Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
I MINISTERI NON HANNO POTUTO PRODURRE UN SOLO DOCUMENTO CHE ATTESTI LA PENALE SBANDIERATA DA DI MAIO… IL MINISTERO DEGLI INTERNI SMENTISCE SALVINI QUANDO DICE CHE RISPARMIEREMO IL 10% SULLE BOLLETTE GRAZIE AL TAP… E NON ESISTE L’ANALISI COSTI-BENEFICI IMPOSTA DALLE NORME EUROPEE
Il Movimento No Tap, le associazioni, i cittadini e le amministrazioni locali continuano a richiedere, senza successo, ai ministeri competenti la documentazione che dovrebbe certificare le penali a carico dello Stato, in caso di rinuncia la progetto Tap. Ecco tutte le omissioni del governo Conte.
Ad agosto il Movimento No Tap, assieme ad associazioni e cittadini del territorio salentino promuoveva, per tramite dell’avvocato Michele Carducci, una istanza di accesso civico generalizzato (Foia) a tutti i ministeri competenti del governo Conte, chiedendo l’accesso ai dati e ai documenti in possesso delle amministrazioni medesime in merito agli eventuali “costi di abbandono” in caso di recesso italiano dal progetto del Trans Adriatic Pipeline (Tap).
L’istanza veniva formulata in seguito alla diffusione di diverse stime — «da 40 a 70 miliardi» — da parte della stampa nazionale, e di generiche notizie sulla esistenza di «clausole penali» a favore della società multinazionale Tap, titolare della realizzazione dell’opera, e di conseguenti «contenziosi contrattuali» con il governo italiano.
Attraverso la Foia, il Movimento No Tap, le associazioni e i cittadini richiedevano, inoltre, la documentazione sull’analisi costi-benefici prevista dall’Unione europea, inclusiva dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, come previsto dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa)
Con un altro atto si chiedeva al ministero dell’Interno se avesse elaborato studi e conteggi a sostegno delle reiterate dichiarazioni del ministro Matteo Salvini sulla riduzione del 10 per cento del costo dell’energia grazie alla costruzione del Tap.
A settembre cominciarono ad arrivare le prime risposte, o meglio non risposte dai ministri per il Sud, dell’Ambiente e dell’Interno.
Il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha dichiarato che «in riferimento alla sua […] sono a comunicarle che la documentazione richiesta non è detenuta presso gli uffici del ministro per il Sud.»
Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, invece, specificata che «relativamente alle richieste sopra riportate, si comunica che questo ufficio non è a conoscenza delle fonti da cui hanno originato le richiamate notizie di stampa e nè ha agli atti dei procedimenti di competenza alcuna documentazione afferente alle richieste sopra riportate.»
Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sottolineava «che questa amministrazione non detiene alcuna documentazione o informazione pertinente alle sopra menzionate dichiarazioni [di Matteo Salvini, ndr], che sono state formulate e riportate in un contesto di comunicazione di carattere generale riguardante le politiche del governo.»
In seguito, ma solo dopo l’invio di un’informativa all’Autorità interna anticorruzione per la mancata risposta, è pervenuta anche la versione del ministero dello Sviluppo economico, che ha dovuto riconoscere che sui “costi di abbandono” non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni.
In pratica, analisi costi di abbandono inesistenti, analisi costi-benefici inesistenti, ministeri che cadono dalle nuvole alla richiesta di documentazione, ministri che esternano a vanvera senza nessuno studio che sorregga le loro dichiarazioni.
Il 17 ottobre 2018 , nel corso della convocazione a Palazzo Chigi di Marco Potì, sindaco di Melendugno si è consumato un ulteriore atto di questa farsa.
Ancora una volta al primo cittadino non è stata consegnata alcuna documentazione su eventuali penali per l’abbandono dell’opera.
Ancora una volta gli esponenti del governo Conte hanno diffuso su tutti i media cifre sui costi di abbandono non supportate da nessuna valutazione.
A ricostruire la vicenda è l’avvocato Michele Carducci, ordinario di Diritto costituzionale comparato presso l’Università del Salento.
Michele Carducci — difensore di Movimento e cittadini No Tap — sostiene che «la storia dell’analisi costi-benefici su Tap non ha fine e ora sembra tramutarsi in una farsa.
Durante l’estate, tutti i ministeri interpellati con il sistema del cosiddetto Foia (accesso civico generalizzato) sono stati costretti ad ammettere l’assenza di documenti e conteggi sugli effettivi benefici di Tap (in termini economici, climatici, ambientali, di risparmio) e sui costi di abbandono dell’opera (in termini di titoli legali di legittimazione verso lo Stato italiano).
Persino il ministero dello Sviluppo economico, recalcitrante sino all’informativa all’autorità interna anticorruzione, ha dovuto riconoscere che non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni.
Il vicepresidente Salvini è stato addirittura smentito dal suo Ministero sui presunti risparmi della bolletta del gas.
Poi, il 15 ottobre, il sindaco del Comune di Melendugno, nella provincia di Lecce, dove dovrebbe approdare il gasdotto Tap, è stato urgentemente convocato a Palazzo Chigi insieme ai parlamentari e rappresentanti territoriali del Movimento 5 Stelle.
Alla presenza della ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha parlato il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, il senatore pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan.
Egli ha riferito di suoi personali conteggi su Tap, riguardanti impegni contrattuali sull’estero (perchè il gas di Tap servirà principalmente l’estero) e probabili mancati profitti, concludendo per un ammontare di 20 miliardi.
Ha dunque parlato di presumibili costi contrattuali di terzi, ma non di analisi costi-benefici tra attivazione dell’opera e contesto socio-economico-ambientale-climatico dello Stato italiano e del suo ecosistema.
Le due prospettive non descrivono in nulla la stessa cosa: l’analisi costi-benefici è richiesta sia dall’Unione europea, che pretende l’inclusione dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, sia dall’Osce che impone che l’analisi costi-benefici della sicurezza energetica sia declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, oltre che dalla Banca centrale europea che vorrebbe finanziare l’opera Tap.
È richiesto da tutte le istituzioni sovranazionali e internazionali di strategia energetica e di investimento finanziario; com’è giusto che sia, giacchè l’analisi costi-benefici sulle opere di impatto intertemporale risponde a una garanzia di trasparenza dei decisori pubblici nei confronti non solo dei cittadini di oggi, ma soprattutto delle generazioni future e del loro contesto di vita: contesto che inesorabilmente deve misurarsi sulla dimensione climatico-ambientale.
Di tutto questo il sottosegretario non ha parlato. Egli non ha neppure voluto consegnare alcuna documentazione al sindaco.
Nulla ha saputo replicare alle domande sui titoli giuridici a fondamento delle eventuali pretese creditorie italiane e non estere.
Ha taciuto sul computo dei costi ambientali dell’opera Tap rispetto alla tenuta dell’ecosistema della costa di San Basilio, rispetto ai fenomeni dell’erosione costiera. Nulla è stato detto sui costi climatici rispetto ai criteri ribaditi proprio questo mese dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu.
Del resto, non è superfluo ricordare che il governo italiano è pericolosamente privo del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
In definitiva, e una volta in più, di analisi costi-benefici non si sa che dire; come, ancora una volta, la Convenzione di Aarhus sulla democrazia ambientale, che prevede il coinvolgimento del pubblico nell’analisi costi-benefici, è stata violata.
Questo è un fatto molto grave, indipendentemente dalle proprie posizioni politiche, perchè priva tutti i cittadini del diritto all’informazione completa ed esaustiva sulle scelte politiche dei governanti nei confronti di un’opera che riguarda i diritti delle generazioni future.
La circostanza di un sottosegretario di Stato inadempiente negli oneri documentali e informativi verso un Sindaco rappresentante di un territorio della Repubblica, non definisce solo un gesto istituzionalmente scorretto; identifica una lacuna istituzionale pericolosa.
Di Maio tradisce il suo Contratto, votato dai suoi elettori. La leale collaborazione tra istituzioni nazionali e locali e tra istituzioni e cittadini è il cemento della democrazia. Prendersi gioco della leale collaborazione è un illecito costituzionale che va denunciato.
È già partito l’accesso Foia verso il sottosegretario Cioffi. Ma sono già state attivate anche tutte le azioni propedeutiche alla denuncia del governo italiano presso l’Unione europea, l’Osce e le altre istituzioni che tutelano i diritti di informazione e di trasparenza delle decisioni nelle democrazie.
L’analisi costi-benefici è un dovere verso i diritti delle generazioni future e un presupposto di serietà di una democrazia.
Non pretendere chiarezza su tutto questo significa diventare complici di una erosione dei diritti di cittadinanza, che danneggia tutti e irresponsabilmente condiziona il futuro.»
(da “TerrediFrontiera”)
PS A quanto denunciato nell’articolo aggiungiamo che ha ragione l’ex ministro Calenda quando dice che Di Maio è un imbroglione in quanto “non esistono penali perchè non c’è un contratto con lo Stato. C’è un’autorizzazione giudicata dallo stesso Governo pienamente valida. Se l’annulli affronti una richiesta di risarcimento del danno”.
In pratica la società Tap ha investito 11 miliardi di euro per i 3500 km di gasdotto che parte dall’Azerbaigian e attraversa Turchia, Grecia e Albania.
A luglio, in occasione della visita di Mattarella in Azerbaigian, il presidente azero disse a Mattarella che se il governo italiano aveva cambiato idea bastava pagare i costi e avrebbero cambiato il percorso, essendovi alternative.
Il M5S avrebbe potuto dire di no e transare per 8- 10 miliardi, tanto per capirci. Ma avrebbe mantenuto una promessa elettorale.
Magari rinunciando al reddito di cittadinanza formato ridotto per un anno.
Non lo ha fatto: libero di cambiare idea, ma non di prenderci per il culo.
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
TRA RIFIUTI, BUCHE, RIMPASTO IN GIUNTA, CITTADINI CHE RIMPIANGONO MARINO, IL CAOS DI AMA E LE PRESSIONI INTERNE SUGLI ASSESSORI… E IL NOVEMBRE POTREBBE ARRIVARE LA CONDANNA PER FALSO
“Dimmi quando te ne vai! Il mese, il giorno e l’ora in cui non ci rivedremo più”.
La linea di credito sembra finita. E l’avvertimento, per Virginia Raggi è una piazza del Campidoglio piena, trasformata in un avviso di sfratto.
Un V-Day al contrario: nato dal web, praticamente dal nulla, senza l’appoggio di alcun partito (“magari l’avessimo portata noi tutta ‘sta gente”, ironizzava un dirigente locale del Pd), con migliaia di persone che si sono materializzate sotto il Marco Aurelio.
Un colpo per il M5S romano che ora chiede alla sindaca un segnale forte. Un rimpasto di giunta, ampio e profondo. Per ripartire. Ricominciare, o meglio “Ricominciamo”, come invocato addirittura da Adriano Pappalardo in persona dal palco allestito davanti a Palazzo Senatorio.
Così, da “lanciare un segnale” si è passati inesorabilmente al coro “dimissioni, dimissioni”.
Queste potrebbero arrivare comunque se il Tribunale di Roma dovesse condannare la prima cittadina per falso il prossimo 10 novembre. Ma anche se non fosse, ci sarebbero tutta una serie di tegole da riparare al più presto, come i conti di Ama ancora bloccati che rischiano di mandare in tilt la raccolta dei rifiuti.
SI TORNA A INVOCARE MARINO
Una piazza colorata, si diceva. Educata ma determinata. Soprattutto nutritissima, con centinaia di persone che non sono nemmeno riuscite a raggiungere il colle capitolino, mandando in tilt il traffico su piazza Venezia. “Li abbiamo votati, gli abbiamo dato fiducia, ma non hanno fatto nulla”.
Il degrado diffuso e le istanze di riqualificazione ferme al centro della protesta. Progetti di quartiere che proprio i militanti pentastellati erano stati bravi ad intercettare negli anni di opposizione a centrodestra e centrosinistra. E adesso in tanti invocano il ritorno di Ignazio Marino: “E’ stato mandato via per una stupidaggine — dice un gruppo dei cittadini — se lo fanno tornare gliela offriamo noi una cena e qualche bottiglia di spumante”.
E qualcun altro attacca: “Ci hanno detto che sarebbero state fatte delle cose. E’ tutto bloccato”. Oggettivamente, la prima cittadina non ha tutte le colpe dal punto di vista formale: alcune competenze sono della Regione, altre della Prefettura, altre di istituzioni varie.
Qualche giorno fa, in un’intervista a Labparlamento.it, proprio l’ex sindaco Marino spiegava che “il vero problema sono i veti della burocrazia”. Eppure alla piazza non interessa: “Noi eleggiamo un sindaco per essere nostro portavoce, per risolvere problemi anche oltre le sue competenze. A noi non interessa chi deve raccogliere i rifiuti, noi vogliamo una città pulita”.
ARIA DI RIMPASTO
Insomma, lo scaricabarile non paga. E se ne sarebbero accorti anche gli esponenti capitolini dei 5 stelle, pronti a prendere atto del fortissimo messaggio arrivato dalla piazza. Fuori dalle dichiarazioni di facciata, nei retroscena la tentazione è quella di tornare a chiedere un forte rinnovamento della macchina governativa.
Il rimpasto di giunta potrebbe arrivare già a novembre, una volta messi da parte i guai giudiziari (sempre che l’inchiesta sullo stadio della As Roma non porti nuovi sconvolgimenti).
Sotto pressione ci sono soprattutto i responsabili del settore ambiente e della cura del verde: l’assessora Pinuccia Montanari e i dirigenti del Dipartimento. Poi la parte relativa alla mobilità , le politiche per la casa, i servizio sociali e il commercio. Tutto va bene, ma nulla va bene. Così come il lavoro delle commissioni, troppo fermo su temi ridondanti che non producono atti da portare in Assemblea Capitolina: “Con le mozioni non si governa, bisogna scrivere le delibere”, dicono alcuni dei più scontenti”.
LA BOMBA DEI RIFIUTI
Ovviamente, se si parla di degrado si va soprattutto sulla raccolta rifiuti. Il tema è complesso, ma le risposte urgono. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha provato a dare qualche assist, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha preso la palla al balzo e ha annunciato (con delibera di Giunta) la realizzazione di un impianto zero waste a Colleferro. Ma Roma ha altri problemi.
Da aprile il bilancio della municipalizzata Ama è bloccato per un contenzioso da 18 milioni di euro di lavori cimiteriali pregressi fra la società e il Campidoglio. Cose che i cittadini comuni faticano a comprendere. Eppure, pare che vi sia anche un’inchiesta in corso sul tema, con perquisizioni della GdF nella sede di via Calderon de la Barca. La situazione ha creato una frizione fra l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, e il presidente Ama, Lorenzo Bagnacani: se il bilancio non verrà approvato entro il 31 ottobre, Bagnacani si dimetterà e porterà i libri in tribunali.
Un disastro contabile e sostanziale, con la raccolta dei rifiuti che potrebbe bloccarsi e gettare la città nell’emergenza.
A quel punto, per Virginia Raggi la sentenza del 10 novembre diventerebbe l’ultimo dei problemi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
NULLA VIETA CHE A FORIO, ZONA ESCLUSIVA DI ISCHIA CON 8.000 ABUSI EDILIZI, SI POSSANO PRESENTARE RICHIESTE EX POST
Mentre il MoVimento 5 Stelle continua a negare che il condono di Ischia sia un condono (e a breve la tattica cambierà : negheranno che Ischia sia Ischia), Conchita Sannino su Repubblica fa notare che la norma, così com’è scritta, servirà anche alle ville dei vip:
La norma che consentirà di ricostruire con gli abusi grazie ai contributi dello Stato (se l’istanza supera il vaglio dei Comuni, beninteso) rischia anzi, stando all’analisi dell’articolo 25 così come è stato — superficialmente — scritto, di allargarsi ulteriormente senza controllo. Come? Ad esempio a tutto il territorio di Forào, inserito nominalmente nella sanatoria insieme a Lacco Ameno e Casamicciola, dove le istanze di sanatoria presentate ed inevase ammontano a ben 8mila.
Un elemento sfuggito ai più: visto che, se è vero che nel testo si fa riferimento solo agli edifici distrutti o danneggiati (e a Forào erano solo qualche dozzina), nessuno ha pensato di cristallizzare tale circostanza per legge alla certificazione delle schede Aedes della Protezione civile. Sicchè nulla vieta che a Forào, piccola perla ad altissima densità di abusi eccellenti (riguardano anche magistrati, avvocati, imprenditori, artisti), ci si scopra tutti danneggiati ex post, con legittime perizie giurate.
Intanto il ministro Sergio Costa, critico a oltranza sulla sanatoria per gli abusi nei comuni isolani colpiti dal sisma 2017, ha dovuto fare un robusto dietrofront ieri mattina alle 8 con un post su Fb in cui sembra però cadere in alcune contraddizioni:
Il titolare dell’Ambiente sottolinea comprensibilmente che «i cittadini di Ischia terremotati potranno accedere non a un condono, ma a un doveroso esame delle richieste di condono entro sei mesi» e rigorosamente superando — puntualizza — i filtri vincolanti del “Piano Paesaggistico territoriale” e delle Soprintendenze.
Ma tali affermazioni rischiano di essere smentite da norme e fatti: il Piano Paesaggistico valuta la compatibilità delle costruzioni da realizzare e non di quelle già compiute.
E i pareri delle Soprintendenze, come il popolo degli abusivi sa bene, se non arrivano entro il termine “perentorio” dei 45 giorni, si trasformano in una silente autorizzazione.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO LA MENSA NEGATA AI BAMBINI POVERI, FIGLI DI IMMIGRATI, I SINDACI DI DESTRA DI COSTANZA E FONTAINEBLEU NON VOGLIONO ESSERE GEMELLATI CON LA CITTA’ ITALIANA: “LA SINDACA METTA FINE A UNA SITUAZIONE INDEGNA”
La lettera inviata alla sindaca di Lodi è partita questa settimana da Fontainebleau e da Costanza, due Comuni di Francia e Germania che sono gemellati con la città lombarda.
La polemica sull’esclusione di bambini extracomunitari dalle mense scolastiche di Lodi ha superato le frontiere nazionali.
E dopo aver scosso il commissario Ue Pierre Moscovici non ha lasciato indifferenti Frèdèric Valletoux e Uli Bruchardt, i sindaci di Fontainebleau e Costanza, che hanno deciso di inviare una protesta ufficiale contro una decisione definita “xenofoba e discriminatoria”.
I due politici locali, entrambi rappresentanti della destra moderata, si sono uniti per pubblicare un appello, uscito domenica scorsa sul Parisien.
Poi hanno spedito una lettera alla leghista Sara Casanova. “Le chiediamo di riconsiderare la sua decisione – scrivono – e mettere fine alla situazione indegna di bambini che rischiano di essete esclusi o trattati meno bene di altri”
Nel testo, i due sindaci ricordano che “il gemellaggio tra città è stato un atto essenziale nella riconciliazione dei popoli europei lacerati dalla seconda guerra mondiale”. “Non è solo un gesto simbolico, un semplice messaggio di pace e fraternità – proseguono Valletoux e Bruchardt – ma un atto concreto che crea legami tra istituzioni, associazioni e popolazioni di città europee. È fondato sui valori dell’Europa, il primo tra i quali è il rispetto della persona umana, la fratellanza e l’umanesimo”.
La misura della sindaca leghista ha provocato imbarazzo nei Comuni “gemelli” di Francia e Germania.
“Lontana da noi l’idea di erigerci a procuratori o giudici” premettono i due politici locali che però ribadiscono la necessità di “restare fedeli ai valori europei” nell’ambito degli accordi stipulati tra città di diversi Paesi dell’Ue.
“Non possiamo che essere solidali con le cittadine e i cittadini di Lodi – concludono Valletoux e Bruchardt – così come con gli altri numerosissimi italiani che hanno espresso il loro sostegno a questi bambini, con parole e atti”.
La lettera per adesso non ha ancora ricevuto risposta. I due sindaci stanno addirittura pensando di stralciare l’accordo di gemellaggio. “Vedremo come evolve la situazione – spiega Valletoux – speriamo ancora che ci sia a Lodi un ritorno al buon senso e all’accoglienza nelle scuole per tutti i bambini senza distinzioni di sorta”.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
BUONI DEL TESORO, ITALIA E GRECIA SEMPRE PIU’ VICINE… IL PARADOSSO: SIAMO NOI A FAR PAURA ALLA GRECIA
Sotto l’aspetto finanziario Roma e Atene appaiono sempre più vicine. E non è un bell’affare per nessuno.
L’Italia vede i rendimenti dei suoi Btp decennali avvicinarsi pericolosamente a quelli degli equivalenti bond greci.
Poco più di 60 punti di differenza: si tratta del livello più basso dal 2009, l’anno in cui esplose il “bubbone” ellenico, con l’ammissione di trucchi contabili per abbellire il bilancio statale.
D’altro canto le banche greche, alle prese con complesse operazioni di smaltimento dei loro crediti malati, sono quelle che più stanno accusando i contraccolpi delle turbolenze che originano dall’Italia.
Per gli istituti di credito ellenici gli ultimi mesi sono stati un bagno di sangue e gli analisti parlano di un “virus italiano” che sta fiaccando le banche locali.
Dallo scorso marzo Piraeus Bank ha perso il 70 per cento del suo valore di borsa, Eurobank circa il 40, National Bank of Greece il 50 per cento, Alpha Bank il 30. Il sottoindice della Borsa di Atene che raggruppa i titoli bancari è sui minimi da due anni e mezzo. Come si spiega questo tracollo e cosa c’entra l’Italia?
Le banche greche stanno affrontando una questione cruciale per la loro sopravvivenza. I primi quattro istituti del Paese sono gravati da 90 miliardi di crediti malati, in sostanza prestiti che non verranno più recuperati o lo saranno solo in misura ridotta. E’ uno dei lasciti della durissima recessione che ha prostrato famiglie ed aziende.
Più nello specifico oltre la metà dei crediti concessi da Piraeus Bank ed Alpha Bank sono oggi crediti deteriorati.
National Bank of Greece ed Eurobank stanno appena meglio con un rapporto tra crediti malati e totale dei prestiti intorno al 40 per cento. A titolo di paragone le banche italiane con i valori più compromessi arrivano al 20 per cento.
Allo stato attuale quelle greche sono banche che in gergo si chiamano zombie bank. Significa che, se questi prestiti fossero conteggiati a bilancio con valori realistici, il valore dei passivi supererebbe quello degli attivi.
Gli istituti di credito restano quindi operativi solo grazie ad una “illusione contabile” che perpetuano mantenendo artificialmente in vita debitori a cui hanno prestato soldi che non rivedranno.
Così facendo possono rimandare il momento della resa dei conti: nel momento in cui il debitore dichiarasse bancarotta sarebbero infatti costretti a mettere a bilancio l’intero ammontare della perdita. Banche in queste condizioni non sono però in grado di erogare nuovi finanziamenti a sostegno di imprese e famiglie sane, diventano quindi un fattore di freno e non di sviluppo dell’economia.
In queste situazioni le cose da fare sono due: rafforzare il capitale delle banche per renderlo capace di assorbire le perdite e liberarsi dei crediti in sofferenza cercando di recuperare il più possibile, operazione resa più facile se c’è una qualche forma di sostegno pubblico.
In Grecia l’operazione è particolarmente complessa poichè a causa della composizione dei bilanci delle banche locali, per ogni euro di Npl il capitale viene eroso per quasi 40 centesimi.
Disfarsi di questi titoli significherebbe insomma azzerare completamente il capitale delle banche. Atene sta valutando la possibilità di creare una bad bank pubblica come fatto in Spagna, oppure di varare un piano simile quello attuato in Italia con l’introduzione delle cosiddette Gacs (Garanzia cartolarizzazione sofferenza). E’ una garanzia pubblica fornita dallo Stato nelle operazioni di vendita di questi crediti effettuata tramite cartolarizzazioni. I crediti vengono acquistati da una società costituita ad hoc che si finanzia emettendo obbligazioni sul mercato con diversi gradi di rischio.
Lo Stato garantisce i bond teoricamente meno a rischio. In questo modo, naturalmente, parte del rischio si sposta dalle banche private allo Stato.
Al contempo le banche elleniche stanno cercando di rafforzare il loro capitale pianificando l’emissione di bond subordinati che rientrano parzialmente nei calcoli per quantificare il capitale. Sono insomma all’inizio di un guado di acque insidiose, basta poco perchè tutto naufraghi.
Da quando Fed e Bce hanno iniziato a drenare liquidità dai mercati, le condizioni per reperire capitali sui mercati si sono fatte più impegnative per tutti e i Paesi più deboli sono i primi a risentirne. Ulteriori tensioni sui mercati come quelle causate dall’Italia peggiorano la situazione. Nei primi giorni di ottobre, mentre le banche crollavano in Borsa, stampa e analisti greci parlavano apertamente di un “virus italiano” che sta infettando il Paese. Il governatore della banca centrale greca Yannis Stournaras ha individuato come causa delle turbolenze del mercato interno “il rialzo dei tassi nei Paesi più vicini a noi”.
L’evoluzione delle condizioni finanziarie ha per di più suggerito alla Grecia di accantonare per il momento l’emissione di nuovi bond sui mercati internazionali, poichè faticherebbero a trovare acquirenti a condizioni accettabili per Atene. Il governo starebbe quindi cercando il supporto delle banche nazionali. C’è però un ulteriore problema.
La Bce ha posto limiti severi all’acquisto di titoli di Stato greci da parte delle banche elleniche allo scopo di limitare quel rapporto incestuoso istituti di credito-finanze statali che può essere estremamente pericoloso in fasi di crisi. Facendo leva sulla recente uscita dal piano di salvataggio, la Grecia chiede però ora alla banca centrale europea di allentare questi vincoli. Il deteriorarsi delle condizioni generali di mercato, anche in questo caso, non aiuta.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
DUE CASI DISTINTI NEL MILANESE: ORMAI ACCUSARE GLI IMMIGRATI E’ UNA MODA
Sono due i casi di «finto stupro» che negli ultimi mesi sono stati smascherati dalle indagini della squadra mobile e della procura di Milano coordinate dall’aggiunto Maria Letizia Mannella e dal pm Antonia Pavan.
Ieri, infatti, dopo mesi di accertamenti da parte di investigatori e inquirenti, una delle «vittime», una ragazza di 15 anni, ha ammesso davanti al magistrato che una violenza denunciata lo scorso agosto era solo una bugia, raccontata che perchè temeva di essere rimasta incinta da una relazione con un 18enne.
La ragazza, in particolare, ai primi di agosto si era fatta accompagnare dai genitori dai carabinieri e alla clinica Mangiagalli e aveva denunciato di aver subito una violenza «da quattro uomini di colore» in un bosco nell’hinterland milanese.
E così sono scattate le indagini con tanto di intercettazioni e acquisizione delle telecamere della zona vicino a quel boschetto che la ragazza aveva indicato.
Gli accertamenti sono proseguiti per mesi, fino a quando ieri il pm Pavan, sentendo a verbale la ragazza e all’ennesima risposta poco convincente, le ha detto: «Non prenderci più in giro».
Così la ragazzina è crollata. È emerso che si era inventata tutto perchè temeva in quel periodo di essere rimasta incinta.
Lo stesso ragazzo che frequentava avrebbe cercato di dissuaderla dall’andare avanti nel racconto di fantasia.
La 15enne è ora indagata dalla Procura per i minorenni per simulazione di reato. Indagata anche un’altra adolescente che nei mesi scorsi ha detto di essere stata violentata da un immigrato sempre in un bosco milanese.
Poi, messa alle strette ha ammesso pure lei: «mi sono inventata tutto». Pare che abbia mentito agli investigatori e agli inquirenti perchè, si è saputo soltanto con lo sviluppo delle indagini, aveva avuto un rapporto con un uomo e temeva di aver contratto qualche malattia.
Anche in questo caso l’indagine per violenza sessuale è stata archiviata.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
SI E’ PRESENTATO IN QUESTURA CHIEDENDO DI ESSERE RIMANDATO A CASA, MA IL CENTRO DI PERMANENZA PER IL RIMPATRIO E’ PIENO… E COSI’ DOPO TRE ORDINI DI ESPULSIONI E’ COSTRETTO A RESTARE IN ITALIA
È indagato per detenzione di sostanze stupefacenti, l’hanno condannato per resistenza a pubblici ufficiali e lesioni, e ha a suo carico tre ordini di espulsione. Ma ne possono arrivare altri.
Andarsene? Magari: è lui stesso — che con i sei mesi e nove giorni di carcere con la condizionale è libero — che è andato in questura per essere espulso e rimandato a casa sua, in Nigeria.
Ma non si può, perchè il Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino (strutture previste dal decreto Minniti dell’aprile 2017, ex Cie, ndr) dove dovrebbe rimanere per avviare le procedure per il viaggio di ritorno è pieno.
La vicenda di Isaiah Godspower, migrante nigeriano 19 anni, è “surreale anche per la questura di Alessandria. Ma il suo non è l’unico caso”, dice a ilfattoquotidiano.it il suo avvocato Marco Capriata.
Quindi il ragazzo non può stare in Italia ma non può neanche andarsene, perchè la burocrazia glielo impedisce.
Un limbo, dice il legale, che potrebbe generare “una catena di altri ordini di espulsione, senza che vengano rispettati. Basta che lo becchino un’altra volta per strada senza documenti”.
Una spirale nonsense nonostante le bufale di Matteo Salvini per aumentare le espulsioni e chi se ne occupa
A ricostruire storia e precedenti del ragazzo è Capriata: “Lo avevano fermato le volanti ad Alessandria. Gli hanno trovato addosso sostanze stupefacenti, motivo per cui ha un processo pendente per detenzione. E lì era scattato il primo ordine di espulsione“.
Poi è arrivato il secondo, “quando le autorità tedesche lo hanno rispedito dalla Germania a Malpensa. Il terzo in questura ad Alessandria quando qualche giorno fa, esasperato, era andato per chiedere di essere espulso. Gli hanno detto di no perchè il Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino è pieno e per lui non c’era posto. Ma i documenti, allora come oggi, non ce li aveva quindi hanno notificato un nuovo ordine. A quel punto ha aggredito gli agenti, è stato arrestato ed è andato a processo per direttissima”. Risultato: “Condannato per resistenza a pubblici ufficiali e lesioni”.
Ma tutto bene, è libero.
Il giovane, che non ha i requisiti per rimanere in Italia, non ha neanche i soldi per partire. Vive di elemosina che gli basta a malapena per mangiare. E se avesse i soldi? Non ce la farebbe comunque perchè il passaporto non ce l’ha.
E il rimpatrio assistito dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) che, scrive La Stampa, “pagherebbe il biglietto aereo e metterebbe a disposizione una somma per favorire l’avvio di un’attività nel suo paese d’origine”?
Niente, anche questa strada è impercorribile per via di quei due decreti di espulsione. “Se sei stato espulso devi trovare i proventi per andartene, ma il più delle volte è proprio quello il motivo per cui non riescono a rimpatriare. Ci sono condizioni oggettive che lo impediscono”.
Isaiah è arrivato in Europa percorrendo la rotta fatta da migliaia di migranti: Niger, Libia e Mediterraneo. Ma la sua storia qui è finita, non c’è modo di ottenere qualche forma di permesso o di protezione.
“È uno stillicidio — conclude Capriata -. Lui rischia di tornare a delinquere e magari gli danno un altro ordine perchè i documenti non ce li ha. Con buona pace di Salvini che i migranti li vuole mandare tutti a casa”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
“SE C’E’ UN DIRITTO NEGATO SI TROVANO DEGLI STRUMENTI ADEGUATI, NON SI CANCELLANO I DIRITTI, NON SIAMO NUMERI, SIAMO PERSONE”
Elizabeth Arquinigo Pardo riprende carta e penna, o meglio la tastiera del computer, per replicare con un post su Facebook a Matteo Salvini.
In ballo, l’allungamento dei tempi (da due a quattro anni) per definire la procedura di concessione della cittadinanza:
“Per colpa della legge – denunciava Elizabeth in una lettera pubblicata anche da Repubblica il 17 ottobre scorso – sono obbligata a rimanere in Italia fino alla fine dell’istruttoria, che ora a causa del nuovo decreto durerà 4 anni. Trovo il suo provvedimento ingiusto, perchè viene meno alla parola data in campagna elettorale a noi, suoi “amici regolari””.
La cittadinanza “impossibile”
Un passo indietro: Elizabeth Arquinigo Pardo è una ragazza peruviana: “Sono nata a Lima e mi sono trasferita qui quando avevo dieci anni. Scrivo perchè mi sento tradita dalla nazione in cui vivo e della quale faccio parte integrante”.
Elizabeth, in una lettera aperta al ministro dell’Interno, aveva denunciato quella parte del decreto immigrazione che incide sulla concessione della cittadinanza. In particolare laddove allunga a 4 anni (dagli attuali 2) i termini per definire l’intera procedura da parte della pubblica amministrazione: “Signor ministro, io rappresento il suo perfetto prototipo di immigrata. Sono residente nel Bel Paese da oltre 18 anni, mi sono laureata, sono un’onesta contribuente. Ho iniziato a lavorare stabilmente, con contratti regolari sia da dipendente che da partita Iva, subito dopo l’università . La cittadinanza non solo me la sono conquistata, come coronamento di un percorso di integrazione. Me la sono anche sudata e guadagnata. Ho presentato domanda con i miei redditi, infatti. Ecco signor ministro, io, una cittadina perfettamente regolare, rischio ora di non avercela mai questa cittadinanza”.
La risposta del ministro dell’Intern
Salvini le aveva risposto pochi giorni dopo su Facebook: “I tempi per la concessione della cittadinanza si sono dilatati per l’alto numero di domande (circa 300mila), che fatichiamo a smaltire anche per i numerosi casi di documenti contraffatti”. Quindi l’attacco ai “furbetti”: “Di certo serve più efficienza da parte dello Stato, cara Elizabeth, ma anche meno furbetti da parte degli stranieri, aspiranti cittadini italiani, che penalizzano gli amici come te”.
La replica di Elizabeth
Ieri la controreplica: “Gentile ministro dell’Interno, la ringrazio molto per la risposta che ha voluto fornire a me e ad altri 300mila italiani senza cittadinanza. Mi prendo da subito l’impegno a risponderle in maniera più diffusa, dato che, pur apprezzando lo sforzo, sembra che l’importanza della questione non sia stata compresa. Signor ministro, lei ha citato dei numeri, ma qui si tratta di persone. Si parla della vita di 300mila persone che, questa volta, non classifica come ‘clandestini’ e quindi ‘criminali’, ma come ‘furbetti’ dalla ‘domanda di cittadinanza facile’ per giustificare l’ingiustificabile dilatazione dei tempi di esame della domanda. Lei dice che ci sono troppe domande in arretrato e che per questo è necessario dilatare per legge i tempi. A me, nelle scuole italiane, hanno insegnato l’opposto: se c’è un diritto negato si trovano degli strumenti adeguati, non si cancellano i diritti. Se c’è un colpevole, si colpisce il colpevole: non si colpiscono 300mila italiani per educarne cento. Lei è capace di liquidare la questione in un tweet, buon per lei: io no. Io no, perchè la questione in ballo è la mia vita. Buona vita anche a lei. Stia bene”.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
LO SCOPO E’ EVIDENTE: NON VOGLIONO CHE SI INTEGRINO, SERVE L’IMMIGRATO PER STRADA PER CREARE ODIO E PAURA
Posti vacanti negli Sprar e persone in strada che non sanno dove andare, nè quale sarà il proprio destino.
Richiedenti asilo, titolari di protezione umanitaria, donne e uomini, famiglie con minori a carico, che si ritrovano in un limbo: hanno requisiti e bisogni per essere accolti, ma non più il titolo idoneo per essere accettati nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) diffuso nei territori e gestito dai comuni.
E, al momento, non hanno ancora trovato una collocazione.
A poche settimane dall’entrata in vigore del decreto legge immigrazione e sicurezza, i primi effetti del cambio di rotta nelle politiche di accoglienza degli immigrati si fanno già sentire.
A Parma, comune da sempre virtuoso nelle politiche di integrazione e inclusione, ci sono circa 24 domande a cui Comune e Ciac onlus, associazione che gestisce con l’amministrazione lo Sprar cittadino, non sanno dare una risposta.
“È la prima volta che succede in tanti anni”, allarga le braccia Michele Rossi, direttore del Ciac, che con i suoi 26 sportelli diffusi sul territorio intercetta le domande di stranieri in arrivo.
“Abbiamo sempre avuto meno posti a disposizione rispetto ai bisogni crescenti. Oggi invece abbiamo posti liberi che non possiamo occupare. È eticamente lacerante e toglie il senso del lavoro di una vita”.
Ma se la città governata dall’ex Cinque stelle Federico Pizzarotti è solo un esempio, la situazione non è molto diversa in tutti i comuni che finora si basavano sugli Sprar, dove i numeri delle persone fuori dai sistemi di accoglienza sono destinati a salire con il passare dei giorni e con la conversione del decreto in legge il prossimo dicembre.
A Parma, tra le persone il cui destino è in sospeso, ci sono 10 richiedenti asilo che al momento sono all’interno dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) del territorio. Avevano fatto richiesta di entrare nello Sprar, ma ora il decreto toglie loro la possibilità di essere ammessi.
Un paradosso ancora più tragico è quello che stanno vivendo altre 8 persone che hanno ottenuto la protezione umanitaria (cioè un permesso di soggiorno per motivi umanitari) prima del 5 ottobre 2018, data dell’entrata in vigore del decreto.
Il problema è che il dl abolisce di fatto la protezione umanitaria e quindi queste persone, pur avendo il titolo, sono escluse dallo Sprar; possono stare in Italia, ma non hanno alcuna rete di sostegno e non sanno dove andare, tanto che alcune di loro si sono rivolte ai dormitori comunali.
Per altre persone, come una famiglia con minori a carico, si attende di capire come si evolverà la situazione, mentre di altre ancora, dopo un primo contatto con gli sportelli per avere informazioni per entrare negli Sprar, anche il Ciac non ha più avuto notizie.
Eppure lo Sprar di Parma avrebbe risorse e spazio per aprire le porte a quella ventina di stranieri.
Attualmente su 149 posti, una trentina sono quelli vuoti, e ogni giorno probabilmente aumenteranno. “Se gli ingressi fossero già stati approvati secondo i nuovi requisiti del decreto, solo in venti avrebbero diritto di rimanere” spiega l’assessore comunale alle Politiche sociali Laura Rossi.
E pensare che con il nuovo bando l’amministrazione prevedeva di ampliare la capienza e i progetti a 300 posti, che in un triennio sarebbero diventati 450.
Ora però si deve fare retromarcia, diminuire i posti invece di incrementarli. “L’impatto del decreto sulla programmazione è devastante — scuote la testa l’assessore — è uno schiaffo in pieno volto a quei territori che erano in prima linea su progetti di inclusione e accoglienza. Così vanno in fumo tutte le politiche portate avanti in questi anni”.
Una posizione che la delegata ha condiviso anche con i colleghi dell’Anci, che hanno proposto un emendamento per accogliere negli Sprar anche i richiedenti asilo vulnerabili e i nuclei familiari con minori.
Ma il problema non sarebbe comunque risolto, perchè secondo gli operatori del settore il decreto farà sprofondare nel caos territori, prefetture e amministrazioni locali, e comporterà un nuovo dispendio di energie e risorse per i Comuni.
“Noi prevediamo che nei prossimi mesi ci sarà sempre più gente in giro nel territorio che non saprà dove andare. Il Comune ha l’obbligo di intervenire e dovrà mettere in campo risorse aggiuntive, quando invece c’era già un sistema che funzionava e che ora viene smantellato — spiega l’assessore Rossi — L’emergenza ricadrà sui territori e non porterà nè benessere nè coesione sociale. Si dovrà lavorare sull’emergenza invece che sull’inclusione”.
A rischio anche gli stranieri già radicati nel territorio
La questione rischia di deflagrare non soltanto per le nuove regole di accoglienza per gli stranieri in arrivo, ma anche per la sorte di quanti sono già in Italia da diversi anni, come per esempio quelli con protezione umanitaria, che hanno un permesso che viene rinnovato ogni anno, che potrebbero paradossalmente tornare a essere irregolari. “Alcuni di loro sono integrati, hanno i figli che vanno a scuola e parlano l’italiano, hanno contratti di lavoro e di affitto. — continua il direttore del Ciac — Ma se non potranno avere rinnovata la protezione umanitaria, perderanno tutto, perchè non tutti riusciranno ad avere una conversione in altri permessi. E’ un dramma, ci sono famiglie che non sanno davvero cosa fare”.
Il rischio è che questa “rivoluzione” porti le sue conseguenze negative anche in termini di sicurezza. “Prima noi avevamo un controllo degli stranieri residenti sul territorio, sapevamo cosa facevano e dove stavano, sapevamo come agire in concerto con la prefettura — aggiunge l’assessore Rossi — D’ora in poi invece avremo sempre più irregolari, fantasmi che non saranno a carico del sistema ministeriale nè locale. Si tornerà indietro, ci saranno solo effetti negativi. Si creerà un vero caos sociale, che forse è ciò che questo decreto vuole provocare”.
Gli Sprar e lo smantellamento previsto dal decreto legge
Lo Sprar in Italia funziona da 16 anni e nel tempo si è trasformato in una rete capillare di accoglienza, con percorsi di integrazione e inserimento degli stranieri nel tessuto sociale.
Dal 2002 a luglio 2018, lo Sprar è passato da alcune decine di comuni coinvolti e meno di duemila posti di accoglienza, ai circa 877 progetti realizzati in collaborazione con gli enti locali (653 comuni, 19 Province, 28 Unioni di Comuni e 54 altri enti per un totale di 1200 comuni coinvolti. In totale sono 35.881 posti finanziati.
Il decreto immigrazione e sicurezza però prevede un progressivo smantellamento di questo sistema. Infatti potranno entrare negli Sprar solo i titolari di protezione internazionale (con status di rifugiato e protezione sussidiaria) e i minori non accompagnati, mentre saranno esclusi per esempio i richiedenti asilo, che rappresentano la grande maggioranza di domande avanzate, così come i titolari di protezione umanitaria, che di fatto non esisterà più. “Nei fatti — commenta Michele Rossi — il decreto contiene dispositivi che producono marginalità territoriale e limitano gli strumenti di protezione giuridica e sociale.”
La manifestazione e la raccolta firme
Come l’Anci, anche alcuni Comuni si stanno mobilitando contro il decreto. A Torino nei giorni scorsi il consiglio comunale ne aveva chiesto la sospensione. A Parma invece il Ciac a inizio ottobre ha lanciato un appello per fermare il decreto su change.org che ha già raggiunto oltre 20mila firme. Oggi, 27 ottobre, sempre a Parma l’associazione ha organizzato una manifestazione in piazza dal titolo “Diritti non privilegi” a cui parteciperà anche l’assessore Rossi, per chiedere ai parlamentari di sostenere emendamenti per modificare quanto più possibile il contenuto del decreto.
“Il decreto immigrazione demolisce il diritto d’asilo e smantella il sistema pubblico di accoglienza, togliendo diritti a centinaia di migliaia di persone che in pochi giorni si troveranno senza permesso di soggiorno — si legge nell’appello a partecipare — Il decreto ha già oggi conseguenze drammatiche per i migranti e scarica sui territori costi, disagio e tensione sociale. Si è voluto colpire, per motivi di propaganda e meri fini elettorali, un sistema di accoglienza capace, riconosciuto in tutta Europa. Crediamo che sia arrivato il momento di fare un passo avanti e metterci la faccia, non solo singolarmente ma come società civile”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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