Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
I RAZZISTI NON POSSONO SOPPORTARE UN MODELLO VINCENTE DI INTEGRAZIONE, DEVONO COLTIVARE L’ODIO
Una vergogna. Una deportazione con metodi che ricordano altre epoche non per combattere l’illegalità ma per mettersi di traverso a qualsiasi politica di integrazione.
Adesso con una delibera datata 9 ottobre, il ministero dell’Interno ha ordinato la chiusura di tutti i progetti legati all’immigrazione portati avanti a Riace. Tutti i migranti entro 60 giorni saranno trasferiti. Non si sa dove. Magari in mezzo alla strade
Quella che era considerata una città modello per l’integrazione viene quindi smantellata anche dopo l’arresto del sindaco (sospeso) Mimmo Lucano, in carcere con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
Evidentissimo l’intento deI razzisti di rendere tutti clandestini, creare un esercito di disperati per poter cavalcare l’odio che tanto gli sta fruttando in termini elettorali.
Quanto ai maggiordomi grillini, sono diventati complici della peggiore politica xenofoba. Con buona pace di San Francesco.
Già nei mesi scorsi proprio il ministero aveva messo in dubbio la gestione dei migranti posta in essere da Lucano.
In generale i progetti Sprar vengono rinnovati ogni tre anni: nel caso di Riace si parla del triennio 2017-2019, ma già dall’estate scorsa il Viminale aveva bloccato alcuni pagamenti per presunte anomalie nella documentazione presentata dall’amministrazione locale.
Un’immagine di disorganizzazione, confusione e dispersione di risorse, quella descritta dal Viminale, che non trova la minima rispondenza nelle parole dell’amministrazione e, in molti casi, dei beneficiari.
“Le irregolarità sono solo modeste e solo formali e non riguardano la qualità del progetto. Chiuderlo è una decisione spropositata”. Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), commenta ai microfoni di Radio Capital la decisione del Viminale di chiudere il progetto Riace. “Si contesta al comune di aver tenuto le persone troppo a lungo, ma lo ha fatto perchè erano soggetti vulnerabili. Aiutare le persone per il ministero è un’irregolarità ”
Il sindaco ricorda le due relazioni contraddittorie della Prefettura di Reggio Calabria. “Prima ci hanno elogiati e poi criticato. Tutto questo è assurdo”.
Il comune prepara il ricorso
A essere messa in discussione è tutto il “modello Riace”, quell’accoglienza diffusa che aveva rianimato un paese morente.
L’uso delle case vuote per ospitare gli stranieri e il mancato aggiornamento delle banche dati sono stati tra gli elementi più contestati dal Viminale. Ma il comune non ha intenzione di piegarsi e già prepara il ricorso al Tar che potrebbe sospendere la delibera.
(da Globalist)
argomento: Razzismo | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
SONIA AVOLIO, ASSESSORE A CASCINA, VOMITA INSULTI INDEGNI CONTRO LA GIORNALISTA, REA DI AVER ATTACCATO LA LEGA… SOMMERSA DALLE CRITICHE SI SCUSA INVECE DI DIMETTERSI
Un video ripreso in verticale in una stanza piena di quadri e postato su Facebook venerdì pomeriggio.
Una donna bionda che si abbassa gli occhiali e fa una smorfia che vorrebbe essere ironica prima di offendere pesantemente Cristina Parodi, rea di aver detto che l’ascesa di Salvini è stata favorita da rabbia, paura e ignoranza.
La giornalista e conduttrice tv secondo quella donna è la vera ignorante. “Perchè ignora, cioè non sa più quante corna ha. E allora glielo dico io. Una per ogni lentiggine, se riesce a contarsele”.
Parodi, giocando sul fatto che la sorella conduce programmi di cucina, viene invitata a stare insieme ai “tegami”, termine usato sulla costa toscana per offendere le donne.
L’autrice del video si chiama Sonia Avolio e non è uno dei troll o dei profili fake che avvelenano i social e nemmeno un’oscura e molto volgare sostenitrice di Salvini, bensì un’assessora, addirittura con delega anche alle pari opportunità .
Sta con Fratelli d’Italia nella giunta del Comune di Cascina (Pisa). A guidarlo è la politica leghista più importante in Toscana, da poco nominata da Salvini consigliera per il programma di governo, cioè Susanna Ceccardi, che ieri ha detto di Avolio: “Ha fatto tutto da sola”.
Ormai, del resto, in Italia l’odio (social e non solo) verso chi ha un’opinione diversa o è semplicemente diverso viene alimentato anche da politici e amministratori di Comuni piccoli e grandi, specie quelli governati dalla Lega (ma non solo).
E Avolio è un bell’esempio. Ad agosto aveva così commentato la rapina notturna subita dall’anziano padre del governatore della Regione Enrico Rossi: “È bene che provi”.
Quando ancora il filmato di venerdì non aveva girato molto, i primi commenti sul profilo Facebook dell’amministratrice, che è un’omeopata, erano pure divertiti.
Lei rispondeva fiera: “Mai stata delicata: sono nata a Livorno!”.
Piano piano però, l’aria è cambiata, e sono iniziate ad arrivare critiche durissime. Così ha provato ad arginare la valanga appellandosi alla libertà di pensiero, come se dare della cornuta a un’altra persona fosse questione di opinioni: “Il mio parere è libero”. Ha così continuato a scivolare verso il basso finchè, con condivisioni e commenti diventati centinaia, ha deciso di chiedere scusa.
Ma lo ha fatto a modo suo, cioè male (e non solo dal punto di vista della punteggiatura e dei refusi, qui lasciati nella versione originale). “Chiedocscusa se qualcuno si è sentito offeso dal mio video : volevo fare ironia e non mi è riuscito .Sono greve , non cattiva .”.
Ecco, Le scuse sono per chi potrebbe esserci rimasto male, non per la vittima delle offese, Cristina Parodi.
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
“COMUNITA'” E “UMILTA'” SENZA OSSESSIONI DI LEADERISMO… GENTILONI E FRANCESCHINI AL SUO FIANCO CERTIFICANO LA ROTTURA CON RENZI
Una Piazza “normale”, per un forza normale. Senza effetti speciali, ossessioni di leaderismo e “menomale che il capo c’è”.
Sindaci e amministratori, non solo del Pd, si alternano sul podio dell’agorà di Piazza Grande, la convention organizzata da Nicola Zingaretti, all’ex Dogana.
È il lancio della candidatura di Zingaretti alla segreteria del Pd: “Non vogliamo continuare — dice in chiusura di mattinata – sulla strada che ci ha portato a fallire. Noi vogliamo cambiare strada, costruire finalmente una nuova speranza per questo paese”.
Quartiere San Lorenzo, travi in cemento e panche in legno, sobria solidità dopo l’era della liquidità partitica.
Aria di Pd popolare, normale appunto, non di una curva di tifosi. Gente che ha voglia di parlare, anche con i giornalisti che, strano di questi tempi, hanno accesso ovunque. Primo capannello di gente. Carmelo, un preside: “Ancora non è stato elaborato lo schianto culturale che è venuto prima di quello politico, lo schianto di chi ha perso le sue parole: Mezzogiorno, scuola, pubblico”.
Altro capannello, si parla di “questi matti che ci governano” di “Nicola che, col suo fare un po’ bonario, funziona, è empatico”.
Lorenza Bonaccorsi, ex parlamentare, saluta persone che non vedeva da tempo: “Sai come mi colpisce oggi? Che ho rivisto parecchia gente che non c’era più da anni ed è tornata. E torna per due motivi. Perchè avverte il pericolo di questo governo e perchè sente che il partito è contendibile, che si è riaperto uno spazio”.
John Lennon e Altiero Spinelli, Paolo Sesto e Pasolini, Giuliana Segre e Martin Luther King, sulle pareti: “Può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate ma lo diventerete se non potete fare nulla per cambiarla”.
È lo spirito della giornata. Innominato Renzi, nessuna polemica, nessun attacco fuori le righe, grande consapevolezza della portata della sconfitta: “Compagni e amici — dice Giovanni Lolli, governatore dell’Abruzzo — a gennaio da noi si vota e sono cavoli. Ci vuole capacità di ascolto, umiltà . È la prima cosa per ristabilire fiducia con la gente che non ci vuole più neanche vedere”.
“Umiltà “, “comunità “, “noi”, le parole ripetute dal palco, nella speranza di andare oltre la stagione dell’uomo solo al comando: “Si è cercata non la lealtà — dice Zingaretti nel passaggio più applaudito – ma la fedeltà . Dobbiamo rigenerare una cultura politica che abbia come anima l’apertura, l’inclusione, lo spirito di servizio”. Sulle panche sono seduti molti protagonisti del governo di questi anni, come Roberta Pinotti e Giuliano Poletti, ministro del Lavoro ai tempi del Jobs act, segno del grande rimescolamento interno.
Arrivano anche Michela De Biase, moglie di Dario Franceschini, Luigi Zanda e un sorridente Ermete Realacci: “È una bella giornata, c’è vita su Marte”.
Parecchi parlamentari, seicento amministratori, non solo del Lazio, oltre tremila persone attese per la giornata di domani, per il discorso di candidatura di Zingaretti e quello Paolo Gentiloni, che sancirà la sua scelta di campo in questo congresso del Pd. C’è mezzo governo col governatore del Lazio, che ha incassato il sostegno dell’ex premier di Dario Franceschini, uno che un congresso in vita sua non l’ha mai perso.
È la certificazione di una divisione profonda del mondo renziano. La scorsa volta erano tutti dalla stessa parte.
Raggiante, iper-attiva, l’ex commissario alla ricostruzione, Paola De Micheli, è tra gli organizzatori dell’area. Appartata dietro il palco, tiene il conto delle presenze: “L’effetto Minniti — dice — non c’è stato. Qui ci sono tutti. Non ha spostato nè la gente nè gli equilibri interni”.
Sant’Egidio, un po’ di imprenditori del Nord, parecchi “compagni” che se ne erano andati.
Piazza Grande non è solo un set del lancio. È un movimento che, nelle intenzioni, vuole aggregare ciò che “dentro” e ciò che è “fuori”, come la rete degli amministratori di Federico Pizzarotti.
Come Alessio Pascucci, il sindaco di Cerveteri, che dal palco invoca la cacciata dei “barbari che sono al governo” e, dopo Gramsci, nell’entusiasmo cita anche Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”.
In prima fila, ad ascoltare i sindaci accanto a Nicola Zingaretti c’è il segretario del Maurizio Martina, che assicura le primarie a “febbraio”. Chissà .
Perchè resta il paradosso di un congresso sostanzialmente in atto anche se formalmente non convocato, col retro-pensiero che possa saltare da un momento all’altro: “Proprio per questo — dice il sindaco di Bologna Virginio Merola — siamo già partiti. Per impedire che si possa tornare indietro. Faremo di tutto per far sì che si faccia il congresso”.
La macchina di Zingaretti è già avviata: “L’obiettivo — spiega Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio — è riportare dentro chi è fuori. E giocarcela nelle primarie di popolo. Aggiungo che, secondo me, il profilo di Minniti, molto caratterizzato come di destra su sicurezza e immigrazione, aiuta”.
Poco più in là parlano fitto fitto il segretario di Gela e quello di Caltanissetta. Dice uno: “Mezzo gruppo parlamentare siciliano è con Zingaretti”. L’altro: “A conti fatti in Sicilia non c’è partita, prendiamo il 60 per cento”.
Anche questo fa parte di una piazza normale.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Partito Democratico | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
AUMENTATO DI 20 VOLTE IL TETTO PER GLI IDROCARBURI C10-C40 NEI FANGHI DI DEPURAZIONE DA SPANDERE SUI TERRENI AGRICOLI: UNA MARCHETTA DI LEGA E M5S A IMPRESE DEL LOMBARDO-VENETO
Pochi si erano accorti di un nesso logico tra il crollo del ponte Morandi e la quantità di idrocarburi ammissibili nei fanghi di depurazione.
Ma il decreto Genova, in versione omnibus, crea a sorpresa questo collegamento. Parte dagli “interventi urgenti per il sostegno e la ripresa economica del territorio del Comune di Genova” per arrivare a occuparsi, all’articolo 41, della “gestione dei fanghi di depurazione” che nulla hanno a che vedere con la mobilità in Liguria. Un’occasione buona per aumentare di 20 volte, rispetto alle indicazioni che vengono dalla Corte di Cassazione e dal Tar della Lombardia, i valori ammissibili di un gruppo di idrocarburi chiamati C10-C40.
Prima i limiti erano 50 milligrammi per chilo (quelli validi per il terreno che la magistratura, in assenza di una norma specifica, aveva preso come punto di riferimento per i fanghi), ora diventa 1.000 milligrammi per chilo.
“Il ministro Toninelli, che dice di aver scritto con il cuore il decreto, sferra un attacco all’ambiente e alla sicurezza della catena alimentare del nostro Paese perchè si determinerà una contaminazione delle falde e dei terreni”, accusa il leader dei Verdi Angelo Bonelli, che ha denunciato la modifica dei valori annunciando un ricorso all’Unione europea.
“E’ un’autorizzazione a spargere un milione di tonnellate di fanghi carichi di idrocarburi e metalli pesanti sui suoli agricoli.
Un regalo alle imprese che trattano le acque reflue di depurazione sia civili che industriali e che in regioni come la Lombardia e il Veneto hanno accumulato scorte che non riescono a smaltire. La Lombardia aveva già provato a fissare un limite ancora più alto, ma il Tar ha bocciato la norma”.
La denuncia dell’Isde
“Mi sfugge il senso, nel decreto Genova, della norma che consente di spandere su tutto il territorio nazionale, nei suoli ad uso agricolo, i fanghi di depurazione con una percentuale di idrocarburi di 1.000 milligrammi per chilo di sostanza tal quale, cioè fanghi non essiccati”, aggiunge Patrizia Gentilini di Isde, i medici per l’ambiente. “Applicando questa norma si finirebbe per spargere, nel giro di tre anni, 75 chili di idrocarburi per ettaro sui suoli agricoli italiani. Senza distinguere tra idrocarburi che arricchiscono il terreno e idrocarburi che lo inquinano”.
L’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dalla depurazione è infatti una possibilità che l’Unione europea non esclude.
“Ma gli Stati che la applicano devono garantire un sistema di controlli efficace e separare la linea di riciclo delle acque reflue urbane (più facili da trattare) da quella degli scarichi industriali, che possono essere carichi di metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze tossiche”, spiega Luciano Butti, avvocato esperto di diritto dell’ambiente. “Questa distinzione è alla base di un recupero dei reflui che sia all’interno di una sana logica di economia circolare”.
“Distinguere tra idrocarburi di origine naturale e artificiale”
“L’affidabilità del sistema è legata al tasso di legalità dei territori e alla qualità dei controlli”, aggiunge Teodoro Miano, docente del dipartimento di Scienze del suolo, e degli alimenti all’Università di Bari. “E la quantità degli idrocarburi presenti non è l’indicatore giusto da utilizzare, perchè alcuni hanno un’origine naturale. Più significativo sarebbe misurare gli Ipa, gli idrocarburi policiclici aromatici, che rappresentano un pericolo certo”.
“Un metodo arbitrario rende tutto più difficile”
E questo, come osserva Raffaele Cossu, docente di Ingegneria ambientale all’Università di Padova, è il problema centrale del via libera agli idrocarburi inserito in un decreto che parla d’altro: “Per regolamentare questa materia serve un dibattito serio. Non si possono aumentare o diminuire i limiti in maniera arbitraria, senza studi e analisi di supporto. E’ un metodo che rafforza le preoccupazioni e rende più difficile costruire un sistema di regolamentazione efficace”.
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
COME I BARI: DA UN LATO PROMETTONO 600 MILIONI NEL 2019 E UNO SCONTO IRES DI 2 MILIARDI, DALL’ALTRO TOLGONO 2 MILIARDI E ALTRI 3,3 ALLE IMPRESE
Un taglio di 5,3 miliardi di euro di benefici fiscali già decisi, in cambio di nuove agevolazioni per 600 milioni.
Il bilancio della manovra di finanza pubblica per le imprese, almeno nel 2019, rischia di essere parecchio pesante, traducendosi in un appesantimento delle tasse.
Per finanziare la flat tax sulle partite Iva fino a 65 mila euro e gli sgravi Ires sugli utili reinvestiti saranno infatti cancellati sia gli incentivi dell’Iri, l’Imposta sul reddito dell’imprenditore che doveva scattare nel 2019, con uno sgravio di 2 miliardi, che l’Ace, l’Aiuto alla crescita economica delle imprese, che ne vale 3,3 (più molti altri, che potrebbero essere cancellati, negli anni a venire).
La flat tax sulle partite Iva, almeno nel primo anno, porterà uno sgravio fiscale complessivo modesto, pari a 600 milioni, destinati a stabilizzarsi a regime con una riduzione di imposta di 1,3 miliardi l’anno.
La riduzione dell’aliquota Ires sugli utili che verranno destinati ad aumenti di capitale, investimenti in beni strumentali e assunzioni stabili, dal 24 al 15% ha un valore crescente nel tempo, che arriva a oltre 2 miliardi di euro a regime.
Ma nel 2019 non porterebbe vantaggi, perchè le minori imposte (all’inizio circa un miliardo di euro) cominceranno a scontarsi dalla dichiarazione dei redditi che si presenterà nel 2020.
L’aiuto alla crescita delle imprese venne introdotto nel 2011 ed ha avuto un successo notevole.
Consente alle società di dedurre dalle imposte una somma parametrata al patrimonio dell’impresa, rendendo vantaggiosi gli aumenti di capitale. È stata introdotta nel 2011 e il suo utilizzo è molto cresciuto negli ultimi anni, benchè i vantaggi fiscali siano stati, pian piano, ridotti dalle varie leggi di bilancio.
L’ultima sforbiciata da 1,5 miliardi l’ha data il governo Gentiloni l’anno scorso. Adesso, secondo la Confindustria, vale ancora 3,3 miliardi di euro l’anno. Più le deduzioni che potranno essere scontate negli anni futuri, un valore molto alto, ma imprecisato.
Gli ultimi dati sull’uso dell’Ace sono del 2016 e riguardano i redditi del 2015. In quell’anno l’Aiuto è stato sfruttato da 302 mila imprese (+8% sul 2014), quasi tutte medie e grandi e attive al Nord (il 38,5% sono lombarde).
Per loro l’ammontare delle deduzioni maturate nel 2015 è stato di ben 18,9 miliardi. Non tutte sono state utilizzate e a fine 2015 alle imprese restavano ancora 6,8 miliardi di deduzioni da riportare agli esercizi successivi.
Crediti probabilmente cresciuti nel frattempo, e che le imprese ora temono possano essere cancellati.
Salterà anche l’Iri, che avrebbe permesso a tutte le partite Iva e le società in nome collettivo di adottare l’Ires al 24% (o al 15% come vorrebbe fare il governo) sugli utili lasciati nell’impresa o nello studio professionale.
Nel 2019 si risparmieranno così due miliardi di euro, esattamente come fece un anno fa il governo Gentiloni rinviando l’Iri al 2019.
Cambia anche la platea dei beneficiari, che invece per Ace e sgravi Ires coincide. A godere della flat tax al 15% saranno infatti 500 mila imprese, oggi fuori dal regime dei minimi. A rinunciare alla possibilità dell’Iri, invece, sono circa 2 milioni di imprese.
(da agenzie)
argomento: governo | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
ATTESA UNA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI MILANO SUL PROVVEDIMENTO CHE DISCRIMINA I FIGLI NATI IN ITALIA DA GENITORI STRANIERI… UN SINDACO CHE IN UN PAESE CIVILE SAREBBE GIA’ COMMISSARIATA
Uno schiaffo al razzismo e alla xenofobia della Lega e degli xenofobi di professione: non si è fatta attendere la risposta degli italiani, Caritas e Acli di Lodi hanno aperto una sottoscrizione per aiutare quei bimbi che non possono permettersi la mensa.
Ed è stato subito boom tant’è vero che per diverse ore il sito della Caritas è risultato inaccessibile per i troppi accessi.
Una risposta civile alle decisioni degli odiatori seriali del comune di Lodi che, di fatto, ha reso inaccessibile le mense scolastiche a centinaia di bambini figli di famiglie extracomunitarie.
Il regolamento impugnato davanti al Tar ha introdotto una novità , chiedendo alle famiglie con anche un solo componente extracomunitario di produrre una documentazione sull’assenza di redditi e beni rilasciata dai Paesi di provenienza.
Il tutto per certificare il reddito Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) basso che, appunto, consentirebbe (e aveva consentito fino agli scorsi anni) alle famiglie straniere di accedere a servizi come mense scolastiche e scuolabus a tariffe agevolate, come fanno anche i figli di famiglie italiane.
Per i nuclei famigliari extra Ue questa ulteriore documentazione si è rivelata in molti un ostacolo insormontabile, in quanto i rispettivi Paesi, dove la burocrazia è diversa, non riescono a rilasciarla.
Il risultato è che molte famiglie straniere e con redditi bassi si sono trovate improvvisamente a dover pagare le tariffe massime per fare accedere i propri figli alla mensa, con la conseguenza che vi hanno rinunciato.
La discriminazione è evidente dal momento che agli italiani è richiesta solo una autocertificazione del reddito e dei beni.
Delle mense negate ai bimbi stranieri si è interessata anche la trasmissione tv “Striscia la notizia”.
Quanto sta accadendo è anche arrivato al vaglio della magistratura: il 6 novembre è in programma un’udienza al tribunale civile di Milano.
(da agenzie)
argomento: Razzismo | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
IL 31% DEI FONDI LI PRENDONO AVVENIRE, ITALIA OGGI, LIBERO, IL MANIFESTO E IL FOGLIO
Il MoVimento 5 Stelle ha annunciato a più riprese negli ultimi tempi che taglierà i fondi pubblici ai giornali.
Lo ha fatto spesso subito dopo che era stato pubblicato un articolo sgradito su qualche grande testata italiana perchè molti eletti e tutti gli elettori sono convinti nel loro intimo che i quotidiani come il Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa prendano contributi.
La verità è però un’altra.
L’ultima erogazione del 2016 ha riguardato 54 testate generaliste, 121 settimanali perlopiù diocesani, 87 periodici per gli italiani all’estero, 33 voci dei non vedenti, 10 house organ delle associazioni dei consumatori.
Lo Stato ha distribuito a questi 305 “soggetti” 63 milioni di euro, racconta oggi Repubblica in un articolo a firma di Concetto Vecchio.
I requisiti principali per accedere al fondo per l’editoria presso la presidenza del consiglio dei ministri sono: pubblicare con una cooperativa di giornalisti o con un ente no profit, essere giornali delle minoranze linguistiche nelle regioni a statuto speciale, editare un quotidiano per gli italiani all’estero oppure per i non vedenti.
E infatti, spiega la tabella, oggi a prendere più soldi pubblici è il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire, seguito da Libero e il Manifesto che insieme si portano a casa 12,6 milioni di euro.
Subito dopo in questa speciale classifica arriva Primorski dnevnik, sconosciuto (ai più) giornale della minoranza slovena con redazioni a Trieste e Gorizia, il Dolomiten ovvero il giornale dei sudtirolesi e il Foglio, che ha preso 800mila euro.
Il 31 per cento dei fondi è stato assorbito da cinque quotidiani nazionali — Avvenire (5,9 milioni di euro), Italia Oggi (4,8 milioni), Libero quotidiano (3,7 milioni), Il manifesto (3 milioni), Il Foglio (800mila euro) — che, secondo Crimi, hanno creato «un’asimmetria concorrenziale obiettiva con altri nazionali».
Gli altri giornali finanziati sono perlopiù locali, da Il Cittadino al Corriere di Romagna, dal Dolomiten alla Neue Sudtiroler Tageszeitung.
Chi, tra i locali, ha incamerato più di tutti è Il Quotidiano del Sud, diffuso in Calabria, Basilicata e Campania: 2,8 milioni di euro. La mannaia di Crimi colpirà soltanto lì, perchè soltanto lì si percepiscono.
Alla faccia della ridicola polemica sui “giornaloni”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Stampa | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
INCREDIBILE AUMENTO DELLE SPESE DI REALIZZAZIONE: DA 3 A 13 MILIARDI PER 85 KM DI STRADA
Più che una richiesta di chiarimenti, è un ultimatum. Ultimo avviso agli amministratori regionali che stanno tentando di realizzare la Pedemontana Veneta, collegamento autostradale di 95 chilometri attraverso le province di Vicenza e Treviso, l’opera cantierata più grande in Italia.
La spesa è lievitata continuamente nel tempo ed attualmente è di circa 3 miliardi di euro, con la Regione Veneto che ha erogato un contributo straordinario di 300 milioni di euro alla concessionaria privata, il Consorzio torinese Sis dei fratelli Dogliani.
Nel 2017 la Regione è così subentrata al Sis nella riscossione dei pedaggi, assumendosi i rischi d’impresa legati ai flussi di traffico.
E siccome a Sis è stato garantito un canone annuale di 153 milioni di euro, a regime si arriverà a un costo-monstre di 13 miliardi di euro, più di 100 milioni di euro al chilometro.
Tutto questo alla Corte dei Conti non piace.
La Pedemontana Veneta è opera strategica della giunta di Luca Zaia, ma è anche un’incompiuta (dovrà collegare la A4 Milano-Venezia alla A27 Venezia-Belluno) ereditata dalla giunta di Giancarlo Galan che nel 2009 ottenne da Berlusconi la dichiarazione di stato di emergenza per realizzarla.
Il documento della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, firmato dal magistrato Anfio Mezzera è partito da Roma pochi giorni fa. Un vero atto d’accusa per un cantiere aperto che rischia di far ingoiare fiumi di denaro alle finanze pubbliche e far pagare un conto salato ai contribuenti veneti.
La Corte ritiene di non aver ricevuto spiegazioni sufficienti dopo la discesa in campo della Regione Veneto e dopo un documento inviato lo scorso marzo non solo a Venezia, ma anche ai ministeri competenti, al commissario straordinario della Pedemontana, al Consorzio Sis, alla srl Superstrada Pedemontana e (per conoscenza) ai 38 Comuni vicentini e trevigiani interessato all’attraversamento, a Italia Nostra e al Codacons Veneto, questi ultimi collettori della protesta di decine di comitati.
La Corte dei Conti scrive: “L’attività di controllo sullo stato di realizzazione ha rilevato numerose criticità ”.
L’elenco è imponente: Si va dalla “estrema lentezza nella progressione dell’opera” alle “incongruenze derivanti dalla presenza di una struttura commissariale che si è sovrapposta agli organi ordinariamente competenti, con ulteriore aggravio di costi”. Ma ci sono anche le “carenze progettuali, la presenza di ambigue clausole della convenzione, ritardi nella liquidazione degli espropri, clausole contrattuali particolarmente favorevoli per il concessionario, rilevanti problematiche di ordine ambientale…”.
Come non bastasse, anche “l’aumento del costo complessivo a totale carico della finanza pubblica”.
Denuncia l’incertezza realizzativa “contraria a un’efficiente programmazione e in contrasto con il canone di buon andamento dell’agire amministrativo”.
E il legame pubblico-privato “ha reso, per lungo periodo, precaria ed incerta la fattibilità dell’opera stessa”.
Quando ai privati mancavano i soldi per continuare i lavori, infatti, “il closing finanziario è stato reso possibile solo con il decisivo intervento di organismi pubblici (Regione Veneto, ndr), attraverso un nuovo assetto della concessione e un nuovo piano economico-finanziario”.
Ma facendo così, la la Regione Veneto, per sua stessa ammissione, si è assunta il rischio sull’eventuale mancato raggiungimento dei livelli di traffico previsti.
Sono quattro le contestazioni che puntano soprattutto sulla Regione Veneto.
In primo luogo, “le modifiche del rapporto concessorio appaiono problematiche in relazione alle regole europee sulla concorrenza” e quindi i giudici vogliono conoscere quali ricorsi siano pendenti con gli altri interessati all’affidamento dell’opera.
Il secondo è un punto dolente: “A fronte di un costo dell’opera che, attualmente, è previsto inferiore a 3 miliardi, con il nuovo assetto convenzionale la Regione Veneto dichiara che l’esborso nei confronti del privato sarà pari a oltre 12 miliardi”.
La Corte vuole sapere quali iniziative saranno prese nei confronti di chi è responsabile “di tale ingentissimo aggravio economico a carico delle finanze pubbliche”.
Il terzo punto è un ‘buco nero’ e riguarda le opere viarie di collegamento, per le quali non ci sarebbe disponibilità di fondi. L’ultima richiesta chiede conto dell’attività di controllo sui lavori in corso, cominciata solo di recente mentre il territorio veneto è diventato una specie di gruviera, con cantieri ovunque. La Regione al momento risponde con un comunicato stampa che spiega come l’unico ricorso al Tar è quello della cordata Salini-Impregilo, l’originario promotore dell’intervento, e che l’attività di controllo sull’avanzamento è della Regione stessa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Ottobre 13th, 2018 Riccardo Fucile
IL SACERDOTE E’ IL PIU’ IMPORTANTE DIFENSORE DEI MIGRANTI MESSICANI E NEMICO DICHIARATO DEL NARCOTRAFFICO… I NARCOS HANNO MESSO UNA TAGLIA DI UN MILIONE DI DOLLARI SULLA SUA TESTA
“La battaglia contro i migranti è persa in partenza: nessuno potrà mai fermare la migrazione”. Padre Alejando Solalinde è il più importante difensore dei migranti messicano. Nel 2007 ha fondato “Hermanos en el camino”, un rifugio per le oltre 500 mila persone che ogni anno provano a raggiungere gli Stati Uniti: “Un giorno all’improvviso vidi una cosa che mi colpì la coscienza: decine e decine di migranti erano ammassati su un treno e non c’era nessuno ad accoglierli. Ho visto la fame e la sete nei loro occhi e ho deciso che avrei iniziato ad aiutarli” racconta nel suo libro “I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini (in dialogo con Lucia Capuzzi, Emi)”.
Gli ostacoli più grandi arrivano dai cartelli del crimine organizzato che gestiscono le differenti rotte migratorie assaltando e sequestrando i migranti.
Arrivano le prime minacce nei confronti del prete che dal 2011 vive sotto scorta. Sulla sua testa i narcos hanno messo una taglia da un milione di dollari.
L’altro pericolo per i migranti arriva dalla militarizzazione della frontiera e dalle politiche migratorie restrittive del presidente Trump: “L’unico risultato di queste leggi è che i migranti sono costretti a percorrere rotte sempre più pericolose” racconta Solalinde pensando anche a quello che succede in Italia e in Europa.
Negli scorsi anni, il padre ha conosciuto grazie all’esperienza di Carovane Migranti alcune delle realtà e delle persone impegnate in prima linea per aiutare i migranti come il sindaco di Riace Mimmo Lucano: “Non sono preoccupato perchè questo governo italiano cambierà presto, questi sono dei selvaggi che andranno civilizzati”
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »