Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
LA FINANZIARIA NON METTE SOLO A RISCHIO I CONTI PUBBLICI, MA COMPROMETTE LO SVILUPPO DEL PAESE
L’Italia corre rischi quali raramente ne ha corsi nella storia degli ultimi settant’anni.
Il fatto che il governo giallo-verde continui a godere di un’ampia popolarità è una magra consolazione: i presidenti Kirchner, erano acclamati da folle sterminate, ma ciò non ha impedito che l’Argentina si trasformasse da uno dei Paesi più ricchi al mondo solo un secolo fa ad uno in cui il reddito pro capite è oggi simile a quello del Messico. Siamo come sulla cresta di un ghiacciaio: un altro passo falso e potremmo cadere nel vuoto.
Certo che l’Italia ha bisogno di crescita e di lavoro. Ma le misure adottate dal governo, prima che mettere a rischio i conti pubblici mettono a rischio proprio lo sviluppo e il lavoro.
Non si cresce se si pone a carico di chi produce il peso di mantenere cittadini che vanno in pensione a 62 anni e poi (fortunatamente) ne vivono in media altri 20.
Non si cresce se ci si illude che il lavoro aumenti in un gioco a somma zero limitandosi a sostituire con altrettanti giovani coloro che andranno prima in pensione. Non si cresce con una partecipazione alla forza lavoro di giovani e donne fra le più basse dei Paesi industrializzati.
Non si cresce se si pone a carico di chi lavora il peso di sussidi di disoccupazione permanenti perchè erogati senza strumenti efficaci per incentivare le persone a trovare una nuova occupazione.
E per quanto riguarda le imprese, non si cresce se si puniscono le aziende che riescono a conquistare i mercati costruendo catene del valore internazionali, ad esempio investendo in Egitto per costruire lì un impianto per la trasformazione e la prima lavorazione del cotone.
Non si cresce se si premia chi, invece che portare il made in Italy ovunque nel mondo, preferisce prosperare all’ombra di mercati protetti dallo Stato.
Non si cresce se si perdonano gli evasori, aumentando le imposte a chi le tasse già le paga e le ha sempre pagate.
Non si cresce se con annunci dissennati si fa capire che volentieri si lascerebbe l’euro, con l’unico risultato di seminare incertezza e far aumentare i tassi di interesse: per tutti, governo, imprese, cittadini.
Non si cresce se invece di pensare a rafforzarsi integrandosi con i nostri partner nell’Ue si guarda alla Russia, un Paese il cui il reddito pro capite è la metà di quello tedesco.
La questione non è tanto mezzo punto di deficit in più per un anno o due. La questione è che questa manovra dimostra quanto il governo non stia facendo nulla per agevolare chi la crescita in questi anni l’ha realizzata, dalle imprese ai cittadini che producono. Dire, come ripetono Di Maio, Salvini, Savona, che con mezzo punto di deficit in più – speso in parte in misure che non incentivano a trovare un impiego – la crescita balzerà , il debito scenderà e la povertà sarà eliminata, è un insulto all’intelligenza dei cittadini.
Il ministro Tria ha cercato di opporsi a questa legge di Bilancio discutendo sui decimali del deficit, un argomento che i cittadini non hanno capito. L’importante non sono i decimali ma la direzione in cui si muove la politica di bilancio.
Il ministro Tria ha perso la battaglia dei decimali, e anche la guerra della politica fiscale.
Tanto più che la spinta agli investimenti pubblici – quando verranno realizzati, considerando i tempi biblici di queste opere nel nostro Paese anche in situazione di emergenza come dimostra Genova – sarà cancellata tutta o in gran parte dall’aumento dell’incertezza che riduce investimenti privati e consumi.
L’aumento dei tassi di interesse farà il resto.
I segnali che l’Italia sta dando al resto del mondo sono molto preoccupanti.
Non possiamo permetterci di far pensare a chi ci osserva che stiamo buttando a mare 70 anni di costruzione attiva dell’Europa, da Paese fondatore, per guardare a Est, a nazioni come la Russia ampiamente in crisi e non in grado nemmeno di risollevare se stesse.
Per non parlare di aspetti ancora più preoccupanti sullo stato della loro democrazia. Quando scopriremo che il debito sarà insostenibile cosa faremo?
Obbligheremo gli italiani a comprarlo?
O speriamo in qualche amico proveniente dall’Est? E se anche fosse, a quali condizioni?
Di manovre magiche gli italiani ne hanno viste in passato molte. Ancora una volta dall’illusione dei decimali e di una crescita per decreto, si dovrebbe passare a discutere di lavoro e sviluppo.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
PER LA NOMINA A PROFESSORE ORDINARIO NEL 2002 IL PREMIER VENNE ESAMINATO DA GUIDO ALPA CON CUI, SECONDO IL CURRICULUM UFFICIALE DI CONTE, CONDIVIDEVA UNO STUDIO LEGALE
Per sua fortuna l’ex Iena Dino Giarruso non dovrà più vigilare, come sembrava, sui concorsi universitari alla caccia dei “baroni e dei loro figli”.
Sarebbe infatti potuto incappare in qualcosa di imbarazzante: il suo presidente del Consiglio.
L'”avvocato del popolo”, Giuseppe Conte, ha infatti una storia accademica che assomiglia tanto, forse troppo, a quella dei “prescelti”.
Nello stesso anno, l’attuale premier diventa professore ordinario all’Università di Caserta Luigi Vanvitelli superando un concorso in cui in commissione c’era proprio Alpa.
Un conflitto d’interessi e una incompatibilità vietati dall’articolo 51 del codice di procedura civile.
Quel concorso, come previsto dalla legge poi modificata per evitare “furbate”, consentiva più vincitori: uno assunto dall’Ateneo e altri a disposizione delle altre università italiane.
Conte batte altri 5 candidati (e nel 2005 verrà chiamato a Firenze), in maniera regolare e senza reclami.
Repubblica però punta il dito sulla commissione e sul ruolo di Alpa: “L’allievo era giudicato dal maestro. Una circostanza antipatica, oggi meno tollerata, ma allora assai comune. E assolutamente legittima”.
Il problema, dunque, si pone rileggendo il curriculum di Conte e i casi sono due: se è vero, come affermato, che collaborava con Alpa già all’epoca del concorso (si parla di “nuovo studio legale” insieme), allora rischia l’incompatibilità .
Se non collaborava, il posto da professore è candidato e pulito ma il curriculum è taroccato. A
lpa, interpellato da Repubblica, precisa: “Nessuna associazione professionale, siamo stati soltanto coinquilini. Io sono iscritto a Genova e lui a Roma. Giuseppe aveva lo studio al piano superiore al mio”.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONI DI SOLIDARIETA’ ALLA NAVE AQUARIUS A PARIGI, MARSIGLIA E IN 30 ALTRE CITTA’ FRANCESI … “SALVINI MENTE, PANAMA CI HA FORNITO LE PROVE DELLE PRESSIONI POLITICHE ED ECONOMICHE DEL GOVERNO ITALIANO PER FARCI TOGLIERE LA BANDIERA”… MA LA MAGISTRATURA ITALIANA NON HA NULLA DA DIRE AL RIGUARDO?
“Un’onda arancione”, dello stesso colore dei giubbotti di salvataggio che in questi ultimi anni hanno salvato centinaia di vite nelle acque del Mediterraneo.
Questo il “dress code” delle manifestazioni che si sono tenute oggi a Parigi e in una trentina di altre città francesi ed europee, dove migliaia di persone sono scese in piazza per sostenere la nave umanitaria Aquarius gestita dalle ong SOS Mèditerranèe e Medici senza frontiere.
Bloccata da giovedì al porto di Marsiglia dove è arrivata dopo aver fatto scendere a Malta i 58 migranti che aveva a bordo, l’Aquarius resta in attesa di conoscere il suo destino dopo che Panama ha deciso di revocargli la bandiera per non aver rispettato le “procedure giuridiche internazionali”.
La cornice scelta per il raduno parigino è l’iconica Place de la Rèpublique, diventata ormai simbolo di tante manifestazioni dopo gli attentati di Charlie Hebdo nel 2015.
A colorare di arancione la piazza ci ha pensato un migliaio di persone (secondo le stime della prefettura) per richiedere a gran voce al governo francese e all’Europa di far tornare operativa la nave umanitaria.
“La decisione di revocare la bandiera non è ancora stata ufficializzata dalle autorità panamensi ma la conferma dovrebbe arrivare nei prossimi giorni” spiega Marianne Furlani, volontaria per SOS Mediterranèe, mentre alza la voce per sovrastare il rumore della musica suonata da un gruppo di “colleghi”, nell’attesa di ascoltare gli interventi che si succederanno sul palco montato per l’occasione.
Marianne sottolinea che l’ong non ha dubbi sull’influenza di Roma nel dossier: “Il governo italiano fa di tutto affinchè l’Aquarius e SOS Mèditerranèe cessino le loro missioni di salvataggio delle vite nel Mar Mediterraneo. Abbiamo delle tracce scritte che ci sono state fornite da Panama e che testimoniano le pressioni economiche e politiche esercitate dall’Italia” aggiunge, rispondendo così alle smentite arrivate alcuni giorni fa dal Viminale.
Gli slogan sui cartelli e gli striscioni ricordano che “salvare vite è un dovere” e condannano l’inerzia “criminale” dell’Europa.
“Macron è un ipocrita perchè dice di voler trattare le persone con dignità ma nei fatti la Francia ha accolto pochi migranti” dice Claire mentre tiene in braccio il figlio. Venuta oggi con il marito e i suoi due piccoli al seguito, questa mamma 35enne non ha dubbi sulle responsabilità del governo francese, che nella gestione dei flussi migratori “non ha fatto meglio dell’Italia”.
Un’opinione che oggi sembra essere condivisa da tutti i manifestanti. “Siamo molto delusi, non ci aspettavamo miracoli ma almeno un po’ più di umanità ” commenta con un filo di malinconia Rachel, secondo la quale “i paesi del sud Europa, in particolar modo l’Italia, sono stati abbandonati da Bruxelles”.
Ma oggi c’è anche chi ricorda il sindaco di Riace Domenico Lucano, finito agli arresti con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione illegale. “Riace non si arresta” si legge in uno striscione affisso sotto la statua della Marianne al centro della piazza. “Abbiamo deciso di collegare queste due lotte: quella per i lsalvataggi delle persone in mare e quella contro la stretta sulla sicurezza che sta arrivando in Italia”, dice Michael, membro del gruppo parigino di Potere al popolo, presente insieme ad altre associazioni per ricordare il primo cittadino calabrese.
Verso metà giornata cominciano ad arrivare i primi numeri della mobilitazione: 3500 persone a Marsiglia, 2000 a Montpellier, più di 600 a Rennes e 150 a Lione.
A scendere in piazza sfidando il divieto del comune anche un centinaio di manifestanti a Calais, cittadina portuale diventata in questi ultimi anni simbolo della crisi migratoria europea.
L’obiettivo è stato quello di “fare appello ai cittadini e mostrare che SOS Mèditerranèe è legittimata dalla società civile” ha dichiarato la portavoce dell’associazione umanitaria, Sophie Rahal.
Intanto, l’Aquarius cerca di ottenere una nuova bandiera per continuare le sue attività di salvataggio in mare. SOS Mèditerranèe ha fatto appello ai governi europei per cercare di far tornare operativa la nave umanitaria, l’ultima rimasta per questo tipo di operazioni nel Mediterraneo.
Nei giorni scorsi l’ong ha ricordato che dal 2016 sono stati soccorsi 29500 migranti in circa 200 operazioni di salvataggio.
Per il momento, Macron resta in silenzio, sperando che la “solidarietà europea” si metta in moto al più presto per toglierlo fuori da questa impasse.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
SONO I CRIMINALI CHE I BUONI PADRI DI FAMIGLIA DEL GOVERNO ITALIANO APPOGGIANO E FINANZIANO
«Sì, sono stata violentata per più giorni da tre miliziani libici. Lo fanno continuamente con noi ragazze africane. Io ho visto almeno altre 10 donne subire la stessa sorte. Per i libici è una cosa normale, scontata: torturano gli uomini e violentano le donne, almeno quelle sotto i quarant’anni, che poi sono la maggioranza tra le migranti».
È raro trovare in Libia una ragazza africana che ammetta di avere subito questo tipo di violenze.
In genere ne parlano solo una volta sbarcate in Europa. A Tripoli e soprattutto nelle città e villaggi della regione hanno paura. Se le riconoscono a denunciare ciò che avviene, i loro aguzzini possono essere ancora più feroci.
Ma forse tra le mura dalla cattedrale cattolica nella capitale Lily Susan si sente in qualche modo più protetta.
«I miei violentatori erano i nostri carcerieri arabi dalla pelle bianca della milizia che opera nei quartieri tripolini di Yarmuk e Salahaddin. Due meno che trentenni, un altro sulla cinquantina», specifica.
Lily ha 35 anni e nel giugno 2017 è partita dalla Namibia. In Libia è approdata il 2 agosto dell’anno scorso. Poco dopo è stata catturata con il fidanzato, Austin Aduga, 38 anni, arrivato dalla Nigeria.
«Le violenze sessuali si sono ripetute per due mesi dopo la cattura. Ci picchiavano con i calci dei mitra, urlavano, minacciavano. Gridavano che se non avessimo smesso di resistere ci avrebbero uccise. Poi sono arrivate altre donne e noi siamo state lasciate in pace», continua lei.
È una delle tante storie che raccogliamo durante la messa del venerdì mattina.
La cattedrale dedicata a San Francesco è stracolma. Difficile trovare da sedere. L’unica bianca tra i fedeli è Iolanda Ingrassia, una 62enne originaria di Palermo, che dopo aver sposato un tripolino da oltre un trentennio risiede in Libia.
«Non avrei mai pensato che questo Paese potesse sprofondare tanto in basso. Quattro dei miei cinque figli sono emigrati all’estero. Se non fosse che l’ultima mia figlia insiste per restare a esercitare il suo mestiere di medico in uno degli ospedali più importanti, anch’io me ne sarei tornata in Italia da un pezzo».
La funzione è cantata nei dialetti dei gruppi di fedeli della Nigeria e del Camerun, che sono al momento i più numerosi.
«La nostra Chiesa rispecchia i cambiamenti di questo Paese. Ai tempi di Gheddafi venivano gli ultimi rimasti dell’antica comunità italiana. Poi sono arrivati i filippini impiegati come domestici nelle case benestanti. Ora sono gli africani intrappolati tra la ferocia delle milizie e la recente chiusura dei porti italiani al traffico di migranti», commenta il sacerdote ufficiante, il frate francescano 47enne d’origine egiziana Magdi Helmy.
È qui da 13 anni, ha subito ripetute minacce personali. Per gli estremisti islamici rimane un obbiettivo legittimo. «Ma di qua non mi muovo. Troppe anime hanno bisogno del nostro aiuto. Valutiamo che al momento siano oltre 20.000 i cristiani tra le masse di migranti», dice deciso.
Lui e tanti tra i suoi fedeli raccontano degli orrori che si consumano nelle celle delle milizie locali. «Voi giornalisti occidentali, le organizzazioni non governative e le agenzie Onu vi concentrate sulle poche migliaia di migranti chiusi nei sette o otto campi di detenzione ufficiali del governo libico. Ma dovete sapere che le tragedie più gravi sono altrove: è alle milizie che dovete chiedere di rendere conto», esortano.
Mercoledì scorso ci siamo così recati nel campo di detenzione a Khoms, uno dei luoghi dove vengono riportati i migranti appena ripescati in mare dai guardacoste nelle zone orientali della Tripolitania.
Si chiama Sukh al Kamis e secondo il suo responsabile, colonnello Mustafa Ismahil, contiene al momento circa 350 persone.
«Sono i sopravvissuti ai naufragi delle ultime settimane. Calcoliamo che circa uno su dieci tra quelli che riportiamo a riva sia affogato in alto mare», dice.
Meno di una settimana fa qui hanno trascorso una notte tragica: una trentina i salvati, ma oltre cento quelli che non rispondono all’appello. In celle minuscole coperte di scritte, nomi e appelli anche in francese ed inglese, i migranti-prigionieri restano sdraiati su povere stuoie in attesa di non si sa cosa.
Tra i veterani c’è Yosef Barma, farmacista eritreo 38enne che a tutti porge una domanda molto semplice: «Per la legge internazionale sono un profugo politico, fuggo da una dittatura e ho diritto d’asilo. Chi può aiutarmi?».
Accanto a lui c’è il 36enne Mohammad Kandih immigrato 8 anni fa dal Gambia.
«Per tutto questo tempo avevo lavorato bene in Libia come operaio specializzato. Mi sono sposato con Isab che ha 19 anni e mi ha dato nostro figlio Sumail, nato 9 mesi fa. Ma in giugno le milizie hanno fatto irruzione a casa nostra nelle periferie di Tripoli. Mi hanno derubato, portato via ogni cosa. È allora che mio padre in Gambia ha venduto tutti i suoi terreni e mi ha mandato 6.000 dollari per pagare gli scafisti e andare in Italia. Ma due notti fa siamo stati fermati dai guardacoste libici dopo sei ore di navigazione. Ci hanno riportati indietro. Ho perso tutto e così mio padre. Adesso ho una sola domanda: posso rivedere mia moglie e mio figlio? Sono chiusi qui vicino, ma non lasciano che io li incontri».
I miliziani libici di fronte al giornalista straniero si mostrano magnanimi. Le celle vengono aperte e la famiglia Kandih per un attimo può riabbracciarsi. Il piccolo Sumail piange di gioia nel rivedere il padre. Ma ora è tardi. Noi dobbiamo partire.
E che sarà di loro?
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
IL 75% VUOLE SCENDERE IN PIAZZA PER PROTESTARE
Il Decreto Genova è stato varato. Nelle intenzioni del governo dovrebbe risolvere l’emergenza causata dal crollo del ponte Morandi e provvedere alla ricostruzione.
I liguri, però, sono al corrente dei contenuti del decreto? Cosa pensano dei provvedimenti?
Questo decreto rappresenta la risposta giusta ai problemi della città e della Liguria oppure rimangono una serie di lacune che non colmano le emergenze del tessuto produttivo, sociale, infrastrutturale e abitativo di Genova?
Se così fosse, varrebbe la pena “scendere in piazza” per protestare contro il decreto? Collegata al decreto, inoltre, c’è la nomina di un commissario per la ricostruzione, che all’inizio sembrava essere quello di Claudio Gemme anche se, con il passare dei giorni la nomina è sembrata essere sempre meno certa fino alla nomina del sindaco di Genova, Marco Bucci.
In qualche modo, nel sondaggio avevamo precorso i tempi, chiedendo se invece di Gemme, non fosse stato meglio un esponente degli enti locali. Ma andiamo con ordine.
Nel sondaggio settimanale, effettuate su un campione di 782 residenti in Liguria, gli intervistati hanno mostrato fin da subito una significativa conoscenza del decreto con un 16,1% di risposte “molto” e un 62,9% di “abbastanza” per un totale di quasi otto liguri su dieci (79,0% per la precisione) al corrente delle disposizioni contenute in questo atto normativo.
Anche rispetto ai contenuti, i cittadini della Liguria hanno messo in mostra un’ampia coerenza di fondo.
Poco più di sette intervistati su dieci (71,1%) dichiarano di essere insoddisfatti dei provvedimenti inseriti nel decreto legge, il 13,7 per cento si limita a non schierarsi (nè soddisfatto nè insoddisfatto) mentre un risicato 12,9% si ritiene (molto o abbastanza) soddisfatto.
Secondo gli intervistati mancano soprattutto misure per la mobilità (36,4%), per il porto (23,6%) e per gli sfollati (11,8%).
Tra le risposte “libere”, che risultano comunque raggiungere il 19,7%, possiamo notare una maggiore presenza di termini quali “Gronda”, “Terzo Valico” e, fin troppo ricorrente, la frase “manca tutto”.
Seguendo le opinioni sul decreto rilevate in precedenza, buona parte degli intervistati (pari al 64,1%) sarebbero disposti a “scendere in piazza” per manifestare il proprio dissenso.
Interessante notare come tale quota raggiunga addirittura il 75,3% tra gli intervistati residenti nel capoluogo ligure.
Inoltre, come commissario straordinario per la ricostruzione del ponte, il nome proposto dal Governo è stato inizialmente quello di Claudio Andrea Gemme.
Rispetto a questa indicazione si riteneva soddisfatto il 40,7% del campione contro un 21,8% di insoddisfatti e un significativo 37,5% di incerti.
Allo stesso tempo, però, poco più di sei intervistati su dieci (61,7%), preferivano puntare su un esponente degli enti locali (a fronte di un 27,8% di contrari) e questo, in definitiva, è ciò che poi è realmente accaduto.
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
“FARA’ SOLO AUMENTARE GLI IRREGOLARI E OSTACOLARE L’INTEGRAZIONE, I DIRITTI UMANI VANNO GARANTITI, PROPORREMO MODIFICHE”
“Una bomba sociale”. “Non è sicuramente anima 5 stelle ed è indigesto per molti”. “E’ in contrapposizione con il nostro programma”. Il decreto su sicurezza e immigrazione, dopo la firma del Colle, inizia l’iter parlamentare con l’obbligo di conversione in legge entro sessanta giorni.
Per il provvedimento fortemente voluto dal vicepremier della Lega Matteo Salvini non sarà però un passaggio semplice.
Il motivo? Al di là delle “rifiniture” e delle modifiche suggerite dal Quirinale, Luigi Di Maio ha già detto che il Movimento 5 stelle intende cambiare il provvedimento in Aula e a chiedere modifiche consistenti sono proprio una parte degli eletti grillini. “Andrebbe assolutamente aggiustato”, ha detto la senatrice Paola Nugnes, parlamentare che più volte si è esposta in dissenso con la linea ufficiale del gruppo. “Io reputo che questo decreto non sia giusto per gli italiani, per parlare la lingua di Salvini. Avremo 100mila nuovi irregolari, che andranno a sommarsi ai 500mila attualmente irregolari. L’irregolarità porta a dare un lavoro nero a queste persone. E ad ingrossare le file della malavita, della mafia e della camorra. Visto che non ci sono gli accordi per il rimpatrio, voglio sapere da lui quali sono le soluzioni che propone”. E ha concluso: “Io temo una bomba sociale”.
Giudizio condiviso anche dalla collega Elena Fattori, la parlamentare che si era candidata alle primarie M5s per sfidare Luigi Di Maio e che più volte dall’inizio della legislatura ha espresso le sue perplessità su alcune scelte del governo Lega-M5s: “Io non ho il testo, ma da quello che trapela non è sicuramente anima 5 stelle. Cercheremo di modificarlo, per quello che si riesce. Ma per molti è molto indigesto”. E ha commentato: “L’umanità è importante per noi, i diritti umani sono un punto cardine. Ed è discutibile anche la sicurezza”.
A chiedere modifiche è stato anche il senatore Gregorio De Falco, il primo che in un’intervista al Corriere della Sera aveva criticato apertamente il decreto: “So che è stato limato. Che sia migliorabile non c’è dubbio. E il presidente della Repubblica ha stigmatizzato alcuni aspetti che presentano criticità ”.
Per il collega Matteo Mantero è addirittura contro le linea di intervento dei 5 stelle: “Le proposte di questo decreto sono in contrapposizione con le proposte del nostro programma. Noi proponevamo di migliorare il sistema degli Sprar. E non è togliendoli che si toglie l’immigrazione clandestina. Ma si riduce l’integrazione”.
La discussione in Parlamento si preannuncia tutt’altro che semplice e non è un caso che aleggi già il fantasma di una possibile fiducia, magari solo in un ramo del Parlamento.
Un’ipotesi che sarebbe considerata “uno schiaffo allo spirito del M5s”, secondo Fattori. “Non voglio nemmeno pensarci, mi troverei di fronte a un muro di gomma”, ha continuato Nugnes. E ha chiuso De Falco: “Se ci saranno aspetti non digeribili, trarremo le nostre conseguenze”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
A RIACE E’ NATA UNA OPPOSIZIONE DI PIAZZA, IN ASSENZA DI QUELLA IN PARLAMENTO
Si vede appena, attraverso la pioggia. Mimmo Lucano è dietro quella zanzariera che oggi affaccia su un fiume di gente che nemmeno lui si sarebbe mai immaginato qui a Riace da quando ha iniziato la sua attività di sindaco convintamente “fuori legge” per accogliere migranti.
Nulla a che vedere con i festeggiamenti 5s sul balcone di Chigi per il maxi deficit in manovra, nulla a che vedere con altri balconi famosi della storia, nemmeno con quello borghese dipinto da Manet nell’800.
Questa è una finestra e già di per sè è discreta, costretta dagli arresti domiciliari ordinati per Lucano, muta, solo baci e saluti a gesti e lacrime di commozione: decisamente una finestra anti-Salvini.
A Riace, per l’arresto ad un sindaco famoso nel mondo per il suo modello di accoglienza, si manifesta la prima protesta anti-Salvini da quando il leader leghista è al governo.
Succede in maniera rocambolesca: all’improvviso dopo l’arresto martedì scorso, con pochi giorni per organizzare e l’allerta meteo che ha fatto vittime solo ieri a pochi chilometri da qui.
Succede in maniera spontanea, con bus organizzati all’ultimo minuto dalle altre regioni d’Italia. Succede per manifestare solidarietà ad un sindaco che ha osato infrangere la legge per dare accoglienza a chi è arrivato e insieme rianimare un borgo sperduto sullo Ionio, uno dei tanti a rischio di totale abbandono nel sud. Non è una marea, ma significa tanto.
Perchè qui, sotto la finestra di Lucano, sotto la pioggia e in mezzo ai cori “Mimmo libero!”, trova sfogo quel pezzo di Italia che va oltre i calcoli dei numeri, oltre un dibattito pubblico asfittico ammantato di razionalità , oltre la legge del consenso di massa.
Controcorrente per ritrovare ragioni di umanità sempre più dimenticate, relegate in questo paesino della Calabria e in altri piccoli paesi, come Cerveteri: qui c’è il sindaco Alessio Pascucci: “Se ciò che ha fatto Lucano è un reato, autodenunciamoci tutti”, ripete.
In piazza per invocare disobbedienza civile a leggi considerate ingiuste.
Nulla di inedito nella storia: dallo sciopero all’aborto, esempi ce ne sono di forzature per conquistare diritti.
In piazza per cominciare a mettere a fuoco il clima che Salvini è riuscito a stabilire sul tema immigrazione (a giudicare dal consenso che i sondaggi gli attribuiscono).
In piazza per dire quello che la maggior forza di opposizione in Parlamento non dice. In piazza pericolosamente per difendere quello che è un reato, ma che nel frattempo aveva creato vita dove non ce n’era più: poco distante dalla finestra di Mimmo, il villaggio globale, epicentro della vita dei migranti che si sono stabiliti qui, lavoratori di ceramica e tessuti, bimbi che giocano in piazza e soprattutto che vanno a scuola. Integrati.
A Riace forse non è nato un vero movimento, ma tra le nubi ha certo fatto capolino un’ Italia che preferisce la finestra muta di un modesto palazzo di provincia, piuttosto che i toni roboanti dei palazzi romani.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
UNA IMPONENTE MOBILITAZIONE DI POPOLO IN DIFESA DEI VALORI DELL’UMANITA’
Almeno cinquemila persone hanno invaso da questa mattina Riace per manifestare la propria solidarietà a Mimmo Lucano, il sindaco del borgo dell’alta locride divenuto simbolo mondiale dell’accoglienza e finito martedì scorso agli arresti domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio.
Dalla sua casa, una palazzina gialla nella parte alta del paese, la piazza del municipio non si vede. Ma fino alle sue finestre arrivano le urla dei manifestanti che dal concentramento gridano “Riace non si arresta, lucano non si arresta”.
E nel pomeriggio il sindaco si fa vedere e saluta la folla con il pugno chiuso.
Anche quando il serpentone di persone scende giù, fino al piazzale del cimitero per dare il via al corteo, gli slogan sono così forti da arrivare fino in paese. “Mimmo libero” gridano i manifestanti. Poi “Siamo tutti clandestini”.
E anche fuorilegge come il sindaco che rispetta la Costituzione più di tanti che “rispettano le regole” dice una manifestante arrivata da Napoli.
In corteo sfilano i rifugiati di Riace e dei pesi del circondario, comitati, associazioni, sindacati come l’Usb, i cobas, la Cgil, partiti come Potere al Popolo e Rifondazione Comunista, comitati e associazioni studentesche, ong locali e nazionali, gli ambientalisti, le femministe, le associazioni antimafia, ma soprattutto tanti cittadini non organizzati.
Confusi fra i manifestanti si vedono il dirigente dell’Usb Abubakhar Soumahoro, che marcia dietro allo striscione “Riace non si arresta” insieme ai rifugiati, la storica penna della sinistra Luciana Castellina, i sindaci della Locride e quello di Cerveteri, Alessio Pascucci, che nei giorni scorsi si è detto pronto ad autodenunciarsi per il medesimo reato contestato a Lucano. “Se serve la disobbedienza civile di un sindaco per mettere in pratica la solidarietà e l’accoglienza ci dichiariamo tutti colpevoli e complici”.
Anche l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, ha voluto essere presente: “Sono cittadina onoraria di Riace dal 2013 ma ho conosciuto e amato questa straordinaria esperienza molto prima – dice Boldrini – nel pieno rispetto della magistratura, ho ritenuto necessario essere qui oggi per manifestare sostegno a Lucano. Sono certa che sarà in grado di chiarire ogni accusa. Ritengo indecoroso che un ministro dell’Interno indagato per sequestro di persona abbia gioito dell’arresto del sindaco. Piuttosto dovrebbe farlo per quello dei capi delle ‘ndrine”.
L’ex presidente della Camera parla mentre il corteo le scorre accanto colorato, numeroso, arrivato nel borgo dell’alta locride con cartelli scritti a mano, bandiere, striscioni, persino una maxi vignetta che ritrae uno dei Bronzi di Riace che a Salvini dice “La storia siamo noi”.
Il maltempo non sembra aver scoraggiato nessuno, neanche chi è arrivato da più lontano e oggi è in piazza perchè “Riace è patrimonio dell’umanità , quella che si ricorda cosa significhi questa parola”.
Quando il corteo arriva sotto casa di Lucano, inizia a piovere. Ma nessuno si muove. “Mimmo, orgoglio calabrese, curdo, siriano, palestinese” gridano i manifestanti, che chiedono la liberazione del sindaco.
Dalla finestra, Lucano guarda la marea umana due piani sotto, sorride, è commosso. Poi parte “Bella ciao”. E il sindaco di Riace alza il pugno per salutare quelli che si alzano verso la sua finestra. La pioggia cresce di intensità ma almeno per mezz’ora nessuno si muove.
Piano piano, il serpentone di manifestanti si sposta verso l’anfiteatro, cuore del paese. È lì che per ore si susseguono interventi di solidarietà , rabbia, determinazione ad esprimere “il nostro diritto a disobbedire quando l’ingiustizia diventa legge” dice il sindacalista Aboubakhar Soumahoro.
Si parla per esprimere la propria vicinanza al sindaco, che alla piazza ha mandato un messaggio letto da Chiara Sasso, la presidente di Recosol, la rete dei Comuni solidali, ma anche per organizzare la “resistenza”. Tra poche ore, Riace si svuoterà nuovamente, “ma il sindaco — assicurano dalla piazza — non rimarrà solo”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2018 Riccardo Fucile
RAPPORTO MORESSA: NEL 2017 PERSI 100.000 ITALIANI… SEMPRE PIU’ VECCHI, UN ITALIANO SU TRE SARA’ OVER 65, NEANCHE L’IMMIGRAZIONE RIESCE PIU’ A COMPENSARE IL DECLINO
Ospizi pieni, culle vuote. Come sarà l’Italia tra 32 anni? Meno popolata e assai più vecchia.
Il nostro Paese si avvia verso un lungo “inverno demografico”. Lo scorso anno si sono volatilizzati più di 100mila concittadini e la popolazione continuerà a diminuire da qui al 2050 (saremo il 17% in meno).
Non solo. I giovani diventeranno una rarità : oltre un italiano su tre sarà in età da pensione (il 12% in più di oggi).
E ancora: i migranti non riempiranno più le culle. Con l’attuale rallentamento dei flussi, infatti, l’immigrazione non riuscirà più a compensare il calo demografico. A fotografare l’invecchiamento del nostro Paese è il Rapporto 2018 sull’economia dell’immigrazione, che la Fondazione Leone Moressa presenterà il 10 ottobre a Palazzo Chigi, a Roma.
Italia e Germania maglie nere.
Il primo confronto riguarda la situazione demografica attuale. Osservando la differenza tra nati e morti nel 2017 (saldo naturale), appare una netta frattura tra i Paesi europei.
In particolare, la crescita demografica più forte si registra in Francia (+164.600) e Regno Unito (+147.900). Positivi anche altri Paesi del Nord come Irlanda, Svezia, Danimarca, Belgio e Paesi Bassi.
Situazione opposta invece tra i Paesi dell’Europa meridionale (Portogallo, Spagna, Grecia), i Paesi baltici e quelli dell’Est (Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia).
La situazione più critica si registra in Italia e Germania. Nell’ultimo anno la Germania ha registrato 785mila nati e 933mila morti (saldo -148.000), l’Italia 459mila nati e 650mila morti (saldo -191.000).
Centomila gli italiani “scomparsi”.
In Germania, nell’ultimo anno, il saldo tra nati e morti è stato dunque negativo. Tuttavia, questo è stato compensato da un saldo migratorio fortemente positivo (+476mila), che ha garantito una crescita della popolazione, in linea con Francia e Regno Unito.
L’Italia invece ha registrato una perdita di oltre 100mila abitanti. Il saldo naturale negativo (-191mila), infatti, non è stato compensato dal saldo migratorio (tra arrivi e partenze), che si è attestato su livelli piuttosto modesti (+85mila).
«Negli ultimi anni l’Italia ha registrato un calo degli ingressi di immigrati — scrivono i ricercatori della Moressa — nonostante gli sbarchi abbiano avuto una enorme risonanza mediatica, in termini numerici sono stati molto inferiori rispetto agli ingressi per lavoro degli anni pre-crisi. Così l’immigrazione non riesce più a compensare il calo demografico».
Anno 2050, crollano gli italiani.
Guardando alle previsioni demografiche del 2050 e ipotizzando che non vi siano variazioni negli attuali trend migratori e al netto di improbabili (per ora) baby boom, solo 4 Paesi Ue registrerebbero una variazione positiva della popolazione: Irlanda, Francia, Regno Unito e Svezia.
Per gli altri 24 Paesi, la popolazione diminuirebbe. In particolare, l’Italia col 16,7% di cittadini in meno, sarebbe seconda solo alla Bulgaria.
Un Paese di pensionati.
Tutti i Paesi Ue sono poi destinati a registrare nel 2050 un aumento della quota di cittadini over 65. Complessivamente, tale quota passerebbe al 28,5%: quasi 10 punti in più rispetto al 2015.
«Questo ovviamente avrà ripercussioni anche sulla forza lavoro e sui conti pubblici (diminuiscono i lavoratori, aumentano i pensionati)». E in Italia? I cittadini con oltre 65 anni diventerebbero circa il 34%: il 12% in più di oggi.
(da agenzie)
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