Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
IL SOTTOSEGRETARIO M5S USA L’AUTO CHE ERA IN DOTAZIONE A ROTONDI PER I SUO SPOSTAMENTI IN CITTA’
Carlo Sibilia si scatta volentieri selfie sui treni di linea per dimostrare che il mezzo pubblico è il faro del MoVimento 5 Stelle e le scorte non sono simpatiche, tanto che alla sua a Roma ha rinunciato subito.
Intanto però chiama di volta in volta la Questura della sua città quando vi rientra nei fine settimana.
E utilizza in stile “Uber” un’automobile a disposizione del programma di tutela: una Renault Mègane “frequentata” dai suoi predecessori in città .
La storia la racconta oggi Carmelo Lopapa su Repubblica e ha un antagonista d’eccezione: Gianfranco Rotondi.
Succede che proprio nelle ultime settimane il ministero dell’Interno che fa capo a Matteo Salvini ha rivisto i programmi di protezione, in particolare per i segretari di partiti e partitini.
A finire nel setaccio sembra siano stati Lorenzo Cesa, segretario Udc, e Gianfranco Rotondi, fondatore di Rivoluzione Cristiana e detentore del simbolo Dc. E fin qui la stretta del ministero.
Il fatto è che Rotondi, quando rientrava nella sua Avellino fino a qualche giorno fa, era “tutelato” con un agente proprio in quella Megane (anche per via di minacce ricevute dopo una sua denuncia). Poi lo stop.
Scopre in questi giorni dai suoi concittadini che sulla stessa auto viene trasportato adesso — per brevi tratti e su “chiamata”, appunto — il giovane sottosegretario pentastellato.
Due giorni fa, al capo di gabinetto di Salvini al Vimininale, il prefetto Matteo Piantedosi, è stato recapitato da Rotondi un messaggio di fuoco, che apre un nuovo versante (Mastella) e lancia criptiche allusioni al passato: «Avrete il problema di spiegare al Paese perchè togliete la tutela a uno dei pochi leader dell’opposizione e la date a Mastella. Non è escluso che il vecchio Rognoni non ricordi qualche corrispondenza privata degli Anni ’80».
Sibilia, contattato per dire la sua sulla vicenda e sull’utilizzo del mezzo, non si è reso rintracciabile.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
DAL 2014 AD OGGI ERA CALATO DAL 3% AL 2% E IL PIL E’ PASSATO DA 0,1% A 1,6%… E LA SITUAZIONE ECONOMICA MONDIALE 11 ANNI FA NON ERA PARAGONABILE A QUELLA ATTUALE
La nota di aggiornamento al Def prevede un rapporto deficit-Pil al 2,4% per tre anni. Perchè al
contrario di quanto promesso durante la campagna elettorale il M5S non è riuscito a trovare trenta miliardi di euro di sprechi da tagliare e per finanziare superamento della Fornero, Reddito di Cittadinanza e Flat Tax si farà più debito.
I soldi ce li presteranno i mercati e le banche. Sì, proprio quei mercati “colpevoli” di cospirare contro il Governo del Cambiamento e la sua Manovra del Popolo.
Dal momento però che i soliti rosiconi e uccellacci del malaugurio hanno criticato la scelta dell’esecutivo nel MoVimento 5 Stelle hanno pensato bene di rispondere per le rime.
Come? Con un bel confronto tra il rapporto deficit-Pil dei famigerati “governi precedenti”.
A dare il via alla controffensiva mediatica sul debito ci hanno pensato l’ex Iena — ora segretario particolare del viceministro dell’istruzione — Dino Giarrusso e il deputato Manuel Tuzi (che però poi ha rimosso il post su Facebook).
Lo stile è analogo a quello utilizzato da Di Maio per attaccare il commissario agli affari economici Moscovici per dimostrare che anche la Francia quando Moscovici era ministro delle finanze del governo francese i nostri cugini d’oltralpe hanno ampiamente sforato il tetto del 3% e fatto debito.
In realtà leggendo il grafico postato dal ministro dello Sviluppo Economico si vedeva chiaramente come Moscovici avesse progressivamente ridotto il rapporto deficit-Pil.
Ora la battaglia si gioca tutta in Italia e i pentastellati non mancano di far notare che i governi precedenti hanno fatto tutti più deficit di quanto previsto dalla Manovra del Popolo.
La tesi è semplice: se lo hanno fatto loro perchè non possiamo farlo anche noi? Il corollario è: se Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni hanno fatto manovre finanziare che hanno prodotto un rapporto deficit-pil più elevato perchè solo oggi gli economisti e i mercati si accaniscono contro l’Italia?
La risposta ovviamente è che c’è un complotto della casta dei competenti (e dei giornali) contro il governo presieduto dall’Avvocato del Popolo (non eletto dal Popolo) Giuseppe Conte.
Le cose non stanno proprio così, e per accorgersene basta sfogliare i giornali di qualche anno fa.
Ad esempio l’AGI calcolava la pesante eredità del governo Renzi rispetto all’aumento del debito pubblico.
Perchè è vero, Renzi voleva un deficit al 3% (per tre anni) ed è anche vero che la sua proposta e le sue promesse lasciarono perplessi molti giornalisti ed economisti che cercarono di spiegare che la ricetta dell’ex premier non era di così facile applicazione. Anche la trovata di Renzi di andare a battere i pugni sul tavolo in Europa fu criticata e addirittura ridicolizzata sottolineando il flop dell’ex segretario PD durante il semestre italiano di presidenza.
Ma c’è un altro aspetto delle recriminazioni pentastellate che non torna.
Dai numeri si vede come il rapporto deficit-pil sia andato calando dal 3% del 2014 fino al 2,0% previsto per il 2018.
Il trend quindi evidenzia una lenta ma costante riduzione del rapporto tra deficit e Pil. Nel 2019 il governo Conte prevede invece di invertire questa tendenza con un aumento di 0,3 punti percentuali del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo.
La differenza sta nel fatto che il M5S (i vari Giarrusso, Tuzi, Di Maio e Sibilia) confrontano i dati a consuntivo, quelli relativi al periodo 2009-2017 con le previsioni.
Inoltre non è possibile fare come fa Giarrusso: paragonare la situazione economica del 2009, ad un anno dalla crisi economica e in un periodo di recessione, a quella del 2019, ad undici anni di distanza.
Il tutto è capire quando reale sarà quel rapporto deficit-pil fissato al 2,4%.
Ad esempio se gli introiti per le casse statali della “pace fiscale” (o condono) fossero inferiori alle stime (una cifra che oscilla tra i 14 e i 20 miliardi di euro) quella percentuale finirebbe poi per aumentare.
I governi precedenti hanno ridotto il rapporto deficit-Pil e sempre nel periodo “incriminato” il Pil è salito passando dallo 0,1% all’1,6%.
Eppure ieri a Non è l’Arena Di Maio ha spiegato che quelli di prima facevano deficit «per dare soldi alle banche». Soldi che però non avrebbero fatto crescere il Pil. Il governo Conte ipotizza per il prossimo anno — anche grazie al Reddito di Cittadinanza — una crescita pari all’1,6%.
Eppure le agenzie di rating non sono della stessa opinione.
Ad esempio a fine agosto Moody’s ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil italiano dall’1,5% all’1,2% per il 2018 e dall’1,2% all’1,1% per il 2019.
E se le cose non andranno come previsto la soluzione sarà una sola: fare tagli alla spesa.
E così gli italiani non solo scopriranno di essere più indebitati, ma avranno anche meno servizi.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
SENZA CREDIBILITA’, COME PUO’ TRATTARE CON L’EUROPA?
La prima constatazione riguarda la credibilità che il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha perso giovedì 27 settembre.
Dopo settimane passate a dire che manteneva la barra dritta di fronte alle pressioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, cioè la linea di un rapporto deficit/Pil non superiore all’1,6% per permettere un seppur minimo calo del debito pubblico strutturale (-0,1%), nel Consiglio dei ministri ha dovuto abdicare all’irruenza dei due vicepremier che si erano accordati per salire al 2,4%.
E Tria ha dovuto abbozzare, correndo a rifare i compiti, tanto è vero che l’aggiornamento del Def non è ancora pronto.
Quale è stata la prima conseguenza di tutto ciò?
I mercati hanno capito al volo che il ministro dell’Economia non ha voce in capitolo e hanno fatto due calcoli sui maggiori interessi che l’Italia dovrà pagare nei prossimi anni: lo 0,48% del Pil a regime (stima Goldman Sachs).
Poi hanno ricominciato vendere titoli del debito pubblico italiano portando lo spread tra Btp e Bund vicino a 270 punti base.
Con conseguente crollo delle azioni delle banche che hanno i bilanci pieni di titoli di Stato, che ora valgono meno di una settimana fa.
Per cercare di recuperare almeno in parte la credibilità perduta Tria si è messo al lavoro durante il week end e domenica 30 settembre ha rilasciato un’intervista a Il Sole 24 Ore spiegando che non ha mai pensato alle dimissioni e snocciolando alcuni numeri del nuovo Def la cui versione scritta e ufficiale non è ancora disponibile.
La riscossa di Tria parte dalla stima della crescita del Pil per il 2019, che balza all’1,6% dal precedente 0,9%.
Come si ottiene questo aumento così importante? Con la spesa per investimenti, grazie a 15 miliardi aggiuntivi nel triennio 2019-2021.
Da dove arrivano questi 15 miliardi in più non è dato sapere al momento, probabilmente dal maggior deficit dal momento che corrispondono proprio alla cifra che Salvini e Di Maio hanno voluto stanziare per il reddito di cittadinanza, il superamento della legge Fornero, il rimborso degli obbligazionisti traditi dagli scandali bancari, il regime forfettario al 15% per le partite iva fino a 60 mila euro.
Per gli investimenti pubblici invece si vogliono sbloccare quei 38 miliardi di fondi europei già presenti nel bilancio pubblico ma mai spesi.
Ma la domanda è: in quanto tempo i soldi in più in tasca ad alcune categorie sociali di cittadini si tradurranno in maggiori consumi?
E in quanto tempo le opere pubbliche, ammesso che vengano sbloccate, faranno sentire i loro effetti positivi sull’economia reale?
Probabilmente ci vorrà qualche anno e dunque la previsione che già dal 2019 l’Italia possa crescere al tasso dell’1,6% appare quantomeno ottimistica.
Anche perchè la tendenza di questo scorcio d’autunno è preoccupante: dopo il rallentamento registrato nel secondo trimestre dell’anno, nel terzo sono in molti ad aspettarsi una crescita zero, dovuta a meno esportazioni e meno investimenti privati. Brutto a dirsi ma i primi passi del governo Conte in economia hanno già portato a un rallentamento dell’economia.
Ma ecco che Tria ha tirato fuori il suo coniglio dal cappello: se non si raggiungeranno i livelli previsti di crescita allora scatteranno le nuove clausole di salvaguardia che incideranno sul taglio spese invece che sull’aumento delle tasse.
Così gli italiani potranno spendere in tranquillità visto che sanno a priori che le tasse non aumenteranno. Bella trovata, sembrerebbe.
Ma c’è una differenza non da poco rispetto alle clausole di salvaguardia sull’Iva. Queste si sarebbero innescate automaticamente, per decreto, e avrebbero portato immediatamente maggiori entrate.
Per tagliare le spese, invece, ci vuole più tempo e bisogna fare un’analisi accurata di quelle improduttive, per non avere l’effetto di provocare una frenata sulla crescita.
Di Maio che di questi tempi si crede Johnny Depp ha invocato un team “Mani di forbice” (ancora inesistente) in grado di tagliare le spese anche se negli anni passati i commissari alla spending review Carlo Cottarelli e Youram Gutgeld non sono riusciti nel loro intento: il primo per non aver ricevuto il necessario supporto governativo, il secondo perchè riteneva di non dover attaccare pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici.
Ora però arriva Di Maio Mani di forbice e quello che non era riuscito prima agli altri riuscirà ai grillini. Vedere per credere.
Dunque con questo programma in tasca, che nei prossimi tre anni permetterà di ridurre di un 1% all’anno il rapporto deficit/Pil dell’Italia arrivato alla soglia di allarme del 132%, e forte della full immersion degli ultimi tre giorni, Tria si presenta oggi ai colleghi europei dell’Ecofin e dell’Eurogruppo.
Per spiegare che è vero che il deficit sale del 2,4% ma all’Italia occorre un triennio di crescita sostenuta altrimenti il paese si impalla.
E spera che intanto lo spread si raffreddi grazie alla trovata delle clausole di salvaguardia.
Quante speranze ha Tria di convincere i colleghi europei della bontà delle sue prooste? Molto basse dal momento che tutti hanno capito che il ministro dell’Economia conta molto poco, mentre conta molto di più quello che pensano Di Maio e Salvini che hanno preso i voti e controllano il Parlamento.
Può l’Italia in questo momento permettersi un ministro dell’Economia che i due vicepremier hanno ridotto a mero esecutore delle loro volontà ?
Se lo spread, invece che abbassarsi, continuerà a salire, farà venire al pettine questo nodo e anche quello dell’intera manovra economica sin qui delineata.
(da “Business Insider”)
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Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
IL 20% DEI MIGRANTI SUI BARCONI MUORE ANNEGATO: COMPLIMENTI ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA E A CHI HA IMPEDISCE L’INTERVENTO DELLE ONG… LI AVRETE SULLA COSCIENZA FINCHE’ NON TIRETETE LE CUOIA
Nel Mediterraneo senza più alcun dispositivo di soccorso, dove i salvataggi sono affidati solo
agli interventi a singhiozzo della Guardia costiera libica, settembre e’ stato il mese con il tasso di mortalità più alto che sia mai stato registrato: quasi il 20% di chi è partito a settembre risulta morto o disperso.
Il report aggiornato dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) dice che, In termini assoluti, almeno 867 migranti sono risultati morti o dispersi negli ultimi 4 mesi sulla rotta della Libia.
Guardando all’intero Mediterraneo centrale (includendo le persone che sono partite dalla Tunisia, risultano molti o dispersi quasi 970 migranti.
“E’ un numero equivalente a 8,1 morti al giorno. Più che doppio rispetto al periodo delle politiche Minniti (3,2 morti al giorno), e non lontano dai 12 morti al giorno registrati nei 12 mesi precedenti il calo degli sbarchi, quando dalla Libia partivano quasi 17.000 migranti al mese anzichè i poco più di 3.000 al mese del governo Conte – spiega il ricercatore Matteo Villa – In questi quattro mesi, il tasso di mortalità è stato del 6,8%. Più che triplo rispetto al tasso di morte medio nel Mediterraneo centrale nel 2014-2017 (2,1%). Per confronto, il periodo delle “politiche Minniti” (luglio 2017 – maggio 2018) aveva fatto registrare un tasso di mortalità identico a quello degli anni precedenti (2,1%)”.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
L’IDENTIFICAZIONE GRAZIE A UNA STUDENTESSA CHE HA ASSISTITO AL VANDALISMO, NON CERTO ALLE INDAGINI DI POLIZIA…RIDICOLO AVERE UN SISTEMA DI VIDEOSORVEGLIANZA E POI NON COLLEGARLO CON LA SALA OPERATIVA DELLE FORZE DELL’ORDINE
Sono quattro studenti i presunti imbrattatori del ‘Leoncino’ di San Marco a Venezia. Lo hanno accertato i Carabinieri, rendendo noto che gli autori del gesto, tutti studenti che studiano allo Iuav e all’Accademia delle Belle Arti, hanno un’età tra i 20 e i 23 anni.
Nel primo pomeriggio di domenica, una ragazza si è presentata alla Stazione Carabinieri di San Marco ammettendo, presa dal rimorso, di essere stata testimone dell’imbrattamento, avvenuto nella notte tra venerdì e sabato, da parte di due ragazzi, che conosceva a malapena.
Grazie a questi dettagli, i militari sono riusciti in breve a risalire all’identificazione sia dei due ragazzi, che si trovavano ancora a Venezia, sia della seconda ragazza, che era partita per la provincia di Trento.
E’ ripartita la grancassa dei politici.
“Meritano una punizione severa – afferma il governatore veneto Luca Zaia – che sia il massimo consentito dalla legge, ma anche di essere esposti in qualche modo al pubblico ludibrio, perchè abbiano modo di vergognarsi al punto giusto”. “La Città non chiede vendetta ma un giusto risarcimento con lavori sociali pubblici davanti a tutti” scrive su Twitter il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro
Ma nessuno dice che la responsabilità è delle istituzioni: a che serve avere un sistema di videosorveglianza se poi non è collegato con le forze dell’ordine, semplice accorgimento che avrebbe permesso un intervento immediato?
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2018 Riccardo Fucile
DA OGGI LA STANGATA SULLE BOLLETTE: + 7,6%
Scatterà da oggi la stangata sulle bollette gas e luce come annunciato qualche giorno fa
dall’Autorità di regolazione per l’Energia, Reti e Ambiente.
Pur in presenza del blocco degli oneri generali elettrici, l’autorità per l’energia (Arera), ha annunciato che la spesa per l’energia per la famiglia tipo in tutela registrerà un incremento del 7,6% per l’energia elettrica (+1,5 cent€/kWh) e del 6,1% per il gas naturale (+4,78cent€/Smc) rispetto alla spesa del terzo trimestre.
Secondo l’Arera, per l’elettricità la spesa (al lordo tasse) per la famiglia-tipo nell’anno scorrevole (compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018) sarà di 552 euro, con una variazione del +6,1% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (1° gennaio 2017 – 31 dicembre 2017), corrispondente a un aumento di circa 32 euro/anno.
Nello stesso periodo la spesa della famiglia tipo per la bolletta gas sarà di circa 1.096 euro, con una variazione del +5,9% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (1° gennaio 2017 – 31 dicembre 2017), corrispondente a circa 61 euro/anno.
La decisione, ha spiegato l’Arera, è stata dettata dall'”eccezionale situazione di tensione nei mercati energetici in Europa”, determinata da diversi fattori, tra cui “le sostenute quotazioni internazionali delle materie prime energetiche (i prezzi di riferimento per l’Europa del gas naturale e del carbone risultano in aumento del 13% e del 12%); l’aumento dei prezzi del gas trasportato via mare (GNL) sui mercati asiatici che limita in prospettiva l’offerta di gas naturale disponibile per l’Europa; la crescita senza precedenti del prezzo dei permessi di emissione di anidride carbonica (CO2, +29% negli ultimi tre mesi rispetto al trimestre precedente), e l’incertezza legata allo stop totale o parziale di 22 reattori nucleari su 58 in Francia, per manutenzione o limitazioni nell’uso dell’acqua per la refrigerazione degli impianti a causa delle elevate temperature estive”.
“Per far fronte ai forti aumenti dei prezzi delle materie prime energetiche e delle quotazioni all’ingrosso dell’energia elettrica e del gas che hanno raggiunto in Italia e in Europa livelli record, per l’elettricità l’Arera ha deciso di rinnovare il blocco degli oneri generali di sistema – ha sottolineato l’Arera -. Già in occasione dell’aggiornamento di fine giugno, gli oneri generali erano stati notevolmente diminuiti per attutire l’impatto dell’aumento del prezzo dell’energia. Ciò avrebbe dovuto comportare un aumento per recuperare il gettito perduto. Con questa manovra l’Autorità utilizza nella misura massima possibile la sua azione di ‘scudo’, rinviando di un ulteriore trimestre il rialzo necessario degli oneri. L’effetto complessivo di questa manovra è il contenimento della spesa per i consumatori elettrici, domestici e non domestici, di circa un miliardo di euro (per tutto il 2018), a beneficio sia del mercato libero che di quello tutelato”.
(da agenzie)
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