LEGA E M5S DANNO I NUMERI: PER FINANZIARE LE LORO CAZZATE VOGLIONO ARRIVARE AL 2,4%
SI PAGANO LE MARCHETTE ELETTORALI SULLA PELLE DEGLI ITALIANI E DEI RISPARMIATORI…QUANDO SALTERANNO I CONTI E GLI ITALIANI SI RITROVERANNO NELLA BRATTA NON BASTERA’ LORO UN BARCONE PER SCAPPARE
Quando è emerso a ridosso della presentazione della nota di aggiornamento al Def, Salvini si è ritrovato insospettabilmente vicino a Luigi Di Maio.
Sventolando la stessa bandiera, e tornando a mettere nel mirino via XX settembre.
Quando ieri sera Luigi Di Maio ha riunito la compagine di governo del Movimento 5 stelle, il messaggio è stato univoco: non solo l’1,6% come soglia del rapporto deficit/Pil non basta, ma non esiste nemmeno un compromesso che la porti di qualche zerovirgola più su.
Si deve andare decisamente oltre al 2%, puntando al 2,4%.
Ragionamento che il segretario della Lega ha sposato in pieno nelle ultime ore. Quando, cioè, ha capito che entro i confini non solo dell’1,6%, ma anche dell’1,8-1,9% prospettati dal Tesoro come accettabili, della “sua” riforma della Fornero sarebbe rimasto ben poco.
Così, a ventiquattrore dal Consiglio dei ministri che fisserà la cornice dentro cui dipingere la legge di bilancio, gli indicatori che marcano la distanza tra i due vicepremier da una parte e il ministro dell’Economia dall’altra, sono quantitativi e qualitativi.
Aggettivi che si sostanziano di numeri e che danno vita all’ultimo step della strategia massimalista dei due leader di governo nei confronti del Tesoro.
Quantitativi perchè il numero da cui dipende l’entità della manovra ha uno scarto di quasi un punto tra quello immaginato dai due leader di maggioranza per dare adito alle promesse elettorali e quello tenuto fisso per settimane dall’ex professore di Tor Vergata per garantire stabilità ai conti.
Qualitativi perchè le ultime ore registrano una rinnovata sintonia tra Di Maio e Salvini.
Non è sfuggito il fatto che negli ultimi giorni la Lega sia rimasta defilata rispetto a Di Maio, che dopo l’assalto ai tecnici del Mef oggi, in più conversazioni a tutti i livelli, ha ribadito la necessità di andare oltre il 2%, fondamentale per finanziare il cavallo di battaglia dei pentastellati, cioè il reddito di cittadinanza, a meno che non si decida alla fine di ridurre il tutto a un potenziamento del Rei, la misura di contrasto alla povertà del governo Gentiloni.
Con tutti i rischi di deludere un elettorato 5 stelle che i sondaggi segnalano già insoddisfatto.
Nelle scorse ore, però, ha iniziato a vacillare quella che il Movimento rivendica come una battaglia comune al Carroccio, cioè il superamento della legge Fornero. §
Per i leghisti, che hanno puntato tutto su quota 100, ridimensionando al minimo la flat tax, si tratta di un rischio ancora più forte.
Da qui la convinzione di Salvini e dei suoi di alzare il tiro e attestarsi su una linea più dura, sposando di fatto la posizione di Di Maio e ritornando a battere sul punto più precario della manovra, appunto il valore del deficit-Pil.
Fonti vicine al dossier confermano i malumori emersi già ieri sera tra i 5 Stelle durante la riunione presieduta da Di Maio sul pacchetto pensioni.
I fastidi nascono dal fatto che Tria non sarebbe d’accordo a dare il via libera alla proposta che ha visto al lavoro i tecnici del Carroccio non per il taglio politico, cioè una maggiore flessibilità rispetto alle regole esistenti, ma per il costo dell’ipotesi più accreditata (da 62+38 fino a 64+36) che si attesta oltre gli 8 miliardi a fronte di coperture che sono al lumicino.
Le soluzioni messe in campo anche dal Mef, cioè quelle di un taglio degli assegni, hanno registrato la contrarietà della Lega, che vuole mandare a casa i lavoratori anticipatamente senza una decurtazione della pensione: prospettiva, questa, che politicamente sarebbe molto impopolare.
Da parte sue, il ministro dell’Economia ha messo i sacchetti di sabbia intorno a via XX settembre, in quello che si prospetta come un vero e proprio assalto all’arma bianca delle ultime ore.
Davanti agli imprenditori di Confcommercio non ha usato sfumature, seppure senza citare direttamente Di Maio e Salvini. “Ho giurato – ha detto — nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri e non ho giurato solo io. Ovviamente ognuno può avere la sua visione, ma in scienza e coscienza, come si dice, bisogna cercare di interpretare bene questo mandato”.
Calando queste parole nello scontro in corso sulla manovra, il messaggio è chiaro: la tenuta dei conti viene prima delle promesse che rischiano di collocare l’Italia in un posizione di forte instabilità nei rapporti con Bruxelles e soprattutto sui mercati.
È nello stesso intervento di Tria che si annida la strategia del Tesoro: tenere il punto fino alla fine, aprendo sì all’1-8%-1,9%, ma rifiutando categoricamente di abbattere la soglia psicologica del 2 per cento.
Per Tria si possono fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, ma in forma abbozzata.
Tradotto in ragionamento e numeri: si può tentare di strappare all’Europa tra i 3,5 e i 5 miliardi in più rispetto ai circa 12 che arriveranno se ci sarà il via libera del rialzo del deficit dallo 0,9% all’1,6%, ma non oltre.
E con quelle risorse diventa impossibile fare quel che Di Maio e Salvini dicono da mesi di voler fare.
Vale a dire finanziare quota 100, che costa più di 8 miliardi, e il reddito di cittadinanza nella forma in cui lo vogliono i 5 stelle (pensione di cittadinanza, riforma dei centri per l’impiego, erogazione del reddito) che ha un peso di circa 10 miliardi.
Domani subito dopo pranzo andrà in scena l’ultimo vertice a Palazzo Chigi, decisivo per il documento che dovrà essere licenziato in serata dal Consiglio dei ministri. Incontro al quale l’ex professore di Tor Vergata arriverà con uno spazietto bianco al posto della tanto discussa cifra.
Che verrà messa nero su bianco solo all’ultimo, frutto di una mediazione in extremis con i due contraenti del contratto di governo.
(da “Huffingtonpost”)
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