali e quello tenuto fisso per settimane dall’ex professore di Tor Vergata per garantire stabilità ai conti.
Qualitativi perchè le ultime ore registrano una rinnovata sintonia tra Di Maio e Salvini.
Non è sfuggito il fatto che negli ultimi giorni la Lega sia rimasta defilata rispetto a Di Maio, che dopo l’assalto ai tecnici del Mef oggi, in più conversazioni a tutti i livelli, ha ribadito la necessità di andare oltre il 2%, fondamentale per finanziare il cavallo di battaglia dei pentastellati, cioè il reddito di cittadinanza, a meno che non si decida alla fine di ridurre il tutto a un potenziamento del Rei, la misura di contrasto alla povertà del governo Gentiloni.
Con tutti i rischi di deludere un elettorato 5 stelle che i sondaggi segnalano già insoddisfatto.
Nelle scorse ore, però, ha iniziato a vacillare quella che il Movimento rivendica come una battaglia comune al Carroccio, cioè il superamento della legge Fornero. §
Per i leghisti, che hanno puntato tutto su quota 100, ridimensionando al minimo la flat tax, si tratta di un rischio ancora più forte.
Da qui la convinzione di Salvini e dei suoi di alzare il tiro e attestarsi su una linea più dura, sposando di fatto la posizione di Di Maio e ritornando a battere sul punto più precario della manovra, appunto il valore del deficit-Pil.
Fonti vicine al dossier confermano i malumori emersi già ieri sera tra i 5 Stelle durante la riunione presieduta da Di Maio sul pacchetto pensioni.
I fastidi nascono dal fatto che Tria non sarebbe d’accordo a dare il via libera alla proposta che ha visto al lavoro i tecnici del Carroccio non per il taglio politico, cioè una maggiore flessibilità rispetto alle regole esistenti, ma per il costo dell’ipotesi più accreditata (da 62+38 fino a 64+36) che si attesta oltre gli 8 miliardi a fronte di coperture che sono al lumicino.
Le soluzioni messe in campo anche dal Mef, cioè quelle di un taglio degli assegni, hanno registrato la contrarietà della Lega, che vuole mandare a casa i lavoratori anticipatamente senza una decurtazione della pensione: prospettiva, questa, che politicamente sarebbe molto impopolare.
Da parte sue, il ministro dell’Economia ha messo i sacchetti di sabbia intorno a via XX settembre, in quello che si prospetta come un vero e proprio assalto all’arma bianca delle ultime ore.
Davanti agli imprenditori di Confcommercio non ha usato sfumature, seppure senza citare direttamente Di Maio e Salvini. “Ho giurato – ha detto — nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri e non ho giurato solo io. Ovviamente ognuno può avere la sua visione, ma in scienza e coscienza, come si dice, bisogna cercare di interpretare bene questo mandato”.
Calando queste parole nello scontro in corso sulla manovra, il messaggio è chiaro: la tenuta dei conti viene prima delle promesse che rischiano di collocare l’Italia in un posizione di forte instabilità nei rapporti con Bruxelles e soprattutto sui mercati.
È nello stesso intervento di Tria che si annida la strategia del Tesoro: tenere il punto fino alla fine, aprendo sì all’1-8%-1,9%, ma rifiutando categoricamente di abbattere la soglia psicologica del 2 per cento.
Per Tria si possono fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, ma in forma abbozzata.
Tradotto in ragionamento e numeri: si può tentare di strappare all’Europa tra i 3,5 e i 5 miliardi in più rispetto ai circa 12 che arriveranno se ci sarà il via libera del rialzo del deficit dallo 0,9% all’1,6%, ma non oltre.
E con quelle risorse diventa impossibile fare quel che Di Maio e Salvini dicono da mesi di voler fare.
Vale a dire finanziare quota 100, che costa più di 8 miliardi, e il reddito di cittadinanza nella forma in cui lo vogliono i 5 stelle (pensione di cittadinanza, riforma dei centri per l’impiego, erogazione del reddito) che ha un peso di circa 10 miliardi.
Domani subito dopo pranzo andrà in scena l’ultimo vertice a Palazzo Chigi, decisivo per il documento che dovrà essere licenziato in serata dal Consiglio dei ministri. Incontro al quale l’ex professore di Tor Vergata arriverà con uno spazietto bianco al posto della tanto discussa cifra.
Che verrà messa nero su bianco solo all’ultimo, frutto di una mediazione in extremis con i due contraenti del contratto di governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
AUMENTERANNO GLI IRREGOLARI COSI’ QUALCUNO POTRA’ CONTINUARE A FOMENTARE ODIO
Il Ministro dell’Interno, che ha fatto della “caccia al clandestino” il caposaldo della propria campagna elettorale, firma e porta in approvazione al Consiglio dei Ministri un decreto dal principale effetto pratico di aumentare il numero di stranieri irregolarmente presenti sul nostro territorio.
Nuovi “clandestini” che regaleranno ancor più occasioni di sfruttamento a coloro — spesso italiani, italianissimi – che li arruolano per pochi euro al giorno nel lavoro nei campi o per i propri traffici illegali.
E questa è solo la prima delle ricadute negative del Decreto sulla vita delle persone, oltre che sulla qualità della nostra democrazia.
Tra le disposizioni non si può non notare la cancellazione dell’istituto della protezione umanitaria — come proclama la relazione illustrativa con malcelato orgoglio — da ora in poi previsto solo in caso di gravissimi motivi di salute, per chi fugge da calamità naturali (per un periodo di 6 mesi: un tempo da considerarsi ridicolo per chi è colpito da terremoti o eventi climatici estremi in un paese del Sud del Mondo), e per atti al valor civile (almeno quelli che il Ministro vorrà considerare tali).
Cancellazione che, di fatto, renderà irregolare la stragrande maggioranza di quelli che oggi godono di questo tipo di protezione, una volta giunto a scadenza il relativo attuale permesso.
Questo varrà anche per chi, in questi mesi e anni, avrà fatto un percorso di integrazione positiva nel nostro Paese.
Finiranno perciò tutti fuori dal sistema, a ingrossare le fila degli irregolari già presenti in Italia.
Se perfino autorevoli esponenti della Lega definiscono “irrealizzabile” il disegno di rimpatriarli tutti, dove potranno mai finire queste persone e come potranno mantenersi, se non potranno accedere a nessun tipo di opportunità di lavoro o studio di una qualche regolarità ?
Il tutto senza minimamente considerare che l’Italia in futuro avrà sempre più bisogno di persone in arrivo, per contrastare l’implosione demografica e contribuire allo sviluppo del Paese.
Ma di questo il Decreto, concentrato tutto sulle politiche di uscita e di espulsione dal nostro territorio, non si occupa minimamente.
In tema di diritti individuali, alcune disposizioni del Decreto sembrano inoltre istituire una sorta di “cittadinanza di serie B” per coloro che chiedono (o che hanno ricevuto) asilo e protezione internazionale nel nostro Paese, con una norma che diminuisce le possibilità di tutela legale per il cittadino straniero che ricorre e un’altra che esclude i richiedenti asilo dall’iscrizione all’Anagrafe.
Nel prevedere, inoltre, la revoca automatica dello status di rifugiato e della protezione internazionale (anche per un reato come la minaccia a pubblico ufficiale) o la sospensione dell’esame della domanda e l’obbligo di immediato abbandono del paese per chi vede avviato un procedimento penale a suo carico, viene accantonato il principio della presunzione di innocenza per i richiedenti asilo.
Il risultato sarà che richiedenti asilo e rifugiati diventeranno permanentemente precari nel nostro paese e, per questo, altrettanto permanentemente ricattabili, da chi può avere interesse a sfruttarli o a tenerli soggiogati.
Il Decreto è preoccupante anche per l’impatto che ha sulla qualità della democrazia. Attaccando, infatti, su più fronti il diritto d’asilo, non considera l’Articolo 10 della Costituzione, che recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Per un governo presieduto da un giurista e basato su una ampia maggioranza parlamentare espressa da un movimento che fino a pochi mesi fa giurava di voler rispettare e tutelare “La Costituzione più bella del Mondo”, si tratta di un bel cambiamento
Come se non bastasse, le porte degli SPRAR, introdotti peraltro dalla Bossi-Fini, saranno chiuse sia per i pochi, o pochissimi, che otterranno protezione umanitaria, (abbandonando quindi chi scappa da calamità naturali o ha gravissimi problemi di salute al proprio vulnerabile destino), sia per i richiedenti asilo, che il Decreto confina obbligatoriamente senza alcuna eccezione nei Centri di Accoglienza Straordinaria. Quei CAS nei quali spesso hanno operato soggetti spregiudicati, a cui il Decreto non richiede, peraltro una maggiore trasparenza nell’erogazione di servizi o un’ esperienza più qualificata nel settore.
Si creano così le condizioni per la nascita di centri di prima accoglienza sempre più grandi, in cui sempre più persone vengano “parcheggiate”, quali destinatarie passive di vitto e alloggio.
In sostanza, si tratta di un disegno volto all’educazione separata di queste persone che, almeno nei proclami del Ministro, dovrebbe avere il suo compimento finale nella forte riduzione dei fondi investiti per ogni migrante accolto in quelle strutture.
Senza considerare che quegli stessi soggetti che lucrano sulla pelle di coloro che accolgono, continueranno a farlo anche con il dimezzamento della diaria giornaliera per ospite, mentre a trovarsi in difficoltà sarà proprio chi opera nel settore dell’accoglienza, anche straordinaria, in modo professionale, non potendo invece erogare gli stessi servizi con la stessa qualità .
Insomma, una ricetta per aumentare l’irregolarità , ancora una volta, a discapito del successo del progetto e del processo di accoglienza e integrazione.
Un’integrazione nel nostro paese da oggi riservata solo ai titolari di protezione internazionale, che continueranno a poter accedere agli SPRAR insieme ai minori non accompagnati: un forte depotenziamento di un sistema che, secondo tutte le analisi, ha funzionato nel disinnescare conflittualità sociali e generare un indotto di valore sociale ed economico nei Comuni ospitanti.
Congelare l’approvazione dei progetti SPRAR dei Comuni, ridurne il campo di applicazione — come sta facendo oggi l’attuale Ministro — significa privare i nostri paesi e le nostre città di strumenti per garantire l’integrazione di chi oggi vive nel nostro Paese, sia esso rifugiato o richiedente asilo, ma significa anche comprimere un indotto economico e sociale non trascurabile di risorse spese sul territorio, investite nell’affitto di case o in attività economiche locali.
Significa far perdere il lavoro a migliaia – se non decine di migliaia — di giovani operatori italiani, laureati e spesso post-laureati, che in questo settore operano come educatori, coordinatori di progetto, formatori, psicologi, mediatori linguistici.
Una ricaduta che dovrebbe essere tenuta in considerazione da un governo nato sotto l’auspicio di ridare slancio all’occupazione e alla formazione giovanile.
Oxfam Italia ritiene sia possibile (e doveroso) riformare l’accoglienza in modo da combattere chi la sfrutta e lavorare per l’inclusione di chi arriva nel nostro paese, a beneficio loro e delle comunità ospitanti.
In La lotteria Italia dell’Accoglienza, abbiamo stilato alcune proposte: a partire dal superamento della divisione in CAS e SPRAR e dall’adozione di standard di accoglienza comuni e alti, per arrivare all’istituzione di un albo dei soggetti gestori e all’obbligo di una chiara rendicontazione dei fondi ricevuti e delle spese sostenute per l’accoglienza, che possono essere esaminate per una revisione del sistema.
Ci auguriamo di poterne discutere con chi, in Parlamento, avrà l’onere di dover riesaminare il Decreto Salvini approvato.
Un decreto che Oxfam Italia ritiene in prima battuta non funzionale alle sfide poste dall’immigrazione nel nostro Paese, ma anche contrario alla lettera del Contratto per il Cambiamento, poichè rischia di aumentare il numero di irregolari o clandestini, e alimentare il peggio del cosiddetto business dell’accoglienza.
Elisa Bacciotti
Direttrice dipartimento Campagne di Oxfam Italia
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL CANTAUTORE: “CHISSA’ COME DEVE ESSERE BELLO MANGIARE MENTRE PASSANO I CAMION COL RIMORCHIO”
Un genovese d’eccezione contro il ministro Toninelli.
Intervistato da Rai Radio 1, Gino Paoli si scaglia contro l’idea di “ponte vivibile”, con ristoranti, negozi e altre attività , accennata dall’esponente 5 stelle in un’intervista.
“Si, deve essere bellissimo mangiare mentre passano i camion col rimorchio…”, ha dichiarato Paoli prima di affondare il colpo: “È una stronzata. Quando uno si mette in competizione col più grande architetto del mondo [Renzo Piano, ndr] vuol dire che è un cretino”.
Ospite del programma condotto da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari, il cantautore ha parlato della ricostruzione del ponte crollato a Genova il 14 agosto. “Il progetto di Renzo Piano per il ponte Morandi è fatto con lo spirito di un genovese, con tanti piloni piccoli, sarà un ponte che ha leggerezza, perchè Renzo cerca di dare all’opera lo spirito del luogo. A chiamare Piano sono stati Toti e Bucci per farlo, questo mi conforta”.
Ha votato Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni?
Paoli nega: “Mi sta insultando? Cosa?”.
Tra Salvini e Di Maio chi preferisce?
“È un bel match, Salvini è furbo e l’altro no, non riesce assolutamente a sostenere il confronto con Salvini”.
Le viene in mente una sua canzone da dedicare alla coppia Di Maio-Salvini?
“Si. ‘Senza Fine’, gliela dedico molto volentieri, è una canzone che si gira su se stessa”.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL TESTO FARSA NON ANCORA BOLLINATO, AL QUIRINALE NON E’ MAI ARRIVATO
C’è ancora una parte mancante nel decreto Genova. Non si tratta di dettagli o di limature ma del costo stesso della ricostruzione del Ponte Morandi.
Per questo il testo non è stato ancora bollinato dalla Ragioneria dello Stato.
Ed è sempre per questa stessa ragione che il Quirinale è ancora in attesa del provvedimento.
Quanti soldi serviranno per i lavori, i materiali e per la demolizione stessa? Una cifra non c’è.
Massimo questa mattina, stando a quanto veniva comunicato ieri sera, sarebbe dovuto arrivare sulla scrivania del Presidente Sergio Mattarella, ma così non è stato.
Ora Luigi Di Maio promette che arriverà “entro questa sera”, ma non tutti nel governo ne sono convinti.
I ritardi si sommano a ritardi e, secondo quanto si apprende da fonti del governo, sarebbe iniziato un nuovo braccio di ferro tra i tecnici del Tesoro e i giallo-verdi.
I primi chiedono che venga indicata una cifra da mettere a bilancio dello Stato, al di là di chi ricostruirà la struttura crollata il 14 agosto scorso.
Ciò significa però che bisogna anche trovare le coperture. Si parla di almeno 200-250 milioni di euro e in periodo di legge di bilancio trovare anche questi soldi può risultare un problema dal momento che già si fatica e si litiga per reperire le risorse a copertura del reddito di cittadinanza e pensioni.
Quindi, nel decreto non solo mancavano le cifre e le coperture per i singoli provvedimenti, per esempio per il prelievo aggiuntivo sull’Iva pari al 3% su cui il porto di Genova è stato autorizzato, si parla ci circa novanta milioni, ma anche il costo della ricostruzione del Ponte, ovvero la cifra più alta di tutte e il cuore del provvedimento.
Una fonte del governo spiega: “E’ impossibile quantificarlo. Non sappiamo ancora quella progetto scegliere e che tipo di ponte sarà “.
Ma il Tesoro avrebbe sollevato il dubbio che invece una cifra, se si parla di ricostruzione del Ponte, va assolutamente indicata.
Ieri notte il rompicapo nelle stanze di palazzo Chigi è stato questo.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
MA ERA SOLO IL DESIDERIO DI UNA BAMBINA INTELLIGENTE CHE AVEVA POSTO DA SOLA IL QUESITO, NONOSTANTE L’INSEGNANTE L’AVESSE INVITATA A CANCELLARLO
Un’attività di conoscenza dei bambini di prima media a Castel del Rio, sull’Appennino bolognese, diventa motivo di una polemica feroce della Lega contro la scuola e la docente di italiano che aveva assegnato il compito: esprimete i vostri desideri.
C’è chi scrive: “Come facciamo a cacciare Salvini?”.
L’insegnante chiede di cancellarlo, ma un’alunna lo trascrive lo stesso, insieme ad altri desideri come “smettere la guerra” e “guarire molte malattie”, oppure “risolvere la desertificazione” e avere macchine ad energia pulita.
Il quaderno arriva a casa e la paginetta con l’interrogativo sulla cacciata del ministro dell’Interno viene fotografata e postata nei social.
La Lega cavalca la vicenda, con una nota stampa: “Certi insegnanti, anzichè educare, fanno propaganda politica”. E si arriva alla follia.
Un caso “che non esiste nemmeno”, precisa il direttore dell’ufficio scolastico dell’Emilia Romagna Stefano Versari anche in risposta a Matteo Salvini che immediatamente interviene, col condizionale, per capire se la cosa è vera.
”Non ci voglio credere, e infatti andrò fino in fondo per verificare se siamo di fronte a uno scherzo o a una triste realtà . Scriverò al ministro della pubblica Istruzione. Un abbraccio a quei bimbi da parte di un papà che lavora per una scuola senza pre-giudizi in un Paese libero”, afferma il ministro dell’Interno.
Non c’è nessun compito in classe o a casa, precisa il provveditore Versari, dato dall’insegnante ai bambini – come denunciato dal commissario provinciale della Lega Daniele Marchetti, che è anche consigliere regionale dell’Emilia-Romagna -, ma un incidente nato da un esercizio fatto in classe.
“Si tratta della ‘bottega dei desideri’, una pratica didattica fatta all’inizio di un nuovo ciclo scolastico per far conoscere i bambini tra di loro e all’insegnante”.
Ogni alunno esprime un desiderio e trascrive sul quaderno quelli degli altri, per parlarne poi insieme al docente e conoscersi.
Il ‘casus belli’ sarebbe un desiderio particolare, “cacciare Salvini”, che l’insegnante, secondo quanto riferito dalla dirigente scolastica dell’istituto comprensivo di Borgo Tossignano al direttore Versari, avrebbe anche chiesto di non trascrivere insieme agli altri.
“Per precauzione – sottolinea Versari – ho chiesto sull’ episodio una relazione scritta. Ma ho la percezione di una realtà che cerca l’esorbitanza, e che quando l’esorbitanza non c’è tende a costruirla”, a “stravedere rispetto alla realtà “, “non è un bel segnale”.
“Auspico che sia una fake news perchè, se così non fosse, questo insegnante andrebbe allontanato immediatamente degli alunni”: aveva dichiarato la senatrice della Lega Lucia Borgonzoni, (ex militante del centrosociale Link) che sottolinea: “Il fatto è di una gravità inaudita, per tali motivi ho preallertato il Ministero dell’Istruzione”
Preallarme rientrato pe rmanifesta infondatezza.
Resta da premiare una bambina piu’ intelligente di tanti adulti.
(da agenzie)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRA GAFFE DEL MISE: PER DISCUTERE DELL’ILVA CONVOCANO IL SINDACO DORIA DEL CENTROSINISTRA NON BUCCI, IN CARICA DA 2 ANNI PER IL CENTRODESTRA
Gaffe del Ministero dello Sviluppo Economico.
Sulla convocazione ufficiale alla riunione per il rinnovo degli ammortizzatori sociali e dei lavori di pubblica utilità per i cassintegrati dello stabilimento Ilva di Genova, prevista per domani alle 13.30 a Roma, per il Comune viene invitato il sindaco “dottor Marco Doria”.
Ma, come è noto, Doria ha concluso il suo incarico nella primavera del 2017, lasciando il posto a Marco Bucci, esponente civico del centrodestra.
L’ennesimo infortunio del governo in carica che ormai non fa quasi più notizia, se non fosse che Bucci dovrebbero conoscerlo bene, visto che per il crollo del ponte Morandi, appare sui media ogni giorno da un mese e mezzo.
(da agenzie)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
CAMPIONI DELLE GIRAVOLTE E INAFFIDABILI, UN TEATRINO VIVENTE A SECONDA DELLA CONVENIENZA DEL MOMENTO
Un Movimento 5 stelle anti-Orban al Parlamento europeo e – incredibile – pro Orban in quello italiano.
Del resto Beppe Grillo l’aveva detto, «noi siamo un po’ Dc, un po’ di destra, un po’ di sinistra. Possiamo adattarci a ogni cosa». E avremmo dovuto prenderlo alla lettera.
Il 12 settembre scorso, come noto, il Movimento 5 stelle ha votato contro Viktor Orban al Parlamento europeo, o meglio, a favore dell’attivazione dell’articolo 7 del Trattato europeo (che prevede la possibilità di comminare sanzioni gravi contro gli Stati che non rispettano i valori fondanti dell’Unione). La cosa fece notizia.
Tornò a echeggiare le tesi propagandistica, cara a tanti in Italia, «in fondo sono più vicini al centrosinistra».
In realtà il Movimento di Davide Casaleggio votava diversamente dal suo alleato naturale (la Lega) non perchè ritenesse xenofobe le politiche di Orban sui migranti, ma perchè «solo noi difendiamo gli italiani».
Insomma, era un voto per propagandarsi più nazionalisti dei nazionalisti; un voto da nazionalisti italiani contro i nazionalisti ungheresi.
Alessandro Di Battista, due giorni prima, lo disse esplicitamente: «Le politiche migratorie di Orban vanno contro gli interessi italiani, quindi Orban non può essere mio alleato».
Il sottosegretario alla Farnesina, Manlio Di Stefano, grande estimatore di Vladimir Putin, proclamò: «Non ci schieriamo contro l’Ungheria ma a favore degli italiani. Per noi Orban è come Macron, entrambi mettono i loro interessi politici personali davanti al benessere collettivo minacciando la tenuta stessa dell’Unione Europea».
Il gruppo M5S in Europa emise un comunicato: «Per noi Orban, Macron, Merkel sono fatti della stessa pasta. Il M5S difende gli italiani».
Italians first; stile Donald Trump. Secondo le procedure dell’articolo 7 del Trattato toccherà comunque al Consiglio dell’Unione europea rendere effettive le sanzioni. E lì occorrerà un voto dei quattro quinti del Consiglio. Diventa importante, quindi, anche cosa farà il governo italiano del premier Giuseppe Conte.
Grande è stato allora, ieri pomeriggio intorno alle quattro, lo stupore di taluni deputati nel vedersi recapitare alla Camera, con pochi che ci facevano davvero caso, una mozione comune firmata da Lega e Movimento cinque stelle (documento 1-44, che pubblichiamo qui a fianco) in cui il Movimento prende una posizione assai diversa da quella assunta in Europa.
La mozione, firmata dai capigruppo di Lega e M5S a Montecitorio, Riccardo Molinari e Francesco D’Uva, ricorda che l’iter delle procedure anti-Orban «potrà durare alcuni mesi», e dunque «impegna il governo» a fare due cose.
La prima è del tutto innocua: «Attivarsi per la protezione e promozione dei valori su cui si fonda l’Unione».
Ma la seconda – in cauda venenum – capovolge totalmente il senso del voto M5S al parlamento europeo: il testo dei due capigruppo della Legastella impegna il governo e Giuseppe Conte a verificare se sussisteranno i motivi per la procedura d’infrazione: gli stessi motivi che il M5S in Europa ha appena deciso che sussistono.
Una giravolta che apre un bel portone per un aiutino italiano all’amico Orban. Il governo deve «attivarsi affinchè il Consiglio dell’Unione accerti che i motivi che si ritiene siano all’origine delle procedure di cui all’articolo 7, paragrafo 1, del Trattato nei confronti dell’Ungheria non siamo venuti meno e, nel caso non fossero più validi, affinchè sia chiusa celermente la procedura stessa, in quanto infondata».
Traduciamo: Molinari (Lega) e D’Uva (M5S) scrivono in modo chiarissimo che, al minimo segnale utile, il governo italiano si deve impegnare a far cessare la procedure contro Orban.
Perchè ovviamente «noi siamo italiani», non perchè siamo amici di Orban.
(da “La Stampa“)
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Settembre 26th, 2018 Riccardo Fucile
RIGUARDA L’ART 3 DELLA LEGGE, NON MODIFICATO NEANCHE DAL DECRETO DIGNITA’ DI DI MAIO
Uno stop che colpisce il Jobs Act, ma che arriva fino al Decreto Dignità .
La Consulta bocciato la norma, prevista dalla riforma del lavoro varata dal Governo Renzi, che prevede una determinazione rigida dell’indennizzo spettante a quel lavoratore ingiustamente licenziato dal datore di lavoro. Una norma che non è stata modificata dal successivo Decreto Dignità , varato dal Governo Conte.
Nel dettaglio, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal successivo decreto legge n.87/2018, cosiddetto ‘decreto dignita – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
In una nota la Consulta spiega, in particolare, che la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della costituzione.
Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
(da “Huffingtonpost”)
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