Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
SU MANOVRA, REDDITO DI CITTADINANZA, CONDONO FISCALE, OLIMPIADI E GENOVA, LEGA E M5S VIAGGIANO SU DUE PIANI DIVERSI
È la dinamica di due governi, quella che si materializza attorno alla grande frenata su Tria (e non solo).
Sentite Giancarlo Giorgetti, uno che va in tv solo quando il momento è cruciale. Ospite di Otto e Mezzo, risponde così, sul punto di maggiore tensione del governo: “Si può anche arrivare allo sforamento del due per cento, ma non con provvedimenti di tipo demagogico per acquisire consenso”. Entrando nel merito del reddito di cittadinanza, spiega che ci sarà , ma, per un governo che ha l’ambizione di durare cinque anni, non tutto e subito, “l’importante è che si cominci il sentiero”.
Non che si obbedisca a una pretesa.
E adesso sentite lo spin o, se preferite, l’umore di giornata che fonti M5s, le più esperte in materia di comunicazione, affidano ai giornalisti, a voce e in chat, con l’obiettivo — ormai funziona così — di condizionare un titolo ad affetto.
Le parole annunciano ora tremenda vendetta non contro Tria, tornato ad essere persona “seria”, ma contro i perfidi tecnici del Tesoro: “Se non trovano i soldi del reddito, il 2019 sarà dedicato a farli fuori, una marea di gente al ministero dell’Economia perchè sono loro che proteggono un sistema che non vuole cambiare e non ci fanno capire i conti”.
Insomma, ieri veniva pretesa la testa di Tria, oggi si annuncia la decapitazione non più del ministro, ma dei suoi di capi di gabinetto, tecnici, capi di dipartimento di via XX settembre, la cui nomina (e non è un dettaglio) e dunque il cui scalpo dipende solo dal ministro, non dal vicepremier.
Ma questo è un altro discorso. Domani chissà . Circola già un’altra idea e un altro proclama bellico, anch’esso velleitario. Ovvero “cambiare la manovra in Parlamento sul deficit, se Tria non cede sull’1,6%”.
Di qui a quando accadrà qualcuno avrà appreso che non è possibile cambiare lo scostamento di deficit e i saldi. Puoi semmai bocciare la manovra, ma è evidente che a quel punto cade il governo, non solo il ministro dell’Economia.
Questi dettagli – neanche tanto originali per chi ricorda come lo stesso Renzi inseriva le stesse “burocrazie” tra i nemici del cambiamento – rivelano che, in verità , le pistole di Luigi Di Maio sono piuttosto scariche, perchè se salta Tria salta il governo.
E dunque questa eventualità va esclusa nell’ambito della trattativa sulla manovra. Come aveva suggerito Draghi le parole possono provocare danni. E quelle sul ministro del Tesoro non sono state a costo zero.
Il vulcanico professor Brunetta, uno che lo spread lo conosce bene, ha subito notato che “le furiose uscite di Di Maio contro il ministro Tria hanno scatenato di nuovo le vendite sui nostri Btp, con il rendimento sul decennale che si è riportato sulla soglia del 2,85 per cento annullando tutti i guadagni dell’ultima settimana”.
In attesa del prossimo comunicato o del prossimo spin, il dato politico è che Tria non è più in discussione.
Parliamoci chiaro: la Lega non ha alcun interesse a destabilizzare quadro adesso, prima delle europee, anche perchè non ha il problema del consenso, ampiamente monetizzato in materia di immigrazione, attorno all’agenda economica.
Il che non significa cedere tout court alla linea del Tesoro, ma certo portare nel negoziato una buona dose di realismo e di ragionevolezza. Realismo e ragionevolezza che la Lega si è potuta concedere, frenando proprio sui “suoi” provvedimenti.
Perchè il principio di Flat Tax sarà affidato a un artificio retorico attorno alle partita Iva e sulle pensioni è allo studio un un’ipotesi di “quota cento” che certo ammorbidisce la Fornero, ma in modo più blando.
Detta in modo un po’ tranchant: trovato un compromesso su questi dossier, il problema del reddito di cittadinanza, non è un problema comune, ma solo dei Cinque Stelle.
Perchè poi, in fondo, certo Salvini non si straccia le vesti se il suo cosiddetto alleato si trova in campagna elettorale per le europee senza la misura che gli ha regalato un plebiscito tra le masse di disoccupati.
Nazionalizzazioni, giustizia, opere pubbliche, commissario su Genova. A cui si aggiunge il pasticcio delle Olimpiadi, con Salvini che ha messo a verbale una dichiarazione opposta a quella di Di Maio, e la tensione attorno alla legittima difesa, col ministro Bonafede che rivendica come la competenza in materia non sia di Salvini, protagonista qualche giorno fa di una polemica con l’Anm.
È evidente la dinamica che rivela due logiche, due approcci, due metodi.
Parafrasando Gaber, due governi in un corpo solo. Qualche giorno fa proprio Giorgetti, in privato, si chiedeva quanto possa durare un sistema del genere.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
IN TUNISIA E LIBIA I NOSTRI DIPLOMATICI COSTRETTI A SPIEGARE AI GOVERNI I DELIRI DEI NOSTRI MINISTRI, A PARTIRE DA SALVINI
Hai voglia correggere, precisare, smentire, edulcorare, rabbonire.
La dura vita di un diplomatico ai tempi del Governo gialloverde, nel quale le invasioni di un ministro, e vice premier, iper attivo, specie sui social, nel “capo” che spetterebbe a un collega che per indole e interpretazione del ruolo, è portato a non alzare i toni per rubare la scena mediatica.
E’ dura la vita di un ambasciatore, Lorenzo Fanara che, dando prova di una pazienza zen, deve spiegare alle autorità tunisine che non è vero che Roma consideri la Tunisia “una esportatrice di galeotti”.
Ed è altrettanto, e forse anche più dura, la giornata di un ambasciatore, Gianpaolo Contini, rispedito al Cairo per difendere i nostri interessi petroliferi senza per far dimenticare alle autorità egiziane che per l’Italia il caso Regeni non è passato nel dimenticatoio, come vorrebbe, al di là delle dichiarazioni intrise di provocatoria ipocrisia, il presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi.
Per non parlare poi della Libia, dove un attivissimo ambasciatore, Giuseppe Perrone, al quale era stato demandato il compito di difendere sul campo e nel caos (armato) libico quella che sino a poche settimane fa sembrava essere la posizione dell’Italia, e cioè sostenere fino in fondo il governo di (dis)Accordo nazionale libico guidato da un premier, Fayez al Sarraj, che ormai non controlla più neanche il quartiere di Tripoli dove vive, accerchiato da milizie ostili o da “alleati” che battono cassa per una diversa spartizione dei proventi petroliferi.
Per aver sostenuto che in un Paese dove esistono due governi, due parlamenti, oltre 250 milizie armate, tribù che dettano legge sui territori che controllano, in un Paese siffatto (la Libia oggi) parlare di elezioni entro l’anno, è un po’ azzardato, l’ambasciatore Perrone è stato dichiarato “persona non grata” dall’uomo forte della Cirenaica, il feldmaresciallo Khalifa Haftar, e con ogni probabilità a Tripoli non rimetterà più piede.
Sconcerto, disorientamento, imbarazzo, irritazione: sono gli stati d’animo che primeggiano parlando con diplomatici di lungo e meno lungo corso, che fanno fatica a ricordare momenti come questi, nei quali “non si fa in tempo a ricucire rapporti che subito arriva un altro strappo”.
Ogni giorno ha la sua grana. E quella odierna si chiama “Africa”. Un continente delle opportunità , un investimento per il futuro. Un futuro di cooperazione, aveva sostenuto con forza la vice ministra degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale, Emanuela Del Re, nell’intervista concessa ieri ad HuffPost.
Intervista molto apprezzata dal corpo diplomatico dei Paesi africani a Roma, sottolineano alla Farnesina, se non che, neanche ventiquattr’ore dopo, ecco abbattersi il “ciclone Salvini”.
L’Africa pretende le scuse del vicepremier e ministro dell’Interno. Le parole di Salvini sono motivo di “costernazione”, per l’Unione africana (Ua), che non ha gradito, per usare un eufemismo, l’accostamento dei richiedenti asilo agli schiavi, fatto dal leader della Lega al vertice di Vienna della scorsa settimana nello scontro, immortalato da un “video pirata” con il ministro del Lussemburgo L’Ua, di cui fanno parte tutti i 55 Stati africani, chiede conto al leader leghista.
“Nell’interesse di un impegno costruttivo sul dibattito sulla migrazione fra i due l’Unione africana chiede al vice primo ministro italiano di ritirare la sua dichiarazione sprezzante sui migranti africani. E’ opinione dell’Unione africana che gli insulti non risolveranno le sfide della migrazione che Africa ed Europa affrontano”, si legge nella nota ufficiale.
Dal canto suo, Salvini ha replicato: “Mi limiterò a rimandare il comunicato di tre giorni fa, in cui ho smentito qualsiasi equiparazione tra immigrati e schiavi.Mi resta il dubbio che a questo organismo sia arrivata una traduzione in francese non corretta”.
Ma non c’è bisogno di traduzione per ciò che è avvenuto ieri in commissione Affari europei della Camera.
Vietato l’Erasmus nei Paesi del Nord Mediterraneo. Il titolo dell’agenzia Dire sintetizza perfettamente l’accaduto. “Cortocircuito in maggioranza sull’estensione dell’Erasmus”, spiega l’agenzia.
Il punto è in discussione in XIV commissione affari europei della Camera, con la relazione della deputata Pd Marina Berlinghieri. Il M5s aveva proposto tra le modifiche al testo anche un riferimento a “iniziative per estendere, in futuro, il programma di scambio Erasmus anche ai Paesi che non sono membri dell’Unione europea, come quelli appartenenti al Nord del Mediterraneo, al fine di favorire un processo di integrazione non circoscritto ai confini comunitari”.
Peraltro è la linea indicata dal presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, che – durante il discorso sullo stato dell’Unione – ha promosso l’idea di una nuova alleanza tra Europa e continente africano. Ma nella bozza di parere depositata per la seduta di ieri mattina, l’apertura del M5s al Nord Africa è sparita.
La ragione? “A quanto apprende la Dire da fonti parlamentari, decisivo è stato il confronto tra M5s e Lega. Gli uomini di Salvini hanno ottenuto la cancellazione dei Paesi nord africani come possibili sedi Erasmus, pur mantenendo la possibilità di svolgere il periodo di formazione oltre i confini dell’Unione”.
L’ultimo caso, in ordine di tempo, aperto da Salvini con un Paese africano, riguarda la Tunisia.
Nei giorni scorsi, le autorità tunisine hanno risposto ‘”no” alla proposta del titolare del Viminale di rimpatriare i migranti sbarcati a Lampedusa con voli charter straordinari. A riportare la notizia è stato il Corriere della Sera, riferendosi ai 184 migranti sbarcati tra la sera di giovedì e la mattina di venerdì scorsi a Lampedusa a bordo di alcune piccole imbarcazioni. “Andranno via subito”, aveva assicurato Salvini parlando del caso. E l’ipotesi allo studio del Viminale era proprio quella di rimpatriare immediatamente i tunisini con i voli charter, basandosi su accordi già esistenti con Tunisi.
Il ministro dell’Interno aveva anche avuto un colloquio con il suo collega tunisino a Vienna, dove si è tenuta la Conferenza sulle migrazioni. Ma evidentemente non ha dato i risultati sperati per Salvini.
Si dovrà ora seguire la procedura ordinaria: il trasferimento sarà quindi rallentato e sarà possibile rimpatriare non più di 80 migranti a settimana con due voli. Uno previsto per il lunedì e l’altro per il giovedì.
L’accordo con la Tunisia prevede procedure semplificate – e dunque il rimpatrio con i voli charter – esclusivamente per quei tunisini che sbarcano sulle coste siciliane: i migranti vengono intervistati dal console di Tunisi a Palermo o da suoi rappresentanti e, una volta verificata la loro identità , vengono rimpatriati.
Sui charter possono essere imbarcati non più di 40 migranti, perchè ognuno deve essere scortato da due agenti di Polizia. Per tutti gli altri tunisini intercettati sul territorio italiano valgono invece le procedure ordinarie: i migranti vengono trasferiti nei Cie in attesa dell’identificazione da parte della autorità di Tunisi.
“Stiamo lavorando sul flusso in arrivo dalla Tunisia. Martedì (oggi, ndr) avrà un incontro a Roma” aveva affermato il titolare del Viminale. Ma dell’annunciato incontro non si ha traccia.
“Evidentemente il ministro Salvini ha una visione parziale e non certo benevola della Tunisia, viste anche le sue precedenti scivolate…”, aveva commentato con HuffPost una fonte vicina agli ambienti governativi di Tunisi.
La scivolata a cui la fonte fa riferimento, e che portò ad un passo dalla crisi diplomatica, data 3 giugno 2018: da Pozzallo, dove è in visita, il neo titolare della Farnesina si lascia andare a questa non certo benevola considerazione: “La Tunisia è un Paese libero e democratico che non sta esportando gentiluomini ma spesso e volentieri esporta galeotti”, afferma Salvini interpellato sui casi di intemperanza, registrati nei centri di accoglienza, che avrebbero tra i protagonisti migranti tunisini.
Il messaggio che da Tunisi è partito per l’Italia, destinazione Palazzo Chigi, Farnesina e Viminale, può essere sintetizzato così: non chiediamo motovedette ma di un progetto a tutto campo che incida sulle cause strutturali, crisi economica in primis, che portano giovani tunisini senza futuro ad essere attratti dai salari offerti dai trafficanti di esseri umani che spesso agiscono in combutta con i miliziani dello Stato islamico
La volontà della Tunisia è quella di non modificare gli accordi prima di una vera e propria trattativa formale sul rinnovo dell’intesa, anche per poter negoziare con il governo italiano alcune nuove istanze che verranno presentate durante i colloqui ufficiali.
Discutere a tutto campo, spiegano a Tunisi, significa anche rendersi conto, da parte italiana ed europea, che la Tunisia, come peraltro la Libia, da Paese di transito si sta trasformando anche in Paese d’origine per ciò che concerne il fenomeno migratorio. Investire in cooperazione con i Paesi africani è nell’interesse dell’Italia.
Il ministro degli Esteri Moavero Milanesi e la numero due della Farnesina, Emanuela Del Re (pentastellata) ne sono profondamente convinti. Ma vallo a spiegare a Matteo (Salvini).
Per lui, sintetizza una fonte diplomatica agli Esteri, l’Africa dovrebbe essere un unico, gigantesco “Continente- hotspot”.
Ma l’Africa è anche un universo nel quale chi pratica solidarietà rischia la vita.
E’ il caso di padre Pierluigi Maccalli, il missionario della Società delle missioni africane (Sma), rapito in Niger lunedì sera, presso la missione in cui operava, a 125 chilometri dalla capitale Niamey. Non ci sono state ancora ufficialmente richieste di riscatto, ma padre Maccalli, “è vivo e sta bene”, a quanto ha riferito al telefono uno dei suoi confratelli, padre Mauro Armanino, missionario italiano impegnato a Niamey. “Il ministro dell’Interno ha detto che sta bene e per questo immagino che ci siano contatti con i rapitori”, ha detto padre Armanino, da sette anni operativo a Niamey, dove si trova la casa regionale della congregazione.
Proprio nella capitale del Niger, a quanto riferito dal religioso, sono rientrati tutti i missionari bianchi per questione di sicurezza e per fare una valutazione sul da farsi sia con le autorità locali, che con i responsabili della Sma.
Diplomazia, in Africa come in Medio Oriente, vuol dire agire sul campo per salvare la vita dei nostri connazionali.
Sarebbe bene non dimenticarlo mai.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
UN SUO ADDIO IN PIENA MANOVRA AVREBBE UN COSTO TROPPO ALTO, GLI INVESTITORI INTERNAZIONALI CI LASCEREBBERO IN BRACHE DI TELA, L’HA CAPITO PERSINO GIGGINO
Dopo essere passati da zero a cento nell’arco di un battito di ciglia, oggi è il giorno della grande retromarcia.
Il Movimento 5 stelle ha gettato in mare una serie di messaggi in bottiglia assai distensivi, sapendo che la corrente tira verso il lido di via XX settembre.
In sostanza: le dimissioni, l’abbandono, la resa di Giovanni Tria non è una variabile del grande gioco della legge di stabilità . E non lo è in nessun caso, sia che i soldi per il reddito di cittadinanza saltino fuori, sia che alla fine i desiderata di Luigi Di Maio non vengano soddisfatti.
La marcia indietro è partita proprio da qui. Da quando ci si è accorti che le parole del capo politico del M5s avevano fatto saltare la frizione di una macchina che rischiava il frontale.
Perchè all’Economia quella dichiarazione (“Un ministro serio dieci miliardi li trova”) non è piaciuta affatto. Soprattutto nell’aggettivazione scelta. Così i pompieri hanno iniziato a gettare acqua sul fuoco, spiegando che il concetto era più ampio, che nessuno ha mai messo in dubbio la serietà del ministro.
Il punto è che quando i toni si sono alzati fino a superare il livello di guardia, Tria ha messo le proprie dimissioni sul piatto.
Un’eventualità che la parte più barricadera dei 5 stelle ha accolto facendo spallucce. Ma Di Maio sa perfettamente che il sentiero che passa per la sostituzione del titolare del portafoglio economico in piena legge di stabilità è strettissimo, e ha strapiombi da ambo i lati.
Si chiamano impennata dello spread, fibrillazioni dei mercati, campagne stampa avverse. E l’operazione immaginata di dare la responsabilità del patatrac al solo Tria non regge.
Così l’opzione della sua sostituzione come misura estrema di fronte a una eventuale ostinazione è tramontata.
L’assedio non viene tolto. Laura Castelli, viceministro dell’Economia, intervistata da Radio Capital dice chiaramente che “con il deficit all’1,6% non si può fare nulla”. L’esponente dei 5 stelle è convinta che non sarà quello il numero magico apposto sulla nota di aggiornamento del Def.
“Non posso parlare di numeri — continua – i mercati ci stanno osservando e questi sono numeri delicati”. Ma la spinta è affinchè si raggiunga un compromesso tra la soglia fissata dall’ex professore di Tor Vergata e il 2,3/2,4% dei desiderata della maggioranza.
Lo stesso vicepremier dall’estremo oriente dice sì che “Non possiamo aspettare 2 o 3 anni per mantenere le promesse. È per questo che si attinge un po’ di deficit”.
Ma torna a battere sul tasto della rassicurazione: “È questa la nostra intenzione, ma tenendo i conti, senza voler fare nessuna manovra distruttiva dell’economia”.
Anche il fronte parlamentare si raffredda. Ieri lo spin era di un’ebollizione del gruppo parlamentare stellato. Primi tasselli della narrazione di un tecnico esecutore di un contratto che prevarica gli eletti dal popolo. Tutto rientrato.
Con il capogruppo Francesco D’Uva che è dovuto rincorrere a smentire l’esistenza di un documento in preparazione da parte del gruppo parlamentare come riportato da alcuni giornali.
E lo stesso Giuseppe Conte sta svolgendo una ricognizione tra tutti i capigruppo dei partiti come segnale per rasserenare gli animi (o prendere tempo finchè Di Maio non torna dalla Cina, suggeriscono i maligni).
Una grande manovra di interruzione dell’inerzia anti-Tria (“Faccia il lavoro per cui è pagato”, dicevano ieri i colonnelli del Movimento), che non smorza l’irritazione nei confronti di un ministro considerato rigido ai limiti del tecnocratismo, ma che semplicemente prende atto che rimuoverlo o costringerlo a un passo indietro avrebbe un prezzo salatissimo da pagare.
Per questo fonti parlamentari spiegano che l’obiettivo è un altro: “Qualora non si trovassero i soldi, dovremmo passare i primi mesi dell’anno prossimo a fare piazza pulita al Mef. Al ministero ci sono una serie di persone che proteggono lo stesso sistema da anni, e non ti fanno capire i termini della questione”.
Un’istanza che al governo non vedono affatto male: “Parliamo di dieci miliardi, non cento. Sono cose che hanno sempre fatto tutti i governi”. Un tema che d’altra parte era stato tra i grandi cavalli di battaglia di Matteo Renzi, che tra i tecnici del ministero, la ragioneria dello stato e i mandarini del Senato aveva costruito un’inafferrabile nemico diffuso ostile alla rottamazione.
Fatto sta che le attenzioni si sono spostate da Tria alla struttura che lo mal supporta, in un’inversione a metà tra la presa di coscienza della situazione e la necessità di individuare il nemico.
In una delle sue formidabili vignette, Giovannino Guareschi scriveva: “La frase pubblicata sull’Unità : ‘Bisogna spiegare il significato delle manacce governative’ contiene un errore di stampa e pertanto va letta: ‘…Il significato delle minacce governative’.
Vale oggi lo stesso per il Movimento 5 stelle: “Contrordine compagni!”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
L’ULTIMA IPOTESI E’ QUOTA 100 A 65 ANNI CHE RIVEDE LO SCHEMA 62+38… MA RESTA IL NODO COPERTURE, COSTO 8 MILIARDI L’ANNO (CHE NON CI SONO)
La versione definitiva è in stand-by perchè la manovra è ancora tutta da confezionare sul fronte delle coperture e bisognerà capire quanta parte della torta si avrà a disposizione alla fine, ma anche perchè l’ultima parola – quella politica – spetta a Matteo Salvini.
Guardando ai numeri, però, lo schema sulla quota 100 per le pensioni a cui stanno lavorando i tecnici della Lega è in fase avanzata e si è arricchito di nuovi elementi.
La novità più importante, secondo quanto si apprende da fonti del Carroccio, punta a una flessibilità molto ampia: potrebbero bastare anche solo 35 anni di contributi (con 65 anni di età anagrafica) per uscire anticipatamente dal mondo del lavoro.
Questo schema interesserebbe una platea di 495mila lavoratori e avrebbe un costo di 8 miliardi all’anno.
Lo schema annunciato da Salvini è quello del 62+38, ma mentre sull’età anagrafica il leader della Lega non sembra avere più dubbi (l’ipotesi iniziale dei tecnici era 64 anni), sull’età minima di contributi per accedere alla quota 100 la discussione non è ancora stata chiusa.
Ad oggi l’opinione prevalente spinge per scendere anche fino a 35 anni di contributi, mentre qualcuno pensa che siano troppo pochi e vorrebbe alzare l’asticella almeno a 36-37.
Elemento, questo, che è tutt’altro che un dettaglio dato che dalla calibrazione di questo paletto dipenderà non solo la platea dei destinatari, ma anche i costi relativi.
E dato che la grande questione che ruota intorno alla legge di bilancio è la carenza di risorse a fronte di misure che costano parecchi miliardi è evidente come la definizione del pacchetto pensioni entra a pieno titolo nella complessa e delicata trattativa in corso tra Salvini e Luigi Di Maio, ma soprattutto tra i due azionisti di governo e il Tesoro.
Ritornando ai numeri, la quota 100 con 35 anni di contributi permetterebbe a un lavoratore di 65 anni di andare in pensione due anni prima rispetto a quanto prevederà , dal prossimo anno, la riforma Fornero, che ha alzato il requisito a 67 anni. Se alla fine passerà questa ipotesi, i tecnici del Carroccio stimano in 495mila il numero dei lavoratori che potrebbero accedere alla quota 100.
Si scenderebbe invece a 450mila se il requisito dell’età contributiva minimo fosse di 36 anni.
Il nodo centrale dell’intero pacchetto pensioni, che Salvini vuole portare a casa per dare seguito alla promessa di superare la riforma Fornero, resta però imponente ed è quello delle coperture.
Il costo stimato è di circa 8 miliardi e fino ad oggi, secondo quanto rivelano alcune fonti vicine al dossier, si sarebbero individuate risorse per 1,5-2 miliardi, da attingere dal fondo esuberi: meccanismo che fa pagare il conto dell’uscita anticipata alle imprese.
Ancora troppo poco per convincere il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, a dire sì.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERGOGNA DI UN PARTITO CHE IN UN MESE CAMBIA IDEA PER TUTELARE LE AZIENDE DEL PROPRIO LEADER… L’ARROGANZA DEL REGIME CHE RIPROPONE UN NOME GIA’ BOCCIATO: SI ANNUNCIANO RICORSI
È partito il grande minuetto per il ritorno in campo di Marcello Foa, dopo l’intesa Berlusconi-Salvini.
La maggioranza gialloverde è riuscita a far approvare la risoluzione che prevede un nuovo voto sul nome del giornalista sovranista. E Forza Italia si è astenuta. Contrari Pd, LeU e Pier Ferdinando Casini.
La commissione parlamentare di Vigilanza si è riunita questa mattina alle otto e subito è stata presentata la risoluzione M5S-Lega che chiede di ridare al cda Rai la possibilità di riproporre il nome di Marcello Foa.
Il presidente della commissione, il forzista Alberto Barachini, ha detto: “Ritengo che non ci siano profili tali da mettere in dubbio l’ammissibilità della mozione di maggioranza, alla luce dei pareri riportati. Ho ricevuto una lettera del collega Mulè in cui si chiede che la commissione prima di votare il parere sul componente del Cda Rai che sarà designato presidente si proceda alla sua audizione”.
La maggioranza insomma ha tentato di mettere al riparo i consiglieri dai ricorsi già annunciati da Pd e Usigrai, che hanno raccolto pareri legali per dimostrare che – far rivotare il giornalista dopo che è stato bocciato dal Parlamento – sarebbe una violazione della volontà degli elettori.
“Qual è questa l’offerta che non si può rifiutare per cui i colleghi di Forza Italia devono rivalutare un nome già bocciato?”, ha detto Antonello Giacomelli, parlamentare Pd, intervenendo in Vigilanza sulla mozione di maggioranza.
E a proposito della richiesta del parlamentare di Forza Italia Giorgio Mulè, Giacomelli ha aggiunto: “Almeno risparmiamoci l’audizione di Foa”.
Sempre per il Pd è intervenuto Francesco Verducci, il quale ha parlato di “mercimonio” sulla nomina di Foa.
La replica irritata del forzista Giorgio Mulè ai sospetti arriva a stretto giro: “Non solo non c’è stato alcun mercimonio, non è neppure consentito di lordare con parole come ‘inciucio’ o ‘mercimonio’ il percorso fin qui seguito. Quale che sia il presidente che il Cda nominerà – che sia Foa o Laganà o chicchessia – è fatto obbligo alla Vigilanza formarsi un giudizio sulla persona che ricoprirà quella carica”.
Un altro siparietto c’è stato fra Daniela Santanchè (Fdi) e Davide Faraone (Pd), con la parlamentare che provocatoriamente ha osservato: “Nel Pd ora sono tutte vergini”, e ha parlato di occupazione “militare” della Rai da parte dell’ex premier Matteo Renzi.
Tipica mentalità da parte della Santanche’ comune a chi vorrebbe attaccare.
Dopo un’interruzione in tarda mattinata, la seduta della Vigilanza è ripresa nel pomeriggio proprio per esprimersi sulla mozione di Lega e 5Stelle che chiedeva di procedere “senza indugio” alla nomina del nuovo presidente “senza limitazioni” ai nomi dei consiglieri, eccezion fatta per l’amministratore delegato. Ed è arrivato il sì. Primo passo per il via libera a Foa.
“È incredibile che la trattativa tra Salvini e Berlusconi, che ha portato al rovesciamento di posizioni di Fi, e certo non in cambio di nulla, si sia svolta senza un fiato e con la complicità dell’M5S”, dice Loredana De Petris, del Gruppo misto. “Eppure è quello stesso M5S che tuonava contro il conflitto di interessi”.
La commissione tornerà a riunirsi, probabilmente all’inizio della prossima settimana, per il via libera, definitivo, al nuovo presidente dell’azienda di viale Mazzini.
Intanto domani il suggello dell’operazione con il vertice di centrodestra a Palazzo Grazioli.
“Sul futuro della #rai e sui suoi assetti di potere in arrivo nuovo asse Berlusconi-Salvini-Grillo. Caro Di Maio che fine hanno fatto le vostre battaglie contro il conflitto di interesse?”. ha scritto su Twitter il coordinatore nazionale di Mdp, deputato di Liberi e Uguali, Roberto Speranza.
“Di Maio sarà il nuovo ospite fisso alle cene di Arcore. M5S, Lega e Forza italia, riproporranno come presidente Rai Marcello Foa. Un presidente di parte, abituato ad insultare anche il Capo dello Stato. Ve le ricordate le parole di Fico sul servizio pubblico? Pd farà ricorso”, annuncia il presidente dei senatori Pd, Andrea Marcucci, su Twitter.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
TRA 7 E 12 MILIONI LE ARMI IN CIRCOLAZIONE, 1,2 MILIONI CHI POSSIEDE IL PORTO D’ARMI
Il decreto legge che recepisce la normativa europea, in vigore dal 14 settembre, raddoppia (da 6 a 12) il numero di “armi sportive”, fucili e carabine, legalmente detenibili.
Lo stesso DL aumenta la “capacità legale” dei caricatori (da 5 a 10 colpi per le armi lunghe e da 10 a 15 per quelle corte) ed estende la qualifica di “tiratore sportivo” anche ad altri soggetti oltre ai tiratori della Federazione.
Ai “tiratori sportivi” è consentito l’acquisto di armi “demilitarizzate”. Cioè armi da guerra “trasformate” in armi comuni.
Repubblica oggi pubblica una serie di infografiche che raccontano come, secondo l’ultimo censimento di 9 anni fa, il numero di armi che si trovano oggi detenute legalmente è tra i 7 e i 12 milioni; 1,2 milioni sono invece le persone che oggi hanno un porto d’armi pur non facendo parte delle forze dell’ordine mentre le licenze di caccia sono 775mila e quelle per tiro sportivo 471mila.
Il numero di permessi di porto d’armi per uso sportivo è cresciuto del 18% tra 2015 e 2016.
E quanto costa avere un’arma in Italia?
Il porto d’armi per difesa personale costa 132 euro e la licenza dura cinque anni, mentre i prezzi delle armi dipendono dalla tipologia: ci vogliono 400 euro per acquistare una pistola Beretta 92Fs, 850 euro per la Smith & Wesson performance modello 637 o 1500 per un’arma automatica o semiautomatica.
Il governo – che pure nel recepire la direttiva europea 853 ha istituito un nuovo sistema informatico per il tracciamento delle armi e delle munizioni – non ha colto l’occasione di collegare il database del sistema sanitario nazionale a quello del Dipartimento di pubblica sicurezza.
Nel contratto di governo con il M5S c’è scritto che «si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa».
Gli ultimi dati, pubblicati sul sito del Ministero risalgono al 2015 ed evidenziano come il numero dei furti denunciati, pur essendo notevolmente aumentato tra il 2004 e il 2012 (un dato comune a molti paesi europei ad eccezione del Regno Unito e legato alla crisi del 2008) ha registrato una leggera flessione tra il 2014 e il 2015. Il fenomeno esiste e non va sottovalutato.
Un rapporto del centro studi Transcrime (su un campione di dati del Ministero) ha dimostrato che i furti si concentrano prevalentemente nei mesi da ottobre a gennaio, nei giorni di venerdì e sabato e tra le 8 e le 10 del mattino o tra le 17 e le 20 di sera, vale a dire quando le persone non sono in casa.
Insomma nella maggior parte dei casi il ladro non entra in casa di notte quando i proprietari stanno dormendo ma — sorpresa — quando non c’è nessuno a poter difendere la proprietà .
Anzi generalmente tende a preferire i furti “facili”. Nello stesso periodo il numero delle rapine (ovvero il furto commesso mediante un atto di violenza su un soggetto) denunciate sia calato in maniera drastica passando dalle 80,20 ogni centomila abitanti del 2004 alle 57,74 del 2014.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
FERMATI DUE IMPRENDITORI, HANNO USATO MATERIALI NON IDONEI PER RISPARMIARE
Sequestrati dai carabinieri la nuova ala di una scuola di Sperlonga e una palestra di un liceo di Gaeta, in provincia di Latina, perchè ritenuti costruiti senza fondamenta per risparmiare sui costi dei lavori per un appalto vinto con un’offerta a ribasso. Arrestati nell’operazione due imprenditori, padre e figlio, con le accuse di corruzione, turbata libertà degli incanti, frode in pubbliche forniture e truffa.
Le indagini sono partite dall’operazione “Tiberio”, che a gennaio 2017 aveva portato all’esecuzione di 10 misure cautelari per reati contro la P.A.
Pietro e Francesco Ruggeri, della ditta Dr costruzioni avevano ottenuto l’appalto per la realizzazione di una nuova ala del plesso scolastico Alfredo Aspri di Sperlonga e per l’ampliamento della palestra del Liceo Enrico Fermi di Gaeta.
Il tramite degli imprenditori era Isidoro Masi, ex responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Sperlonga ed ex funzionario della Provincia nel settore della scuola, già arrestato nell’inchiesta Tiberio del 2017.
Nel caso del plesso di Sperlonga, per vincere l’appalto, la ditta aveva presentato un’offerta fuori mercato e per risparmiare ha eseguito lavori difformi dal progetto. In particolare, le perizie hanno rivelato che non erano state realizzate le fondamenta, che avrebbero dovuto essere di almeno un metro e mezzo.
Difformità sono emerse anche per il solaio, le cui traverse avrebbero dovuto essere spesse 22 centimetri ed erano invece di 12 centimetri.
“Era una scuola destinata a crollare addosso ai ragazzi”, ha detto il colonnello Gabriele Vitagliano, comandante provinciale dei carabinieri di Latina. Il cantiere della struttura è stato sottoposto a sequestro.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
SARA’ UN DIFENSORE PADANO DELLA FAMIGLIA TRADIZIONALE?
Una storia incredibile ma terribilmente vera. Una ragazzina di 15 anni ha chattato per quasi un anno con un uomo più grande di lei, di cui conosceva solo il nickname, scambiando messaggi e foto hot. Ma non sapeva che si trattava del padre.
All’inizio i due si scambiavano solo messaggi, poi le conversazioni sono diventate sempre più a sfondo erotico.
Fino alle foto, in cui la giovane si presentava in pose osè. Mesi e mesi di messaggi di questo tipo, fino alla decisione di incontrarsi.
Un appuntamento al buio e la scoperta sconvolgente: dall’altra parte della chat c’era sempre stato suo padre. Era lui l’uomo con cui aveva parlato di sesso e al quale aveva inviato ‘messaggi spinti’ ed espliciti
A far emergere questa drammatica storia, avvenuta nella provincia bergamasca, è stato Enrico Coppola, presidente dell’Aga (Associazione genitori antidroga). “La ragazzina, traumatizzata da questa storia – – ha detto Coppola – si è confidata con la psicologa della scuola che poi ha riferito all’associazione quanto accaduto. Non ci era mai capitato di imbatterci in una cosa del genere”.
“La mamma della 15enne – ha sottolineato Coppola – si è subito separata dal marito per tutelare la figlia e ha cambiato scuola e ambiente. Purtroppo sempre più spesso capita che adolescenti chattino online con persone più grandi ma anche con coetanei con i quali arrivano a scambiarsi foto e video osè spingendosi fino alla prostituzione. E non è raro a questo punto che scatti il ricatto. Non sempre i giovani coinvolti riescono a confidarsi, cadendo nella trappola del cyberbullismo. Qualcuno ci pensa soltanto, ma non sono pochi negli ultimi tempi quelli che si tolgono la vita”.
(da agenzie)
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Settembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
IL FIGLIO GIANLUCA FU UCCISO NEL 2005, LUI E’ MORTO UN MESE FA
Un cumulo di terra che ricorda una sepoltura lasciato di fronte al negozio di famiglia. Una croce di sigarette, della marca e del tipo che Mario Congiusta ha fumato tutta la vita.
Sono due inequivocabili messaggi di morte quelli che negli ultimi giorni si sono visti recapitare i familiari di Mario Congiusta, figura simbolo dell’antimafia della Locride, spentosi meno di un mese fa dopo oltre 13 anni battaglia civica e giudiziaria per dare un nome all’assassino del figlio Gianluca.
Giovane imprenditore di Siderno, piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, Gianluca Congiusta per i magistrati è stato ucciso il 24 maggio del 2005 per la sua determinazione a denunciare il tentativo di riorganizzazione del clan Costa in paese.
Ufficialmente scomparsi da Siderno dopo la feroce faida con i Commisso, nei primi anni Duemila, in silenzio i Costa stavano tornando in paese. Tessevano alleanze, in segreto facevano estorsioni. Ne era stato vittima anche il suocero di Gianluca, che lo aveva confidato al ragazzo. E lui non aveva intenzione di rimanere in silenzio, Gianluca quel sopruso lo voleva denunciare. Ma lo hanno fermato prima con tre colpi di pistola.
Questa la ricostruzione dei magistrati che ha portato più volte alla condanna del boss Tommaso Costa, Individuato come responsabile dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese per ben due volte, sia in primo grado, sia in appello. Ma per la Cassazione non c’erano sufficienti elementi per arrivare ad una condanna.
Qualche mese fa, gli ermellini hanno deciso per un annullamento delle precedenti sentenze, senza rinvio ad altro tribunale per un nuovo esame del procedimento.
Il boss Tommaso Costa è all’ergastolo, per associazione mafiosa ed altre condanne, ma per la giustizia dei tribunali, l’uomo che ha deciso la morte di Gianluca non ha ancora un nome.
Suo padre invece ne era convinto, sapeva che a decretare la morte del figlio erano stati i vertici del clan Costa e per anni lo ha denunciato, nelle piazze, nelle scuole, nei tribunali.
Bassino, magrissimo, sempre con cappello e occhiali, Mario Congiusta, a Reggio Calabria e nella Locride, è diventato una figura tanto nota quanto scomoda, perchè non ha mai esitato nel puntare il dito contro il boss Costa e il suo clan nei processi, nè si è tirato indietro nel denunciare pubblicamente la dittatura dei clan.
Un esempio pericoloso per la ‘ndrangheta della Locride, i cui uomini oggi sembrano volersi assicurare che nessuno raccolga il testimone della battaglia di Mario. Soprattutto fra i suoi familiari.
Dal giorno della sua morte, la moglie e le figlie di Mario Congiusta sono state costrette a denunciare una lunga serie di minacce e intimidazioni, più o meno gravi. Quando la notizia è trapelata, chi ha deciso di terrorizzarle è tornato a colpire con quella croce di sigarette, lasciata sull’uscio di casa per dimostrare che neanche lì la moglie e le figlie di Mario sono al sicuro.
Una prova di forza — si commenta in ambienti investigativi — con cui qualcuno ha voluto dimostrare di infischiarsene della straordinaria ondata di solidarietà che si è generata quando si è saputo che la famiglia Congiusta è nuovamente sotto attacco.
Attorno alla moglie e alle figlie di Mario, si sono stretti gli attivisti di associazioni e comitati di base, come il movimento antimafia Reggio Non tace, alcuni sindaci, moltissimi cittadini.
“I soliti ignoti-noti sappiano che i Congiusta non sono soli” scrive su facebook, don Pino De Masi, uno dei responsabili di Libera del reggino.
La politica invece tace. Come un mese fa ha disertato il funerale di Mario Congiusta, oggi sembra aver abbandonato i suoi familiari.
(da agenzie)
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