Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
DALLA GERMANIA BEN 2637 RIENTRI E ORA SI SCOPRE CHE SONO GIA’ ARRIVATI, CON IL VISTO DI SALVINI, GIA’ TRE CHARTER (IL 7 GIUGNO DA FRANCOFORTE, IL 12 LUGLIO DA DUSSERDOLF E I 20 SETTEMBRE DA FRANCOFORTE)
Matteo Salvini vuole chiudere gli aeroporti oltre che i porti ma a quanto pare rischia di farlo quando ormai è troppo tardi: da quando lui è al Viminale di charter (ognuno con massimo una trentina di migranti) dalla Germania ne sono atterrati già tre, tutti a Fiumicino: il 7 giugno proveniente da Francoforte, il 12 luglio da Dusseldorf, il 20 settembre da Francoforte.
Un altro era arrivato il 3 maggio da Lipsia mentre il quinto, da Monaco, programmato per il 26 giugno, è saltato.
E così, mentre ieri il ministero dell’Interno tedesco si profondeva in rassicurazioni nei confronti dell’Italia, la Germania continuava a rispedirci indietro migranti sbarcati e registrati in Italia ma che poi hanno lasciato il Paese.
E, spiega Alessandra Ziniti su Repubblica oggi, con una decisa accelerazione rispetto al ritmo blando degli anni precedenti: 2281 nei primi nove mesi dell’anno (più dell’intero 2017), secondo i dati del ministero tedesco, e con un’ulteriore impennata da giugno ad oggi che potrebbe portare ad un raddoppio a dicembre.
La Germania continua quindi a rimandare i migranti in Italia anche senza l’accordo bilaterale (non) firmato da Salvini e Seehofer, alla faccia del “non uno in più” promesso dal ministro dell’Interno.
Riammissioni programmate, così si chiamano tecnicamente quelle dei cosiddetti “dublinati” che, non solo la Germania, ma anche Austria, Francia, Svizzera, Svezia e persino la Finlandia e il Regno Unito, continua a rimandare in Italia senza bisogno di alcun accordo particolare.
Perchè espulsioni e respingimenti nei Paesi di primo approdo sono previsti già da quel trattato di Dublino che l’Italia non è mai riuscita a far modificare al Parlamento europeo dopo ben 22 riunioni di commissione alle quali la Lega non ha mai neanche partecipato.
Berlino quindi ha continuato e continua ancora oggi, in applicazione del regolamento di Dublino, a rispedire chi è arrivato in Germania dopo essere sbarcato in Italia nel Belpaese.
Con numeri che però non sono per ora altisonanti, spiega ancora Repubblica: delle 10.748 richieste di riammissione per il 2018 ne sono state effettivamente eseguite appena 2281 secondo i tedeschi, poco meno di 2000 secondo il Viminale, comunque più o meno un quinto.
Di più, le riammissioni programmate, quelle per intenderci con nome e cognome, biglietto pronto e itinerario di viaggio parlano di numeri molto più alti di quelle effettive, almeno il doppio.
Ma la verità è che in moltissimi casi quando i poliziotti tedeschi vanno a bussare alle porte di casa dei migranti, preavvertiti tempo prima con lettera di essere finiti nell’elenco dei “dublinati”, non li trovano e dunque circa la metà dei posti nei voli già programmati restano vuoti.
E cioè la stessa cosa che accade in Italia con i charter per la Tunisia.
Da quando al Viminale c’è Salvini il numero delle riammissioni programmate da diversi Paesi europei è balzato a 5104 (quasi quanto l’intero 2017), 2637 delle quali dalla Germania.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
GENOVA LO ISPIRA: DOPO IL PONTE COME” LUOGO PER MANGIARE E GIOCARE”, IERI SI E’ SUPERATO CON “I MEZZI SU GOMMA CHE ATTRAVERSANO IL TUNNEL DEL BRENNERO” CHE NON ESISTE
Il concentratissimo Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli continua a darci grandi soddifazioni.
Ieri a Genova il ministro pentastellato ha chiesto di non contestare il Decreto per il Ponte Morandi perchè «scritto non solo con il cuore, con la mente vicina ai genovesi e con una tecnica giuridica molto molto elevata».
Ed è per questo, secondo Toninelli, che ci è voluto così tanto per approvarlo.
Ma Genova ormai il ministro si sente a casa al punto evidentemente di considerarlo il suo palcoscenico naturale.
Sempre sotto la Lanterna Toninelli parlò dell’idea di un ponte autostradale “da vivere” con centri commerciali, cinema, giardinetti «un luogo di incontri, in cui le persone si ritrovano, in cui le persone possono vivere possono giocare, possono mangiare».
Ma Toninelli è così, uno che nel DEF mette nero su bianco che punta ad abolire i morti per incidenti stradali entro il 2050 (del resto Di Maio ha già abolito la povertà ).
Ieri a Genova durante un incontro con la commissaria Ue Violeta Bulc Toninelli ne ha detta un’altra delle sue raccontando di essersi soffermato su un dossier che ritiene essere molto importante: quello del tunnel del Brennero.
«Sapete quante delle merci italiane quanti imprenditori italiani utilizzano con trasporto principalmente ancora su gomma il tunnel del Brennero e oggi purtroppo dobbiamo subire limitazioni settoriali da parte delle autorità del Tirolo che danneggiano fortemente l’economia italiana».
C’è un problema, anzi due. Il primo è che il tunnel del Brennero non è ancora completato.
La seconda è che quando l’opera verrà terminata non potrà essere utilizzata per il trasporto su gomma perchè quello in via di realizzazione è un tunnel ferroviario.
Il ministro si stava in realtà riferendo allo stop annunciato dall’Austria al valico autostradale del Brennero.
Le autorità austriache hanno infatti intenzione di imporre un numero chiuso a causa del forte inquinamento causato dal traffico dei mezzi pesanti.
Toninelli ha annunciato con soddisfazione che l’UE ci darà una mano per risolvere la questione. Chissà se si riferiva al blocco del traffico autostradale o al problema del traffico dei camion all’interno del tunnel del Brennero.
Sarebbe davvero interessante sapere che cosa ha chiesto di preciso il ministro alla commissaria Bulc e quale risposta ha ottenuto.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
“RISCHIAMO DI RESTARE FUORI DI CASA PER ANNI, SIAMO LE VITTIME DI UNO SCONTRO IDEOLOGICO”
Non si placa la preoccupazione degli sfollati dcel Ponte Morandi a Genova. Dopo la manifestazione di lunedì, arrivano altre accuse al governo e non basta a temperare il clima l’annunciata riapertura di via Via 30 Giugno, la strada sotto ponte Morandi, per il quale ha dato via libera il gip Angela Nutini che ha accolto la richiesta del commissario per l’emergenza e presidente della regione Giovanni Toti.
Il giudice ha stabilito dunque che la strada, delimitando la zona dove ci sono i reperti, potrà riaprire. “Finchè non vediamo la strada aperta non ci crediamo, ma possiamo dire di essere moderatamente soddisfatti”.
Così commenta Emilio Rizzo uno dei portavoce del comitato Oltre il ponte, che ieri ha organizzato la manifestazione della Valpolcevera.
Via Trenta Giugno è un’arteria di collegamento tra la Valpolcevera e il centro lungo la sponda destra del torrente. Per i cittadini renderla transitabile può contribuire sensibilmente a migliorare la viabilità , togliendo dall’isolamente le attività commerciali che si trovano nella periferia nord del viadotto.
“Il sindaco Bucci – continua Rizzo – ieri ci ha parlato di venerdì, ma preferiamo non avere date o annunci fino a che non ci sono notizie certe, questo è comunque un passo avanti ma non è sufficiente, le nostre richieste per la vallata sono anche altre”.
La riapertura di altre strade, come via Fillak e via Perlasca, il potenziamento degli ospedali Celesia e Gallino e la certezza di risorse economiche per aiutare popolazione e imprese, come hanno spiegato ieri in piazza.
“Se le cose andranno per il meglio – afferma Rizzo – via Trenta Giugno sarà riaperta in entrambi i sensi di marcia, anche se con una strettoia, il sindaco ci ha spiegato di voler collegare un impianto semaforico ai sensori montati sul ponte per chiudere, eventualmente, la strada in presenza di pericoli”.
Tante le aspettative della popolazione. E tanta anche la delusione. “Per noi coinvolgere Autostrade nella ricostruzione sarebbe stato meglio”, ha detto infatti il portavoce del Comitato sfollati di via Porro Franco Ravera, ospite di Non Stop News, la trasmissione di informazione quotidiana su Rtl 102.5.
Tra l’altro, Ravera ha detto di credere che “ci sia uno scontro ideologico a Roma che si ripercuote su Genova”. Per quanto riguarda il decreto, dentro “non ci sono le misure chieste da Genova, dal sindaco. Per gli sfollati non ci sono sicurezze. Rischiamo di star fuori casa per anni”.
“In questi mesi, noi abbiamo incontrato il ministro Toninelli e sentito il premier Conte, ma siamo delusi perchè ci avevano detto che ci sarebbe stato in breve tempo un decreto, una soluzione per Genova, ma è stato un parto confuso e pasticciato, che non ha portato soluzioni, è andata buca la prima, ora non dite bugie”, ha aggiunto Ravera.
La manifestazione di ieri, con residenti e commercianti della Valpolcevera in piazza, era “un grido di soccorso della Valpolcevera dove a oggi ci sono ancora 258 famiglie in difficoltà , siamo una comunità in ginocchio”.
Ravera chiede di cambiare il decreto Genova perchè dentro non ci sono “le misure chieste da Genova, dal sindaco. Per gli sfollati non ci sono sicurezze. Rischiamo di star fuori casa per anni”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
ALMENO TRE CATEGORIE DI CONTRIBUENTI HANNO DECISO DI NON PAGARE…L’EFFETTO ANNUNCIO STA INTACCANDO IL GETTITO FISCALE
Un condono fiscale, una “pace fiscale” che rischia di ottenere il risultato contrario a quello voluto dal governo.
L’effetto annuncio del condono starebbe infatti intaccando il gettito fiscale da contrasto all’evasione dell’anno in corso: all’appello potrebbero mancare 3,6 miliardi. Cresce il partito di chi non intende pagare per poi affidarsi, appunto, al condono.
Così si rischia di vanificare gli sforzi degli ultimi anni di lotta all’evasione.
Almeno tre categorie di contribuenti, riporta Repubblica, alle prese con un accertamento, con una cartella esattoriale o con la rottamazione bis, hanno deciso di attendere gli eventi e non pagare in vista della sanatoria.
La prima categoria riguarda coloro che hanno aderito alla rottamazione bis: hanno deciso di farlo entro il 15 maggio di quest’ anno, poi hanno pagato la prima rata entro il 31 luglio.
L’altra categoria, la cui entità non è calcolabile ma si presume rilevante dato il tasso di evasione presente in Italia e il boom delle due precedenti rottamazioni, è quella di coloro che a maggio di quest’anno avevano in tasca una cartella e hanno deciso di non partecipare neanche alla rottamazione bis nonostante il vantaggio di mettersi a posto con uno sconto medio del 35%.
La terza categoria non attiene a coloro che hanno partecipato alle due rottamazioni, ma a quell’universo di contribuenti non in regola che ricevono dall’Agenzia delle entrate lettere di invito a correggere la propria dichiarazione o accertamenti per i quali si prevede la definizione attraverso l’istituto dell’adesione.
(da Globalist)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
10.000 EURO DI BTP COMPRATI A MAGGIO ORA NE VALGONO 8500
Diecimila euro di Btp acquistati a maggio ora ne valgono 8500.
E i rendimenti più elevati da offrire mettono in difficoltà soprattutto le piccole imprese, che paventano il rischio di un rinvio degli investimenti alla faccia di Paolo Savona e del piano Politeia.
Il Corriere della Sera oggi riepiloga i costi dello spread che sale dopo che ieri il differenziale tra BtP e Bund è arrivato a superare la soglia dei 300 punti e a puntare quella dei 400.
A inizio maggio il Btp con scadenza 2028 quotava circa 140, un valore largamente superiore al valore di rimborso (alla pari) cresciuto nel tempo grazie al calo dei rendimenti.
Ma nel momento in cui lo spread fra Btp e Bund ha cominciato ad aumentare (da 130 punti di inizio marzo agli oltre 300 attuali) i rendimenti del Btp sono cresciuti vorticosamente, passando dal 2% di maggio al 3,6% di ieri.
Poichè le quotazioni di un titolo già emesso (a un tasso fisso, poniamo, dell’1,5%) sono inversamente proporzionali al rendimento di mercato corrente (che sale o scende ogni giorno) ecco che i prezzi di mercato dei Btp a dieci anni hanno cominciato a precipitare via via che il rendimento cresceva.
Si calcola che per ogni punto percentuale di aumento dei rendimenti, i Btp a dieci anni perdano il 7% del loro valore.
Ieri, a fronte id un rendimento molto alto che sfiora il 3,6% (il Bund a 10 anni offre appena lo 0,53%) le quotazioni dei Btp a 10 anni hanno toccato un minimo di 119.
Il calo, rispetto al valore di 140 di inizio maggio è pari al 15%. In pratica diecimila euro investiti in Btp appena 4 mesi fa sono diventati 8.500 ai prezzi di mercato attuali. La perdita potenziale è di 1500 euro. E non la subisce chi mantiene in portafoglio i titoli fino alla scadenza.
Poi c’è la questione dei prestiti alle imprese.
Il polso della situazione lo si legge nell’allargamento di 50 punti base (cioè lo 0,50%, sopra il tasso di riferimento) dei rendimenti sul mercato secondario delle obbligazioni già in circolazione. In pratica, gli investitori prezzano l’incertezza politica.
E non solo:
Ma il cuore del problema sono le medie imprese, soprattutto quelle meno internazionali, per cui resta aperto solo il tradizionale canale bancario. Che fino ad ora non ha trasferito il maggior costo della provvista sui prestiti alle aziende. Ma si arriverà a un punto di svolta, perchè il costo al quale le banche si finanziano subisce l’effetto trascinamento dello spread.
Un esempio? Rispetto a inizio anno una grande banca italiana pagherebbe circa il 3% di interessi, cioè tra 170 e 180 punti base in più. Che a un certo punto si rifletteranno in parte sui tassi applicati alle imprese per ottenere denaro.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
E AVVERTE: LO SPREAD COLPISCE FAMIGLIE E IMPRESE
“Una minore valutazione dei titoli di Stato in portafoglio incide sui requisiti patrimoniali delle banche; oltre certi limiti può ridurne la capacità di offrire credito all’economia”. Lo afferma il vicedirettore di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, in audizione sulla Nota di aggiornamento al Def.
Il debito pubblico italiano “è detenuto per circa due terzi da istituzioni e soggetti italiani ma ciò non lo isola dalla logica del mercato che cerca il rendimento e fugge l’incertezza. Le oscillazioni del suo valore esercitano i propri effetti anche sui soggetti italiani, famiglie, imprese e istituzioni finanziarie che lo detengono”.
Secondo Signorini, “ridurre il divario di crescita rispetto all’Europa è un obiettivo fondamentale, è necessario anche per mettere sotto controllo il rapporto tra debito e prodotto. Una crescita più sostenuta e una maggiore coesione sociale non sono in contrasto con la disciplina di bilancio”.
“Il disavanzo strutturale resterebbe su un livello elevato per un paese caratterizzato da un alto debito. Non lascerebbe molti margini di azione nel caso in cui si rendesse necessario fronteggiare una nuova situazione di rallentamento ciclico”, continua il vicedirettore di Bankitalia aggiungendo che il “debito è per l’Italia il grande moltiplicatore delle turbolenze” e resta sempre “la minaccia di innescare un circolo vizioso, con ripercussioni sull’economia reale”.
“L’aumento dei trasferimenti correnti” per reddito di cittadinanza e pensioni “così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”.
Così il vice direttore generale Luigi Federico Signorini in audizione sulla Nota al Def. Anche lo stop all’Iva dovrebbe avere “un effetto limitato”.
Impatto che “potrebbe essere ancora inferiore o nullo se il mancato aumento dell’Iva fosse già stato incorporato nelle aspettative delle famiglie”.
“Le analisi disponibili sugli effetti delle riforme pensionistiche del passato, che hanno posticipato l’età minima di pensionamento, non consentono di sostenere che nel medio-lungo termine un aumento del tasso di occupazione dei lavoratori più anziani peggiori le prospettive occupazionali dei giovani, soprattutto nel settore privato”.
Istat: “Prospettive a breve non sono favorevoli, crescita contenuta”.
“Le prospettive a breve termine dell’economia in base ai segnali forniti dall’indicatore anticipatore dell’Istat non risultano favorevoli: negli ultimi mesi l’indicatore ha seguito un andamento discendente lasciando prevedere il prolungamento della fase di crescita economica contenuta”. Lo ha sottolineato il presidente facente funzione dell’Istat, Maurizio Franzini, nel corso dell’audizione sulla Nota di aggiornamento al Def nelle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL CONCORSO VINTO, LA SENTENZA DEL COSIGLIO DI STATO, LA PAGINA DEL SITO CHE SPARISCE: IL CASO DEL CONCORSO SI INGROSSA
Il caso di Giuseppe Conte e Guido Alpa e del concorso a Caserta si ingrossa.
Ieri il presidente del Consiglio ha risposto a Repubblica che da giorni lo chiamava in causa per la vicenda del concorso all’Università Vanvitelli di Caserta che vedeva Alpa in commissione e che l’ha visto vincitore, secondo una tradizione millenaria che va avanti da secoli per i professori di ateneo.
Il punto della vicenda è che Alpa e Conte condividevano uno studio professionale a Roma con lo stesso numero di telefono e una segretaria comune, e che il premier si definiva nel suo curriculum come associato.
Conte ha sostenuto che sono vere le collaborazioni ma che non c’è mai stata un’associazione di studio. E che quindi questo rende il concorso regolare.
Una sentenza del Consiglio di Stato del 22 febbraio 1994 (la numero 162) che però spiega come in un concorso «integrano l’obbligo di astensione i legami professionali o di vita stabili, sia che essi risultino da atti formalmente perfezionati sia che essi siano desumibili da elementi o rapporti idonei a configurare la fattispecie del iudex suspectus».
Non conta dunque la forma (l’effettiva esistenza di una società professionale). Conta la sostanza.
Giuliano Foschini su Repubblica, che ha raccontato la storia dal suo principio, pone oggi l’accento su due video pubblicati su Youtube, che vedono protagonisti Alpa e Conte:
Conte e Alpa vengono intervistati davanti alla stessa libreria. «Hanno in condominio anche quella?» si chiede, ironica, una lettrice di Repubblica. Ma quelle interviste, del 2009, potrebbero essere state girate anche in un luogo neutro
Repubblica racconta anche di un altro caso curioso attorno alla vicenda, che parte da un articolo del Foglio in cui Conte veniva definito un collaboratore occasionale e non un associato:
In questo senso un tassello importante arriva da un’inchiesta, mai smentita, sul curriculum di Conte pubblicata sul Foglio il 22 maggio scorso a firma di Luciano Capone.
L’articolo indaga se il premier abbia scritto il vero nel sostenere di «aver aperto uno studio con Alpa». Il dubbio arriva dal fatto che il nome di Conte fosse riportato sul sito dello studio Alpa come «of counsel», e cioè come un semplice collaboratore occasionale. E non come un associato
§Il collaboratore è, però, qualcosa di diverso da un “coinquilino”. E qui arriva il giallo: perchè nelle ore in cui Capone scrive, la pagina “incriminata” sparisce dal sito e l’intera sezione sugli “of counsel” dello studio Alpa vengono eliminate (ma sono ancora rintracciabili sul web). Che è accaduto?
Poi c’è il caso di Giovanni Furgiuele, professore di diritto civile in pensione che è stato il suo esaminatore anche nelle prove da associato e da ordinario che il premier ha superato sempre alla Vanvitelli di Caserta.
Nella seconda sessione del 2001, quando Conte ha superato il concorso di seconda fascia, c’erano bandi (a Reggio e Catanzaro), a Urbino e anche a Firenze (nella facoltà di Economia) ma Conte ha vinto a Caserta.
Per poi essere assunto a Firenze il 10 ottobre del 2001.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
LE DONAZIONI DELLA BASE SONO CROLLATE: “LA BASE E’ IN RIVOLTA CONTRO LA GESTIONE DI MAIO, HA EMARGINATO GLI ATTIVISTI PER PIAZZARE I SUOI AMICI”
Pasquale Napoletano sul Giornale oggi ci racconta una storia molto divertente che riguarda Italia 5 Stelle: ci sono problemi di soldi perchè le donazioni sono scese in picchiata e allora il vertice chiede di raddoppiare la quota di contribuzione ai parlamentari:
Tra Montecitorio e Palazzo Madama sta montando la rivolta contro Casaleggio e Di Maio.
Una ribellione che mette nel mirino la decisione dei capi grillini di raddoppiare, rispetto alla legislatura 2013-2018, il contributo che ogni singolo parlamentare deve sborsare per sostenere le spese dell’evento.
Negli anni scorsi, l’obolo che ogni eletto ha versato per Italia 5 Stelle (quattro edizioni)è stato di 1.000 euro.
Oggi, nonostante il gruppo parlamentare abbia triplicato gli eletti, passando da 162 a 330 (tra deputati e senatori), la tassa è raddoppiata con una quota di duemila euro a testa.
Molti parlamentari non hanno ancora regolarizzato il versamento. Anche perchè c’è stato un cambio di regole in corso: nella prima riunione tra eletti, capi e il tesoriere del M5s, Sergio Battelli, è stato raggiunto l’accordo per un versamento pari a 1.500euro. Dopo una settimana la quota è schizzata a duemila.
Per contenere l’emorragia i vertici stanno organizzando una campagna di raccolta fondi con i testimonial più importanti del M5S. Ma pare che non basterà . E il malcontento serpeggia:
A raccontare i malumori della pattuglia parlamentare dei Cinque stelle è un senatore grillino che a Il Giornale spiega: «Negli anni scorsi l’evento Italia a 5 Stelle è stato finanziato per l’80% con le donazioni spontanee. Quest’anno invece i contributi che arrivano dal territorio sono diminuiti. E, dunque, il costo peserà in larga misura sugli eletti».
La fonte grillina ha le idee chiare anche sulle ragioni del crollo delle donazioni: «La base è in rivolta contro la gestione Di Maio. Nulla di segreto, basta fare un giro sui social per avere un’idea dei malumori. Sono nate chat parallele di opposizione interna. Il mondo grillino è in fibrillazione. Non si tollera che gli amici del capo politico siano stati piazzati nei posti di comando, con stipendi altissimi, mentre gli attivisti emarginati».
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
ABITA IN UNA CASA POPOLARE MA NON NE HA DIRITTO PERCHE’ POSSIEDE ALTRI IMMOBILI… A DIFFERENZA DI ALTRI CASI PERO’ LO SFRATTO NON E’ ANCORA ARRIVATO
Virginia Raggi ha un piccolo problema di diplomazia da risolvere con la pacatissima senatrice del MoVimento 5 Stelle Paola Taverna.
Il problema è: la mamma della Taverna. La quale abita in una casa popolare, ma per il Campidoglio non ne ha diritto perchè possiede altri immobili.
La famiglia della senatrice però si è opposta con ricorso: «Il patrimonio della signora Bartolucci rientra nei requisiti di legge e non supera il valore ai fini Ici imposto dalla normativa – spiega nel ricorso – non è corretto includere anche quelli di Paola Taverna, perchè la convivenza si è conclusa nel 1998».
La storia la racconta oggi Fabio Tonacci su Repubblica:
Secondo i dirigenti del Campidoglio, infatti, la signora Graziella Bartolucci da anni vive in un appartamento Ater, nel quartiere Prenestino, dove non potrebbe più stare. Da anni gode di un affitto agevolato (in media per questo tipo di alloggio si pagano 100-150 euro al mese) cui non avrebbe più diritto, visto il reddito di cui dispone la famiglia Taverna.
Da anni, infine, occupa una casa che il Comune avrebbe potuto assegnare a qualcun altro, pescandolo dalle sempre nutrite liste di attesa.
Per capire bene i contorni di questa storia, che mette in imbarazzo il partito di Di Maio, bisogna leggere la Determinazione dirigenziale del 23 gennaio 2018, firmata da Aldo Barletta, direttore dell’“Ufficio Erp e Decadenze”.
Sono quattro pagine molto dure, che travolgono la famiglia Taverna, perchè le imputano di avere diversi immobili, tra cui «un alloggio sito nel Comune di Roma adeguato alle esigenze del nucleo familiare».
Dunque di trovarsi in una classica situazione di “esubero di reddito” e di appartenere alla vastissima categoria di inquilini che continuano a pagare affitti irrisori pure quando le loro condizioni economiche imporrebbero l’obbligo di trovarsi altre sistemazioni.
La signora Bartolucci possiede un terzo di una abitazione di sei vani ad Olbia e, fino al 2010, è stata proprietaria di 4/6 di un fabbricato nella stessa zona di Roma dove ha la casa Ater.
La senatrice, invece, oltre a due quote negli stessi immobili della madre, risulta proprietaria (insieme al marito) di un piccolo locale commerciale di 28 metri quadri sempre al Prenestino e di una casa di quattro vani (acquistata nel 2011) nel quartiere Torre Angela. Loro si sono opposti, fuori tempo massimo:
Avendo Paola Taverna mantenuto la residenza nella casa Ater fino al giugno del 2012, così risulta all’Anagrafe, non ci sono margini di manovra. «Mi dispiace per mamma, ha ottant’anni ed è malata – dice a Repubblica la senatrice – non so come fare a dirglielo, temo per la sua salute. Per le contestazioni che ci fanno, la nostra versione è nel ricorso del mio avvocato. Dopodichè, boh, secondo me c’è stato accanimento…».
La palla ora passa alla sua compagna di partito, la sindaca Raggi.
La determinazione dirigenziale è ancora ferma al Dipartimento delle Politiche abitative. Non è stata classificata «di immediata esecuzione». Se la madre della senatrice non lascia la casa, servirà un’ordinanza di sfratto.
Come al solito è sempre un complotto degli altri.
(da “NextQuotidiano“)
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