Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
ALLA VIGILIA DEL VOTO DECISIVO SUL MES, L’ESECUTIVO CONVINTO DI AVER SUPERATO LE DIVISIONI INTERNE, TANTO DA ANNUNCIARE UNA RIPARTENZA A GENNAIO… CON QUALCHE RITOCCHINO ALLA SQUADRA?
Luigi Di Maio gongola: “Il punto di caduta sul Mes è ottimo, la risoluzione rispecchia la nostra proposta”. È la fine dell’ennesima lunga giornata per il governo giallorosso. Conclusasi con una richiesta di verifica e rilancio a gennaio da parte del Partito democratico, accolta al volo da Giuseppe Conte e con il capo politico M5s a ricordare come per primo il Movimento abbia lanciato la proposta un paio di settimane fa.
Una decisa schiarita dopo i nuvoloni neri che si erano addensati sul Palazzo nei giorni scorsi. Non basta un piovigginoso fine settimana per far sterzare il clima.
Le tensioni continuano a muoversi carsiche sotto l’ostentata superficie di ritrovata concordia, ma l’esecutivo respira pure una boccata d’aria, scacciando i venti di crisi imminente che soffiavano maligni e provando a mettersi in sicurezza nel complicato passaggio tra il voto sulle comunicazioni del premier e la manovra da varare.
C’è un episodio a raccontare meglio di qualunque ragionamento lo stato dell’arte dei rapporti ancora tutti da rinsaldare.
Enzo Amendola, ministro Dem degli Affari europei, convoca un vertice di buon mattino. Accorrono i rappresentanti di tutte le forze di maggioranza. Viene fatta circolare la bozza della risoluzione sul Consiglio Ue che il Parlamento dovrà votare mercoledì.
Il testo intercetta l’assenso più o meno di tutti, viene espressa qualche riserva, ci si stringe la mano.
Prima del rompete le righe la richiesta: riconsegnare le bozze cartacee, prego.
Uno dei presenti spiega all’Huffpost: “Una cosa da ridere, ma ci sarebbe da piangere. Di sicuro l’hanno chiesto i 5 stelle”.
Il mandato è quello di evitare la fuga di notizie, non dare modo ai pasdaran pentastellati di far maturare la propria contrarietà e mettere a rischio la tenuta dei numeri al Senato.
Il testo filtra, dà un sostanziale via libera alle modifiche del Fondo salva stati, chiedendo però di evitare l’automatismo che lega il prestito di ultima istanza con la ristrutturazione del debito, e legandole all’ormai famigerata “logica a pacchetto” insieme agli altri trattati europei da riformare, primo fra tutti quello sull’unione bancaria.
La questione è tutta politica, con il Pd che mette a segno la non messa in discussione del cuore del trattato, e i 5 stelle che possono agitare lo scalpo di un rinvio.
Chiuso il vertice (proseguito poi nel tardo pomeriggio senza scossoni) la bozza esce.
I 5 stelle soffiano veleno: “Una mossa del Pd o di Italia viva per destabilizzarci”. Il Nazareno nega.
Quale che sia la manina che ha spifferato tutto, se l’intenzione era quella di creare fibrillazioni nel Movimento ha colto nel segno.
Se Elio Lannutti si trincera dietro un “no comment”, assai più esplicito è il collega senatore Gianluigi Paragone: “Se il M5s ha deciso di giocare di rimessa con il Pd lo faccia – dice a Huffpost -. Io non lo voto, resto fedele al nostro programma”.
Gli fa eco dalla Camera Alvise Maniero. Al deputato Di Maio stesso aveva dato il compito di seguire il dossier, ma il giovane onorevole si è fin da subito segnalato per una posizione assai barricadera, al punto che è stato segnalato un contrasto piuttosto netto con Laura Agea, la sottosegretaria gialla co-intestataria del dossier.
“Così come è il Mes è invotabile”, spiega Maniero all’Adnkronos, tenendosi per il momento ben alla larga dall’esprimersi sulla risoluzione.
“La soluzione è un’ottima soluzione”, continua a ripetere chi ha sentito Di Maio nelle ultime ore. Il leader non ha preoccupazione sui numeri.
La risoluzione, per passare, non ha bisogno della maggioranza assoluta. Il centrodestra a Palazzo Madama può contare su 136 voti, servirebbero una ventina di voltafaccia per mettere a rischio l’approvazione del documento pro-Conte.
Almeno una decina per andare sotto la soglia psicologica dei 161, che pur non sarebbe indolore. Nel quartier generale del capo politico si stimano in quattro, massimo cinque i senatori ribelli. La stessa valutazione che va per la maggiore nei corridoi della Camera alta. Una fronda esigua, data già per disinnescata dai colonnelli 5 stelle.
Nel clima di rinnovata concordia, tutti i maggiorenti dell’esecutivo prendono la rincorsa per arrivare primi sul “tagliando” da fare a gennaio.
Al punto tale che dalla war room pentastellata viene lanciato un ramoscello d’ulivo agli alleati anche sul tema più identitario.
Sentite: “Noi sulla prescrizione teniamo il punto, Luigi insieme a Bonafede e Conte sono compatti. Ma se il Pd ha perplessità così forti ci faccia una proposta”. Ma l’apertura arriva a latitudini fino a qualche giorno fa impensabili: “La proposta di sospensione di due anni dopo la sentenza di primo grado non è di certo la soluzione, ma può essere una base su cui far partire la discussione”.
Dal Nazareno non si perde occasione per sottolineare la sintonia con il premier, e la comunanza di intenti su un nuovo cronoprogramma che abbia come orizzonte il termine naturale della legislatura.
I 5 stelle rivendicano il copyright: ”È finita la fase di rodaggio, da gennaio partiamo veramente”.
Disinnescata la mina del Fondo Salva stati e con la manovra su un binario diretto alla stazione, i giallorossi tentano di blindarsi anche in vista dello spinoso voto delle regionali di fine gennaio.
Anche se sono già partiti i sospetti incrociati. Troppo spesso, si osserva dall’una e dall’altra parte, sotto il termine “verifica”, “tagliando”, si nasconde la volontà di un rimpasto.
Per ora è uno scaricabarile, tutti negano, si puntano il dito l’un l’altro. Palazzo Chigi tace, il premier che ama definirsi “di garanzia” registra la discussione, e si guadagna qualche settimana in più.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
IN EMILIA ROMAGNA ANCORA A CACCIA DI NOMI, NON SI TROVANO CANDIDATI
C’è un numero che fa paura ai 5Stelle in Calabria, che li spacca e li divide.
Ed è l’8%, la soglia di sbarramento sotto la quale una coalizione non entra a far parte del consiglio regionale.
E così questa cifra rimbomba nelle menti dei grillini che, dando un’occhiata ai sondaggi, temono di non farcela.
Sta di fatto che il conto alla rovescia ormai è iniziato. Venerdì c’è l’appuntamento ufficiale, annunciato da Luigi Di Maio, durante il quale sarà presentato a Catanzaro il candidato governatore M5s. Chi sarà però il candidato? Sul manifesto non compare nè nome nè volto, il capo politico non si sbilancia.
Infatti nei prossimi giorni, prima certamente di venerdì, a sorpresa sarà aperta una nuova votazione sulla piattaforma Rousseau. Servirà a ratificare la candidatura del professore Piero Aiello, che tuttavia è già in campagna elettorale dal momento che i 5Stelle avevano indicato lui senza e senza ma.
È evidente ora come qualcosa sia cambiato e non sia filato tutto liscio. La candidatura sembra essere stata messa in discussione.
A questo punto ogni scenario resta aperto, nonostante fonti vicine al coordinatore Paolo Parentela stiano continuando a escludere l’appoggio a Pippo Callipo, il candidato civico messo in campo dai dem.
“Il Pd dovrebbe togliere il simbolo dalla lista e candidarsi come lista civica, solo in quel caso potremmo appoggiare Callipo”, spiegano le stesse fonti. Richiesta irricevibile per il Pd. Ma se la piattaforma Rousseau dovesse bocciare Aiello è chiaro che qualcosa dovrà succedere.
Sempre secondo fonti vicine al coordinatore calabrese sarà il candidato consigliere più votato a correre per la poltrona di governatore.
Ipotesi che i parlamentari calabresi tuttavia escludono bollandola come “surreale”. Dunque sarà tutto da rifare.
La più critica resta la deputata Dalila Nesci perchè la quale sia se si candida Aiello sia se si candida Callipo non ci sarebbe neanche l’ombra del Movimento 5 Stelle: “Complimenti a tutti gli strateghi piccoli e grandi che hanno proseguito nella svendita elettorale. Cosa ci avranno guadagnato? Sarà il tempo a dircelo”.
Questa è l’accoglienza che la Calabria riserva a Di Maio.
E non va meglio in Emilia Romagna dove ancora non è stato ufficializzato il nome del candidato governatore. Non solo. Nella regione rossa c’è stato anche un problema legato alle liste.
Il termine ultimo per presentare la candidatura era fissato per la scorsa settimana ma in mancanza gli aspiranti non sarebbero stati sufficienti per completare le liste nelle 9 province.
Da qui lo slittamento dei tempi. Solo nelle prossime ore si saprà se il Movimento 5 Stelle riuscirà davvero a presentarsi o se invece sarà messa in atto una desistenza che andrà a favore del candidato di centrosinistra Stefano Bonaccini, che i 5Stelle non vogliono appoggiare ufficialmente.
La scelta è particolarmente delicata perchè anche dall’Emilia Romagna dipenderanno le sorti del governo.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
NEL CONTROPIANO DEL GOVERNO ANCHE LO SCUDO PENALE E 1.800-2.000 ESUBERI… OPERAI IN PIAZZA A ROMA E TARANTO
Il primo check ci sarà martedì mattina, nel faccia a faccia tra Francesco Caio e Lucia Morselli. Nelle stesse ore in cui gli operai sciopereranno, arrivando fino a Roma per la manifestazione indetta da Cgil, Cisl e Uil sulle crisi industriali, il super consulente del governo illustrerà all’amministratore delegato di Mittal Italia lo stato dell’arte della controproposta per il futuro dell’ex Ilva di Taranto.
Il piano dell’esecutivo dice che lo Stato è pronto ad entrare con una quota sotto il 20%: lo farà tramite Invitalia, la sua holding per lo sviluppo, che affiancherà i franco-indiani.
E in più il ripristino dello scudo penale e l’impegno a trattare fino a un massimo di 1.800-2.000 esuberi.
La trattativa sull’ex Ilva registra un avanzamento dettato da una necessità , quella del governo, ma anche dei sindacati, di indirizzarla su un binario alternativo a quello tracciato da Mittal con il suo nuovo piano industriale.
Il colosso dell’acciaio ha di fatto ripresentato una fotocopia delle condizioni iniziali, ma il negoziato è lungo e l’esecutivo, spiegano fonti vicine al dossier, ha intenzione di rilanciare con l’obiettivo di arrivare una soluzione più morbida.
I 4.700 esuberi prospettati sono considerati ancora “inaccettabili”. La triangolazione palazzo Chigi, Tesoro e ministero dello Sviluppo economico ha messo a punto una controproposta che va ancora perfezionata e che presenta ancora degli aspetti da verificare, a livello industriale e non solo, ma lo scheletro è pronto.
Si diceva dell’entrata dello Stato.
Il veicolo scelto, Invitalia, avrà una quota di presidio nella newco che nelle intenzioni del governo gestirà lo stabilimento tarantino.
La quota, inferiore al 20%, è considerata di presidio, di garanzia, necessaria però anche a condividere il rischio con Mittal.
In questa nuova società , però, non ci sarà spazio per i 10.700 lavoratori garantiti dall’accordo del settembre 2018. Il perimetro occupazionale sarà più ristretto e questa è una consapevolezza che sta prendendo sempre più piede nel governo.
Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli non si sbilancia sui numeri: “E’ prematuro parlarne”. Un numero, però, circola con insistenza nelle stanze dei ministeri coinvolti dalla partita e si aggira intorno ai 1.800-2.000, a cui vanno aggiunti i circa 1.800 che attualmente sono in cassa integrazione.
Non tutti sarebbero da considerare strutturali. Per quest’ultimi l’idea è quella di utilizzare al massimo strumenti di accompagnamento come la stessa cig o i prepensionamenti, con l’obiettivo di ammorbidire il processo di uscita.
Dove collocare invece i lavoratori che non usciranno in modo definitivo è un interrogativo che è ancora aperto.
Il premier Conte ha parlato di “una partecipazione di aziende pubbliche”. I nomi che trapelano sono quelli di Snam e Fincantieri, ma il progetto è da costruire.
Bisogna ancora capire in che forma le due aziende potranno muoversi per assorbire una parte degli esuberi. Così come è ancora da definire il ruolo di Cassa depositi e prestiti, che sarà della partita solo nel cosiddetto cantiere Taranto, mentre resta esclusa una partecipazione nella newco.
Il supporto della Cassa a Taranto potrebbe seguire il modello adottato a Genova, quindi sostegno alla progettazione di infrastrutture e alle imprese, oltre a interventi di social housing.
La trattativa ha un altro pilastro ed è quello relativo alla produzione dell’impianto pugliese.
Il governo insiste per un forte accento sul fronte ambientale, da realizzare attraverso l’installazione di un forno elettrico a basso impatto. Lo stesso Patuanelli parla di “nuove tecnologie di produzione, fra cui l’uso del preridotto, del gas, di forno elettrico e in prospettiva guarda all’idrogeno”.
È un punto su cui si insisterà molto nella controproposta perchè serve come base d’appoggio per giustificare la necessità di un numero ridotto di esuberi. Ed è una questione che i 5 stelle stanno spingendo tantissimo in queste ore anche perchè il via libera al ripristino dello scudo penale – altro elemento cruciale della trattativa – potrebbe essere concesso proprio in virtù della garanzia che a Taranto si interverrà in modo deciso sulla questione ambientale.
Il governo sonderà la reazione di Mittal. Lo farà con la pressione degli operai che vogliono risposte.
Oltre mille lavoratori dell’ex Ilva e dell’indotto, insieme alle sigle sindacali metalmeccaniche di Fim, Fiom e Uilm, partiranno da Taranto, direzione Roma. Martedì è in programma lo sciopero e la manifestazione convocata a piazza Santi Apostoli da Cgil, Cisl e Uil. Il titolo è Futuro al lavoro. Quello dell’Ilva, e non solo, è ancora da scrivere.
(da”Huffingtonpost”)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
UN DECIMO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE DIPENDE DALLE RIMESSE DI DENARO SPEDITE DAI LAVORATORI CHE RISIEDONO NEI PAESI PIU’ RICCHI… E IN ITALIA I SOVRANISTI HANNO PENSATO BENE DI ALZARE LE COMMISSIONI, TAGLIEGGIANDO I POVERI
Più di un decimo della popolazione mondiale dipende, per il benessere e lo sviluppo, dai soldi spediti dai lavoratori che risiedono nei paesi più ricchi
Solo in Italia, le rimesse dei lavoratori stranieri sono state l’anno scorso pari a 6 miliardi di euro, quanto lo stato spende per la digitalizzazione della PA
Eppure questo flusso è costantemente tassato e l’ex governo gialloverde non ha fatto di certo eccezione
Un flusso di denaro fondamentale alla sopravvivenza di più del 10% della popolazione mondiale. Nel 2018 i lavoratori stranieri hanno inviato qualcosa come 529 miliardi di dollari verso le aree più svantaggiate del pianeta, una cifra che, secondo la Banca Mondiale, è di ben tre volte superiore ai fondi mondiali destinati allo sviluppo e agli investimenti.
Un trend che, secondo i dati della Banca Mondiale, dovrebbe essere in piena ascesa anche nei prossimi anni e che si traduce in benessere e sviluppo.
Secondo l’Ifad, quasi il 75% delle rimesse mondiali vengono infatti utilizzate per acquistare alimenti, coprire le spese mediche ed educative, sostenere mutui e affitti.
Un flusso che si intensifica nei periodi di crisi in cui i fondi inviati dai connazionali all’estero sono essenziali per difendersi dagli effetti di carestie o disastri naturali, prevenendo così catastrofe umanitarie di vaste dimensioni.
Le rimesse in Italia: il record dei bengalesi e il mistero dei cinesi
E in Italia? Solo nel 2018, i soldi inviati a casa dai lavoratori stranieri residenti nel nostro Paese ammontavano a quasi 6 miliardi di euro.
Per la precisione 5.8 miliardi di euro secondo i dati di Bankitalia, circa 6.2 miliardi secondo le elaborazioni della Fondazione Leone Moressa, basati sull’elaborazione degli stessi dati sull’indice dei prezzi al consumo.
Somme pari allo 0.35% del nostro PIL o, se preferite, pari a quanto il nostro Paese ha speso per la digitalizzazione della pubblica amministrazione nel corso dello scorso anno.
Il record di spostamento di risorse finanziarie verso i Paesi di origine spetta nel 2018 ai bengalesi. Con oltre 700 milioni di euro inviati verso la nazione di origine, il Bangladesh è la terra che ha beneficiato maggiormente delle rimesse provenienti dal nostro Paese.
Secondo stime della Fondazione Moressa, in media ogni bengalese ha inviato più di 450 euro al mese verso la terra natale. Seguono, per quantità di rimesse, paesi come Romania, Filippine, Senegal, Pakistan, India, Marocco e Sri Lanka.
Considerevole, se rapportato alla presenza fisica sul nostro territorio, i soldi che i senegalesi hanno inviato a casa; ogni cittadino dello stato africano ha spedito, lo scorso anno, più di 300 euro al mese verso la sua terra natale.
Inspiegabile invece, il calo delle rimesse verso la Cina, passate dai 2.7 miliardi del 2012 ad appena 21 milioni di euro del 2018.
«Vi sono diverse ipotesi: una è quella di maggiori investimenti in Italia, ad esempio nelle imprese. Può dipendere però anche dall’intensificarsi dei controlli su transazioni irregolari. Non è da escludere che parte di quelle transazioni abbia trovato altre vie, ancor meno tracciabili» osserva Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa, istituto di studi e ricerche nato per monitorare l’impatto delle dinamiche della presenza degli stranieri sul nostro territorio.
Per quanto riguarda invece le province, il primato dei soldi spediti dai lavoratori stranieri verso l’estero spetta a Roma, con oltre 800 milioni di euro. Seguono Milano, Napoli, Torino, Brescia, Firenze, Bologna, Genova e Bergamo.
Significativi i flussi che, dalla provincia di Roma si dirigono verso Bangladesh e Filippine, mentre variegato il flusso delle rimesse che da Milano si spostano verso le Filippine e Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Perù ed Ecuador.
E gli spostamenti di denaro sembrano spesso essere il riflesso di specifiche realtà territoriali ed esigenze produttive legate al territorio come nel caso dell’emigrazione ecuadoriana a Genova, di quella indiana a Latina, di quella afghana nel bresciano
Perchè i sovranisti frenano lo sviluppo locale
E se una persona su nove al mondo, ha bisogno delle rimesse dei connazionali per sopravvivere, uno dei problemi allo spostamento di soldi verso i paesi più svantaggiati è sicuramente il costo delle commissioni.
Se per spostare soldi verso i Paesi del G7 si paga appena il 2% di commissioni, questa percentuale sale 7% per i flussi verso il resto del mondo.
Le cause? Il cartello esercitato dalle agenzia di money transfer, che impediscono di fatto un ribasso delle imposte sugli spostamenti di denaro e l’atteggiamento di sospetto dei paesi occidentali che vedono, negli spostamenti, il rischio di attività illecite come il terrorismo internazionale o il riciclaggio di denaro sporco.
Quel che è certo è che, a casa nostra, mentre si riempivano di parole come “Aiutiamoli a casa loro” per frenare gli arrivi, i sovranisti nostrani hanno di fatto penalizzato le rimesse dei lavoratori stranieri e, di conseguenza, lo sviluppo di larghe porzioni della popolazione mondiale.
Lo scorso governo gialloverde è stato infatti il solo in Europa, e uno dei pochi al mondo, a tassare le rimesse degli stranieri residenti.
La nuova imposta dell’1.5% verso i soldi inviati all’estero attraverso i money transfer, introdotta nel dicembre 2018, su cui pende un parere negativo dell’Antitrust, potrebbe di fatto scoraggiare in futuro i flussi di denaro e i finanziamenti verso le aree più svantaggiate del pianeta o spingere verso versamenti poco “tracciabili”. Per tutto il resto ci sono gli slogan e i meme pronti all’uso.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
PETIZIONE TAROCCO: BASTA CREARE DIECI MAIL FALSE E VOTI DIECI VOLTE
La Lega, dopo aver raccolto le firme ai gazebo, ha lanciato anche una petizione online per chiedere al governo di non approvare la riforma del Mes. Lo fa attraverso una sottoscrizione a cui si può aderire semplicemente inserendo nome, cognome, città di residenza e un indirizzo mail.
Ma per firmare la petizione lanciata dal partito di Matteo Salvini più volte è sufficiente creare diverse mail: così ogni utente (anche con mail fasulle) può sottoscrivere la petizione infinite volte.
La raccolta firme della Lega è iniziata nei gazebo di tutta Italia nel weekend del 7 e dell’8 dicembre e prosegue online con una apposita piattaforma per dire no al Mes. A firmare la petizione online sarebbero state 44mila persone.
La richiesta del partito di Matteo Salvini è quella di impegnare “il governo a non approvare la riforma del Mes in quanto serio pericolo per i risparmi degli italiani e per la stabilità economica del Paese, ma anzi ad attivarsi per l’abolizione del Mes stesso e per la restituzione del capitale versato”.
Per sottoscrivere la mozione online è sufficiente inserire alcuni dati personali (nome, cognome e città di residenza) e avere un indirizzo di mail attivo. Uno qualunque. Anche falso.
Il che permette, quindi, a una sola persona di sottoscrivere potenzialmente infinite volte la petizione.
Ed è proprio quello che abbiamo fatto per dimostrare come sia facile firmare più volte senza alcun problema: abbiamo provato a sottoscrivere la petizione da due diverse mail (create appositamente e non attive prime) e il risultato è stato che la mozione online leghista ha due firmatari in più
La prima sottoscrizione: tutti i passaggi
Il primo tentativo lo facciamo con una mail creata appositamente, dal nick “stopmes”. Sottoscrivere la petizione è semplicissimo. Non c’è alcun controllo e si può inserire qualsiasi nome e cognome. Tanto che noi abbiamo provato a dare un nome reale e a mettere solo l’iniziale del cognome, così come poi appare sulla lista dei firmatari.
In questo caso è stato sufficiente inserire Francesco R, col cognome puntato, che sta per Francesco Rossi: il titolare dell’indirizzo mail stopmes.
Si inseriscono la regione, la provincia e il comune di residenza, più l’indirizzo mail. A quel punto si dà il consenso e si sottoscrive la petizione.
Il sistema invia una mail di conferma: il firmatario deve cliccare sul link inviato per completare la sottoscrizione. A quel punto esce una nuova schermata che dà la dicitura “verifica completata”.
E la sottoscrizione si può condividere su Facebook e Twitter. Poi il nome di Francesco Rossi, col cognome puntato, appare nell’elenco dei firmatari, con la città di residenza e la data e l’ora di sottoscrizione
La seconda sottoscrizione per il no al Mes
Creiamo a questo punto un nuovo indirizzo mail. Questa volta il nome è “noalmes”, il server di posta elettronica utilizzato è un altro, così come il nome del titolare della mail: stavolta è Andrea Bianchi ed è di Milano.
Il procedimento è lo stesso: si compilano i campi con il nome, il cognome (basta inserirlo puntato), la regione, la provincia e il comune di residenza. Oltre all’indirizzo mail appena creato. Una volta sottoscritta la petizione arriva nuovamente la mail di conferma, con il link su cui cliccare per completare la sottoscrizione.
Una volta completata la verifica, anche questa volta senza problemi, si può condividere la sottoscrizione. E nella lista risulta il nome di Andrea B, di Milano, che ha appena firmato la petizione
(da Fanpage)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
IN UNA CHIESA METODISTA AMERICANA IL PRESEPE DIVENTA UN ATTO DI ACCUSA CONTRO LE POLITICHE RAZZISTE .. MARIA, GESU E GIUSEPPE SEPARATI IN DIVERSE GABBIE SONO LA METAFORA DI UN DRAMMA UNIVERSALE
Gesù, Maria e Giuseppe divisi da delle gabbie: dimenticate il presepe con bue, asinelli e panorama bucolico.
Se la natività avvenisse oggi, nel 2019, lo scenario sarebbe molto diverso.
A portare in scena la provocazione, al tempo in cui Santi e Madonne, diventano terreno di bottini elettorali è una chiesa metodista americana. E a spiegare il perchè è proprio la pastora della comunità evangelica di Claremont, città universitaria americana della Contea di Los Angeles.
«Nel tempo in cui nella nostra terra le famiglie di rifugiati cercano asilo bussando ai nostri confini e vogliono evitare di separarsi, abbiamo semplicemente considerato la “famiglia” più conosciuta del mondo» scrive su Facebook Karen Clark Ristine, con un post che sembra un implicito e diretto attacco alla politica di Donald Trump.
Del resto la storia della natività si presta esattamente a questo parallelismo: «Subito dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe sono stati costretti a fuggire con il loro bambino da Nazareth all’Egitto per sfuggire da Erode. Hanno avuto paura di more e persecuzioni. Cosa succederebbe se avessero chiesto rifugio oggi a casa nostra? Immaginate Giuseppe e Maria al confine separati da Gesù che viene strappato da sua madre e deportato in un campo di detenzione per immigrati clandestini insieme agli altri 5.500 bambini che sono stati ospitati qui nel corso di 3 anni» insiste la Ristine.
Il riferimento è sicuramente alla politica che il Governo americano ha portato avanti al confine con il Messico che prevedeva anche separazioni coatte tra figlie e genitori che, nel corso del 2018, ha scatenato un’indignazione trasversale che hanno portato Trump a porre fine alle discusse disposizioni.
Secondo il Los Angeles Times, la pastora non è nuova a sollevare temi sociali all’interno della sua attività pastorale.
Nelle precedenti raffigurazioni del Presepe, per esempio, sarebbe stata evocata la crisi degli homeless, che dilagano in tutta la California.
Intervistata dal Los Angeles Times, la Ristine ha difeso le ragioni di queste scelte: “Non è un’azione politica, ma teologica. C’è gente che mi ha detto di essersi commossa fino alle lacrime. Se tu tieni all’immagine dalla Sacra famiglia, e la vedi improvvisamente separata, questo ti porterà ad avere un moto di compassione. Questa è la cosa più importante”.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
“SENZA EVASIONE CI SAREBBERO PIU’ SOLDI PER STIPENDI E PENSIONI E MENO TASSE”
Il Capo dello Stato Sergio Mattarella interviene duramente sul tema dell’evasione fiscale. E, rispondendo a una domanda di alcuni studenti ospiti al Quirinale, la definisce “una cosa davvero indecente, perchè i servizi comuni, la vita comune è regolata dalle spese pubbliche. Se io mi sottraggo al mio dovere di contribuire sto sfruttando quello che gli altri pagano, con le tasse che pagano”.
“Il problema è di norme, di interventi, di controlli, di verifiche – continua il presidente – che stanno dando qualche risultato, ma è soprattutto di cultura e di mentalità “.
“L’evasione fiscale – aggiunge Mattarella – è calcolata nell’ultimo documento ufficiale dell’anno passato circa 119 miliardi di euro: una somma enorme. Se scomparisse, le possibilità di aumentare pensioni, di aumentare stipendi, di abbassare le tasse per chi le paga, e così via, sarebbero di molto aumentate”.
“Per questo, anche lì il problema è di norme, di interventi, di controlli, di verifiche – che stanno dando qualche risultato – ma è soprattutto di cultura e di mentalità , di capire che in un’associazione, in una società , in una convivenza, se non si contribuisce tutti allo sforzo comune, c’è chi lo fa con onestà e c’è chi lo fa sfruttando quanto gli altri fanno. E questo non è giusto” aggiunge.
(da agenzie)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA PARLA A 400 PERSONE IN UNA STRETTA GALLERIA, AL CASTELLO SONO IN 1500 A SVENTOLARE UN LIBRO: “SOLO LA CULTURA UNISCE”… ALLE SCORSE ELEZIONI SALVINI PORTAVA IN PIAZZA A FERRARA 3-4.000 PERSONE: QUALCOSA STA CAMBIANDO
Sono tantissime anche oggi le sardine in Piazza Castello. Non arrivano ai numeri del 30 novembre (7.000) ma il movimento è evidentemente vivo e continua a coinvolgere persone sotto lo slogan “Ferrara si sLega, solo la cultura unisce”.
“Oggi eravamo tantissimi — dice Adam Atik su Facebook — grazie a tutti i presenti”.
“Eravamo molti di più dei felpati” si legge in un commento sui social e in piazza Castello (stimati in 1500).
“Eravamo sicuramente — scrive un altro — molti di più di loro, ci vuol poco a riempire il portico dal Mc’Donald” (Salvini dalla piazza del Municipio aveva ripiegato su una stretta galleria alla presenza di 300-400 persone)
Tutti con un libro in mano letteratura, saggi, ma anche manuali, libri di italiano per stranieri tenuti in bella vista per “rimarcare l’importanza della cultura e della conoscenza per non cadere nella propaganda”.
A farla da padrone è stata la Costituzione, in mano a tanti. Non sono mancati poi i libri di Primo Levi come “Se questo è un uomo”, o “La banalità del male” di Hanna Arendt e quelli di Giorgio Bassani.
L’iniziativa che ha spinto ogni partecipante a uscire con un libro in mano è frutto di una provocazione verso la candidata della Lega alla presidenza dell’Emilia-Romagna. Lucia Borgonzoni, infatti, in una intervista al Corriere lo scorso anno aveva candidamente affermato di non leggere un libro da tre anni.
“Siamo qui — dice un gruppo di partecipanti — perchè non vogliamo arrenderci alla propaganda leghista, vogliamo un Italia accogliente e che guardi al futuro”.
Quando scatta l’ora un gigantesco cerchio abbraccia la piazza, “un cerchio dell’abbraccio” lo chiamano perchè vogliono rimarcare l’inclusione, l’accoglienza del loro gesto, non la chiusura.
Piazza Castello è circondata: al rompete le righe, come già successe il 30 novembre, sono in molti quelli che rimangono a chiacchierare con i loro libri e le loro sardine in mano.
Altri invece si spostano davanti al comizio che stanno tenendo Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni alla Galleria Matteotti. Gli animi sono tranquilli, i ragazzi sorridono con il libro in alto per farsi vedere e chiedono sarcasticamente a Salvini “che fine hanno fatto i 49 milioni?”.
Molti ricordano i comizi di Salvini delle scorse elezioni con 3-4000 persone, oggi sono ridotte a un decimo.
Qualcosa sta cambiando
(da agenzie locali)
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Dicembre 9th, 2019 Riccardo Fucile
L’EVENTO ANNUNCIATO SOLO VENERDI’ SERA PER IMPEDIRE CHE LE SARDINE POTESSERO OTTENERE UNA PIAZZA PER UNA PACIFICA PROTESTA DATO CHE GLI UFFICI COMUNALI SONO CHIUSI
Oggi pomeriggio Matteo Salvini sarà a Ferrara in Piazza Municipale con Lucia Borgonzoni. L’evento è stato annunciato e preparato soltanto venerdì, per fare in modo di non trovarsi a incrociare in piazza le Sardine di Ferrara, che sono particolarmente agguerrite anche perchè la città ha un sindaco leghista e ha festeggiato la vittoria togliendo lo striscione per Giulio Regeni dal municipio.
E quindi l’evento è stato lanciato venerdì in modo che le sardine non potessero organizzare e pubblicizzare un nostro flash mob di risposta.
Di sabato e domenica gli uffici sono chiusi. Ma c’è un però. L’evento è stato organizzato lo stesso.
“Nulla vieta di incontrarsi e fare una catena umana intorno al castello, con un libro in mano, lunedì 9 alle 16:45, in contemporanea a Salvini in piazza municipale. L’unico strumento che abbiamo per promuovere questo incontro è il PASSAPAROLA, non si possono creare eventi su Facebook o pubblicizzare a mezzo stampa, proprio per via dei permessi.
Ecco allora il cordone umano in Largo Castello dove ognuno porterà un libro “simbolico della nostra protesta ittica”.
E si preparano al confronto con il Capitano.
(da “NextQuotidiano”)
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