Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
SCAPPA DAI PROCESSI NASCONDENDOSI DIETRO LE GONNE DEL M5S INVECE DI AFFRONTARE I GIUDICI COME I NORMALI CITTADINI E POI FA IL LEONE DA TASTIERA… SUBISSATO DI CRITICHE SUI SOCIAL
La premessa: la nave Alan Kurdi, con 32 migranti a bordo, ha attraccato a Pozzallo. “I 32 ospiti a bordo sono finalmente al sicuro”, ha scritto sul proprio account Twitter la ong tedesca Sea Eye. Il Viminale aveva autorizzato ieri lo sbarco a Pozzallo, precisando che “la Commissione europea ha già avviato, su richiesta dell’Italia, la procedura per il ricollocamento dei migranti, sulla scorta del pre-accordo di Malta.
I 32 migranti, tutti di nazionalità libica, tra cui 10 bambini e una donna incinta, erano stati salvati nella notte tra il 26 e il 27 dicembre
E pochi secondi dopo l’ex ministro dell’Interno, quello che ha contribuito all’isolamento dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo, ha tuonato: “Altri sbarchi, altri soldi… Governo complice, non vedo l’ora di andare a processo per difendere l’onore del mio Paese”.
Retorica, ma questa volta si è allargato.
Perchè ogni promessa è debito: se è così ansioso da andare a processo per il caso Gregoretti immaginiamo che sia lui che la Lega non solo voteranno a favore dell’autorizzazione a procedere, ma anche inviteranno tutti gli altri a farlo.
Se invece prevarrà una logica modello caso Diciotti, magari grazie a un ‘mercato delle vacche’ sempre fiorente, allora sarà la prova che quelle di adesso sono solo frasi propagandistiche
Anche i commenti sul profilo twitter andavano in questa direzione.
“Anche noi Matte non vediamo l’ora. Mi raccomando, poi però, non ricorrere all’immunità , al legittimo impedimento ecc ecc. Affronta il processo come tutti i cittadini, non fare il coniglietto come sempre. Chiacchierone”
“Ultimissima ora Matteo a gennaio presenta alla giunta per le autorizzazioni a procedere la rinuncia all’immunita. Oppure è come al solito una spacconata social?”
“La Lamorgese ti batte 98 a 11 in fatto di rimpatri….onore a #Lamorgese”
“Se non vedi l’ora di andare a processo, rinuncia all’immunità così risparmiamo tempo e denaro.”
“io non vedo l’ora che VAI IN GALERA… credo sia più reale!!! Preparati a finirci per molto tempo!!!”
“Onore l’avrebbe chi risolve il problema alla fonte,chi organizza un sistema funzionante e chi accoglie chi ha bisogno, lei a parte cercare adepti con tweet, facebook ed Istagram ha risolto ben poco”
“Che poi quale onore come cazzo parli! Solo chiacchiere e immunità parlamentare.”
“Se, come dici, sulla Gregoretti “non vedi l’ora di andare a processo”, come mai sulla Diciotti, invece, hai piagnucolato in Parlamento per richiedere l’immunità ?”
(da Globalist)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
E’ TUTTO FALSO MA VIENE DA CHIEDERSI: POSSONO UN GIORNALE E I POLITICI DIFFONDERE SISTEMATICAMENTE NOTIZIE FALSE ?
“Tagliano le pensioni a vedove e invalidi. Macelleria sociale del governo” (Il Giornale, 29 dicembre). La notizia di una presunta “scure” su assegni di invalidità e pensioni ai superstiti, pubblicata in prima pagina dal quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, rimbalza sui social da domenica mattina.
Complici i tweet indignati dell’ex ministro alla Famiglia Lorenzo Fontana e della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Ma davvero, come commenta Il Giornale, il governo Conte ha varato “quasi di nascosto, come strenna di capodanno“, un “decreto” che prevede “dal gennaio del 2020 il taglio delle pensioni delle vedove e il taglio delle pensioni agli invalidi, quando superano determinate soglie rispetto alle minime”?
No: quel “taglio” è semplicemente un limite al cumulo con redditi superiori a certi tetti. Ma soprattutto è una norma in vigore dal 1996. Al governo c’era Lamberto Dini.
Nessun decreto: è la normale circolare Inps di dicembre
Per prima cosa, il governo non ha varato alcun decreto sulle pensioni di invalidità e quelle a cui hanno diritto vedove e vedovi. La legge di Bilancio ha reintrodotto la piena rivalutazione, finora congelata, per le pensioni tra 1.500 e 2mila euro.
Ma questo non ha nulla a che vedere con i trattamenti per invalidi e superstiti. Quella a cui fa riferimento Il Giornale è la usuale circolare di dicembre in cui l’Inps elenca criteri, importi e rivalutazioni di tutti gli assegni che saranno versati l’anno successivo. Il punto di partenza è l’aggiornamento — questo sì basato su un decreto ministeriale, che a sua volta recepisce i dati Istat sull’inflazione — dei trattamenti minimi. Nel 2020 la pensione minima salirà a 515 euro, dai 513 attuali, con la conseguenza che tutte le norme che fanno riferimento a valori multipli del minimo vanno aggiornati.
La riduzione degli assegni per chi ha altri redditi è prevista da 25 anni
L’allegato 2 della circolare dell’11 dicembre contiene come ogni anno le tabelle di dettaglio. Comprese quelle che stabiliscono di quanto viene ridotta la prestazione se il beneficiario percepisce anche altri redditi superiori a determinati valori. Per quanto riguarda superstiti e invalidi, le percentuali di riduzione dell’assegno che si applicano a chi ha redditi superiori a tre, quattro o cinque volte il minimo pensionistico sono identiche da 25 anni.
Cioè dall’entrata in vigore della riforma pensionistica del governo Dini (agosto 1995). Nè il governo Conte 2 nè gli altri 13 esecutivi che si sono succeduti da allora hanno modificato quella scala.
L’unica novità è che, anno dopo anno, le minime aumentano e in parallelo si alza anche l’asticella oltre la quale scattano i limiti al cumulo.
I limiti al cumulo
Gli invalidi prendono l’assegno pieno se hanno altri redditi non superiori a 4 volte il minimo calcolato su 13 mensilità (dal 2020 circa 26.783), mentre ne percepiscono solo il 75% se i redditi da altre fonti sono tra 4 e 5 volte il minimo (tra 26.783 e 33.479 euro l’anno) e solo il 50% se hanno altri redditi superiori a 5 volte il minimo (dal 2020 circa 33.479 euro l’anno).
Vedovi e vedove — che in assenza di figli hanno diritto al 60% della pensione che veniva percepita dal coniuge — subiscono invece una riduzione del 25% in caso di redditi superiori a 3 volte il minimo, del 40% se già incassano da altre fonti più di 4 volte il minimo e del 50% se hanno redditi extra pari a oltre 5 volte il trattamento minimo.
Il Giornale commenta il decreto che non c’è: “Governo macellaio, nessuna pietas”
Il Giornale nel pezzo principale riconosce che quelli a pensioni di invalidità e superstiti sono “i tagli di sempre, consistenti e fissi”.
Il commento però parte dal presupposto che a calare “il coltello” sugli assegni è stato il “macellaio” governo Conte. E già che c’è chiosa: “Le vedove e i vedovi e gli invalidi se hanno un reddito mensile superiore a 2000 euro, non hanno diritto al rispetto del loro status di persone, che hanno perso una parte di sè medesime: nel proprio corpo o nella propria vita coniugale. La pietas umana di questo governo, fiero dei propri risultati, si ferma a questa soglia pecuniaria”.
E ancora: “Il macellaio ha il manico del coltello. Mutatis mutandi (sic, ndr), il governo Conte bis decide di quanto tagliare le pensioni di vedovi e di quanto quelle degli invalidi. Il cittadino elettore, contribuente, non ha voce in capitolo. Ed inoltre non viene neppure informato dei tagli qualche settimana prima che vengano annunciati”. Anche se il taglio risale al 1995.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
“VINCERA’ CHI FARA’ MENO ERRORI NELL’ULTIMA SETTIMANA”… “LE SARDINE POSSONO SPOSTARE IL VOTO GIOVANILE”
A Bonaccini “manca il carisma”, Salvini è “un ignorante” e Borgonzoni “non saprebbe da che parte cominciare per governare l’Emilia-Romagna”.
Gianfranco Pasquino ci va giù pesante quando parla dei protagonisti delle elezioni regionali più attese degli ultimi anni. Il 26 gennaio in Emilia-Romagna si decide il nuovo governatore, ma — forse — anche il futuro del governo giallorosso.
“Vince chi fa meno errori nell’ultima settimana di campagna elettorale”, riflette il politologo, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna ed ex senatore (fu in parlamento con la Sinistra Indipendente e i Progressisti tra gli anni Ottanta e Novanta).
Professore, per oltre cinquant’anni le elezioni in Emilia-Romagna sono state poco più di una formalità per il centrosinistra. Adesso per la prima volta la partita sembra davvero aperta. Perchè?
La partita è aperta perchè la destra è cresciuta in questo paese e, in maniera un po’ sorprendente, anche in Emilia-Romagna: c’è un leader trascinante al quale piace fare campagna elettorale, che è Matteo Salvini, e c’è l’aspettativa che lui riesca a sconvolgere gli equilibri dell’Emilia-Romagna all’insegna di uno slogan ben scelto: “Liberate l’Emilia-Romagna dal controllo esercitato sulla regione prima dal Partito comunista e poi dal Partito democratico”.
In questa campagna elettorale, oltre ai candidati, c’è un nuovo protagonista: il popolo delle sardine. Che ruolo gioca questo movimento? E può spostare dei voti?
Il popolo delle sardine probabilmente sposterà dei voti, se — come sembra — è essenzialmente un movimento di giovani. I giovani generalmente non sempre votano la prima volta: se le sardine riusciranno a portare a votare una parte di questi giovani, potrebbe essere un vantaggio per Bonaccini.
Le elezioni dell’Emilia-Romagna non sono mai state così attese a livello nazionale. Se vince la Lega, cade il Governo?
Bonaccini fa bene a sottolineare che si vota per la Regione. Ma è chiaro che se il centrodestra riuscirà a ottenere questa vittoria aumenterebbero le pressioni sul presidente della Repubblica e da parte dell’opinione pubblica per andare a verificare il consenso dell’attuale governo nel paese. In queste elezioni regionali c’è, eccome, una valenza nazionale. E sarebbe sbagliato non sottolinearla.
Qualche anno fa si parlava molto della crisi del modello emiliano, oggi non se ne parla quasi più. Ma cos’è esattamente il modello emiliano? E oggi questo modello è in crisi?
Non ho mai pensato che il modello emiliano fosse in crisi. Quello che è in crisi è il partito che dovrebbe attuare questo modello: il Pd — come ha detto D’Alema in una memorabile espressione — è un’amalgama mal riuscito. Ed è mal riuscito anche in Emilia-Romagna.
Qual è — se c’è — il punto debole di Bonaccini? E qual è — se c’è — il punto debole di Salvini?
Il punto debole di Bonaccini è il carisma: Bonaccini non è riuscito a comunicare in maniera efficace tutto quello di buono che ha fatto. Salvini, invece, è uno straordinario comunicatore. Il suo punto debole è che è un ignorante. Molto spesso dice cose che non hanno nessuna corrispondenza con la realtà : è bravissimo a fare campagna elettorale, ma non mi pare abbia dimostrato di sapere fare anche il ministro. Non dimentichiamo, però, che la sfida non è tra Bonaccini e Salvini, ma tra Bonaccini e Borgonzoni. Per lei sono tutti punti deboli: la Borgonzoni non saprebbe da che parte cominciare per governare questa regione.
Faccia un pronostico: come finisce il 26 gennaio?
Manca troppo tempo. Molto conta la campagna elettorale, che può cambiare le preferenze di molti elettori: negli ultimi dieci anni l’elettorato è diventato estremamente volatile, per non dire volubile e quindi cambia il suo comportamento di voto, anche negli ultimi giorni. Chi commette meno errori nell’ultima settimana ha migliori possibilità di vincere.
(da TPI)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
NOMI FINITI NELL’INCHIESTA DELLA DDA DI CATANZARO, EX DI RIFONDAZIONE NELLA LISTA SANTELLI, DEM NELLA LISTA DELLA MELONI, EX DI SCOPELLITI NELLA LEGA: E’ UN CIRCO BARNUM DI SCAPPATI DI CASA
Quella che si concluderà il prossimo 26 gennaio in Calabria sarà la campagna elettorale dei transfughi che vogliono entrare in Consiglio regionale.
Se questa fosse la posta in gioco, il centrodestra avrebbe già vinto.
E se anche il Movimento 5 Stelle ne ha uno, come Alessia Bausone (ex tesserata Pd ed ex coordinatrice della mozione Boccia all’ultimo congresso del Partito Democratico), tra cambi di casacca e soggetti chiacchierati la coalizione guidata dalla deputata di Forza Italia, Jole Santelli, è quella che si è messa più in evidenza, riuscendo a candidare consiglieri regionali eletti cinque anni fa con il centrosinistra di Mario Oliverio.
Tra questi c’è Tonino Scalzo, oggi passato all’Udc ma fino a ieri con i “Moderati per la Calabria” assieme al consigliere Franco Sergio che, invece, si è candidato con “Santelli presidente”, nella stessa lista dove ci sono pure Vincenzo Pasqua (ex “Moderati per la Calabria”) e Mauro D’Acri che, nel 2014, stava con “Oliverio presidente”.
Il premio per il miglior salto della quaglia spetta, invece, al consigliere regionale Giuseppe Neri. Vicinissimo al Pd che cinque anni fa lo aveva candidato ed eletto nella lista “Moderati per la Calabria”, adesso Neri si è lanciato tra le braccia della Meloni e sosterrà Jole Santelli.
In Fratelli d’Italia si è ritrovato con il sindaco di Sant’Eufemia, Domenico Creazzo, scelto dal centrosinistra come vicepresidente del Parco nazionale d’Aspromonte, e con il consigliere comunale di Reggio Calabria, Demetrio Marino, che nel 2014 aveva sostenuto l’elezione del sindaco Falcomatà .
Lo aveva fatto anche Nicola Paris eletto a Palazzo San Giorgio, sede del comune di Reggio, con il centrosinistra tanto che aveva ricevuto dal primo cittadino pure deleghe importanti come quella per l’edilizia scolastica. Oggi Paris è candidato con l’Udc.
Forza Italia, invece, punta su Antonio Daffinà , detto Tonino, il cui nome (anche se non è indagato) compare nel verbale del pentito Andrea Mantella.
Verbale finito nelle carte dell’inchiesta “Rinascita” della Dda di Catanzaro dove, oltre ai rapporti tra la cosca Mancuso e i colletti bianchi, è possibile leggere la cartina dei massoni vibonesi tracciata dal collaboratore di giustizia.
Tra questi, il pentito Mantella inserisce proprio “Tonino Daffinà ” e altri personaggi locali. Tutti soggetti che, secondo il pentito, “avevano rapporti con la ‘ndrangheta, nel senso che gli chiedevano dei favori e loro si mettono a disposizione, per ottenere provvedimenti amministrativi e autorizzazioni, favori in ospedale, posti di lavoro”. Daffinà era stato commissario straordinario dell’Aterp (l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica) e in questa veste coinvolto nell’inchiesta sull’utilizzo dei fondi Ex Gescal per acquistare la sede dell’ente.
Nei suoi confronti, per quella vicenda, è stato chiesto il rinvio a giudizio, così come per il vicepresidente del Consiglio regionale Pino Gentile. Anche lui, “sempre eterno” della politica cosentina e fratello dell’ex sottosegretario Tonino Gentile, è candidato con la Santelli nella lista “Casa della Libertà ”.
Forza Italia, inoltre,candida anche Maria Grazia Pianura, moglie di Pasquale Farfaglia, l’ex sindaco del comune San Gregorio di Ippona, sciolto per infiltrazioni mafiose.
Nella lista “Santelli Presidente” un nome “degno” di nota è quello di Vito Pitaro, oggi folgorato sulla via del centrodestra ma in passato consigliere comunale di Rifondazione Comunista, assessore socialista e dirigente del Pd.
A 3800 euro al mese, inoltre, per cinque anni Pitaro è stato capostruttura del consigliere regionale del Partito Democratico Michelangelo Mirabello che, però, è rimasto fedele al centrosinistra ed è candidato nella lista “Democratici progressisti”. Ma Pitaro, nel vibonese, è noto soprattutto per essere un fedelissimo dell’ex parlamentare del Pd Brunello Censore la cui candidatura è stata bloccata dall’imprenditore Pippo Callipo.
Insieme, Pitaro e Censore compaiono nelle carte dell’inchiesta “Rinascita” che, il 19 dicembre, ha portato all’arresto di 334 persone considerate affiliate o contigue alla famiglia mafiosa Mancuso di Limbadi.
Nella richiesta di arresto, i pm riportano alcune frasi dell’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, finito ai domiciliari. Il politico locale è stato intercettato mentre parlava di Bruno Censore. Il deputato del Pd, “secondo le considerazioni di Giamborino — scrivono i pm — avrebbe condotto la campagna elettorale (le politiche del 2018, ndr) con il supporto di Pitaro Vito ed entrambi si sarebbero avvalsi dell’appoggio di persone ‘ad alto rischio’, esponenti della criminalità locale, per garantirsi il bacino di voti”.
E mentre la Procura di Gratteri continua a indagare sui rapporti tra mafia e politica, alla corte di Jole Santelli compaiono anche i fedelissimi di Giuseppe Scopelliti, l’ex governatore della Calabria condannato a 4 anni e 7 mesi nel processo sui conti del Comune di Reggio.
Dopo oltre due anni in carcere, Scopelliti sta ancora scontando la sua pena in semilibertà . E intanto i “suoi” hanno trovato casa nel partito di Salvini. Con la Lega, infatti, sono candidati il consigliere regionale Tilde Minasi e l’editore reggino Franco Recupero.
Sono in buona compagnia perchè in lista c’è l’ex sindaco di Taurianova Roy Biasi, ex assessore provinciale di Forza Italia e nel 2017 passato a FdI. Oggi, pure lui si è riscoperto leghista calabro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
SUICIDIO ASSISTITO, SENTENZA STORICA E CORAGGIOSA DELLA CORTE D’ASSISE DI MILANO
Pochi giorni fa, la corte d’Assiste di Milano, così come richiesto dalla Procura, ha assolto Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio del dj Fabo “perchè il fatto non sussiste”. Decisiva è stata la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso settembre.
Chiamata a pronunciarsi sulla specifica questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso del giudizio di merito in essere innanzi alla predetta Corte di Assise, il Giudice Costituzionale, in costanza dell’ennesima carenza dell’Italico Legislatore, ha pronunciato una sentenza, nello stesso tempo, storica e “coraggiosa”.
Fa d’uopo precisare, e fin da subito, che la decisione in parola non interviene in materia di eutanasia ma sulla diversa fattispecie del suicidio assistito.
Ed invero, mentre nel suicidio assistito, il farmaco necessario a procurare l’evento morte viene assunto direttamente ed autonomamente dal malato, nel caso dell’eutanasia il medico ha un ruolo fondamentale perchè, nell’ipotesi di eutanasia attiva, somministra direttamente il farmaco necessario a produrre l’evento di che trattasi; in quella passiva, invece, sospende le cure ovvero spegne i macchinari che tengono in vita la persona.
Nel nostro ordinamento giuridico, l’eutanasia attiva, il suicidio assistito e l’aiuto al suicidio sono vietati.
L’art. 580, 1° comma, del Codice Penale, invero, sancisce che “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima”.
L’eutanasia passiva, invece, dal gennaio del 2018 è regolata dalla Legge sul Testamento Biologico a tenore della quale nessun trattamento sanitario — ivi comprese la nutrizione e l’idratazione artificiali — può essere iniziato o proseguito senza il consenso «libero ed informato» della persona interessata che può, per l’effetto, rifiutarsi di sottoporvisi, anche preventivamente, ed anche se questo dovesse procurargli la morte.
La sentenza della Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sul caso del Cappato, ha statuito la non punibilità di «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente, autonomamente e liberamente formatosi».
Quanto innanzi, comunque, soltanto a determinate condizioni.
Ed invero, dovrà trattarsi di paziente: 1) «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale»; 2) «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili»; 3) «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Nel relativo comunicato, la Corte ha spiegato: 1) di aver subordinato la non punibilità al rispetto della legge sul testamento biologico; 2) che la non punibilità è subordinata anche alla verifica delle condizioni richieste e «delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».
All’inerzia ed alla carenza di coraggio delle forze politiche e, quindi, del Legislatore, ha supplito l’audacia, fervente ed illuminata, dei giudici, insomma.
Per quanto si tratti della sentenza “di un caso singolo”, “la tutela della fragilità umana” ha, finalmente, prevalso sul principio della “sacralità della vita”: nelle more di un doveroso intervento da parte del Parlamento, o del legislatore delegato, saranno dunque i giudici a dover giudicare, singolarmente, e caso per caso.
Da pochi giorni, però, avranno uno strumento in più per far sì che il diritto, applicato alla realtà , diventi una “giusta giustizia”.
Salvatore Totò Castello
Right BLU – La Destra liberale
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
QUEL MASCHILISMO DA SFIGATI CHE A CORTO DI ARGOMENTI SI MANIFESTA IN INSULTI SESSISTI IN UN CONSIGLIO COMUNALE
La consigliera comunale del MoVimento 5 Stelle di Tricase Francesca Sòdero ha raccontato su Facebook di essere stata insultata da un altro consigliere al grido di “dovrebbe trombare più spesso”.
“Questo avviene anche nel Consiglio Comunale di Tricase, in seno al quale ho dovuto sopportare sin dal principio del mandato, aggressioni sessiste ed esternazioni maschiliste da manuale. Ho sempre risposto con leggerezza ed a tono, perchè sotto sotto percepisco la frustrazione degli uomini che si dedicano a tali tristi pratiche e ne ho solitamente compassione. Tuttavia, a tutto c’è un limite e non intendo tollerare oltre queste “confidenze”, ragion per cui chiederò alla Presidente della Commissione per le Pari Opportunità Alessandra Ferrari di farsi portavoce, nel prossimo Consiglio Comunale, di una richiesta di scuse da parte del consigliere comunale che mi ha inviata a “trombare più spesso”, dopo l’ultimo Consiglio del 19 dicembre, alla presenza del Presidente del Consiglio e di altri consiglieri e cittadini.
Al consigliere farò notare come nessuna uscita malsana come questa egli abbia mai indirizzato ai consiglieri uomini che pure in Consiglio Comunale perdono la pazienza.”
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
ARRIVATO DALLA NIGERIA, HA 35 ANNI E IL SOGNO DI FARE IL SALDATORE: “APPENA TROVERO’ UN LAVORO VORREI PORTARE QUI A MILANO ANCHE I MIEI DUE BAMBINI”
Armato di rastrello e sacchi gialli, da tre settimane raccoglie le foglie sul viale alberato di corso Lodi.
Sunday ha 35 anni, arriva dalla Nigeria ed è in Italia da due anni e mezzo. Con lo status di rifugiato vive in una comunità a Varese, ma ogni mattina prende il treno, scende a Rogoredo, e pulisce un pezzo di pista ciclabile.
Più o meno dal civico 113 fino a piazzale Corvetto. “Un giorno ero qui e mi sono accorto di quanto è sporca questa zona, così ho avuto l’idea di fare qualcosa di utile per il Paese che mi ospita”.
È quello che ha scritto su un cartello che lascia ogni mattina al centro della pista ciclabile, sotto un barattolo cilindrico di patatine dove raccoglie le offerte di chi passa. “Desidero integrarmi onestamente nella vostra città senza chiedere l’elemosina – ha scritto – . Da oggi terrò pulite le vostre strade, a chi volesse chiedo un piccolo contributo per il mio lavoro. Buste, scope e palette sono ben accetti. Chi avesse bisogno per qualche lavoretto può chiamarmi”.
Sunday è cattolico, e spiega l’iniziativa con una frase della Bibbia. “‘È meglio il poco del giusto che la grande abbondanza dei malvagi’ – dice sorridendo – . I soldi non sono la cosa più importante. Lo faccio per rendermi utile”.
Molti passanti lo notano. Qualcuno lascia delle monete nella scatola, una donna gli mette una banconota nella mani, altri si fermano a parlarci. “Hai bisogno di scarpe o vestiti? – gli chiede una coppia di ragazzi – . Se sei qui tra mezz’ora, ti porto qualcosa”.
Sunday arriva ogni mattina intorno alle 9 e resta a pulire corso Lodi fino alle due del pomeriggio. Poi torna a Varese. “Qui non pulisce mai nessuno, è sempre sporco – dice una signora – . Questo ragazzo lo vedo ogni giorno, si rende utile, è bello che qualcuno si occupi di questa zona”.
Sunday ha attraversato l’Africa e il Mediterraneo. È sbarcato in Calabria, poi è arrivato al Nord. “A Lagos ho lasciato i miei figli di 12 e 9 anni. Vivono con i miei parenti. Il mio sogno è farli arrivare in Italia, ma devo prima trovare un lavoro. In Nigeria ho lavorato per otto anni come saldatore. Qui vorrei fare una corso professionale e fare lo stesso lavoro”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
KURZ: “SUPERATO I PUNTI CRITICI”… GLI ECOLOGISTI CONVOCANO L’ASSEMBLEA DEL PARTITO
A tre mesi dalle elezioni politiche, in Austria i conservatori del Partito popolare (Oevp) di Sebastian Kurz e i Verdi di Werner Kogler hanno raggiunto un accordo per formare un governo di cui per la prima volta faranno parte anche esponenti del partito ecologista.
Kurz ha corteggiato i Verdi da maggio, quando la sua coalizione con l’estrema destra è crollata in seguito a uno scandalo che ha portato alle elezioni anticipate e all’allontanamento di Heinz-Christian Strache.
Kurz, 33 anni, e Kogler hanno dichiarato di voler concludere i negoziati entro la metà della prossima settimana. “Il traguardo non è stato ancora superato, ma le grandi pietre sulla strada per formare un governo insieme sono state spostate da entrambe le parti”, ha detto Kurz in una dichiarazione congiunta con Kogler all’agenzia di stampa austriaca Apa.
Kogler ha affermato che “poche questioni importanti” sono rimaste da risolvere e che molte divergenze apparentemente “incolmabili” sono state già superate.
I Verdi terranno un congresso il 4 gennaio, il cui voto – secondo lo statuto del partito – è vincolante per un’entrata nell’esecutivo. Il giuramento, secondo la stampa austriaca, potrebbe avvenire già il 7 gennaio.
Secondo il quotidiano Salzbuger Nachrichten, i ministeri di peso (esteri, interni, finanze, economia, istruzione e agricoltura) vanno alla Oevp, mentre i Verdi guideranno, oltre al ‘superministero’ infrastrutture-ambiente-energia, anche giustizia, salute e affari sociali.
Sotto la guida verde tornerebbe anche il ministero alla cultura, che durante gli scorsi esecutivi non è stato un ministero autonomo.
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
LIBIA NEL CAOS: HAFTAR VUOLE BLOCCARE LA PRODUZIONE DEL PETROLIO MENTRE AL SARRAJ SI AFFIDA A DEI CRIMINALI… E MOLTI CIVILI LIBICI CERCHERANNO DI FUGGIRE ALLA GUERRA
Il generale chiude i rubinetti. E minaccia la bolletta petrolifera dell’Italia. La guerra per procura che si combatte in Libia è anche, e per certi versi soprattutto, una guerra per l’oro nero. Gli attori esterni che sostengono il fronte-Haftar o quello di al-Sarraj, sono mossi, in primis, dalla volontà di accaparrarsi le fette più sostanziose della “torta” petrolifera. Per Roma è allarme rosso.
Obiettivo Zawiya
La compagnia petrolifera statale libica Noc sta considerando la chiusura del suo porto occidentale di Zawiya e sta evacuando il personale della raffineria situata lì a causa di scontri nelle vicinanze, secondo quanto riferito sabato in una nota.
Il Noc potrebbe anche chiudere il giacimento di petrolio di El Sharara, il cui greggio viene esportato attraverso il porto di Zawiya, afferma la dichiarazione, aggiungendo che nelle ultime 48 ore, tre bombe hanno colpito vicino ai suoi serbatoi di petrolio.
Il sito petrolifero di El Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, ha una capacità di produzione di circa 315.000 barili al giorno, quasi un terzo della produzione libica totale.
Mustafa Sanallah, il presidente del consiglio di amministrazione della Libyan Oil Corporation, ha dichiarato che interrompere le operazioni nel porto di Zawiya porterebbe a una riduzione della produzione di petrolio libica di non meno di 300.000 barili al giorno.
Nei giorni scorsi, Zawiya è stata al centro di scontri tra gruppi armati, durante i quali un missile ha quasi colpito il complesso petrolifero. Le forze alleate del Governo di Accordo Nazionale (Gna), riconosciuto internazionalmente, hanno accusato venerdì forze orientali fedeli a Haftar di aver tentato di attaccare il complesso portuale petrolifero. E questo col sostegno di Ankara.
Miliziani sul campo
La Turchia che, per voce del ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, ha fatto capire che le intenzioni di Ankara sono quelle di prevenire il propagarsi dell’instabilità ad altri Paesi della regione, così come è avvenuto in Siria. “Se oggi la Libia diventa come la Siria, poi (le rivolte, ndr) potrebbero propagarsi agli altri Paesi della regione. Dobbiamo fare tutto quanto è in nostro potere affinchè la Libia non venga divisa e non piombi nel caos, ed è proprio quello che stiamo facendo. Noi trattiamo con il governo legittimo del Paese”, ha spiegato Cavusoglu, sottolineando l’importanza dell’accordo militare siglato con Sarraj.
Ormai, dunque, è davvero questione di ore perchè la mozione sull’invio delle truppe di Ankara in territorio libico venga discussa in Parlamento, come anticipato qualche giorno fa dal presidente Erdogan, ed è sempre più probabile che il conflitto nel Paese nordafricano veda l’inserimento di un nuovo, potente fattore che potrebbe di fatto cambiare le sorti della seconda guerra civile libica.
A conferma diquanto sostenuto da Globalist fin dai primi giorni, circa 300 ribelli siriani, cooptati dalla Turchia, sono stati già inviati a Tripoli per combattere a fianco dell’esercito libico di Sarraj contro l’offensiva di Haftar.
Lo riportano diversi media internazionali citando l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Altri 900-1000 miliziani sarebbero stati invece trasferiti in campi di addestramento turchi in attesa di partire per la Libia. Secondo le stesse fonti l’ingaggio avrebbe una durata di 3-6 mesi ed un compenso tra i 2 mila ed i 2.500 dollari.
Il centro di reclutamento è ad Afrin, ossia la città a forte presenza curda già oggetto di una pulizia etnica e che i jihadisti filo-turchi pagati dal Sultano hanno conquistato nei mesi precedenti alla conquista del Rojava.
Sia nel primo che nel secondo caso i mercenari si sono resi responsabili di crimini di guerra.
I qaedisti di Al Nusra combattono per Serraj (e Erdogan)
Da parte sua, Mervan Qamishlo, portavoce della principale alleanza armata che combatte le truppe di Ankara, le forze democratiche siriane, ha confermato alla Efe che centinaia di combattenti del cosiddetto Fronte al-Nusra (considerato per lungo tempo la filiale siriana di al Qaeda), dello Stato islamico e dell’Esercito libero siriano, una fazione piu’ moderata, si sono trasferiti in Libia: alcuni si trovavano nei territori a Est del fiume Eufrate e altri a Ovest, a Idlib e Afri’n, dove sono presenti le truppe turche che hanno espulso le forze curde con il sostegno dei miliziani siriani che si opponevano al governo di Damasco.
La guerra del petrolio
Nei mesi scorsi la Noc, ha denunciato il tentativo delle autorità di Beida, in Cirenaica, di esportare illegalmente 650.000 barili di petrolio questa settimana. Lo rende noto la stessa compagnia petrolifera in un comunicato. “La Agoco, una nostra sussidiaria nell’est del Paese, ha avuto istruzioni da un funzionario di Beida di rifornire un cargo al terminal di Marsa-el Hariga”, ha spiegato il capo della Noc, Mustafa Sanalla, aggiungendo di aver informato il “primo ministro Sarraj ed il Consiglio Presidenziale, che ha compreso subito l’importanza della questione”.
Il “caos petrolifero” ha un volto e un nome che ben lo raffigura: quello di Ibrahim Jadhran, il giovane capo delle Petroleum facilities guard, i miliziani che hanno in mano il pallino della produzione petrolifera, con le occupazioni e le incursioni di questi mesi. Il comandante Jadhran ha dato vita nelle scorse settimane al Governo autonomo della Cirenaica, facciata “istituzionale” dietro alla quale si celano mai sopite rivalità tribali e, soprattutto, gli appetiti milionari di bande capaci di tenere sotto scacco, e sotto ricatto, le più importanti major petrolifere che operano in suolo libico: la francese Total, l’Eni dell’Italia, la China National Petroleum Corp (CNPC), la British Petroleum, il consorzio petrolifero spagnolo Repsol, e poi Exxon Mobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Philps.
Jadrhan promette di mettere fine agli scioperi qualora il governo centrale di Tripoli accetti una serie di condizioni tra cui il riconoscimento dell’indipendenza della Cirenaica.
La sua brigata Hamza composta da migliaia di uomini armati in passato aveva conquistato i porti petroliferi di Es Sider, Brega e Ras Lanuf bloccando la vendita di petrolio e facendo perdere al suo Paese circa 5 miliardi di dollari.
Secondo Jadhran, Tripoli vende il petrolio estratto in Cirenaica ma non restituisce poi alla regione abbastanza di quanto guadagnato: «Il petrolio dovrebbe beneficiare tutto il popolo libico, ma non è così». Quella che è in atto è una lotta senza esclusione di colpi tra le tribù delle tre regioni Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, che rivendicano più poteri e una fetta più consistente della miliardaria “torta petrolifera”, e un potere centrale sempre più debole e delegittimato. Il petrolio libico è di altissima qualità , estremamente facile da raffinare.
La gran parte viene spedita verso l’Europa, principalmente in Francia e in Italia.Le ricadute di questa guerra dei pozzi sui mercati petroliferi possono essere devastanti. Soprattutto per quei Paesi che molto dipendono dalle forniture libiche. Tra questi Paesi, c’è, per l’appunto, l’Italia.
Al centro della contesa armata tra milizie locali vi sono anche gli oleodotti, una rete lunga centinaia di chilometri che si snoda dall’interno verso la costa
Ma la questione che più preoccupa i produttori è quella della Cirenaica, la provincia orientale della Libia, quella al centro di intense rivendicazioni federaliste: si teme, insomma, che le tensioni politiche possano culminare in un blocco prolungato di porti pesanti sul piano del traffico petrolifero come Marsa el Brega, Zuetina, Bengasi e Marsa el Hariga, i centri che distribuiscono il greggio in arrivo da Sarir.
Oltre alle tensioni con le milizie e le tribù, a rendere ancor più precaria la situazione, e a rischio la nostra bolletta petrolifera, è la crescita del movimento islamista, in particolare delle brigate Ansar al-Shariah, quelle accusate per l’attentato alla sede diplomatica Usa di Bengasi, nel quale fu ucciso l’ambasciatore Chris Stevens.
Dato che il Paese dipende per il 97% delle sue esportazioni dagli idrocarburi, e che tutti i libici ricevono sussidi e prebende dallo Stato, è facile capire come il tracollo della produzione sia una bomba a tempo che rischia di far esplodere la polveriera libica, con effetti destabilizzanti anche per gli altri Paesi della regione, Algeria e Tunisia in primis. A rendere ancor più complicata e ingovernabile la situazione sono le minoranze tuareg e amazigh (berberi) che hanno cominciato a protestare contro la loro marginalizzazione, inscenando proteste davanti ad alcuni terminal e pozzi petroliferi del Paese.
Senza tregua
“Bombardamenti indiscriminati da parte delle milizie di Haftar hanno colpito il comune di Abu Slim (a sud di Tripoli ndr), provocando il ferimento di almeno 6 civili, tra cui un bambino in condizioni critiche, oltre alla morte di 1 civile a causa di un proiettile che lo ha colpito mentre usciva da una moschea”.
E’ quanto si legge in un tweet dell’operazione “Vulcano di rabbia” del governo di accordo nazionale libico (Gna). Al centro della “partita libica” vi sono due player: Russia e Turca.
Rimarca in proposito, in una intervista a Il Sussidario.net il generale Marco Bertolini, già capo di stato maggiore della Extraction Force della Nato: “Alla Russia una Libia unita sotto la bandiera dell’Onu non conviene, la bandiera Onu vuol dire Stati Uniti, che hanno da sempre il controllo del Palazzo di Vetro. La Russia invece ha bisogno di avere un alleato in un Paese che, oltre alla Siria, sia utile per le esigenze della flotta del Mar Nero. La Russia punta a una divisione”, rimarca Bertolini.
E su questa linea può nascere il patto Putin-Erdogan: Anche la Turchia vuole la divisione — aggiunge Bertolini-. Limitando magari la sua area di influenza alla Tripolitania che è la zona più evoluta anche se meno ricca di petrolio. Che si siano messi d’accordo è una cosa possibile, e soprattutto fa fuori gli americani”.
Per quanto riguarda l’Italia, il giudizio dell’ex di stato maggiore della Extration Force della Nato è tranchant: “Noi siamo cornuti e mazziati. Abbiamo avuto dall’inizio la possibilità di esercitare un’influenza, ma dire oggi che la soluzione è solo politica e non militare è pura retorica e niente altro. Ovvio che tutti vorrebbero la soluzione politica, anche chi si fa la guerra, ma se passano alle maniere forti è perchè non hanno altri strumenti”
L’offensiva su Tripoli scatenata dalle forze che fanno riferimento al generale Khalifa Haftar contro ciò che resta del fronte fedele al Gna di Fayez al-Sarraj, ha già provocato ricadute negative per l’Italia in un campo cruciale, quale è , per l’appunto, quello petrolifero.
Molte aziende si sono già ritirate con perdite economiche molto pesanti. In Libia i nostri investimenti non sono più tutelati”, avverte Michele Marsiglia, presidente della FederPetroli Italia, che rappresenta le aziende petrolifere nel settore che va dalle risorse minerarie, dai pozzi alle piattaforme, alla distribuzione di carburante al “non oil”. . E racconta che “già da un anno le nostre aziende non riescono a fare incontri d’affari a Tripoli perchè non è sicuro…”.
(da Globalist)
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