Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
SONO TRA 4 E 10, IL MARGINE DELLA MAGGIORANZA E’ DI 6 VOTI… MA ARRIVERA’ IL SOCCORSO DELLA RUOTA DI SCORTA DELLA MELONI CHE NON A CASO OGGI SALVINI HA PROPOSTO COME SINDACO DI ROMA
Al momento l’orientamento dei cosiddetti ‘dissidenti’ M5s sul dl sicurezza (che ritengono restrittivo il decreto sui temi dei diritti civili) sarebbe quello di non partecipare al voto in Aula.
Al Senato i giallo-verdi hanno 6 voti in più rispetto alla maggioranza assoluta, che è di 161 senatori, ma certo la questione numeri – visto che il dissenso si sta allargando, come spiegano sotto traccia esponenti pentastellati – rischia di mettere in ‘pericolo’ la tenuta del governo.
A firmare gli emendamenti per modificare il testo – alcuni dei quali già bocciati in commissione – sono stati in quattro: Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Elena Fattori e Matteo Mantero.
Tuttavia i ‘malpancisti’ pronti ad opporsi al provvedimento targato Matteo Salvini sarebbero più di dieci, spiegano le stesse fonti.
Da qui il timore dell’ala governista sui numeri a Palazzo Madama in caso di fiducia al testo: i tempi per l’esame del decreto sono strettissimi, l’approdo in Aula è per lunedì e nella stessa settimana l’esecutivo punta ad avviare l’iter alla Camera.
Il messaggio di Luigi Di Maio a serrare le file è rivolto proprio a chi non si è uniformato sulle posizioni della maggioranza. Ma chi non nasconde il malessere sul dl invita a considerare che in caso di fiducia il Movimento 5 stelle si potrebbe spaccare sul serio. “Significa che andremo a cercare i voti del gruppo misto, di FI e di Fdi”, sostiene un altro esponente grillino.
In queste ore sarebbe in corso un dialogo tra Di Maio e Roberto Fico, con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Fraccaro che sta tentando un lavoro di mediazione e ha incontrato nei giorni scorsi De Falco, in prima linea per chiedere dei cambiamenti. E non è un caso che l’ex comandante abbia visto anche il premier Giuseppe Conte.
L’ipotesi che M5s e Lega puntino a blindare il testo con la fiducia è concreta, ma nelle prossime ore si cercherà di arrivare ad un punto di caduta. “Alcune norme eventualmente saranno cambiate dalla Corte Costituzionale, su altre interverrà la Corte dei diritti dell’Uomo”, sostiene un pentastellato su posizioni vicine al presidente della Camera.
Oggi gli emendamenti considerati più ‘critici” sono stati accantonati, ma le posizioni sembrano sempre più distanti perchè – questa la denuncia dei dissidenti – sono stati presentati da governo e relatore emendamenti peggiorativi al testo.
Si vedrà se l’appello di Di Maio (Movimento 5 stelle come una testuggine) verrà accolto.
Nel frattempo nella Lega trapela preoccupazione per le divisioni interne a M5s, anche se la possibilità che alcuni senatori grillini non partecipino al voto nell’Aula del Senato è già stata presa in considerazione.
I malpancisti in ogni caso spiegano che non c’è alcuna opposizione interna precostituita, che si discute nel merito, che ci sono sensibilità diverse “al di là del contratto” ma al momento non c’è intenzione di fare marcia indietro. “Io non sono qui perchè mi devo mettere paura delle sanzioni. Siamo un movimento e non un esercito”, dice De Falco.
“Faccio un appello a Luigi di Maio ad aiutarci ad essere quello che siamo sempre stati. Vogliamo aiutare il governo ad andare nella direzione giusta”, sostiene Elena Fattori, “i nostri emendamenti sono di garanzia”.
“Noi – puntualizza Paola Nugnes – non siamo ‘spingibottoni’. Vogliamo un confronto e una decisione che sia assembleare. Bisogna rispondere agli elettori a cui abbiamo chiesto il voto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
SCATTATO L’ATTO DI PIGNORAMENTO PER 330.000 EURO … I CONTATORI DELLA LUCE CHIUSI NEL 2016 RIALLACCIATI ABUSIVAMENTE…ORA I LEGALI DI ACEA PUNTANO A BLOCCARE I CONTI E I CREDITI
Casapound, nell’edificio del Miur occupato abusivamente nel 2003 nel cuore di Roma , non paga le fatture per l’energia.
Nel corso degli anni hanno accumulato un debito a sei cifre, che si aggiunge al danno erariale milionario su cui sta indagando la Corte dei Conti per il mancato sgombero del palazzo: più di 210 mila euro nei confronti della municipalizzata Acea, come risulta da due decreti ingiuntivi che L’Espresso ha potuto leggere.
Una storia ben diversa da quella che ha raccontato il leader nazionale Simone Di Stefano: “Ci vivono famiglie di italiani, non sono sconosciute al Comune di Roma – ha sostenuto Di Stefano in una intervista a TgCom24 – perchè hanno la residenza, pagano le utenze, è una situazione sotto controllo”.
Nel febbraio del 2016 la multiutility romana, dopo aver tentato inutilmente di farsi pagare, ha chiuso i contatori.
Eppure al civico 8 di via Napoleone III le luci, la sera, sono ancora accese. Un nuovo operatore? Qui comincia un giallo.
La legge 47 del 2014 – firmata dall’allora ministro Maurizio Lupi proprio per bloccare le occupazioni abusive – obbliga i fornitori di utenze a chiedere copia del contratto di affitto o la prova della titolarità dell’immobile per poter allacciare un contatore.
L’articolo 5 della legge Lupi sul punto è chiarissimo: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza nè l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”.
Dunque un eventuale contratto per la fornitura della luce successivo al 2014 sarebbe nullo, così come le residenze anagrafiche che Di Stefano ha assicurato essere state concesse dal Comune di Roma.
Da dove arriva l’energia elettrica? Già in passato, subito dopo l’occupazione del palazzo all’Esquilino, Casapound era stata oggetto di una denuncia per un presunto allaccio abusivo: “Il 14 gennaio 2004 il Ministero ha richiesto all’Acea e alla Telecom la disattivazione delle utenze – aveva spiegato a L’Espresso il Miur lo scorso febbraio – e il 2 marzo 2004 è stata sporta formale denuncia—querela alle autorità di polizia giudiziaria per segnalare la presenza di presunti allacci abusivi alle forniture di energia elettrica, che seguiva due richieste di intervento del Ministero al fornitore Acea il quale è, quindi, intervenuto per disattivare allacci abusivi”.
Il giallo sulla luce di Casapound poteva essere risolto dall’ispezione del Nucleo tutela spesa pubblica della Guardia di finanza.
Su delega della Procura della Corte dei Conti del Lazio, le Fiamme gialle hanno tentato una prima volta il 22 ottobre scorso di entrare nell’edificio pubblico occupato da Casapound per “acquisire elementi informativi e fonti di prova utili alle indagini in corso – si legge nel decreto di accertamento diretto – rilevando lo stato dei luoghi e individuando esattamente gli immobili occupati e la loro specifica destinazione”.
Un vero e proprio atto di indagine disposto in base all’articolo 61 del Codice di giustizia contabile, per stabilire se i locali occupati fossero adibiti a “uffici, sedi di associazioni o gruppi politici, abitazioni private”.
Ma a bloccare quell’accertamento della Finanza è stato un “un atteggiamento molto duro di chiusura”, come ha spiegato la Procura contabile.
D’altra parte, come ha ammesso Di Stefano, “in quattordici anni non è mai venuto nessuno” per controllare. L’isola della tartaruga frecciata continua a godere di una sorta di extraterritorialità .
L’ispezione è poi avvenuta il 26 ottobre, ma si è limitata a constatare lo stato dei luoghi, senza nessuna verifica sulle utenze che non rientrava nel mandato stretto della Corte dei Conti.
L’atto di pignoramento presso terzi per le bollette non pagate da Casapound, per una cifra complessiva di 330 mila euro (il debito aumentato della metà , come previsto dal codice di procedura civile), è stato emesso lo scorso 14 settembre, su richiesta dei legali di Acea, dal Tribunale di Roma.
Il tentativo degli avvocati è quello di intercettare crediti che Casapound avrebbe nei confronti di enti pubblici e società , affinchè vengano girati direttamente alla società romana dell’energia. Come a dire: se qualcuno deve dei soldi a Casapound, li dia a noi.
Nella lista dei soggetti di cui “Casapound risulta essere creditrice”, figurano due istituti bancari (uno a Milano e uno a Roma), la cooperativa Isola delle tartarughe – ovvero il soggetto che raccoglie per conto di Casapound il 5 per mille – e diciassette Comuni in giro per l’Italia, da Bolzano a Isernia.
In molti Comuni citati nell’elenco del Tribunale civile di Roma vi erano consiglieri comunali eletti nelle liste del partito di Gianluca Iannone. I legali della società romana puntavano ad incassare probabilmente anche i gettoni di presenza eventualmente ancora non versati.
Gli atti a favore di Acea erano già stati dichiarati esecutivi e muniti delle relative formule nel corso del 2017, ma la procedura per il recupero dei soldi è partita solo nel giugno scorso, notificata anche al presidente di Casapound, Gianluca Iannone.
Anche lui residente, come risulta dall’atto di notifica, nel palazzo occupato.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO ALLE CORDE: “COSI’ QUANDO CI SEDIAMO CON LA LEGA PARTIAMO SCONFITTI”… IN REALTA’ E’ LUI CHE HA FATTO PERDERE IL 6% AL M5S PORTANDOLO SU POSIZIONI OPPOSTE AI VALORI PREDICATI
La paura della fronda è diventata cosa reale quando Carla Ruocco, venerdì scorso, ha sganciato una bomba. Criticando il decreto fiscale, non nel merito della norma, non per un cavillo da correggere, ma dal punto di vista valoriale: “Il decreto fiscale dovrà essere modificato rispettando i principi ispiratori del Movimento 5 Stelle. Molte delle disposizioni del provvedimento all’esame del Senato sono contrarie ai nostri valori”. Bum.
Perchè la Ruocco non è una parlamentare qualunque, ma presidente della commissione Finanze della Camera, nonchè componente del fu Direttorio che per qualche mese guidò il Movimento 5 stelle.
Lo sconcerto è stato grande nella stanza dei bottoni da dove Luigi Di Maio guida la sua truppa.
È partita una girandola di telefonate, e il capo politico ha appurato che non solo nessuno del governo sapeva, ma nemmeno il capogruppo Francesco D’Uva era stato avvertito di quel che covava sotto la cenere. C’è un passo di Guerre Stellari dove a Darth Vader viene detto più o meno così: “Più stringerai il pugno, e più pianeti ti sfuggiranno dalle dita”.
Il weekend del vicepremier ha ricordato molto da vicino la metafora. Perchè da un lato c’è il decreto fiscale, dall’altro il decreto sicurezza, e la legittima difesa, e il Tav, e il Tap. Una due giorni a rincorrere le dichiarazioni più eterogenee di gruppetti di parlamentari che sconfessavano la linea del leader, e provavano a spezzare le strette di mano con Salvini.
Sul gasdotto che deve approdare in Puglia una delle fronde più dolorose. Tanto che è dovuto intervenire Giuseppe Conte in prima persona, definito da Emilio Carelli “scudo umano” sulla vicenda, termine molto lucido per segnalare da un lato la totale presa di responsabilità politica, dall’altro che evidentemente alcuni errori, se non altro di comunicazione, sono stati fatti.
“Oggi sono quattro o cinque sui singoli provvedimenti. Ma se domani diventano venti che facciamo?”. È la domanda posta da uno degli uomini più vicini a Di Maio.
Ma c’è un corollario: “Per ogni voce critica che si alza, noi ci sediamo al tavolo con la Lega che parte già in vantaggio, sapendo che loro sono compatti e che noi i nostri non li teniamo”.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’intervista di Riccardo Molinari a la Stampa. Il capogruppo leghista a Montecitorio è stato netto: “Credo che la Tav si debba realizzare. È la mia posizione e quella della Lega. Si tratta di un’opera strategica”.
“Se continuiamo a mostrarci così deboli sentono l’odore del sangue e affondano”, il ragionamento nella war room stellata.
Ecco così che Di Maio ha preso carta e penna (digitali) e ha scritto una lettera che ha drammatizzato la situazione: “È bene avere molto chiaro che dalla compattezza della testuggine del Movimento dipende non solo il futuro del governo, ma anche quello del nostro Paese. Chi si sfila si prende questa responsabilità dinanzi ai cittadini e di questo dovrà renderne conto”.
Quando chiedi ai suoi se non si tratta di un passo più lungo della gamba, la risposta è inequivocabile: “Più di così cosa dovrebbero fare?”. Il pensiero è alle voci che si rincorrono senza sosta su Salvini convinto che Di Maio non abbia più il controllo di molte frange del gruppo parlamentare, e convinto di poter approfittare della situazione. Con la prospettiva di medio periodo delle europee, voto nel quale si teme il travaso dal giallo al verde.
Un deputato siciliano spiega: “Da noi è un macello, già ci stanno togliendo voti, sarà una battaglia corpo a corpo”.
Voci e prospettive che si concretizzano nel giro di un paio d’ore. Elena Fattori, tra i critici sul decreto sicurezza, risponde a Di Maio dalle colonne di Huffpost. Se avessi raccontato quel che stiamo facendo al governo “mi avrebbero preso per folle o per lo meno mi avrebbero rincorso con torce e forconi”.
Apriti cielo. L’articolo rimbalza nelle chat dei parlamentari, arriva fino allo smartphone del capo. I nervi sono a fior di pelle.
Gregorio De Falco, il fustigatore di Schettino, esibito come un santino in campagna elettorale, diventa improvvisamente un problema: “Io sono qui perchè ho aderito ad un movimento e ai valori di quel movimento mi richiamo. Siamo un movimento e non un esercito” risponde a chi gli chiede se voterà il provvedimento di Salvini in Senato. La collega Paola Nugnes chiede decisioni assembleari (richiamate dallo stesso Di Maio nella sua missiva): “Immaginate come avremmo reagito se questo provvedimento lo avessimo dovuto subire come opposizione”.
La tensione sale.
Per la prima volta dopo mesi torna ad aleggiare la parola che aveva monopolizzato i retroscena parlamentari a cinque stelle un lustro fa: espulsioni. La pronuncia la Fattori: “non ho nessuna intenzione di andarmene. Se sarò espulsa per eccesso di coerenza farò ricorso”.
A trecento metri da Palazzo Madama, nel cortile della Camera, un fedelissimo fa l’esegesi delle parole del leader: “Ha fatto benissimo a scrivere quel che ha scritto. Così questi idioti lo capiscono una volta per tutte: o stanno dentro al governo del cambiamento, o stanno fuori, di loro non abbiamo bisogno”.
Il vento che spazza Roma e abbatte gli alberi ha riportato improvvisamente il clima al 2013. Con una differenza non da poco: allora il M5s era all’opposizione.
Oggi qualche dissidente in più o in meno, soprattutto a Palazzo Madama, ha il potere di decretare la fine politica di Di Maio e dell’esecutivo per cui tanto si è speso.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
DA NOVEMBRE LA PUBBLICAZIONE DEL REPORT COSTI-BENEFICI POTREBBE SLITTARE A FINE ANNO PER FAR DECANTARE LA PROTESTA
Si sente ancora il fumo delle bandiere del Movimento 5 Stelle bruciate in Puglia da ex attivisti, quando a Torino il volto storico del Movimento No Tav Alberto Perino, un tempo vicino al mondo pentastellato, sferra il colpo contro il partito di Luigi Di Maio: “Se il governo dice Sì al Tav continuiamo sulla nostra strada, sono 29 anni che ci battiamo”.
I grillini, da sempre contrari alle grandi opere, si sentono accerchiati. Da un lato c’è la Lega che vuole andare avanti con la realizzazione dell’Alta velocità Torino-Lione e dall’altro c’è la base pentastellata che non è disposta a perdonare.
Quindi, il sì al gasdotto Trans Adriatico e il sì all’alta velocità Torino-Lione “nel giro di poco tempo non li reggiamo”, è il ragionamento che circola nei piani alti del Movimento 5 Stelle.
Se invece dal ministero dei Trasporti dovesse venir fuori lo stop alla Tav si aprirebbe uno scontro durissimo con la Lega, già sul piede di guerra. Lo stato maggiore M5s è in un cul de sac.
Meglio dunque far trascorrere del tempo, far passare l’uragano no-Tap e parlare della Tav il meno possibile.
Luigi Di Maio per esempio non ha esultato per il via libera in consiglio comunale a Torino dell’ordine del giorno contro l’Alta velocità , si è limitato a dire che andrà a parlare con il sindaco per continuare lo studio in linea con il contratto di governo. Il rapporto con la Lega sta in piedi con grande difficoltà se si parla di grandi opere.
Quindi il resoconto dello studio sui costi e benefici, che dovrebbe essere pronto a novembre, potrebbe slittare a dicembre. Certamente — viene garantito – sarà reso noto entro la fine dell’anno.
Nel frattempo i nodi della manovra saranno sciolti e gli M5s avranno più tempo per studiare una buona strategia comunicativa se la costruzione della Tav avrà il via libera. O al contrario evitare la rottura con la Lega.
Matteo Salvini giorni fa aveva chiesto ai suoi di tenere bassi i toni sulla Tav per non mettere in ulteriore difficoltà l’alleato di governo Luigi Di Maio già alle prese con il problema del gasdotto.
Ma nel giorno in cui il consiglio comunale guidato da Chiara Appendino, secondo i più cattivi assente strategicamente e in missione a Dubai, deve votare un ordine del giorno contro l’Alta velocità , il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari su La Stampa, quotidiano con sede a Torino, dice che la Tav invece si farà .
Molti parlamentari M5s preferiscono non replicare apertamente. C’è chi, come il sottosegretario Davide Crippa, eletto in Piemonte, dice di non aver letto l’intervista e preferisce non commentare non essendo stato eletto nel collegio di Torino.
Questo è solo un assaggio dello scontro che potrebbe consumarsi tra M5s e Lega, come dimostra la scena andata in onda oggi in consiglio comunale, mentre fuori protestavano i No-Tap e Sì al Tap.
“La Lega è da sempre, e continua ad essere, a favore della Tav. L’ordine del giorno di oggi è una fuga in avanti del Movimento 5 Stelle che non ci saremmo aspettati”, dice il capogruppo Fabrizio Ricca che strizza l’occhio ai rappresentanti delle categorie produttive come Api, Ascom e Unione industriale che si son seduti nelle prime file per assistere alla riunione del consiglio comunale. In questa spaccatura, parla Luigi Di Maio per garantire che lo studio va avanti.
Studio che però ha già i suoi detrattori. Dalla Lega lamentano che la valutazione sia stata affidata a Marco Ponti, professore ordinario di Economia applicata, che più volte in passato si è espresso contro la realizzazione della grande opera.
Ciò significa che, una volta pubblicato il report costi-benefici, se al Carroccio dovesse non andare bene potrebbe essere tutto da rifare. I due mesi di tempo potrebbero diventare molti di più.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
SI DIVIDONO LE ASSUNZIONI CLIENTELARI COME NELLA PEGGIORE PRIMA REPUBBLICA
Assunzioni nella polizia penitenziaria e all’Ispettorato del lavoro che rappresentano una risposta dei 5 Stelle al piano di Matteo Salvini per potenziare le forze dell’ordine. E poi, ancora, la trasposizione nero su bianco della battaglia portata avanti da Luigi Di Maio e cioè la scure sull’editoria: dal 2020 salteranno contributi e sgravi tariffari.
Ci sono anche tagli imponenti – pari al 30% del totale – per quelle Regioni che non si adegueranno alle norme nazionali in materia di vitalizi entro sei mesi dall’entrata in vigore della manovra.
L’ultima bozza della legge di bilancio – la cui versione definitiva è attesa in Parlamento mercoledì con un ritardo di 11 giorni – contiene numerose novità . Soprattutto – e questo è un dato politico di peso – certifica che il reddito di cittadinanza e la quota 100 saranno spostati in due provvedimenti autonomi: avranno quindi un iter differente, con un timing più lungo rispetto a quello della manovra. Scenario, questo, che apre un punto interrogativo sull’effettiva data di entrata in vigore delle due misure più care a Salvini e Luigi Di Maio.
Confermate le risorse (9 miliardi per il reddito di cittadinanza, 6,7 per il superamento della Fornero che saliranno a 7 nel 2020) che confluiranno in due Fondi, compensabili tra di loro. Le due misure saranno assegnate ad “appositi provvedimenti normativi” (disegno di legge o decreto legge) e saranno esaminate dal Parlamento dopo la manovra, il cui iter finisce tradizionalmente a ridosso di Natale.
Giornali, radio e tv: saltano i contributi e gli sgravi tariffari
Dal 2020 saltano tutti gli sgravi tariffari previsti per quotidiani e periodici, emittenti radiofoniche e radiotelevisive. Le riduzioni erano previsti da quattro leggi (la 416 del 1981, la 67 del 1987, la 223 e la 250 del 1990). Saltano anche i contributi per le imprese editrici e radiotelevisive.
Le assunzioni “targate” M5S. Anche 55 super consulenti alla Consob gialloverde
A spiegare come le assunzioni all’Ispettorato del lavoro abbiano una matrice pentastellata è la dicitura che compare nell’articolo: “L’articolo è inserito come richiesto dal viceministro Castelli nell’incontro di stamattina”.
La dotazione organica dell’Ispettorato crescerà con 300 nuove unità dal 2019: altre 300 arriveranno nel 2020 e 400 dal 2021. Anche le risorse previste per i nuovi assunti nella polizia penitenziaria rimandano a una genesi grillina dato che questo comparto dipende dal ministero della Giustizia, guidato dal pentastellato Alfonso Bonafede.
Nell’ambito del piano per risarcire i risparmiatori colpiti dalle crisi bancarie spuntano “fino a 55 assunzioni” nella Consob.
Incarichi a tempo (dal 2019 al 2023) che avranno un costo complessivo – dal 2019 al 2021 – di 4,5 milioni per ogni anno. Il riflesso politico di questa norma è che questo processo di assunzioni sarà gestito dal nuovo presidente dell’Autorità che vigila sui mercati. Presidente che sarà nominato da 5 Stelle e Lega.
La scure sulle Regioni. Tagli dei trasferimenti del 30% se non si adeguano sui vitalizi
Il tempo massimo è stato stabilito in 6 mesi dall’entrata in vigore della manovra: entro quel termine le Regioni dovranno adeguarsi alla normativa nazionale sui vitalizi, tagliando quelli del presidente e dei consiglieri. Se non lo faranno – spiega un articolo della bozza – subiranno un taglio dei trasferimenti in arrivo dallo Stato pari al 30% nel 2019. Salve, però, le risorse per sanità , trasporto pubblico locale e politiche sociali. Dal 2020 i trasferimenti saranno tagliati in modo lineare per un importo pari alla metà delle somme destinate nel 2018 ai vitalizi.
Sterilizzazione parziale dell’aumento dell’Iva nel 2020-2021: aliquote fino a 11,5% e 24,5%
Confermata lo stop dell’aumento dell’Iva nel 2019. Arrivano, invece, i particolari di quella che sarà solamente una sterilizzazione parziale per il 2020 e il 2021. Tra due anni l’aliquota agevolata passerà dal 10 all’11,5% (non salirà , quindi, al 13%). Senza ulteriori interventi di sterilizzazione, l’aliquota ordinaria salirà al 24,1% anzichè al 24,9% e dal 2021 al 24,5% anzichè al 25 per cento.
Scuola, colpo alla riforma di Renzi: stop all’ambito territoriale
Arriva una modifica di peso alla ‘Buona scuola’: stop all’ambito territoriale per la nomina dei docenti. La nomina avverrà su istituto. I docenti nominati in base all’ambito territoriale – ora abolito – erano a discrezione dei cosiddetti presidi “sceriffi”.
Il Fondo per le vittime dei crac bancari ritorna a 1,5 miliardi (in 3 anni)
Ne era nato un giallo. L’ultima bozza pone rimedio alla quantificazione effettiva della risorse che saranno erogate nei confronti dei risparmiatori danneggiati dai fallimenti delle banche. Il Fondo destinato a questo scopo ammonterà a 525 milioni l’anno per il triennio 2019-2021. Potranno accedervi gli azionisti di banche poste in liquidazione coatta amministrativa (come Veneto Banca e la Popolare di Vicenza) o in risoluzione (come Etruria, Carife, Banca Marche e CariChieti) che hanno subito un “danno ingiusto”. Il risarcimento sarà pari al 30%, nel limite massimo di 100mila euro. Corsia preferenziale per chi ha un Isee sotto i 35mila euro.
Limiti per accedere alla cedolare secca sugli affitti
Cedolare secca sugli affitti di immobili commerciali, ma con paletti. La nuova tassazione al 21%, si applicherà infatti agli immobili nella categoria catastale C1 di “superficie fino a 600 mq, escluse le pertinenze”. Rimane anche il paletto dei nuovi contratti: non si potrà applicare la cedolare se risulteranno al 15 ottobre 2018 contratti non scaduti ma interrotti anticipatamente rispetto alla scadenza naturale per gli stessi immobili.
Più risorse per i rinnovi dei contratti nella P.a.
Il Governo stanzia 4,2 miliardi per il prossimo triennio in favore del rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione. Per i miglioramenti economici del personale statale in regime di diritto pubblico – si legge – sono stanziati 1,1 miliardi per il 2019, 1,425 nel 2020 e 1,775 miliardi nel 2020. Le risorse aumentano rispetto alla bozza precedente.
Flat tax al 15% per i professori che fanno ripetizioni e lezioni private
Alleggerimento fiscale per gli insegnanti che svolgono lezioni private o ripetizioni: le somme che incasseranno da questo lavoro saranno soggette a un’imposta del 15 per cento e non più, quindi, alle aliquote dell’Irpef, che sono in media più alte. Le norme entreranno in vigore nel 2019 e potranno beneficiare dello sconto tutti i titolari di cattedre “nelle scuole di ogni ordine e grado”. La riduzione fiscale, tuttavia, si va a inserire in un ambito dove prevale il pagamento in nero.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
LA METAFORA DELLA TESTUGGINE COPIATA PARI PARI… E SI ALLARGA IL FRONTE DEI PARLAMENTARI DISSIDENTI DALLA LINEA DEI SOVIET DI CASALEGGIO
Luigi Di Maio oggi ha smesso per un attimo i panni di bis-ministro e vicepresidente del consiglio per vestire quelli del condottiero e richiamare i suoi alla compattezza. «Dobbiamo essere compatti. Molto compatti. Fusi insieme» ha scritto il Capo Politico del M5S per ricordare ad elettori ed eletti che «dalla compattezza del MoVimento dipende non solo il futuro del governo, ma anche quello del nostro Paese».
Per la concretezza (dell’azione di governo) invece c’è ancora tempo; vige ancora il motto lasciateli lavorare.
Su Facebook e sul Blog delle Stelle Di Maio per meglio rendere l’idea della compattezza si è richiamato alla formazione della cosiddetta testuggine romana. Un’idea guarda caso già utilizzata proprio da CasaPound che nel simbolo ha proprio una tartaruga e che spiega così la sua scelta: «nella formazione romana chiamata appunto Testudo l’esercito di Roma dimostrò la sua grandezza conquistando il mondo allora conosciuto, dimostrando che la forza quando scaturita da un ordine verticale e da un principio gerarchico è destinata a dominare le barbarie, anche se in numero inferiore».
Luigi Di Maio invece utilizza la metafora della testuggine romana spiegando che era «una formazione di fanteria dell’esercito romano che era di grande complessità perchè richiedeva un importante coordinamento collettivo. Dava come risultato una massa compatta e protetta in modo impenetrabile e veniva usata in particolare durante gli assedi».
Più di qualcuno ha notato che quella frase è copiata pari pari dalla voce su Wikipedia.
Ma il messaggio che il Capo Politico del M5S vuole lanciare è un altro.
La compattezza richiesta non è quella di elettori e attivisti sui social. La testuggine deve agire ed esistere soprattutto in Parlamento dove il tessuto del MoVimento sta iniziando lentamente a disgregarsi.
Le prime crepe si erano già viste subito dopo la decisione di fare l’inciucio (termine ormai desueto) con la Lega.
Di Maio sul Blog racconta che «nel giro di quattro mesi e mezzo abbiamo portato a casa metà del programma elettorale votato da un terzo degli italiani» ma la verità è che le promesse più importanti o non sono state mantenute (Ilva, TAP) oppure sono ancora di là da venire (per tacere dei riders dimenticati).
C’è inoltre il piccolissimo problema dei condoni. Quello fiscale voluto dalla Lega e la sanatoria per le case abusive ad Ischia. Vogliamo parlare di impresentabili, indagati e massoni candidati ed eletti con il M5S nonostante tutte le rassicurazioni del caso? Meglio non farlo. E scusate se è poco.
Luigi Di Maio quindi ha voluto lanciare un avvertimento ai suoi. Perchè passino i complotti delle “manine” e quelli delle “mine” ma Luigi ha notato che nel suo esercito qualcuno ha iniziato a dare i primi segni di cedimento.
La colpa è sicuramente degli altri — dei commissari europei, dello spread, delle agenzie di rating — ma se manca la compattezza nel MoVimento, il governo e il Paese andranno a rotoli. Perchè per Di Maio il destino della Nazione è legato alla sopravvivenza di un partito gestito da un’associazione privata.
Il Capo Politico non fa nomi, ma non bisogna cercare molto lontano per capire di chi sta parlando.
Ci sono i due senatori Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis e la deputata Sara Cunial che nei giorni scorsi sono intervenuti sulla vicenda del TAP chiedendo un passo indietro e dando la colpa al ministro Costa: «Sul Tap il ministro Costa sbaglia ancora. La mancata ottemperanza di varie prescrizioni risulta evidente. Confidiamo quindi nel lavoro della magistratura». Ieri De Bonis ha scritto su Facebook che sul TAP “anche Conte Sbaglia”.
C’è poi il caso dei parlamentari fedeli a Roberto Fico. Il presidente della Camera in più di un’occasione si è trovato dall’altra parte della barricata rispetto a quella del governo, soprattutto sulla gestione dell’immigrazione e che anche nei giorni scorsi dopo la morte di Desirèe Mariottini ha detto che «non ci vogliono le ruspe, ma più amore».
Curiosamente anche Fico ha parlato di compattezza, ma ha preferito parlare di coesione sociale invece che ricorrere alla militarizzazione del linguaggio .
Tra i cosiddetti fichiani c’è senza dubbio la senatrice Paola Nugnes — che fin dall’inizio non ha gradito l’alleanza con la Lega — e che oggi lasciando l’aula della commissione Affari costituzionali del Senato dove si sta esaminando il Dl Sicurezza voluto da Salvini si è lamentata della mancanza di una vera sintesi tra i programmi di Lega e M5S e degli emendamenti presentati dal Governo spiegando che «non ci si può appellare al ‘contratto di governo’ per giustificare questo provvedimento, che si muove in una direzione che non va a rispondere alle premesse».
Ancora più esplicita la senatrice Elena Fattori che sull’Huffington Post ha pubblicato una lunga riflessione sulla metafora della rana bollita, molto usata nei comizi da Alessandro Di Battista.
La Fattori fa una parodia del comizio del Dibba dicendo che nonostante tutte le promesse di cambiamento oggi «abbiamo un presidente del Consiglio non eletto dal popolo a voi totalmente sconosciuto, come ministro dell’Interno Matteo Salvini, e un ministro della Famiglia “tradizionale” forse un po’ omofobo, ma pazienza. Poi diremo sì alla Tap, si all’Ilva, valuteremo costi/benefici per decidere sulla Tav e anche sul Ceta ci ragioneremo. Faremo un condono fiscale e uno edilizio. Ed eleggeremo come presidente del Senato una berlusconiana doc».
Poco importa a questo punto che la Fattori abbia votato la fiducia al governo Conte e che non si sia dissociata dall’elezione della Casellati. Quello che conta è che elettori ed eletti del M5S stiano facendo la fine della rana bollita, costretti a turarsi il naso e a farsi andare giù il premier non eletto, l’inciucio con la Lega, il Sì alla TAP, la vendita dell’Ilva ad Arcelor Mittal, il condono fiscale, il condono edilizio e tutto quello che non era nel programma del M5S, quello che per Di Maio è già stato portato a casa per metà (cosa faranno nei prossimi quattro anni?).
Per Luigi Di Maio i parlamentari che “remano contro” non sono solo pericolosi per il MoVimento ma anche per il Paese. «Qualsiasi altro comportamento — conclude di Maio — non è da MoVimento 5 Stelle e non sarà assecondato».
La resistenza è inutile saremo tutti assimilati nel governo del Cambiamento.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
INTERVIENE LA FEDERAZIONE DELLA STAMPA: “UN FATTO INAUDITO ESPORRE UNA GIORNALISTA RIGOROSA E PROFESSIONALE A DIFFAMAZIONI E INSULTI DELLA CLAQUE DA PARTE DI CHI NON MANTIENE LE PROMESSE FATTE”
Una ricostruzione de Ilfattoquotidiano.it di tutte le volte in cui il Movimento Cinque Stelle ha contestato il gasdotto Tap e assicurato che avrebbe fatto di tutto per fermarlo ha mandato su tutte le furie la ministra del Sud, Barbara Lezzi.
In un lungo passaggio del video nel quale l’esponente pentastellata, eletta in Salento con percentuali altissime, risponde alle contestazioni subite nel suo collegio dopo il via libera all’infrastruttura, se la prende con la nostra collaboratrice Tiziana Colluto.
Il ministro ammette, come riportato nell’articolo pubblicato venerdì 26 ottobre su ilfattoquotidiano.it, di sapere da prima delle elezioni che sarebbe stato difficile fermare la costruzione dell’opera.
E si rivolge direttamente alla cronista: “Alla giornalista dico che quando si fa un’inchiesta la si fa in maniera completa. Il percorso di Tap parte molti anni fa (…) quando il 20 febbraio 2018 vado a Melendugno dico che sarebbe stato difficile e complicato fermare il Tap ed erano subentrati dei contratti. Sta sulla mia pagina, Tiziana Colluto…”.
In quell’occasione (annunciando la sua firma a un documento di impegno per bloccare Tap) Lezzi disse effettivamente che sarebbe stato difficile, spiegando che nel trattato non erano previste norme per l’uscita, ma non disse solo questo.
E dal minuto 9.30 del video tirato in ballo dalla Lezzi , prendendolo proprio dalla sua pagina facebook, si sentono queste frasi: “Io posso dirvi senza dubbio una cosa: appena il M5s andrà al governo denuncerà il trattato, perchè così si fa. Avvierà un ciclo di arbitrati internazionali con tutti i Paesi che sono coinvolti perchè se noi riuscissimo a convincere tutti i Paesi sarebbe molto più semplice. Altrimenti noi ci affideremo all’arbitrato internazionale”, spiegava tra un attacco al Pd e uno a Massimo D’Alema.
E ancora: “Vedremo di quanto si parla, che costi ci sono (…) C’è anche un problema di credibilità internazionale (…) non sarà una cosa semplice. Una delle prime cose che faremo è iniziare a denunciare questo trattato internazionale. Perchè così si fa. Una denuncia all’autorità internazionale che si vuole uscire da questo trattato. Dopodichè avvieremo tutta la diplomazia necessaria in modo tale da toglierci da questa gabbia (…) e inizieremo a cercare di spostare… chiederemo alle forze dell’ordine anzichè di bloccare i manifestanti di fermare gli operai“.
A ilfattoquotidiano.it non risulta che questo iter e queste iniziative siano state portate avanti nei quattro mesi che separano la nascita del governo dall’annuncio di Giuseppe Conte sull’impossibilità a bloccare Tap.
Dopo il video del ministro e il comunicato del comitato di redazione, anche Fnsi e Assostampa Puglia si schierano al fianco della collega. “Il ministro per il Sud Barbara Lezzi non ha trovato di meglio, nel giustificarsi con i propri elettori per il mancato blocco alla realizzazione del gasdotto Tap, che prendersela con i giornalisti. Nel video postato ieri sera sul suo profilo Facebook, Lezzi ha attaccato duramente la giornalista Tiziana Colluto, contestandole il lavoro, rigoroso e professionale fatto sinora nel raccontare tutta la vicenda del gasdotto”, si legge in una nota congiunta del sindacato dei giornalisti e dell’Assostampa.
“Quel video, contenente gravissime accuse nei confronti della giornalista che ha commesso l’unico errore di raccontare fedelmente tutta la vicenda Tap, senza sconti o riverenze nei confronti di alcuno, ha infatti suscitato decine di commenti, alcuni dei quali gravemente ingiuriosi e diffamatori nei confronti della collega in particolare e dei giornalisti in generale — continua il comunicato — È gravissimo che un ministro della Repubblica, cerchi maldestramente di non rispondere delle promesse da marinaio fatte ai cittadini in campagna elettorale, additando al pubblico ludibrio una giornalista ed esponendola a critiche violentissime da parte della sua clacque”. Fnsi e Assostampa concludono quindi: “Un fatto inaudito che merita la condanna non solo degli organismi preposti ma anche di tutte le persone che ritengono che una informazione rigorosa, puntuale e indipendente costituisca il fondamento essenziale di una democrazia fondata sul rispetto del diritto di cronaca e del diritto dei cittadini ad essere informati di ciò che accade nel loro territorio”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
BLOCCARE LA TAV PER RIFARSI UNA VERGINITA’ PER IL SI’ AL TAP DIMOSTRA SOLO UN APPROCCIO SUPERFICIALE, ONDIVAGO E IMBARAZZANTE
Sergio Rizzo su Repubblica oggi torna su un’interessante caratteristica precipua del governo Lega-M5S, e cioè la sensazione di stare all’asilo infantile quando li si sente giustificare il loro operato, soprattutto quando sono in difficoltà .
La causa del giorno è il TAP con le meravigliose scuse inventate dagli eletti grillini per dire che gli tocca fare l’opera: il gomito che fa contatto con il piede, il cugino rimasto chiuso nell’autolavaggio, le storiacce con la tipa.
Perchè tutto ciò, si interroga Rizzo?
La spiegazione è probabilmente molto più semplice, ed è nella totale mancanza di serietà con cui il governo sta affrontando faccende di importanza cruciale.
Un approccio superficiale, ondivago, perfino imbarazzante nel ricercare di volta in volta scuse credibili per giravolte incredibili, dalla sanatoria per gli abusivi di Ischia al condono fiscale.
Dimostrazione ulteriore è la mossa con cui Di Maio crede di cavarsi d’impaccio da questo gigantesco pasticcio: costretto a dare via libera al Tap, ora a quanto pare pensa di bloccare la Tav Torino-Lione.
Come se questa specie di puerile gioco di compensazione potesse calmare gli animi dei pugliesi che pretendono le dimissioni della ministra del Sud salentina Barbara Lezzi e bruciano in piazza le bandiere con le Cinque stelle.
O riuscisse a restituire al Movimento la purezza persa sulle spiagge salentine il grottesco sacrificio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che si è immolato così per la causa: «Se dovete dare la colpa a qualcuno, datela pure a me».
Eppure dovrebbe sapere, il capo del M5S, che si sta infilando in un’altra faccenda complicatissima: la Lega ha imposto che nella versione definitiva del contratto di governo scomparisse l’impegno a bloccare i lavori esecutivi che figurava nella prima stesura.
Ne vedremo delle belle.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
IL TRATTATO ITALIA-ALBANIA-GRECIA CHE ORA SPACCIANO COME “ACCORDO INTERNAZIONALE” NON E’ UN CONTRATTO PERCHE’ NON E’ COINVOLTO L’INVESTITORE (TAP) E QUINDI NON PREVEDE PENALI
Meglio bloccare il TAP o la Manovra del Popolo?
Questo è il formidabile dilemma che è stato presentato ai sostenitori del governo del Cambiamento per indorare la pillola da far mandar giù agli attivisti pugliesi che in questi giorni hanno scoperto che il M5S non è in grado di mantenere un’altra promessa elettorale: bloccare il TAP a San Foca e a Melendugno.
Il MoVimento 5 Stelle ha scoperto infatti che bloccare il TAP potrebbe costare 20 miliardi di euro di penali, e così facendo si dovrebbe rinunciare al superamento della legge Fornero, al Reddito di Cittadinanza e alle tante cose buone che il governo ha annunciato di voler fare.
È chiaro che nessuno vuole rinunciare alla Manovra del Popolo che ha abolito la povertà .
E così il M5S si accinge a “sacrificare” gli elettori pugliesi in nome della ragion di Stato. C’è però un problema: quelle penali in realtà non esistono.
O meglio non sono quello che vanno raccontando Luigi Di Maio e soci.
Ieri su Facebook il MoVimento 5 Stelle ha pubblicato un post scritto da Manlio Di Stefano dove rivela che l’accordo sul TAP è stato «votato in Parlamento dal Pd, molto prima che il MoVimento 5 Stelle arrivasse al Governo».
Il M5S dimentica però di ricordare che in quel Parlamento sedevano anche i deputati pentastellati che quindi ne erano a conoscenza (a meno di non voler sostenere che fossero distratti o altrove).
Si scopre così che oggi il M5S sapeva già dal 2015 che il TAP non si poteva bloccare. Ciononostante ha continuato a promettere di poterlo fermare spiegando che studiando le carte si sarebbe trovato il modo per farlo.
Gli accordi internazionali firmati dall’Italia sono legittimi, così come legittima è stata giudicata la procedura di autorizzazione per il TAP che non è un’opera pubblica ma un progetto realizzato da una società (o meglio da un consorzio di società ) privata.
Al MoVimento degli onesti, quelli rispettosi della legge, la cosa non va giù.
Ed ecco che oggi, dopo mesi passati a raccontare che il TAP si poteva fermare “scopre” che non lo si può fare.
Non in virtù delle penali perchè non c’è alcun contratto tra lo Stato italiano e il Consorzio TAP e l’opera è privata ma di interesse pubblico e non opera pubblica. Ma in virtù dell’Autorizzazione unica firmata dal MISE nel maggio del 2015. Cosa ha scoperto invece il M5S?
Che nel 2014 il Parlamento italiano ha ratificato il trattato Italia-Albania-Grecia (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 gennaio del 2014) stipulato il 23 ottobre 2013. Il famigerato “accordo internazionale” che ha dato il via libera alla realizzazione dell’opera con l’Italia che si impegna a non ostacolarla.
Non si tratta di un contratto, perchè non è coinvolto l’Investitore, ovvero TAP. Quel documento quindi non dimostra nulla perchè non è un contratto tra lo Stato Italiano e TAP.
Quell’accordo però non prevede penali miliardarie ma semplicemente obbliga le parti (i Paesi) a non porre in essere azioni che vadano contro la realizzazione del progetto in nome del mutuo interesse.
Non ci sono penali e il bello è che tutti possono leggere il testo dell’accordo e rendersi conto che è così.
Manlio Di Stefano, Luigi Di Maio, Carla Ruocco e tutti i parlamentari che stanno in queste ore condividendo l’articolo sulla storia delle penali inserite nell’accordo con l’Albania stanno mentendo ai cittadini.
Così come quando hanno mentito agli elettori quando hanno promesso di fermare la costruzione del TAP in quindici giorni.
Le penali di cui parla Di Maio sono le normali procedure di risarcimento che sono sempre previste in questi casi.
Per il partito della trasparenza invece è «una mina lasciata a terra dagli imbroglioni per natura che ci hanno preceduto, ed è impossibile da disinnescare».
Dopo la manina, dopo il delitto perfetto dell’Ilva ecco che spunta il complottone del PD che ha firmato un accordo per impedire al M5S di bloccare il TAP o, in alternativa, di varare la Manovra del Popolo.
(da “NextQuotidiano”)
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