Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
NORMAN SI E’ SUICIDATO A 27 ANNI: TERMINATO IL DOTTORATO DI RICERCA, GLI AVEVANO FATTO CAPIRE CHE NON L’AVREBBERO RINNOVATO PER FAR POSTO AI RACCOMANDATI
Egregio Professore, Signor presidente del Consiglio, l
ungi da me l’idea di voler insinuare qualcosa — come ha fatto un quotidiano nazionale — sulla liceità della sua carriera accademica.
Su conoscenze, commissari d’esame, frequentazioni, collaborazioni ecc.
Sono di questo mondo e so come esso funzioni. Se non vi sono prove schiaccianti si rimane nel campo delle illazioni, delle sterili argomentazioni (oggi si parla addirittura di post-verità ), sappiamo benissimo — io e lei — che l’Accademia, il mondo dell’Università , è un tempio di cultura. _
E sappiamo benissimo — io e lei — che a cercare (e trovare) il malaffare si fa presto, in ogni settore del pubblico e delle professioni.
Ma da giornalista quale sono (orribile categoria, mi creda, peggio dei baroni universitari), mi ritornano in mente le parole di un professore ordinario ai microfoni di una giornalista Rai (conservo almeno dieci copie del filmato): “I concorsi per ricercatore sono legalmente truccati”.
Allora io, con quel viziaccio del cronista, del giornalista che a tutti i costi deve vederci chiaro, faccio delle semplici inferenze mentali: “Se sono legalmente truccati i concorsi per ricercatore, quelli per Associato o Ordinario fanno eccezione?”.
Domanda idiota, non me ne voglia, figlia dello specchio incrinato che riflette i miei pensieri, anch’essi idioti.
Però mi tornano in mente le parole di Matteo Fini, ricercatore italiano, che ha denunciato: “In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Anche per un semplice assegno di ricerca. All’università è tutto truccato […] Tutti i concorsi a cui ho partecipato erano già decisi in partenza. Sia quando ho vinto, sia quando ho perso. Vinci solo se il tuo garante siede in commissione. Il concorso è una farsa, è manovrato fin dal momento stesso in cui si decide di bandirlo”.
Cazzo, mi son detto, vuoi vedere che quel professore aveva ragione? Che i concorsi universitari sono “legalmente truccati”?
Non mi dica di non aver mai avuto notizia, anche negli ultimi anni, di figli di ministri, rettori, notabili vari (appunto: “figli di”), che sono diventati Ordinari o Associati alla “veneranda” età di trent’anni.
Eppure, da stronzo empirico quale sono e non avendo studiato al Cepu, quattro conti li so fare. O almeno penso di saperli fare, insieme alle migliaia di stronzi empirici come me.
Per diventare Ordinario, punta massima dell’insegnamento accademico, si dovrebbe aver prodotto una mole più che consistente di materiale scientifico, o aver fatto qualcosa di sensazionale ai fini della ricerca e giù di lì.
Più o meno dovrebbe funzionare così. Allora qualcuno — non necessariamente lei, Professore — saprebbe spiegarmi con quale criterio ispirato da meritocrazia, si possa diventare Ordinari a trent’anni?
A me, ripeto, stronzo empirico, quei conti non tornano.
“Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto”, mi pare dicesse Indro Montanelli. Ma tant’è…
Vede Professore, non mi appassionano le diatribe sui titoli professionali esibiti dai nostri politici, i quali, come cantava Guccini, “han ben altro a cui pensare”.
Non mi appassionano le batracomiomachie fra politici e giornalisti. Vede Professore, non ho nessun motivo di astio personale nei suoi confronti e politicamente sono conosciuto per essere agli antipodi di quel quotidiano nazionale che ha fatto le pulci al suo curriculum.
Ma sono incazzato con lei, professor Conte. Perchè? Chi sono?
Il mio nome è Claudio Zarcone, padre di Norman, “suicidato” da quel sistema infetto che oggi viene comunemente chiamato delle “baronie universitarie”, nel pomeriggio per me brumoso del 13 settembre 2010.
Sono Claudio Zarcone, giornalista professionista, uomo fra gli uomini e custode di una tragedia incommensurabile che ha poi prodotto anche la fine della mia famiglia. Claudio Zarcone, un nome che non dice niente; un nome che intende difendere fino alla morte la memoria di un figlio talentuoso, laureato con lode, che credeva nelle istituzioni e nel merito, a sua volta giornalista, musicista, bagnino d’estate “per apprendere l’etica del lavoro” e dottorando di ricerca senza borsa al suo terzo e ultimo anno.
Non ho avuto giustizia, per contro la mia famiglia è stata azzerata come per effetto di una valanga che prende velocità e aumenta le proprie dimensioni nel corso della sua discesa a valle.
Ed io sono rimasto solo a lottare non so più contro chi. Essi sono troppo forti per essere battuti, essi hanno molti complici e manutengoli.
Hanno troppi nomi istituzionali con i quali si fiancheggiano a vicenda, mestatori della nostra Italia senza più direzione di marcia.
Ho scritto agli “autorevoli”, agli intellettuali, ma ho trovato appena vergognosi muri di silenzio.
Letta, Renzi, Gentiloni, ministri, presidenti e commissari europei, governatori: silenzio assordante.
Ma ho scritto anche a lei Professore, alla pec del Governo, alla sua pec. Le ho scritto penso sei-sette volte. Silenzio assordante.
Poi è venuto a Palermo lo scorso mese di settembre (due giorni dopo l’anniversario della morte di Norman), in occasione delle Celebrazioni in memoria di Pino Puglisi. È venuto a Brancaccio, il mio quartiere, il quartiere dove Norman abitava, il quartiere che ricorda mio figlio con una strada a lui intitolata (la “Rotonda Norma Zarcone”); la stessa strada che lei, professore, ha percorso per recarsi in quella scuola dove ha recitato il suo monologo istituzionale senza un dibattito coi giornalisti.
Sarei potuto venire anche a piedi se fossi stato convocato dalla sua segreteria. Ma anche lei — devo desumere — ha preferito la via del silenzio.
Eppure le mie lettere erano/sono chiare. Volevo incontrarla per raccontarle una storia e tenere viva la memoria di un giovane brillante che ha osato gridare il proprio sdegno.
Le chiedevo un segno delle istituzioni.
Le chiedevo di non far morire l’attesa che i cittadini nutrono nei confronti dello Stato, troppo spesso emulo di Crono, divoratore dei propri figli.
Non ho ricevuto neanche una telefonata da parte di uno dei suoi segretari. Neanche la solita, odiosa, pacca sulle spalle che le istituzioni distribuiscono a tutto spiano. Ero a pochi passi da lei, Professore, non ha inteso parlarmi.
Ecco perchè sono incazzato.
Per le modalità d’accesso alla carriera universitaria, potrà anche immaginare come io la pensi, ma siamo tutti assolutamente innocenti e legittimati nel nostro percorso, fino a prova contraria, non ho interessi di sorta per alimentare sospetti e rancori sociali.
Le rinnovo, semmai, la mia delusione. La mia incazzatura.
Per il resto: ‘niente a pretendere’.
Claudio Zarcone
(da “il Gazzettino di Sicilia”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
NEL MIRINO LA CRESCITA GONFIATA E IL RISCHIO DI PAGARE 17 MILIARDI PER LO SPREAD AL 2021, DISCO ROSSO SUGLI INVESTIMENTI E DEVIAZIONE DAGLI IMPEGNI SU DEBITO E SPESA
Le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento al Def – la cornice della manovra – non possono essere validate.
Arriva dall’Ufficio parlamentare di bilancio una nuova stroncatura all’architettura dei conti pubblici disegnata dal governo gialloverde, già criticato duramente e con toni perentori dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei Conti.
Lo scenario delineato dal presidente Giuseppe Pisauro nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato prefigura un giudizio “grave” da parte dell’Europa per le deviazioni “significative” dagli impegni sul debito e sulla spesa.
Lo stop dell’Upb poggia su tre considerazioni, a iniziare dalla critica alla super crescita stimata per il prossimo triennio.
I “significativi” e “diffusi” disallineamenti relativi alle principali variabili del quadro programmatico – sottolinea Pisauro – rendono “eccessivamente ottimistica” la previsione di crescita del Pil nel 2019. Una crescita che il governo ha collocato all’1,5% per il prossimo anno.
L’Ufficio parlamentare di bilancio stronca quindi l’asse portante della strategia dell’esecutivo, cioè la crescita ipertrofica per abbattere debito e deficit.
Tra i punti critici vengono evidenziati i “forti rischi al ribasso” a cui sono soggette le previsioni per il 2019 per le “deboli tendenze congiunturali di breve termine” e per “la possibilità che nelle attese degli operatori di mercato lo stimolo di domanda ingenerato dall’espansione dell’indebitamento venga limitato dal contestuale aumento delle turbolenze finanziarie.
Ma quella sulla crescita non è la sola sottolineatura rossa dell’Upb.
L’incidenza degli investimenti sul Pil – altro cavallo di battaglia del governo – viene giudicato un obiettivo “particolarmente ambizioso”.
Monito anche sulla maggiore spesa per interessi dovuto all’aumento dello spread negli ultimi mesi: un costo quantificato in 17 miliardi tra il 2018 e il 2021.
Cosa succede ora?
La palla torna nelle mani del ministro dell’Economia Giovanni Tria, che dispone di due opzioni.
La prima è recepire le richieste di modifica del quadro macroeconomico.
La seconda prevede la possibilità di non accogliere le osservazioni dell’Upb: in questo caso il titolare del Tesoro deve ripresentarsi davanti alle commissioni parlamentari e motivare la decisione.
È già accaduto nel 2016 con l’allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. In quella circostanza Padoan non modificò la nota di aggiornamento al Def, spiegando le ragioni, ma superò il contrasto con l’Upb modificando le ipotesi di manovra.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL CORAGGIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI ORA DOVREBBE AVERE UNA CONSEGUENZA: CHI ORDINA ALLA NOSTRA GUARDIA COSTIERA DI OSTACOLARE LE ONG E DI LASCIARE INTERVENIRE LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ UN DELINQUENTE E COME TALE DEVE FINIRE IN GALERA
Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi non ha difficoltà a dirlo: “La Libia non è un porto sicuro”.
Una dichiarazione in netto contrasto con la politica del governo che ha delegato le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo alla guardia costiera libica che, naturalmente, riporta i migranti in Libia.
E si scatena un putiferio con le opposizioni che chiedono comportamenti coerenti, e cioè la riapertura dei porti italiani.
“In senso stretto e giuridico – ha spiegato Moavero Milanesi rispondendo ad una domanda durante la conferenza stampa con la collega norvegese – la Libia non può essere considerata porto sicuro, e come tale infatti viene trattata dalle varie navi che effettuano dei salvataggi. La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia”.
Parole non da poco visto che l’ostracismo del governo italiano alle navi umanitarie nasce proprio dal loro rifiuto di riportare i migranti in Libia.
Aggiunge il ministro Moavero: ” Noi dobbiamo mantenere forte e intensificare il nostro impegno affinchè la normalizzazione della Libia porti questo Paese pienamente nell’alveo della comunità internazionale, con il rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali”. In questa direzione va la conferenza sulla Libia che si terrà a Palermo a novembre.
Ancora ieri la Guardia costiera libica ha soccorso 93 persone su un gommone riportandole a Khoms.
Ma anche la Norvegia – ha ribadito il ministro degli Esteri di Oslo – non accetta di rimandare indietro nessuno. Per questo la Norvegia ha fino ad ora partecipato agli accordi di redistribuzione siglati tra i paesi europei per spartirsi i migranti salvati dalle navi umanitarie e approdati a Malta.
“Abbiamo partecipato alle soluzioni europee in passato, lo faremo in futuro. Abbiamo un chiaro messaggio in relazione a questo tema. Quando valutiamo la partecipazione, abbiamo una posizione chiara: devono essere rispettati gli obblighi internazionali e i diritti umani”, ha affermato Ine Marie Eriksen Sreid.
*A Moavero risponde al volo Nicola Fratoianni, segretario di Liberi e Uguali che chiede al ministro degli Esteri di riaprire allora i porti italiani: ” Bene. Sono parole importanti e in controtendenza con quelle di chi, come Salvini e altri esponenti del Governo, hanno in questi mesi detto il contrario. In spregio delle convenzioni internazionali e perfino del buonsenso. Ora però alle parole seguano i fatti. Si smetta di fare la guerra a chi opera nel Mar Mediterraneo centrale per salvare vite in pericolo e, soprattutto, si riaprano i porti italiani. Nel frattempo, sarebbe buona cosa sospendere l’invio delle nostre motovedette alla cosiddetta guardia costiera libica. Se la Libia non è un porto sicuro, come peraltro ripetiamo da sempre, non possiamo aiutarla a riportarci i migranti. Quelle della cosiddetta guardia costiera libica lungi da essere operazioni di salvataggio sono a tutti gli effetti operazioni di cattura di esseri umani”.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
LA RICERCA MEDIA RESEARCH PER LA STAMPA: LAVORO, INQUINAMENTO E VIABILITA’ SONO LE VERE PAURE… SMENTITE LE BALLE SOVRANISTE
Lavoro, inquinamento e viabilità : eccole, le tre divinità del male che spaventano i nostri sonni.
La trimurti delle paure è stata fotografata da un’indagine condotta da Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa.
“Qual è il problema più rilevante dove vivi?” hanno chiesto i sondaggisti dell’istituto in 1.427 interviste effettuate tra il 12 e il 25 ottobre su tutto il territorio nazionale, mostrando un lungo elenco di alternative.
La lista proposta – si legge sul quotidiano di Torino – va dagli immigrati, alla viabilità , all’inquinamento e altri temi ancora. La questione che per tutti risulta essere in assoluto la più importante nella propria realtà è il lavoro (38,1), seguito a distanza da altri problemi posti quasi sul medesimo piano: inquinamento (15%), viabilità (10,9%), costo della vita (10,9%), qualità dei servizi socio-sanitari (10,1%), immigrazione (5,9%), criminalità (4,8%).
Ovviamente i problemi conoscono un’intensità diversa rispetto al territorio di appartenenza, piuttosto che la condizione sociale.
Così le preoccupazioni per l’inquinamento (20,4%) e il costo della vita (13,4%) ritenuto eccessivo sono avvertiti maggiormente al Nord.
La viabilità (18,5%) è una questione più marcata al Centro.
La qualità dei servizi socio-sanitari è un argomento più vissuto dagli anziani (14,4%) e in particolare dai residenti nel Mezzogiorno (14%).
L’immigrazione e la criminalità non sono considerati il “problema dei problemi”, verso i primi – racconta La Stampa – l’attenzione è un pò più elevata nel Nord Est (8,6%) e verso la seconda nel Mezzogiorno (6,3%).
Su tutti, è la questione del lavoro a costituire il tema centrale.
Lo è maggiormente per le donne (41,0%), giovani (41,5%) soprattutto nel Mezzogiorno (57,8%) dove polarizza l’attenzione degli intervistati, oltre che per i disoccupati (71,4%).
Recenti dati dell’Istat testimoniano come la crescita di occupazione sia a favore dei più adulti e sempre meno delle generazioni più giovani. Una ricerca (di prossima pubblicazione) della CMR per Ali -Magister Group mette in luce come per tre giovani su 4 (/1,4%) l’ingresso sul mercato del lavoro avvenga con forme contrattuali a tempo determinato e flessibile.
Questa quota si riduce progressivamente nelle fasce d’età successive, ma racconta – sottolinea il quotidiano – percorsi lavorativi che prolungano una situazione di incertezza sul futuro delle persone. Inoltre, rivela una divisione e territoriale importante: nel Nord il 62,4% dei lavoratori ha un contratto a tempo determinato, nel Mezzogiorno la percentuale scende al 50,8%.
(da Globalist)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’ATTORE GENOVESE IRONIZZA SULLE CONTINUE STUPIDAGGINI DEL GRILLINO
Non l’atono Conte che parla a comando e farebbe sbadigliare perfino l’incredibile Hulk, che se solo lo sentisse da verde diventerebbe grigio
Non tanto Di Maio che è così macchietta di suo che non può diventare più macchietta. Non Salvini che perfino i comici evitano perchè fa solo rabbrividire.
Ma Toninelli è la fortuna della satira.
Un ministro incompetente e improvvisato, maniaco dei selfie.
Uno che il giorno in cui si ricorda il primo mese della tragedia del ponte Morandi si fa fotografare sorridente accanto a Bruno Vespa mostrando l’abominevole plastico di Porta a Porta.
Uno che parla di ponti dove le famiglie possono fare scampagnate non comprendendo la differenza tra un cavalcavia destinato al traffico pesante e ponte Milvio.
Uno che ignora che il tunnel del Brennero non sia finito.
Uno che mentre i genovesi cominciano a perdere la pazienza chiede di non essere criticato perchè il decreto sulla ricostruzione è fatto ‘con il cuore’.
Un’occasione ghiotta per l’attore genovese Luca Bizzarri per prendere per i fondelli il ‘Tontinelli’ così ribattezzato dal web.
Una parrucca, un paio di occhiali e una frase: “Concentrato. Col cuore. Pronto per affrontare l’annoso problema infrastrutturale del Porto di Aosta”.
Eh sì perchè ad Aosta c’è il mare. Ma come direbbero i troll grillini (e forse anche Marcello Foa) è solo questione di tempo, perchè primo o popi a forza di erosione delle coste il mare arriverà ad Aosta.
Toninelli è solo capace di vedere il futuro prima degli altri…
(da Globalist)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“IL PAREGGIO DI BILANCIO? L’ARTEFICE FU IL LEGHISTA GIORGETTI”…. “BERLUSCONI HA AVUTO BEN ALTRO SENSO DI RESPONSABILITA’ NEI CONFRONTI DELL’INTERESSE GENERALE DELL’ITALIA”
“Cosa lamenterei nel giornalismo italiano? Non c’è abbastanza il gusto della memoria. L’altro giorno, ad esempio, ho scoperto che nel 2008 anche la Lega all’unanimità ha partecipato alla ratifica del Trattato di Lisbona, il documento su cui oggi si regge l’Europa. Salvini era parlamentare italiano, allora. Era in Aula e ha votato a favore”.
Sono le parole dell’ex presidente del Consiglio, Mario Monti, ospite di Otto e Mezzo, su La7.
§E aggiunge: “Il leghista Giorgetti è stato l’artefice, e io gliene rendo merito, della modifica costituzionale, che noi abbiamo introdotto nel 2012, per rafforzare il pareggio di bilancio. Ecco, a me piacerebbe che il giornalismo italiano in tutte le direzioni mettesse tutti noi più in difficoltà , ricordando con maggiore frequenza il passato”.
Monti si sofferma poi su Silvio Berlusconi, prima menzionato dal giornalista Massimo Giannini: “Con lui ho avuto motivi di consenso e di dissenso in lunghi anni, però siamo su un altro livello di responsabilità nei confronti del Paese rispetto a quello che vediamo oggi. Io posso testimoniare che nei momenti più difficili di fine 2011, quando è avvenuta una transizione che poi successivamente alcuni hanno chiamato ‘complotto’, quest’uomo, pur con l’amarezza di essersi dimesso, ha cercato in tutti i modi di sostenere in Parlamento e con appoggio personale la mia opera non semplice di far lavorare insieme il suo gruppo e quello di Bersani. Oggi” — continua — “siamo anni luce lontani da questa responsabilità . Devo dire che, quando è arrivato questo governo, mi sono un po’ preoccupato, ma, dall’altra parte, ho avuto speranza, perchè mi sono detto che finalmente arrivano forze politiche non compromesse col passato. Nel capitalismo generale e in quello italiano c’è tanto da riformare. E quindi mi aspettavo che questo avvenisse. Invece, li vedo muti e assenti sui temi della concorrenza, del’Antitrust, dei conflitti di interesse”.
E chiosa: “Spero che questo governo non si metta in collisione con l’Europa, perchè la Ue di fatto ha sempre avuto una influenza che ha agevolato le forze della trasformazione e della modernizzazione dei Paesi”
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
COLLA NON ACCETTA L’INDICAZIONE DI LANDINI SEGRETARIO, SI APRE LA CAMPAGNA CONGRESSUALE
C’era una volta l’unità interna in Cgil. O meglio, il feticcio dell’unità interna.
Invece per un po’ di tempo dobbiamo abituarci a un sindacato diverso dal solito, in cui la dialettica interna corre il rischio di travalicare le silenziose stanze di Corso d’Italia. In Cgil, nei momenti più delicati, di solito quelli di transizione da un segretario all’altro, si è sempre preferito lavare i panni sporchi in famiglia, che tradotto significa arrivare al congresso con un nome condiviso.
Stavolta però non sarà così. In nottata il segretario uscente, Susanna Camusso, ha proposto come proprio successore il segretario confederale Maurizio Landini.
La scelta è stata accolta dalla grande maggioranza della segreteria con favore ma non ha raccolto l’unanimità , anzi si sono levate alcune voci critiche, tra cui principalmente quella dello sfidante dell’ex capo della Fiom ovvero l’altro segretario confederale Vincenzo Colla.
Il quale ha fatto trapelare di non voler assolutamente abbandonare la corsa per conquistare la poltrona al quarto piano di Corso d’Italia. Insomma, da oggi parte una calda campagna elettorale per la successione alla Camusso che finirà al congresso di Bari che si terrà a gennaio.
Lì sarà l’assemblea dei 450 delegati a decidere il match, ma sia Colla che Landini sanno bene che è adesso che devono conquistare i voti sia a livello territoriale che di categoria.
Ma come si è arrivati a questo showdown?
Per capirlo bisogna riavvolgere il nastro alla primavera scorsa, quando la Camusso ha iniziato il suo percorso di consultazione con le strutture interne per individuare il profilo giusto per la sua successione.
Non è un mistero che il segretario avesse le idee chiare per il futuro del proprio sindacato: sarebbe servita una figura garante di un salto generazionale, fortemente innovativa, capace di portare aria fresca e un nuovo modo di leggere la realtà nelle stanze della confederazione.
Camusso aveva anche un nome oltre al profilo: Serena Sorrentino, donna, quarantenne, capace di andare in video, apprezzata segretaria della Funzione Pubblica. Purtroppo però durante la consultazione non c’è stata quella convergenza necessaria, in altri termini non c’erano i numeri, anche perchè alcune categorie non hanno voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Del resto anche oggi la Camusso si è lamentata di come “ci sia una tentazione evidente del gruppo dirigente di richiudersi in ciò che conosce e poco coraggio di osare”.
A quel punto la Camusso ha preferito virare su un candidato che potesse essere più unitario, Landini, pur sapendo dell’esistenza di un altro dirigente non disposto a mollare la presa ossia Colla.
Ora davanti alla base e alla burocrazia interna della Cgil si apre un interessante bivio. Perchè alla fine i due candidati rappresentano davvero due modelli di sindacato nonchè di interlocuzione con la politica.
Partiamo da Colla. Lui è il classico dirigente emiliano, in passato segretario della Cgil Emilia Romagna, che rappresenta una scelta in continuità con la tradizione cigiellina. Crede molto in un riformismo dall’alto, basato su una concertazione verticale con le imprese.
E può contare sul sostegno di categorie “popolose” come i pensionati, senza dimenticare gli edili e i chimici.
Da un punto di vista politico, non ha mai nascosto di preferire un interlocuzione con la sinistra del Pd e con Leu.
Landini invece è molto più popolare fra la base, visto che incarna il prototipo del sindacalista di fabbrica, molto attento alle spinte dal basso.
Basta fare una passeggiata con lui nelle vie del centro e il termometro dei selfie s’impenna, per dire. E come tale più capace di intercettare e avviare un confronto con la pattuglia pentastellata al governo.
Insomma, si prevedono tre mesi di fuoco e una certezza. In ogni caso il popolo della Cgil avrà fatto una scelta che peserà parecchio sul futuro prossimo e remoto del primo sindacato italiano.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
NON SI PUO’ PIU’ PROCEDERE D’UFFICIO, MA LA DENUNCIA PER APPROPRIAZIONE INDEBITA DEL PARTITO CHISSA COME MAI NON ARRIVA
In principio fu The Family. La cartella in cui l’ex tesoriere della Lega. Francesco Belsito, custodiva le spese della famiglia Bossi, dall’ex leader Umberto in giù: dalle multe alle mutande.
Ebbene la condanna incassata in primo grado per appropriazione indebita, con ogni probabilità , non potrà trasformarsi in una assoluzione e neanche la procura di Milano potrebbe avere la soddisfazione di vedere confermata l’accusa.
Questo perchè il processo d’appello si estinguerà se il Carroccio non presenterà querela come ha fatto a Genova nel processo sulla truffa allo Stato che ha portato alla decisione della confisca degli ormai famosi 49 milioni di euro.
Il termine, dopo la notifica avvenuta il 31 agosto, per la presentazione della denuncia che spetta al danneggiato scadrà dopo il 30 novembre.
Al palazzo di Giustizia di Milano sembrano scettici che questo possa accadere visto che se anche la Lega volesse presentare la denuncia contro il solo Belsito, lasciando fuori il fondatore e attuale senatore della Repubblica, essendo concorrenti nello stesso reato il giudizio andrebbe avanti per tutti quanti gli imputati.
Un caos che si è creato all’indomani della riforma del codice penale da parte del governo di Matteo Renzi. Prima per il reato contestato si procedeva d’ufficio. L’udienza fissata per domani, 10 ottobre, dovrebbe slittare anche perchè è stato presentato un legittimo impedimento da uno dei difensori.
L’impedimento è stato presentato dall’avvocato Rinaldo Romanelli, nuovo legale, in quanto impegnato nel processo genovese, sempre di secondo grado e il cui decreto di fissazione è stato notificato prima rispetto a quello milanese.
Una decisione, quella della presentazione della quelera, che è in capo all’attuale segretario Matteo Salvini, che però a Bossi ha concesso ampia fiducia visto che lo ha candidato e poi pubblicamente ringraziato all’ultima Pontida.
Una volta scaduti i termini il sostituto procuratore generale Vincenzo Calia sarà costretto a chiedere l’estinzione del reato e verrebbero cancellate le condanne inflitte ai tre dal Tribunale il 27 luglio dell’anno scorso a 2 anni e 3 mesi (Bossi), 1 anno e 6 mesi (Renzo Bozzi) e 2 anni e 6 mesi (Belsito) così come chiesto dal pm Paolo Filippini.
Le motivazioni della condanna: “Bossi consapevole”
Nelle motivazioni i giudici avevano sottolineato la contraddizione del partito che chiamava Roma ladrona e i reati contestati. Bossi è stato “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” della Lega Nord, ma proveniente “dalle casse dello Stato”, “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”. Condotte portate avanti “nell’ambito di un movimento” cresciuto scrivevano i giudici nelle motivazioni — “raccogliendo consensi” come opposizione “al malcostume dei partiti tradizionali“. Secondo l’accusa tra il 2009 e il 2011, l’ex tesoriere si sarebbe appropriato di circa mezzo milione di euro, mentre l’ex leader del Carroccio avrebbe speso con i fondi del partito oltre 208mila euro.
A Renzo “Trota” Bossi erano stati addebitati, invece, più di 145mila euro: migliaia di euro in multe, i cui “verbali originali” sono stati trovati a Belsito “in una logica di pagamento da parte della Lega”, tremila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprare una macchina, (un’Audi A6) e 77mila euro per la “laurea albanese”. Nelle motivazioni il giudice spiegava che “non si può ignorare il disvalore delle condotte” contestate ai tre imputati “poste in essere con riferimento alle elargizioni provenienti dalle casse dello Stato”.
Condotte portate avanti “nell’ambito di un movimento nato, ormai decenni orsono, e successivamente cresciuto raccogliendo consensi da chi vedeva in esso un soggetto politico in forte opposizione al malcostume dei partiti tradizionali”.
Nelle motivazioni, tra l’altro, il Tribunale aveva ricordato anche che la Lega non si è costituita parte civile nel processo per chiedere i danni, facendo presente, tuttavia, che “la decisione di non innestare nel presente processo l’azione civile ben può essere dipesa da valutazioni di ordine diverso, che nulla hanno a che vedere con la fondatezza dell’azione penale” e, dunque, “in questa sede non interessano”.
Regali, gioielli, vestititi e anche cure mediche
Per il giudice, inoltre, “ha ragione” il pm che nel processo ha evidenziato come nel formulare le imputazioni sia stato “utilizzato un criterio, per così dire, prudenziale, non essendo state contestate spese” come “i finanziamenti alla Scuola Bosina“, fondata dalla moglie di Bossi, o per il “Sindacato Padano”, ma anche “il pagamento effettuato ad una clinica svizzera” o “lo stipendio versato alla badante infermiera” che “assisteva Umberto Bossi fin dai tempi della malattia”.
Tutti “capitoli di spesa”, si legge nelle motivazioni, tenuti fuori dal processo ma che “consentono di tratteggiare, in modo ancora più chiaro, il contesto generale” e che “difficilmente paiono compatibili con le disposizioni statutarie in ordine alla destinazione delle risorse del partito politico”.
E non si può pensare, scrive il giudice, “che ad Umberto Bossi facessero difetto risorse alle quali attingere per potersene far carico personalmente”. Tra le spese contestate al fondatore della Lega, invece, ci sono l’acquisto di “regali“, “gioielli” e “capi di abbigliamento“, oltre a quelle per le “cure mediche prestate in favore di Sirio Bossi”, altro figlio.
Del resto, chiarisce il giudice, “che l’accesso ai conti del cosiddetto ‘federale’ è fosse ritenuto dall’entourage di Umberto Bossi un affare, per cosi dire, riservato e di spettanza del Segretario Federale, è dato che emerge con chiarezza dalle conversazioni telefoniche” agli atti. E Belsito agiva “su incarico generale, o in casi determinati, previa specifica autorizzazione, del Segretario federale” Bossi.
Ed è stato dimostrato che Renzo “godeva di benefits di rilievo (acquisto ed utilizzo di un’auto del partito per l’intero arco della giornata, con accompagnamento di autisti pagati dalla Lega, oltre ad un complessivo rimborso spese), dai quali erano esclusi non solo i consiglieri regionali, bensì anche gli stessi eletti in Parlamento”.
Ma tutto questo a partire dal prossimo 30 novembre potrebbe risolversi in un nulla di fatto.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
LE TENSIONI SUL COMMERCIO E IL CAMBIO DI PASSO DELLE BANCHE CENTRALI RENDONO L’ITALIA VULNERABILE
Le avvisaglie che giungono dall’apertura degli Annual meetings dell’Fmi che quest’anno si tengono a Bali, nel clima di una Indonesia colpita dallo tsunami, non sono buone.
L’economia internazionale si sta contraendo: le previsioni appena sfornate indicato che il Pil mondiale crescerà dello 0,2 in meno quest’anno e il prossimo, collocandosi al 3,7 per cento; anche per l’Eurozona le previsioni sono state riviste al ribasso e, rispetto alla stima di luglio, quando si indicava per quest’anno il 2,2 ora l’Fmi si limita a prevedere il 2 per cento. Anche le proiezioni per la Cina sono peggiorate: nel 2019 crescerà dello 0,2 in meno.
I rischi che stanno pesando sull’economia mondiale – come ha ricordato il capo economista dell’Fmi, Maurice Obstfeld, nato a New York, che lascia il suo incarico a Gita Gopinath, nata e cresciuta in India – partono dalla guerra dei dazi e arrivano all’incertezza sull’esito della Brexit.
Ma il rischio dietro l’angolo è l’aumento dei tassi d’interesse della Fed e la fine della politica monetaria facile da parte della Bce: rispetto a dieci anni fa, dice il Fondo, molte economie di paesi avanzati e in via di sviluppo, hanno aumentato i debiti sovrani e delle imprese e dunque sono più “vulnerabili”.
L’Italia naviga in questo mare agitato in condizioni precarie.
E’ l’ultima per crescita in Europa: l’Fmi conferma il taglio delle stime di crescita effettuato a luglio e colloca il prossimo anno all’1 per cento, ben sotto l’1,5 per cento appena programmato dal governo gialloverde, rettifica al rialzo defcit e debito.
Ma soprattutto Obstfeld, nel corso della conferenza stampa, ha richiamato l’esigenza che l’Italia rispetti le regole della Ue per mantenere la stabilità dell’Eurozona, e ha detto che è indispensabile che l’Italia mantenga la fiducia dei mercati.
L’Fmi dice chiaramente che “l’incertezza sull’agenda di governo” e il rischio di inversione di rotta sulle riforme sono responsabili dell’attuale mancanza di fiducia nei confronti dell’Italia che si traduce nell’aumento dello spread. Forse sarebbe il caso di ascoltare le dissonanti armonie che giungono da Bali.
(da agenzie)
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