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SALVINI E IL SAP SMENTITI DAI VIDEO: NESSUN POLIZIOTTO “AGGREDITO E PESTATO” DAI MIGRANTI A BORGO MEZZANONE

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

C’E’ STATO UN TENTATIVO DI TRATTENERE L’ARRESTATO PER EVITARE CHE VENISSE CARICATO SULLA VOLANTE, MA NON CERTO “CALCI E PUGNI” COME QUALCUNO AVEVA INTERESSE A FAR VEICOLARE SULL’ASSE SAP-VIMINALE

Venerdì sei ottobre il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha comunicato alla platea dei suoi tre milioni di follower su Facebook l’ennesimo crimine commesso da un migrante.
Il luogo del misfatto è Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, poco distante dall’omonimo CARA che ospita migranti e richiedenti asilo.
Il protagonista è un 26enne gambiano di nome Omar Ragche — ha precisato il ministro — si trova in Italia “per motivi umanitari”, ovvero è titolare del permesso di soggiorno conseguente alla concessione della protezione umanitaria che Salvini vuole abolire.
Il migrante in questione non si è fermato ad un posto di blocco della Polizia e stando a quello che riferisce Salvini «una pattuglia della Polizia è stata aggredita a calci e pugni da un gruppo di richiedenti asilo».
A denunciare l’episodio è stato il SAP, il Sindacato Autonomo di Polizia, che in un comunicato stampa ha parlato di circa 50 extracomunitari che avrebbero infierito   sugli agenti per impedire l’arresto del cittadino gambiano.
Per la cronaca l’ex segretario del Sap, Gianni Tonelli (uno che ha difeso più volte gli agenti che hanno picchiato Federico Aldrovandi, che è stato condannato per diffamazione nei confronti della sorella di Stefano Cucchi e che è fermamente contrario all’istituzione del reato di tortura) è stato candidato alle scorse elezioni politiche per la Lega di Salvini ed è stato eletto alla Camera.
Secondo il SAP «all’esterno del Cara di Borgo Mezzanone, sono stati oggetto di una vile aggressione messa in atto da più di una cinquantina di cittadini extracomunitari che li hanno accerchiati colpendoli ripetutamente con calci, pugni e oggetti contundenti».
Ai due agenti, continua la nota del SAP «sono stati riscontrati seri danni giudicati guaribili in giorni 30 e 15 di prognosi».
L’aggressione sarebbe terminata solo grazie all’arrivo di ulteriori pattuglie.
Secondo Salvini è la dimostrazione che il Decreto Sicurezza è necessario per porre fine “alla pacchia” dei migranti. Al CARA di Foggia però non risulta che le condizioni siano quelle da grand hotel e nemmeno da albergo di quart’ordine: è molto peggio.
Salvini però questa mattina dava l’annuncio che sperava di poter dare: il cittadino gambiano aveva ottenuto la protezione umanitaria “grazie ad un ricorso alla magistratura” (nulla di strano in uno stato di diritto ma per il ministro questa cosa sembra essere inaccettabile)
Salvini conclude facendo sapere ai suoi che ora finalmente “come giusto si potrà  espellere” perchè questi delinquenti devono andare fuori dall’Italia.
Non è ben chiara la sorte degli aggressori, ovvero i 50 migranti che avrebbero malmenato gli agenti.
Come mai Salvini parla solo dell’espulsione del gambiano che ha cercato di scappare (a piedi) dal posto di blocco?
Nel frattempo però spuntano dei video.
Ad esempio quello pubblicato su Facebook dal Comitato Lavoratori delle Campagne, che è stato girato col telefonino proprio da uno dei migranti che avrebbero aggredito gli agenti.
Si vede in effetti una folla di persone circondare la pattuglia, alcuni tentano di trattenere Omar in manette mentre viene portato via.
Nel video si vedono diverse decine di migranti che cercano di impedire che il ragazzo venga caricato in auto. Molti hanno il telefonino in mano e stanno filmando la scena.
I due agenti sono chiaramente in difficoltà  ma non si assiste a scene di violenza.
Ad essere strattonato (dagli agenti e dai suoi compagni) è più il ragazzo del Gambia che i due funzionari di Polizia.
Nel primo video è presente solo una pattuglia. Il sito Terre di Frontiera ne ha pubblicati altri due, girati sempre dai migranti, che però si riferiscono a momenti successivi.
Gli agenti della Polizia di Stato sono sei e ci sono almeno altre due volanti. Al cerchione della ruota posteriore, seduto per terra è ammanettato Omar. Sia lui che un agente hanno gli abiti sporchi di fango, segno che c’è stata resistenza all’arresto e che probabilmente c’è stata una colluttazione a terra.
Nulla però lascia intendere che ci sia stata un’aggressione violenta, anche perchè l’unico ad essere in manette è il ragazzo che Salvini vuole rimandare a casa.
Terre di Frontiera riporta anche una testimonianza di uno dei migranti presenti che ammette che Omar ha sbagliato a scappare e a resistere all’arresto, così come hanno sbagliato i migranti che hanno cercato di impedire alla Polizia di caricarlo in auto.
Ma aggiunge anche che «Tutti cercavano di parlare con la Polizia per vedere cosa si doveva fare. Ma nessuno, giuro nessuno, ha picchiato poliziotti. Nessuno. Dopo sono arrivati altri poliziotti, con quattro macchine in tutto. Se noi avevamo picchiato, perchè dovevano arrestare solo Omar? Arrestavano anche altri. Tutti gli altri. Nessuno ha picchiato la Polizia, veramente no. Se qualcuno di noi picchiava, poteva succedere una guerra. Noi siamo irregolari, è vero, ma non siamo stupidi».
Quello che è certo è che c’è stata molta tensione, tensione generata anche alla preoccupazione dei migranti del centro quando hanno visto Omar buttato a terra su un cumulo di rifiuti dove c’erano anche dei vetri.
E di sicuro non è stata una situazione facile, ma dai filmati si vede che non c’è stata alcuna rivolta nè alcuna aggressione da parte di cinquanta migranti.
Ora ci sarebbe da chiedersi perchè la notizia è stata data basandosi solo sulla comunicazione del SAP che chiedeva pene più severe e la possibilità  di usare il Taser. Lo scopo di Salvini invece è ovvio: alimentare la paura nei confronti dei migranti.
Ma forse ora che è ministro potrebbe risolvere i problemi dei vari ghetti dove sono costretti a vivere i richiedenti asilo (e ammettere che non sono hotel a 5 stelle).

(da “NextQuotidiano“)

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CONFERENZA SULLA LIBIA, QUALCUNO AL GOVERNO VUOLE FARLA FALLIRE PER BOICOTTARE MOAVERO

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

IL MINISTRO DEGLI ESTERI E’ PER LA CENTRALITA’ DEI DIRITTI UMANI ED ABILE MEDIATORE, NON UN URLATORE RAZZISTA

Un dubbio si insinua tra quanti stanno lavorando pancia a terra per la buona riuscita della Conferenza sulla Libia promossa dall’Italia il 12 e 13 novembre prossimi a Palermo.
Il dubbio non riguarda la Farnesina: lì tutti tirano nella stessa direzione. Ma, questo è il punto di domanda, la stessa certezza non si manifesta se si guarda al di fuori del Ministero degli Esteri.
E per una volta non si guarda Oltralpe: che la Francia tifi, ed è un tifo attivo, perchè la conferenza non sia un top diplomatico, questo è cosa ormai risaputa e acquisita. Ma il dubbio è che entro i confini nazionali e in altri palazzi della politica, un risultato all’altezza non ecciti troppo gli animi.
Non è solo gelosia personale: portare a Palermo se non proprio Donald Trump e Vladimir Putin (ma le possibilità  esistono) quantomeno i capi delle diplomazie Mike Pompeo e Sergei Lavrov sarebbe comunque un successo per “l’uomo di Mattarella”: il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.
Un successo, ecco il punto, che riguarda non solo un modo di intendere l’essere ministro, ma una linea in politica estera che non minaccia rotture con Bruxelles un giorno sì e un altro pure, e che guarda ai rapporti con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo non in termini securisti, ma di una cooperazione a 360 gradi che contenga certamente il tema della sicurezza e del contrasto alla migrazione clandestina, ma non lo assolutizza.
Più volte si è detto e scritto che in materia di politica estera — soprattutto sul Mediterraneo e l’Europa— il Governo in carica ha due linee e due pratiche: quella inclusiva di Moavero e quella “muscolare-sovranista” di Salvini.
Lo spartiacque non è la difesa degli interessi italiani. È il come farli valere, è il non restare isolati agitando rotture improbabili oltre che controproducenti. Ed è in questo scenario che si colloca la Conferenza di Palermo.
“Un passaggio importante ma non la conclusione di un percorso di stabilizzazione che avrà  bisogno di altri passaggi e di tempo”, puntualizza all’HuffPost una importante fonte diplomatica.
Insomma, nessuno deve attendersi miracoli da Palermo, ma tutti, nel Governo e fuori da esso, dovrebbero remare nella stessa direzione, perchè così fa un Paese che vuole difendere il proprio spazio geopolitico che altri vorrebbero invadere.
Ma notizie fatte filtrare su defezioni e altro non aiutano.
Così come non aiutano i malumori, sotterranei ma non per questo meno indicativi, che hanno fatto seguito ad alcune considerazioni svolte ieri dal titolare della Farnesina: “In senso stretto e giuridico la Libia non può essere considerata porto sicuro, e come tale infatti viene trattata dalle varie navi che effettuano dei salvataggi”, ha affermato Moavero rispondendo ad una domanda diretta in una conferenza stampa con la collega norvegese.
“La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia” ha proseguito il capo della diplomazia italiana. Per poi aggiungere: “Noi dobbiamo mantenere forte e intensificare il nostro impegno affinchè la normalizzazione della Libia porti questo Paese pienamente nell’alveo della comunità  internazionale, con il rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali”.
Rispetto dei diritti umani e fondamentali. Ratifica di Convenzioni internazionali, come quella sui rifugiati, che ad oggi non ha la Libia tra i Paesi sottoscrittori: per il titolare della Farnesina non sono optional, ma punti chiave per portare la Libia “pienamente nell’alveo della comunità  internazionale”.
Temi che rientrano nei due giorni di conferenza. Le sottolineature del ministro degli Esteri sulla centralità  del tema dei diritti umani, trova sponde importanti alle Nazioni Unite.
Il segretario generale Antonio Guterres, in un rapporto del 24 agosto, ha confermato che in Libia “migranti e rifugiati hanno continuato ad essere vulnerabili”, sottoposti “a privazione della libertà  e detenzione arbitraria in luoghi ufficiali e non ufficiali”.
E a settembre, l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi lo ha ribadito: “No, la Libia non è un Paese di sbarco sicuro”.
A giugno, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto sanzioni contro Abd al-Rahman al-Milad, direttore della Guardia costiera di Zawiya, accusato di essere un trafficante di esseri umani e di fermare soltanto i migranti inviati in Europa dalle organizzazioni rivali.
Di certo, la definizione di “porto sicuro” e di “Paese sicuro” fornita da Moavero, forte anche della sua formazione da giurista, non rientra nel vocabolario politico del suo collega al Viminale, nonchè vicepremier. Qui la distanza è palmare.
Un passo indietro, neanche troppo lungo, nel tempo.
Sedici luglio 2018: “Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro”. Così si pronunciava Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale fosse l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di due giorni dopo per ridiscutere la missione Sophia.
“E’ un bipolarismo europeo che va superato” aggiungeva il vicepremier leghista.
La proposta di Salvini riceveva però una reazione negativa della Commissione europea. Salvini però insisteva e replicava su Twitter: “L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà  in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli”.
“La decisione rispetto al fatto che i porti libici non siano porti sicuri è una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, quindi è una valutazione puramente giuridica sulla quale non c’è una decisione politica da prendere”, le faceva eco l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue Federica Mogherini.
Passava poco più di un mese e le “due linee” si scontravano ancora.
Erano i giorni caldissimi del “caso Diciotti” e dei 150 migranti trattenuti da giorni sulla nave militare italiana attraccata al porto di Catania. “L’Italia deve prendersi in maniera unilaterale una riparazione. Non abbiamo più intenzione di farci mettere i piedi in testa. L’Unione Europea non vuole ottemperare ai principi concordarti nell’ultimo consiglio europeo? Noi siamo pronti a tagliare i fondi che diamo all’Ue. Vogliono 20 miliardi dei cittadini italiani? Dimostrino di meritarseli e si prendano carico di un problema che non possiamo più affrontare da soli”, tuonava il vice premier Di Maio, sostenuto in questo frontale con Bruxelles dall’altro co-vicepremier leghista. Era il 24 agosto.
Dal meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, lo stesso giorno, Moavero stroncava la minaccia di Di Maio all’Ue: “Versare i contributi è un dovere legale. Ci confronteremo su questo e altre questioni”.
Per poi aggiungere: “Sto lavorando in questi giorni soprattutto per trovare una sintonia sulla gestione dei flussi migratori che è tra le questioni più importanti per l’Ue, a nostro parere la più importante in assoluto. È fondamentale che riusciamo a comprenderci a livello di Unione per stabilire un clima di condivisione nei confronti di flussi migratori epocali che richiedono un’azione corale europea. Non trovare un accordo su questo per l’Europa è molto triste”.
A fianco di Di Maio si schierava, con il consueto impeto dichiaratorio, Matteo Salvini, che il 30 agosto, da Venezia, in conferenza stampa rilanciava: “Ho chiesto di condividere i porti di sbarco. Se anche a fronte di questo nuova richiesta otterremo un ‘no’ dovremo valutare se continuare a spendere soldi per una missione che sulla carta è internazionale ma di fatto è tutta a carico di 60 milioni di italiani e di un solo Paese”. Per poi aggiungere: “Al momento abbiamo ricevuto un sacco di no da Macron e da altri, abbiamo quasi esaurito tutti i ‘bonus dei no’. Poi faremo da soli, di sicuro non ci manca la fantasia e le capacità “.
Il titolare del Viminale non demorde. Tre settembre .”Dietro alla situazione in Libia c’è qualcuno, penso a chi è andato lì a fare una guerra che non doveva fare e ora vuole fissare date delle elezioni senza interpellare gli alleati, l’Onu e i libici. Le esportazioni di democrazia non hanno mai portato niente di buono”. Così Salvini commentava gli scontri tra milizie che incendiavano Tripoli, addossandone la responsabilità  al governo francese. E a chi gli chiedeva se anche alla luce degli eventi di quelle ore fosse stato un errore chiedere che la Libia fosse dichiarata un “porto sicuro” in cui respingere i migrati, il ministro rispondeva: “Chiedete alla Francia”.
Chiedere, non è, nella “linea Moavero”, sinonimo di “gridare”. Non è un problema di bon ton, ma di sostanza. Come quando si dichiara “fiducioso in dialogo costruttivo con Ue”.
Dialogo costruttivo: un modus operandi che vale per Bruxelles come per Tunisi. C’è voluta molta pazienza e lavorio sotterraneo per convincere le autorità  tunisine a non creare una crisi diplomatica con Roma dopo le affermazioni di Salvini (4 giugno 2018) secondo cui la Tunisia “spesso e volentieri esporta galeotti”.
La rottura è stata evitata ma le scorie sono rimaste. Quando nella visita del 28 settembre, Salvini ha provato a indossare panni moderati e istituzionali (“alla Moavero”) la trasformazione non ha sortito gli effetti sperati: la svolta sui rimpatri non arriva.
Non basta un improvvisato “cambio d’abito” per mascherare l’esistenza delle “due linee”.

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI AGLI ITALIANI: “COMPRATE TITOLI DI STATO COSI’ LO SPREAD SCENDERA'”. MA E’ UN AUTOGOL

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

PERCHE’ MAI UN RISPARMIATORE ITALIANO DOVREBBE ANDARE INCONTRO A PERDITE IN CONTO CAPITALE?.. PER FARE UN FAVORE A UN GOVERNO CHE NON VUOLE RIMBORSARE IL DEBITO PUBBLICO?

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, a margine del G6 di Lione, ha risposto così a chi gli chiede cosa farà  il governo se lo spread continuerà  a salire.”La forza dell’Italia, che nessun altro degli amici seduti al tavolo oggi ha, nè i francesi, nè gli spagnoli, è un risparmio privato che non ha eguali al mondo. Per il momento è silenzioso e viene investito in titoli stranieri. Io sono convinto che gli italiani siano pronti a darci una mano”.
In pratica il vicepremier auspica una nazionalizzazione del debito pubblico italiano, debito oggi   pari a 2.286.000 milioni di euro che dalla nascita della moneta unica in poi è finito sempre più in pancia a investitori e istituzioni estere (oggi al 36%), nei bilanci della Bce o della Banca d’Italia (16%), in quelli delle banche italiane (27%) e in quelle di fondi e assicurazioni (19%).
I cittadini italiani, invece, hanno parzialmente diminuito il peso di Bot e Btp nei loro portafogli fino a scendere al 6% del totale, preferendo i fondi o direttamente le azioni, anche andando incontro a un grado di rischio maggiore per i loro investimenti. Per cercare un maggiore rendimento.
Così negli ultimi anni hanno dirottato una fetta importante del loro risparmio verso i titoli esteri, come dimostra il saldo di Target 2, che misura le passività  dell’Italia sul sistema di pagamento dell’Eurosistema: ad agosto scorso queste erano pari a 471 miliardi di euro, contro il record di 480 miliardi segnato a giugno.
Tra maggio e giugno il saldo Target2 italiano è peggiorato di quasi 55 miliardi a causa anche delle forti tensioni politiche legate alla nascita del governo M5s-Lega, ed è per questo motivo, forse, che ora Salvini chiede agli italiani di tornare sui loro passi e di riscoprire la bontà  dei vecchi cari Bot e Btp.
In effetti un debito pubblico in gran parte in mano agli italiani, sia privati che banche, renderebbe il paese molto meno esposto alle oscillazioni dei tassi di interesse, come dimostra il caso giapponese il cui debito pubblico è pari al 220% del Pil ma è in gran parte all’interno delle pareti domestiche.
Con un debito ‘autarchico’ non esisterebbe il problema degli investitori esteri che vendono e fanno salire lo spread, semplicemente perchè non avrebbero carta italiana nei loro portafogli. E il debito degli italiani sarebbe garantito dai beni dello Stato italiano in un circolo che isola l’Italia dai movimenti di capitali internazionali.
Ma la domanda è: vi sarebbe convenienza a seguire le indicazioni di Salvini? Difficile, visto che con il governo gialloverde, finora, lo spread e quindi i tassi di interessi sui titoli italiani sono solo saliti, e, come è noto, se si alzano i rendimenti scendono i relativi prezzi.
Dunque un risparmiatore italiano rischia di comprare oggi qualcosa che domani renderà  di più e costerà  di meno, andando incontro a perdite pesanti in conto capitale. A meno che non si abbia bisogno del proprio risparmio per periodi molto lunghi e quindi si possa scegliere di portare i titoli di Stato alla loro naturale scadenza senza incorrere in eventuali minusvalenze.
Ma perchè legarsi le mani e perchè mettere i propri soldi in mano a a Salvini e soci che alla prova dei fatti non stanno dimostrando di avere a cuore il rimborso del debito pubblico quanto piuttosto di riaprire i cordoni della spesa come negli anni della prima Repubblica.
Su questo argomento mercoledì 10 ottobre è intervenuto anche il sindaco di Milano Giuseppe sala che ha detto: “Sono preoccupato, perchè me ne intendo un pò di finanza e lo spread non è che sia un’idea vaga. Chi ha Bot in tasca negli ultimi tre mesi ha visto perdere il valore del 20%, ci saranno tanti cittadini che li hanno e non necessariamente è la parte più ricca del Paese”.
E riguardo la manovra economica del governo Sala ha aggiunto: “Dal Def poi non si vede molto in termini di sviluppo e investimenti per le infrastrutture, le cose che possono stare a cuore a Milano — ha concluso — per esempio gli investimenti per la metropolitana a Monza o per il terzo valico fra Milano e Genova. Chissà  cosa succederà ”.
Insomma più che chiedere aiuto agli italiani Salvini e i suoi compagni di governo dovrebbero mettere in campo qualche manovra in grado di abbattere o almeno ridurre il debito pubblico e di conseguenza raffreddare lo spread: solo così gli italiani beneficerebbero di un costo del denaro a buon mercato per nuovi investimenti e il minor onere degli interessi sul debito pubblico libererebbe risorse da investire nella crescita economica del paese.

(da “Business Insider”)

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TONINELLI E’ QUASI FUORI DAL TUNNEL (DEL GOVERNO): IL M5S LO HA COMMISSARIATO

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

UN INVIATO DELL’AZIENDA GRILLINA GESTIRA’ I SUOI SOCIAL PER EVITARE ALTRE GAFFE… IN ATTESA DEL RIMPASTO ALL’INIZIO DEL PROSSIMO ANNO

Danilo Toninelli è l’arcigrillino per eccellenza, quello che forse più di ogni altro durante la scorsa legislatura ha incarnato l’essenza del MoVimento 5 Stelle.
Con il suo tono affettato, il suo parlare a macchinetta, l’eloquio degno di un verbale dei Carabinieri Toninelli ha interpretato in televisione il ruolo di testa di ponte dell’avanzata pentastellata verso Palazzo Chigi.
Da quando è arrivato al governo Toninelli si è trasformato.   Prima vedeva tutto nero ed era il primo a denunciare soprusi e scorrettezze della Casta oggi più che essere il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti sembra più il titolare del Ministero dell’Entusiasmo, dell’Amore e delle Gaffe.
L’ultima è quella sul ponte autostradale del Brennero che stando ad un dossier su cui ha studiato il ministro sarebbe molto utilizzato dagli imprenditori italiani.
Peccato che il tunnel verrà  completato solo nel 2022 e che sarà  un tunnel ferroviario. Poco prima c’era stato il discorso in difesa del Decreto Genova «scritto col cuore» ma anche «con una tecnica giuridica molto molto elevata». Non troppo elevata se nel testo il nome del ministero è scritto in modo sbagliato e soprattutto si fa riferimento ad una norma che nel frattempo è stata abrogata.
Ma i problemi per Toninelli sono iniziati a pochi giorni dal suo insediamento, quando si è fatto scavalcare dal ministro dell’Interno sulla gestione dei porti e degli sbarchi dei migranti (la Guardia Costiera è di competenza del MIT).
Toninelli “spiegò” che il place of safety poteva benissimo essere una nave italiana battente bandiera italiana e ridefinì il concetto di sbarco spiegando che anche il trasbordo da un gommone ad una nave della Guardia Costiera era uno sbarco.
Sempre sul tema con la confusa richiesta al governo olandese di far rientrare l’imbarcazione di una Organizzazione non governativa battente bandiera olandese.
Poi ci sono stati i sorrisi in studio da Vespa mentre reggeva il plastico del ponte Morandi; la battutina sulla concessione revocata al suo barbiere (poi cancellata) oppure la difesa dell’idea di un ponte sulla Valpolcevera che potesse ospitare spazi commerciali.
Tanto è bastato — scrive oggi su Repubblica Annalisa Cuzzocrea — per far decidere ai vertici del MoVimento di commissariare Toninelli inviando una persona a gestire i social: Facebook, Twitter e Instagram.
Ma non è facile. Prendiamo la storia del ponte “multilivello”.
Toninelli l’ha esposta durante un’intervista. E anche il dossier sul tunnel del Brennero è stato partorito durante una conferenza stampa e non in un momento di distrazione sui social network.
Quello del ministro non è solo un problema di immagine e di social. Perchè anche l’azione di governo incespica. Basti pensare alle polemiche per la decisione, presa proprio da Toninelli, di sospendere i finanziamenti per il Terzo Valico dei Giovi.
Che dire invece dei 55 giorni necessari per la nomina del Commissario per Genova? Non sono solo i genovesi e gli sfollati a pensare che il governo (e Toninelli) abbiano perso troppo tempo.
Per tacere della difesa forse un po’ troppo accorata da parte di Toninelli nei confronti del consulente del ministero Gaetano Intrieri, condannato per bancarotta.
Ecco quindi che oltre al ministro messo sotto controllo sui social inizia a farsi strada l’idea di un rimpasto di governo.
C’è chi vorrebbe fare di Toninelli il capo espiatorio per i tentennamenti del governo e le uscite maldestre dei ministri.
Il buon Danilo quindi potrebbe essere costretto ad andarsene, non ora scrive Dagospia, ma a gennaio quando le acque si saranno calmate e si potrà  procedere ad un rimpasto di governo.
Si tratta naturalmente di indiscrezioni ma è da diverso tempo che i giornali parlano del fatto che il povero Danilo è diventato ormai un caso all’interno del MoVimento 5 Stelle. E tutti sappiamo come vanno a finire le cose quando un “portavoce” finisce per danneggiare l’immagine del partito di Di Maio e Casaleggio.

(da “NextQuotidiano”)

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DI MAIO E’ UN CONTAPALLE COME RENZI

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

MA GIGGINO PUO’ SBARAGLIARE TUTTI I CONTAPALLE, NE HA LE QUALITA’

Se c’è una costante nella Storia d’Italia è rappresentata dai Venditori di Pentole, dagli imbonitori un tanto al chilo, da chi la spara più grossa per un pugno di voti.
La cosa straordinaria è che gli italiani ci cascano sempre. L’esperienza non li vaccina. Ci vorrebbe una terapia di popolo, una seduta psicoanalitica più che della sapienza degli storici per capire il comportamento dei cittadini di questo Paese.
L’attuale venditore di pentolame, in arte Gigio Di Maio, è imbarazzante a tal punto che i bambini ridono quando guardano il telegiornale, non chiedono più ai genitori di cambiare canale e di vedere i cartoni animati. Luigi e Matteo Salvini sono meglio di Gianni e Pinotto, di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, di Stanlio e Ollio.
In futuro Gigio lo trasmetteranno anche su Boing insieme a Peppa Pig e ai Puffi, nella parte del Puffo bugiardo.
Un recentissimo titolo di Tg La7, il telegiornale di Cairo, è stato, pochi giorni fa: Di Maio: L’Iva non si tocca. Salvini: sicuramente non aumenta. È una non notizia che infonde però sicurezza. Le non azioni sono la nuova politica di governo. Non farò questo, non farò quello.
L’elenco delle cose che non saranno fatte sarà  discussa nel Consiglio dei ministri insieme a quelle che si dovrebbero fare, ma comunque non saranno fatte. È un marketing malato che provoca nausea.
“Chi l’ha messo lì quello?” “Quando finisce di prenderci per il culo?” sono le domande più ricorrenti tra la gente.
Gigio ha detto che se non ci saranno i soldi per erogare i 780 euro del reddito di cittadinanza dal 2019   sarà  giusto considerarlo un buffone. Se lo dice da solo…
Per risanare le finanze pubbliche a colpi di tweet e di proclami di Facebook, ha promesso che sarà  abolita la povertà .
Che dire? È impossibile persino commentare. Gigio può sbaragliare tutti i contapalle, ne ha i numeri.
Da Berlusconi con la promessa della eliminazione dell’Ici e della social card ad Achille Lauro che per diventare sindaco di Napoli regalò ai potenziali elettori una scarpa con la promessa di dare anche la seconda se fosse stato eletto.
Il reddito di cittadinanza di Gigio, senza copertura finanziaria, senza il supporto di un spiegazione sul modo in cui il governo troverà  i soldi, sono peggio delle scarpe di Lauro.
Lui almeno una scarpa prima delle elezioni l’ha data. Il sedicente reddito di cittadinanza verrà  versato, se ci sarà , solo da marzo, poco prima delle elezioni europee. Da un voto per due scarpe, a un voto per 780 euro (forse…).

Post scriptum
Ho fatto un esperimento. Vediamo se qualcuno ha capito, grazie a una memoria prodigiosa. No? Ecco un aiutino per gli smemorati.
Il testo che avete appena letto è tale e quale quello pubblicato sul suo blog (leggere per credere) da Beppe Grillo il 14 marzo 2014, alla vigilia delle elezioni europee, in era renziana. Titolo incluso.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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RISPARMI BRUCIATI E PRESTITI PIU’ CARI: ECCO I “NUMERINI” CHE IMPOVERISCONO LE IMPRESE E I CITTADINI

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

E’ CHI GOVERNA CHE DEVE PENSARE A “NON DARE I NUMERI”

Lo spread è un numero, come le temperature del grafico della febbre.
Entrambi indicano uno stato di salute: nel primo caso quello del debitore, se ispira o meno fiducia al creditore; del malato, nel secondo.
Nessun malato è mai stato così incosciente da accusare il termometro di “complotto”, ma semmai, messo in allarme proprio da quelle precise indicazioni del termometro, s’è rivolto a un buon medico, una persona competente e responsabile, uno non eletto a furor di popolo ma scelto perchè bravo, per studi, scienza ed esperienza.
Il paragone con il grafico della febbre viene in mente, a chi si occupa di cultura d’impresa, di fronte alle ennesime polemiche che maturano in ambienti di governo a proposito del giudizio negativo dei mercati finanziari e delle perplessità  della Commissione Ue sulla “manovra” annunciata con il Def (il Documento di economia e finanza) e sullo “sfondamento” del rapporto deficit-Pil al 2,4%.
Lo spread tra Bund (i titoli pubblici tedeschi, affidabili) e i nostri Btp è a quota 300, con allarme diffuso, negli ambienti finanziari, su “quota 400”.
E il rendimento dei titoli pubblici all’ultima asta di lunedì 8 ottobre, ha superato il 3,5%: il che vuol dire che chi li compra pretende un maggior “premio” per il rischio che corre mettendoli in portafoglio ma anche che chi ha già  titoli in portafoglio ne vede deprezzato il valore.
Quanto? Per ogni punto percentuale di aumento dei rendimenti, i Btp decennali perdono il 7% del loro valore.
A maggio quel rendimento era dell’1,79%, lunedì, come abbiamo detto, ha toccato il 3,57, il doppio Cioè.
Che vuol dire, in soldi contanti?
“Diecimila euro di Btp acquistati a maggio ora ne valgono 8.500” (Corriere della Sera). Detto in altri termini: nei mesi delle tante chiacchiere giallo-verdi sul governo, i programmi, le sfide all’Europa e l’irrisione dell’equilibri dei conti pubblici, un piccolo risparmiatore che aveva messo da canto 10mila euro di risparmi affidati allo Stato, ne ha persi 1.500. Un sacco di soldi, sfumati a causa di troppe, irresponsabili chiacchiere.
Anche la Borsa vive parecchie giornate nere, perdendo miliardi (15, nella sola giornata di lunedì 8 ottobre). Ecco, questi “numerini” degli indici al ribasso dicono quanti altri risparmi dei “cittadini” sono andati in fumo.
In ambienti di governo si reagisce parlando di speculatori internazionali che vogliono il male dell’Italia e si contrappone ancora una volta “l’economia reale” alla “finanza”. O, per usare un altro slogan di gran moda tra i “gialloverdi” al governo, “i numerini” ai “cittadini”.
Chiacchiere buone per la propaganda. E nemmeno chiacchiere originali.
Anni fa ci fu un ministro che, per amore di battuta, disse che lui si occupava dei mercati rionali e non di quelli finanziari (non lasciò di sè un buon ricordo). La realtà , però, non ama le chiacchiere e racconta altro. E fatti e numeri sono testardi.
I “numerini” sui titoli di Stato dicono quanti interessi in più si devono pagare per il nostro gigantesco e crescente debito pubblico (si devono: lo Stato, cioè tutti noi “cittadini” con le nostre tasse).
I “numerini” dello spread dicono quanto in più pagheremo, sempre noi “cittadini”, per i mutui sulle case, i prestiti che abbiamo fatto o per ottenere credito per cercare di fare crescere le nostre aziende e creare lavoro.
Gli imprenditori ne sono, giustamente, molto preoccupati, soprattutto nelle aree più dinamiche dell’industria e del commercio.
I “numerini” sulla crescita annunciata dal governo parlano di un 1,5% nel 2019 dopo una crescita dell’1,2% quest’anno, ma qualcuno dei ministri, Paolo Savona, azzarda anche il 2% o addirittura il 3% nell’arco di un paio di anni e il vicepremier Matteo Salvini insiste su “più del 2%”.
Il Fmi, invece, tra rallentamento generale dell’economia internazionale e tensioni e incertezze politiche italiane, prevede una crescita dell’1% appena.
Concordi anche autorevoli protagonisti dell’economia: 1% Confcommercio, 0,9% Confindustria, 1 o forse peggio 0,9% Bankitalia. Le previsioni del governo sul Pil, insomma, sono “troppo ottimistiche” secondo la Corte dei Conti, irrealistiche per Bankitalia e Ufficio Parlamentare del Bilancio.
Siamo di fronte, dunque, a un forte divario di previsioni e aspettative. E se quei “numerini” ottimisti non saranno confermati dalla realtà , per i “cittadini” la conseguenza sarà  pesante: debito pubblico maggiore, meno lavoro, salari ridotti, minori servizi pubblici, minore benessere. Tutte questioni che riguardano la vita quotidiana dei “cittadini”.
Si potrebbe andare avanti così a lungo. Ci si ferma qui per dire che l’attenzione ai “numerini” è un dovere fondamentale per qualunque governo che abbia a cuore il futuro dei suoi cittadini.
Non enumerando dati con scarso riscontro reale, per pure ragioni di propaganda elettorale e polemica politica. Nè facendo affidamento sul “potere magico” di certe parole (il “pensiero magico”, contrapposto alla realtà , è stato fonte di alcuni dei più tragici disastri del Novecento).
Ma elaborando e condividendo scelte che possano essere realizzate. Non si costruisce alcun solido sviluppo economico aumentando il peso dei debiti.
E non si forma opinione pubblica consapevole, capace di approvare e sostenere scelte riformatici coraggiose, senza fare i conti con la realtà . Con la realtà , non con i desideri o la propaganda. O con le illusioni d’una nota sui social media o con l’invenzione del “nemico” (un’altra funesta abitudine del Novecento).
I numeri, insomma, certi, attendibili, ben studiati ed elaborati con competenza e autonomia scientifica, ben spiegati con chiarezza, sono la base della scienza, anche di quella economica.
Di numeri, vivono le imprese (gli investimenti, il lavoro, i salari, i dati contabili che dicono, nei bilanci, cosa fare e dove puntare, quante rate fare per un nuovo macchinario, quante quote di mercato conquistare o difendere).
Di numeri, si alimentano i bilanci delle famiglie. Numeri da umanizzare, non da disprezzare.
I numeri sono un fondamento del buon governo e, naturalmente, d’una solida, partecipata democrazia. E perchè i cittadini possano ritrovare fiducia e sicurezza, è davvero indispensabile, per una dignitosa classe dirigente, “non dare i numeri”.

(da “Huffingtonpost”)

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PRIMA GLI ITALIANI? NO, IL MOTTO DEL GOVERNO E’ PRIMA I RICCHI

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

CONTROLLA I POVERI E CONDONA GLI EVASORI

In attesa di capire come è esattamente congegnato (sempre che non salti il banco prima con un’Italia in balia della spread, che significa maggiore indebitamento e aggressione ai risparmi degli italiani, ndr) più o meno già  si capisce che il famoso “reddito di cittadinanza” diventerà  uno slalom nel quale i soliti furbetti e geni della malavita riusciranno a inserire una serie di artifici per vanificare i controlli e far arrivare i soldi pubblici anche in tasche che non devono arrivare.
Il governo ha annunciato una serie di rimedi per evitare – a loro dire – che i beneficiari dell’assegno stiano ‘sul divano’ a girarsi i pollici mentre gli altri lavorano.
Così è nata la mezza barzelletta delle spese immorali da evitare, della carta che si potrà  usare solo in determinati negozi e non in altri, nel 6 anni di carcere per chi imbroglia e tutta un’altra serie di annunci ‘feroci’ per evitare che i furbetti facciano i furbi.
Peccato solo che l’Italia sia un paese dove la sola Iva è evasa per 40 miliardi di euro l’anno (che sa soli possono fare due Fornero e due redditi di cittadinanza) dove l’evasione fiscale è stimata in circa 180 miliardi di euro l’anno mentre tutti gli indicatori dicono che solo una piccola parte è da considerarsi un’evasione di necessità  (imprenditori, commercianti e piccole partite Iva che no ce la fanno a tirare avanti) ma è fatta dai ricchi, speculatori, malavitosi, commercianti e liberi professionisti spregiudicati che semplicemente vogliono arricchirsi e nello stesso tempo esigono dallo Stato scuole, strade, ospedali, sicurezza, illuminazione pubblica e ogni tipo di servizio
Evasori che si annidano soprattutto nel nord (Lombardia e Veneto sono le prime due regioni) e meno al sud.
Per questi denari da recuperare (con i quali gli italiani camperebbero meglio di 10 flat tax) i fautori del Cambiamento che fanno? Nulla.
Agevolano gli evasori e promettono perfino condoni. Inseguendo la favoletta che meno tasse si pagano, più lavoratori si assumono.
Come se i 180 miliardi sottratti ogni anno allo stato con l’economia sommersa, l’economia criminale, l’evasione delle società  di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese accompagnata da alti tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile) non fossero la miglior testimonianza che i ricchi pensano solo a diventare più ricchi e il resto è noia
Per loro i   soloni del cambiamento pensano a aumentare il contante (che è il principale veicolo del nero) con la scusa di sburocratizzare puntano a creare zone franche nelle quali risulterebbe impossibile colpire l’evasione.
Per non parlare del condono che riguarda i debitori con il fisco di somme fino ai 500 mila euro. Per i poveracci incroci nelle banche dati per controllare l’uso corretto della carta del reddito di cittadinanza. Per i riccastri e i veri furbetti i famosi controlli che i grandi evasori non hanno mai tenuto.
#Primagliitaliani? Forse. Ma dire #primairicchi sarebbe molto più sincero.
I poveri sono solo un alibi per lasciare ai ricchi la libertà  di mettersi in tasca tutto, pagare il meno possibile, evadere il più possibile e tutto il resto è colpa dell’Unione Europea, di Bruxelles, delle scie chimiche e perfino di Babbo Natale.

(da Globalist)

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FDI NON DIGERISCE L’ACQUA EVIAN DELLA FERRAGNI E RICORDA CHE 3900 BAMBINI MUOIONO OGNI GIORNO PER SCARSITA’ D’ACQUA

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

E QUELLI CHE MUOIONO NEL MEDITERRANEO PERCHE’ NON VENGONO SOCCORSI NON SONO MERITEVOLI DI TUTELA?…. AVETE CRIMINALIZZATO CHI LI POTEVA SALVARE E AVETE IL CORAGGIO DI PARLARE?

Il senatore di Fratelli d’Italia Giampietro Maffoni ha presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri dell’Ambiente e dell’Istruzione sul caso dell’acqua ‘firmata’ Chiara Ferragni. La celebre fashion blogger ha infatti prestato il suo nome a una collaborazione con l’acqua Evian, che commercia bottiglie da 75 cl col logo Ferragni al prezzo di 8 euro.
Una collaborazione che ha suscitato polemiche sul web, e che ora diventa un’interrogazione parlamentare: “Il Rapporto ONU sull’acqua – scrive il bresciano Maffoni – sottolinea lo stretto legame tra povertà  e risorse idriche: il numero di persone che vive con meno di 1,25 dollari al giorno, infatti, coincide approssimativamente con il numero di coloro che non hanno accesso all’acqua potabile. Si stima che muoiano 3900 bambini ogni giorno per scarsità  d’acqua e circa il 10% di tutte le malattie mondiali potrebbe essere evitato migliorando fornitura di acqua”.
Poi l’accusa a Chiara Ferragni: “Premetto – scrive Maffoni – che nel libero mercato l’abilità  imprenditoriale di un individuo si premia da sola, e se vi è qualcuno che sente la necessità  di spendere 72,50 euro per una confezione da 12 bottiglie, non vi è nulla di illecito. Mi chiedo però – aggiunge il senatore di Fratelli d’Italia – se non sia il caso che una donna che ha il potere di influenzare milioni di giovani che la seguono sui social (15,2 milioni solo su Instagram) non possa rivedere i suoi investimenti in un’ottica diversa”.
Magari prima sarebbe opportuno che i sovranisti, invece che speculare sui bambini assetati, pensasse a salvare quelli destinati ad affogare nel Mediterraneo, abbandonati dai governi sovranisti, dopo aver criminalizzato chi poteva salvarli e beatificato i criminali della Guardia Costiera libica

(da agenzie)

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QUANDO LA TAVERNA SE LA PRENDEVA CON I PRIVILEGIATI DELLE CASE POPOLARI

Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile

DUE ANNI FA DICEVA: “PUNIRE CHI NON HA DIRITTO GRAZIE A PROTEZIONI POLITICHE”

Ieri Paola Taverna è finita nei guai perchè Repubblica ha raccontato il contenzioso aperto dalla madre con il Comune di Roma che vuole sfrattarla da un alloggio ATER avendo perso i requisiti per rimanerci.
La senatrice ha risposto da par suo, ovvero con una suprema supercazzola allo scopo di cambiare discorso e spostare l’attenzione dai fatti raccontati dal giornale.
Oggi Fabio Tonacci torna sulla vicenda ricordando cosa diceva la senatrice quando nei guai ci finivano gli altri:
La senatrice, ieri, ha voluto comunicare la sua versione nel solito modo “riparato”, e scevro da ogni tipo di contraddittorio, usuale ai leader 5 Stelle: un videomessaggio pubblicato sulla sua pagina Facebook. «Mi domando, qual era la notizia che voleva dare Repubblica? Forse voleva dire che la mia famiglia è una famiglia povera?».
No, la notizia era l’esatto opposto: i dirigenti di Roma Capitale – dopo aver contato gli immobili di proprietà  della famiglia Taverna (una casa in Sardegna di sei vani in località  Serra e Mesu, e, a Roma, un fabbricato di 70 metri quadri, un altro piccolo locale di 28 mq e la casa di 4 vani a Torre Maura) – hanno ritenuto il reddito della signora superiore rispetto al limite previsto per accedere a canoni di affitto agevolati.
Eppure Paola Taverna, certi meccanismi, li conosce bene.
Quando Roma fu travolta dallo scandalo Affittopoli, la pasionaria grillina divenne una furia. «Noi già  avevamo denunciato questa situazione più di un anno fa – dichiarò il 3 febbraio 2016 in un’intervista a Radio Cusano Campus – sono 30 anni che va avanti così. Si è cercato di mantenere questi privilegi perchè potevano essere strumentali a raccogliere voti e consensi. Bisogna fare un censimento che chiarisca chi ha diritto e chi, invece, sta godendo del privilegio (…). Si facciano atti concreti, punendo le persone che ne hanno goduto e i politici che hanno permesso tutto questo».
Dunque, nel caso odierno, la sindaca e compagna di partito Virginia Raggi sarebbe il politico “da punire”.
Raggi che, ancora il 29 agosto 2017, parlava di «tolleranza zero verso nuove occupazioni», estendendo il concetto agli inquilini abusivi. E che, ora, deve decidere se mandare i vigili urbani a casa Taverna.

(da “NextQuotidiano”)

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