STATO DI EMERGENZA A TRIPOLI, SI RIAPRE IL FRONTE LIBICO ANCHE PER L’ITALIA, AL SERRAJ ALLE CORDE
L’AMICO DI MINNITI E SALVINI FATICA A CONTENERE LA SETTIMA BRIGATA, PREOCCUPAZIONE PER I NOSTRI MILITARI IN LIBIA
Alla vigilia della settimana italiana che si annuncia decisiva per porre le basi della manovra economica e del primo consiglio dei ministri dopo l’estate, si riapre il fronte libico.
Era nell’aria da giorni, con la settima brigata in avanzamento, ma la formalizzazione del salto di scala nella crisi si ha con la proclamazione dello stato di emergenza a Tripoli per gli scontri tra le milizie intorno alla capitale.
La decisione assunta “per proteggere i cittadini e la sicurezza, gli impianti e le istituzioni vitali che richiedono tutte le necessarie misure militari e civili” dal consiglio presidenziale libico guidato da Fayez al Sarraj, sancisce la difficoltà dell’uomo appoggiato anche dal governo italiano, che solo ieri, insieme a Usa, Francia e Gran Bretagna, aveva diffuso un comunicato congiunto in cui si “condannava fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti”. A suggellare le difficoltà di al Sarraj e la la posizione non facile del nostro Paese, sempre sabato c’era stato un avvertimento a colpo di mortaio che ha sfiorato l’ambasciata italiana nella capitale.
Per l’esecutivo guidato da Conte, in procinto di celebrare i primi cento giorni, l’escalation rappresenta un problema non di poca rilevanza per diversi fattori che fatalmente incrociano dossier ‘caldi’ per il nostro Paese.
L’immigrazione, in primis, vista la presenza nel Paese dei famigerati centri di detenzione di migranti, che tentavano la rotta verso l’Italia in Europa.
Secondo, non va dimenticata ovviamente la presenza dell’Eni e i relativi nostri interessi geo-strategici nella regione.
Terzo, la presenza sul territorio di truppe italiane (“totalmente in sicurezza”, come assicurato immediatamente dalla Difesa) e di uomini dei nostri servizi, che molto si sono spesi nella stabilizzazione post Gheddafi, sotto la guida del generale Manenti, in predicato – probabilmente proprio lunedì – di essere sostituito.
Tornando in Libia, ora si tratta di capire se la misura di al Sarraj produrrà qualche effetto.
Il consiglio presidenziale è stato costretto alle misure di emergenza dopo la violazione reiterata delle fragili tregue proclamate nei giorni scorsi. Il governo di unità bolla i combattimenti come un “attentato alla sicurezza della capitale e dei suoi abitanti, davanti ai quali non si può restare in silenzio”.
L’obiettivo dei miliziani – sempre secondo il consiglio – “è quello di interrompere il processo pacifico di transizione politica” cancellando “gli sforzi nazionali e internazionali per arrivare alla stabilizzazione del Paese”.
Sarraj ha passato la domenica protetto nel suo quartier generale in una base navale incontrando ministri e responsabili militari, ai quali ha affidato i piani per ristabilire l’ordine.
I consigli municipali degli anziani, in uno strenuo tentativo di mediare tra le parti, hanno lanciato un appello a fermare gli scontri. Un appello che tuttavia sembra destinato a rimanere inascoltato.
La 7/ma Brigata, protagonista dell’assalto alla capitale che da lunedì scorso è costato la vita a oltre 40 persone e ha provocato centinaia di feriti, avanza da sud e punta sul centro della città .
La Brigata “continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata”, ha tuonato il leader Abdel Rahim Al Kani. “Noi non vogliamo la distruzione, ma stiamo avanzando in nome dei cittadini che non riescono a trovare cibo e aspettano giorni in coda per avere lo stipendio, mentre i leader delle milizie si godono il denaro libico”, ha incalzato Kani.
L’ambasciata italiana in Libia “resta aperta. Continuiamo a sostenere l’amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento”, ha scritto su Twitter la sede diplomatica, smentendo le indiscrezioni sulla chiusura della stessa e la fuga dei responsabili.
(da “Huffingtonpost“)
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