Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
A LUGLIO CHIEDEVA AGLI ITALIANI DI SALVARE I 117 CANI RIMASTI NELLA STRUTTURA QUANDO POTEVA PENSARCI LUI COME MINISTRO… L’ENPA DENUNCIA: “NESSUNO HA MOSSO UN DITO, ORA SONO SOLO 67 PERCHE’ MOLTI SONO STATI INVESTITI O SI SONO ALLONTANATI O SONO STATI AVVELENATI”
«Amici, abbiamo bisogno di voi! 117 cani sono gli ultimi ospiti del CARA di Mineo che come promesso ieri abbiamo chiuso, risparmiando un sacco di soldi. Entro il 31 agosto questi amici devono trovare una nuova casa!».
Era l’11 luglio e tutto andava bene: Matteo Salvini era ministro dell’Interno, il governo gialloverde sarebbe durato fino al 2023 e il titolare del Viminale dopo aver sgomberato il CARA di Mineo (aperto da un suo predecessore leghista) aveva addirittura il tempo di occuparsi dei cagnolini abbandonati.
I poveri quadrupedi erano quelli rimasti soli all’interno del CARA di Mineo.
Salvini aveva invitato i suoi amici di Facebook a contribuire alla causa adottando o facendo un’offerta per le povere creature senza una casa.
Manco fosse un’influencer qualsiasi e non il ministro dell’Interno Salvini chiedeva ai suoi follower di dare una mano a risolvere una situazione cui avrebbero dovuto provvedere lo Stato e il comune.
Salvini fece anche un simpatico video-appello per il salvataggio dei cani rimasti in quello che definì «centro commerciale di carne umana» per invitare quante più persone possibile a salvare i cagnolini.
C’era da salvare un centinaio di cani e Salvini non aveva alcuna intenzione di farlo da solo anche se ogni giorno volontari e animalisti salvano e fanno adottare cani, gatti, conigli e addirittura cavalli con una microscopica frazione delle risorse (social e non) a disposizione dell’allora ministro dell’Interno.
Addirittura quando Repubblica fece notare che Salvini cacciava i migranti ma aiutava i cani il ministro se la prese dicendo che era roba da matti. «Provo ad aiutare 117 cani abbandonati? Alla sinistra non va bene nemmeno questo».
Certo Salvini non parlava della denuncia di Giuseppe Cannella, psichiatra del Medu che aveva detto che «il ministro ha abbandonato decine di migranti in difficoltà . I più deboli sono stati lasciati soli. Siamo usciti in macchina a cercarli per strada. Due nostri pazienti psichiatrici non li abbiamo ancora trovati. Ministro, si vergogni».
Si sa che per alcuni i cani sono meglio delle persone, soprattutto quando quelle persone sono delle “non persone” come i migranti.
Ma evidentemente la solidarietà dei fan di Salvini non è arrivata così copiosa (del resto sono gli stessi che all’idea di donare per la vedova di Mario Cerciello Rega hanno detto che se ne doveva occupare lo Stato) perchè i cani sono ancora tutti lì.
Spenti i riflettori sull’ennesimo successo del super ministro la situazione non è cambiata.
A denunciare la situazione è Carla Rocchi, presidente nazionale dell’ENPA: «dopo la chiusura, a luglio, del Cara di Mineo, gli oltre cento cani che vivevano nel centro sono stati lasciati soli, senza la presenza umana. Solo noi e l’Amministrazione comunale ci siamo presi cura di loro, ma ora c’è una emergenza: entro Natale, la struttura deve essere liberata».
ENPA ha scritto al ministro Lamorgese chiedendo che «il Viminale faccia la sua parte in questa disperata corsa contro il tempo» e ricordando che a luglio «i cani erano 117, molti dei quali da noi sterilizzati e vaccinati in una missione Enpa coordinata con la Asp locale d’intesa con la Prefettura di Catania. Da subito, con l’Amministrazione comunale di Mineo ci siamo preoccupati dell’alimentazione degli animali e abbiamo avviato una campagna di adozioni. Tuttavia, lasciati improvvisamente soli e senza la presenza umana, molti cani sono andati altrove, altri sono morti investiti dalle automobili o vittime di avvelenamenti».
Insomma molti cani sono scappati o sono morti, e alcuni sono stati adottati ed ora all’ex CARA di Mineo ne rimangono 67.
Secondo ENPA «siamo in una situazione di emergenza: entro Natale la struttura, per volere della proprietà , deve essere liberata dalla presenza dei cani». Chissà magari Salvini ora che on è più ministro potrebbe fare un altro video appello, quelli sono gratis.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
SOTTO ACCUSA LA GESTIONE VERTICISTICA DI DI MAIO… E LE PROMESSE DI ESSERE CANDIDATI NELLA LEGA FANNO IL RESTO
“Siamo stati sistematicamente i-g-n-o-r-a-t-i!”. Ugo Grassi urla nella penombra di un corridoio accanto all’aula del Senato. Urla il senatore dei 5 stelle, mentre il primo presidente della Repubblica Enrico De Nicola lo osserva con un’espressione quasi divertita da un busto bronzeo appena un metro più in là , mentre il volto del compagno di partito Francesco Urraro, in carne e ossa di fronte a lui, è pietrificato. “Glie l’ho detto ad Alfonso che quelle norme erano incostituzionali”, continua ad alzare la voce, a gesticolare, accennando a un colloquio di sfuggita avuto con il ministro Bonafede. “Glie l’ho detto – continua – non mi ha mai risposto”.
Il voto sul Mes è stato il vaso di Pandora che ha stappato i miasmi del partito pentastellato. La marmellata gialla cola da tutte le parti. Grassi certificherà di lì a poco il suo addio di fatto al Movimento, non votando il testo della maggioranza e dando disco verde a quello del centrodestra. Ma sono in quattro a smottare. C’è Urraro, elegante avvocato napoletano a dire di no. Silente e abbottonato, il borsino di giornata dà anche lui in avvicinamento al Carroccio. C’è Gianluigi Paragone, che spiega che il suo voto in dissenso è frutto delle sue storiche posizioni eurocritiche e che no, questo non vuol dire che lascerà i 5 stelle. C’è infine lo spoletino Stefano Lucidi, che nel minuto a disposizione si alza, isolato dai colleghi, e intona un j’accuse interrotto dalle urla dei suoi compagni: “Una cosa ha sempre premiato i 5 stelle, la coerenza. E siccome qualche elezione la stiamo perdendo, io qualche domanda me la farei”. Si interrompe. Vede un pentastellato urlargli contro, muove il palmo della mano dall’alto verso il basso: “Stai calmo, stai molto calmo!”. Riprende tirando una bordata ad effetto: “Le elezioni in Umbria sono state un esperimento. Non sono una cavia nè un criceto. Esco dalla ruota e voto no”.
In molti in sala Garibaldi, il Transatlantico del Senato, notano malignamente come nel giorno clou Luigi Di Maio non stia a Roma, ma in missione in Albania. Da Tirana il capo politico M5s decide di reagire stroncando sul nascere la fronda, facendole terra bruciata intorno: “Matteo Salvini ha deciso di aprire il mercato delle vacche. Mi auguro che a questo mercato non partecipi nessuno.
Paragona quel che succede oggi con “quel che faceva Berlusconi con De Gregorio”, si augura che “qualora ci fossero gli estremi la magistratura verifichi”. Alla buvette Alberto Airola scuote la testa nel sentire le voci su altri dei suoi che potrebbero trasmigrare. Il suo attacco è anche una frecciata alla leadership: “Da noi c’è molto verticismo, ma se ne vanno nella Lega, dove non c’è nient’altro che il vertice”.
“Una casa frana sempre e solo dall’interno”, scriveva il poeta Charles Pèguy.
Per ora è uno smottamento. Grassi è già con la testa da un’altra parte: “Qualche tempo fa ho parlato con Salvini – racconta – Gli ho chiesto cosa gli avrebbero fatto i suoi se avesse perso 6 milioni di voti e mi ha risposto che lo avrebbero defenestrato”. Urraro potrebbe seguirlo, Lucidi sta decidendo in queste ore.
Solo il lavoro di Federico D’Incà , ministro per i Rapporti con il Parlamento, e di un altro paio di mediatori ha sventato il passaggio di Luigi Di Marzio al Misto.
Lo stesso ministro che di buon mattino aveva capito che la palla di neve poteva trasformarsi in valanga, e aveva recapitato un messaggio in bottiglia a Forza Italia e ai centristi: “I numeri sono bassi, qualche vostra assenza potrebbe aiutare (saranno in otto gli azzurri che non parteciperanno al voto).
“Il problema non è il Mes – spiega un senatore bevendo un’aranciata in buvette – il problema è che Luigi governa come fosse a capo di un Politbjuro. Ma se dico Politbjuro ai miei colleghi nemmeno capiscono che significa, capisci come stiamo messi?”.
Qualcuno chiede velenoso “ma perchè, Urraro è dei 5 stelle?”, qualcun altro sibila che “Grassi e Urraro hanno già un posto in lista in Campania”.
Molti però capiscono la scelta: “Luigi si è chiuso in un isolamento stupido”, dice un gruppetto di pentastellati.
C’è chi dà in uscita anche Virginia La Mura, chi fa notare che la sarda Vittoria Deledda non ha partecipato al voto sulla mozione, chi punta il dito contro Emiliano Feno, isolano anche lui, chi guarda a Alfonso Ciampolillo, anch’egli non votante.
Il tutto al netto di Paragone, che al momento non ha nessuna intenzione di fare le valige, e di Elio Lannutti, che un collega etichetta come “totalmente fuori controllo”. I senatori escono dall’aula quasi zompettando, gongolanti perchè la spallata di Matteo Salvini non ha dato i frutti sperati. Per sapere se il sorriso si trasformerà in un ghigno di disapprovazione bisognerà attendere le prossime settimane.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
PROFILO DELLA PRIMA PRESIDENTE DONNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Precisa, puntuale, acuta. L’opinione pubblica ha conosciuto il suo nome e il suo volto incorniciato dal caschetto, quest’estate, a fine agosto quando – apertasi la crisi di governo gialloverde – il suo nome è stato fatto come possibile nuovo presidente del Consiglio.
Ma dopo qualche giorno di rumors, Marta Cartabia, vicepresidente della Corte dal 2014 ha smentito l’ipotesi. “L’incarico alla Corte costituzionale, che mi è stato affidato otto anni fa e che si concluderà nel settembre 2020, richiede grande impegno e responsabilità e intendo portarlo a compimento per il valore che la Costituzione gli attribuisce per la vita del Paese e soprattutto per quella di ogni singola persona”, dichiarò allora.
Com’è noto, l’impegno di giudice di palazzo della Consulta dura nove anni, e lei, babyboomer , nata nel 1963, ordinario di diritto costituzionale a Milano Bicocca (relatore della sua tesi di laurea un altro presidente della Corte Valerio Onida), è stata nominata, lei cattolica, all’Alta Corte dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel settembre 2011.
Il nome di Cartabia come possibile premier non era uscito a caso, ma come quello di una personalità che avrebbe potuto garantire la discontinuità chiesta dal Pd per una possibile alleanza con il M5s.
Già nel 2018 aveva pensato alla giurista il Presidente Sergio Mattarella per guidare un governo neutrale per traghettare il Paese verso nuove elezioni.
Già da queste poche note emerge il primo tratto decisivo del nuovo presidente della Corte Costituzionale (che ha scritto un libro a quattro mani con Luciano Violante, “Giustizia e Mito”): una levatura altissima, al di sopra delle parti, centrata sui valori della Costituzione.
Ma la riga finale del suo comunicato di agosto, il riferimento ai valore che la “Costituzione attribuisce per la vita del Paese, e soprattutto per quella di ogni singola persona”, è indice di una sua preoccupazione umana costante nell’esercizio della sua funzione di giudice.
Il giudice non come asettica “bocca della legge”, ma il giudice “con il cuore di Salomone”, inteso come il mitico re biblico dell’Antico Testamento, esempio estremo di saggezza che per “scoprire” la vera madre di un neonato conteso tra due donne, ordinò di tagliare in due il bambino, sicuro, come poi avvenne, che la vera madre sarebbe stata quella che avrebbe lasciato suo figlio all’altra donna, affinchè vivesse.
Tanto che Marta Cartabia ha curato un volume proprio dedicato a “La legge di Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI” insieme ad Andrea Simoncini dell’Università di Firenze.
Un altro tratto distintivo della Cartabia è il rapporto molto stretto con il Presidente della Repubblica, Mattarella, nonostante siano quasi “opposti”. Lui, uomo, più anziano, siciliano, “cattolico democratico”.
Lei, la più giovane Presidente della Consulta, donna, lombarda, cattolica, vicina fin dall’Università , a CL.
Quella tra Cartabia e Mattarella è cementata dal fatto che, dopo la morte della moglie e prima dell’elezione al Quirinale, Mattarella ha vissuto nella foresteria della Corte Costituzionale, dove alloggiano il presidente e i vicepresidenti, tra cui la Cartabia appunto, quando sono a Roma, a due passi a piedi dal Palazzo della Consulta.
Per tre anni Cartabia è stata la sua vicina di pianerottolo in poco più di sessanta metri quadri. Due stanze (una camera da letto e una seconda camera adibita a studio), bagno, salotto con angolo cottura. Mobili di noce scuro, pareti sempre pulite e fresche di tinteggiatura, ma l’arredamento non ha niente di più che non sia l’essenziale. Quasi fosse studente fuori sede.
Il terzo tratto della Cartabia che vale la pena sottolineare è la conoscenza del diritto internazionale e comparato (tra l’altro è stata allieva di Joseph Weiler, eminente giurista ebreo, titolare della cattedra Jean Monnet della New York Law School), molto importante in questo periodo di transizione globale.
Già nel 2006 ha curato un volume (Rubettino) che ha pubblicato in Italia alcuni saggi di Mary Ann Glendon, docente di Harvard (che è stata professore anche dell’attuale Segretario di Stato americano, Mike Pompeo), “Tradizioni in subbuglio”, saggi comparsi su riviste giuridiche americane: riflessioni storiche e teoriche sulle condizioni per lo sviluppo della democrazia, sul ruolo dei giudici nei sistemi di civil law e di common law; sulle tematiche generali dei diritti umani alla libertà di religione e al diritto di famiglia.
Marta Cartabia ha 3 figli e ama la montagna (ad agosto, mentre di lei si parlava come possibile prima donna premier lei era impegnata nella scalata della vetta del Gran Paradiso), il trekking e la musica rock, e corre con nelle cuffie la musica dei Beatles e dei Metallica.
Ha sempre conciliato le responsabilità cui è stata chiamata, con la sua famiglia: “Penso che questo duplice aspetto della mia vita mi aiuti a mantenere un pizzico di equilibrio”, ha dichiarato di recente.
Tutte queste caratteristiche che fanno della Cartabia, il giudice gentile con il cuore del Re Salomone, a 56 anni, una vera e propria riserva della Repubblica.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
IL CALO DEL 60% DEL TASSO DI POVERTA’ NON ESISTE NEI DATI INPS
Numeri fantasiosi, al limite della propaganda, e dove trovarli. Qualche giorno fa il Movimento 5 Stelle ha esultato sui social facendo tirare un sospiro di sollievo a molti italiani: il reddito di cittadinanza sta funzionando e a dirlo sono i dati dell’Inps.
E si parla di cifre citate dal presidente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Pasquale Tridico, che ha parlato di un calo del 60% del tasso di povertà .
Un numero elevatissimo che giustificherebbe anche quel pugno alzato verso il cielo di Palazzo Chigi (scena reale di un inizio autunno 2018). Ma l’abolizione povertà non è così come viene raccontata.
A svelare l’inesistenza di quel numero così consistente è stato il giornalista de Il Foglio Luciano Capone che ha scartabellato tra i rapporti dell’Inps facendo un’amara sorpresa. Quel -60% non esiste. Da nessuna parte.
Numeri straordinari, dunque. Ma c’è stata davvero l’abolizione povertà in Italia? Quei numeri sono reali?
Sta di fatto che il Movimento 5 Stelle ha deciso di prenderli per buoni così come sono, senza verificare a fondo la realtà e postando sui social immagini trionfanti in cui si parla degli effetti del reddito di cittadinanza dopo i suoi primi sei mesi di esistenza.
Combattere è già un primo passo, ma la battaglia deve mostrare numeri reali.
Luciano Capone, con un lungo thread su Twitter e con un articolo pubblicato su Il Foglio, ha spiegato bene perchè i conti non tornino da nessuna parte.
Nessun documenti ufficiale dell’Inps, infatti, riporta quel dato che darebbe adito all’abolizione della povertà .
Un lavoro di verifica che Luciano Capone ha fatto, confermando come quei dati siano inesatti, inesistenti o comunque molto fantasiosi.
Stime approssimative che parlano per valore assoluto, senza tenere conto di chi, come e quando abbia percepito il reddito di cittadinanza negli ultimi mesi.
Insomma, si parla di platea (quindi plausibile o possibile) senza alcun altro dato reale e tangibile.
L’abolizione povertà è, dunque, lontana dall’avvenire. Nonostante parole del presidente Inps che ha fatto il tifo per il reddito di cittadinanza.
Quel dato, -60%, non è reale.
(da agenzie)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
SONO GIA’ 150 I REFERENTI LOCALI CHE SI RIUNIRANNO IL 15 MATTINA A ROMA
Ci sono dieci regole alle quali i vertici delle Sardine dovranno aderire quando si ritroveranno nel Sardina day sabato 14 dicembre a Roma, dove Mattia Santori ha chiamato a raccolta tutte le sardine di Italia.
È arrivata oggi la conferma da uno degli organizzatori che i 10 valori, già diffusi nei giorni precedenti in maniera informale tra i vari referenti locali e pubblicati a vario titolo sui gruppi delle sardine, sono ufficiali e saranno il decalogo, la guida per tutte le sardine
I numeri, intanto, si fanno incredibili, gli organizzatori si aspettano di riempire la piazza simbolo della sinistra con 100.000 persone, rigorosamente senza bandiere. Ma il 14 dicembre, «la rivoluzione ittica» diventerà un evento di portata mondiale.
Le sardine scenderanno in strada anche a San Francisco, Boston, New york, Londra, Helsinki, Stoccolma, Copenhagen, Francoforte, Dresda, Zurigo, Varsavia, Bordeaux, Grenoble, Parigi, Dublino, Amsterdam, Vienna, Berlino, Edimburgo, Lisbona, Berna, Bruxelles, Madrid.
Il giorno dopo, il movimento concepito per fermare l’avanzata sovranista proverà a darsi una linea, «3 o 5 punti programmatici» per dare concretezza a questa ondata di civismo.
Appuntamento il 15 dicembre, dalle 9 alle 13. Saranno 150 i referenti delle sardine che si riuniranno per darsi un’organizzazione, un’omogeneità di intenti. «Saremo a 20 minuti a piedi da Termini».
Il luogo dell’incontro sarà segreto fino alla sera del sabato, ma sappiamo che è nel centro di Roma. Pranzo tutti insieme e poi si torna a casa:
«L’idea è che gli organizzatori locali portino avanti nei propri territori i valori e il programma che decideremo — ha detto Santori a Open
Fonti interne ci dicono che la discussione si focalizzerà sull’elaborazione di proposte in materia di diritti civili, integrazione, lavoro, giovani e ambiente.
Ma adesso sono ufficiali quelli che sono i valori che le sardine di tutta Italia dovranno portare nei territori locali. La «Mappa dei valori» è stata inviata su Whatsapp agli organizzatori locali.
Ecco i 10 comandamenti delle 6.000 sardine:
I numeri valgono più della propaganda e delle fake news;
È possibile cambiare l’inerzia di una retorica populista. Come? Utilizzando arte, bellezza, non violenza, creatività e ascolto;
La testa viene prima della pancia, o meglio, le emozioni vanno allineate al pensiero critico
Le persone vengono prima degli account social. Perchè? Perchè sappiamo di essere persone reali, con facoltà di pensiero e azione. La piazza è parte del mondo reale ed è lì che vogliamo tornare;
Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella partecipazione;
Nessuna bandiera, nessun insulto, nessuna violenza. Siamo inclusivi;
Non siamo soli, ma parte di relazioni umane;
Siamo vulnerabili e accettiamo la commozione nello spettro delle emozioni possibili, nonchè necessarie. Siamo empatici;
Le azioni mosse da interessi sono rispettabili, quelle fondate su gratuità e generosità degne di ammirazione. Riconoscere negli occhi degli altri, in una piazza, i propri valori, è un fatto intimo ma rivoluzionario;
Se cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare. Occorrono speranza e coraggio
(da Open)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
AUMENTA L’AUDIENCE COMPLESSIVA DELLA TELEVISIONE
L’audience complessiva della televisione cresce ma la RAI continua a perdere ascolti. I dati Auditel elaborati dallo Studio Frasi per il Sole 24 Ore — e riferiti alla prima parte della stagione (dal 15 settembre al 5 dicembre) — restituiscono un’immagine controintuitiva in un panorama in cui visione on demand e avanzata dei consumi in mobilità fanno immaginare un pubblico spinto sempre più lontano dal piccolo schermo: 74.759 spettatori in più nel giorno medio (a quota 10,266 milioni) e 107.711 in più in prima serata (24,5 milioni).
A questi risultati fa da contraltare una Rai che fa i conti con cali d’ascolto, sia prendendo in esame tutto il 2019 sia nel periodo compreso fra il 15 settembre e il 5 dicembre.
Al contrario l’altro grande editore, Mediaset, si gode il momento dovuto anche a un effetto rimbalzo rispetto a un finale nero di 2018.
Dalla Rai fanno sapere al Sole che sul risultato può aver impattato «la componente sperimentale di molti programmi, soprattutto su Rai 2». Benedetto Freccero, insomma! A questo poi va aggiunto «il ruolo di servizio pubblico. Che ovviamente impatta sugli ascolti che però non possono assurgere a riferimento se si vuole svolgere, come dovuto, questo ruolo».
Nel giorno medio per Rai 1 c’è stata un’audience di 1,67 milioni con share del 16,31% (-0,20 punti). Seguono Canale 5 (1,65 milioni e share del 16,06%; -0,37 punti); Rai 3 (708.978 e share del 6,91%; -0,21), Italia 1 (che scavalca Rai 2 con 533.217 di audience media e 5,19%; +0,59); Rai 2 (525.682 e share del 5,12%; -0,76); Rete 4 (425.589 e 4,15% di share; +0,32) e La7 (375.912 con share del 3,66%; -0,16).
In prima serata stessa dinamica con boom di Italia 1 (diventata terza rete nazionale spinta da programmi come “Le Iene”) e Rete 4 (che, sostenuta dai talk show politici, sorpassa La7).
Nel dettaglio: Rai 1 in testa (4,6 milioni e share del 18,8%; -0,29 punti); Canale 5 (3,7 milioni e share del 15,18%; -0,10); Italia 1 (1,44 milioni e share del 5,88%; +0,79); Rai 2 (1,428 milioni con share del 5,83%; -0,60); Rai 3 (1,377 milioni con share del 5,62%; -0,40); Rete 4 (1,19 milioni con share del 4,88%; +0,59) e La7 (1,131 milioni con share del 4,62%; -0,44).
Fra i neocanali Tv8 (Sky) con 2,34% di share, Nove (Discovery) con 1,88%, Iris (Mediaset) con 1,63% e Real Time (Discovery) a 1,63% guidano nel prime time.
Nel giorno medio le prime 4 posizioni vanno a Tv8 (2,17%), Real Time (1,71%), Nove (1,71%) e Rai 4 (1,38%).
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
IL LAVORO COMPLETAMENTE IN NERO RIGUARDA 3 MILIONI DI ITALIANI, QUELLO DEI FUORI BUSTA NON DICHIARATI 7 MILIONI DI ITALIANI
Il “Rapporto Giovannini” sull’economia non osservata allegato alla Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) del 2019 spiega quali sono le tasse più evase in Italia, chi non paga e quanto.
Il primo punto del rapporto è l’evasione dell’Iva, la star delle imposte evase nella Penisola, con 35,8 miliardi mancanti all’appello, segue l’Irpef da lavoro autonomo che totalizza una perdita di 33,3 miliardi.
Nessuno si salva: fino alle accise sui prodotti energetici con 700 milioni e alla Tasi, la tassa sui servizi comunali, con 200 milioni.
Roberto Petrini su Repubblica spiega che si tratta di un fenomeno diffuso e profondo, oggetto del duro monito del Quirinale, che non risparmia nessuna categoria:
In testa naturalmente ci sono i lavoratori autonomi, professionisti, commercianti e artigiani, il cosiddetto popolo delle partite Iva.
Nessuno sa quanti siano gli autonomi che evadono, ma stime attendibili effettuate da tecnici qualificati, dicono che su una platea di 5 milioni, ci sarebbero 1,5-2 milioni di evasori.
Del resto basta scorrere le ultime tabelle degli studi di settore, ormai accantonati, ma sempre validi dal punto di vista statistico: per alcune categorie di commercianti la differenza tra quanto il fisco si aspetta e i ricavi effettivamente dichiarati va da 10 mila a 30 mila euro.
Più bassa la differenza tra il dovuto e il dichiarato tra i professionisti (architetti, medici, avvocati): qui mancherebbero all’appello tra i 6 e gli 8 mila euro.
Ma c’è dell’altro. Lo stesso “Rapporto Giovannini” calcola che il lavoro “nero”, cioè completamente sconosciuto al fisco, conta un esercito di 3 milioni di persone.
Mentre se si valuta il cosiddetto lavoro “grigio”, dai fuori busta non dichiarati al doppio lavoro, si raggiungono i 7 milioni di individui.
Certo, qui la responsabilità dei singoli è meno forte, perchè spesso ci si trova tra l’alternativa di accettare il nero o di restare senza stipendio. Ma il problema c’è.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
SI SENTONO PIU’ VICINI A CONTE (30%) CHE A SALVINI (28%)
Chi ha davvero chiaro cos’è il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità , il fondo salva-Stati sul quale Lega e Fratelli d’Italia hanno basato una campagna — con tanto di raccolte firme — nell’ultimo mese? Il 6 per cento dell’opinione pubblica.
Lo dice un sondaggio Ixè — condotto per Cartabianca, su Rai3 — che allarga la fascia di chi ne sa qualcosa al 36, cioè poco più di uno su tre.
La maggioranza degli intervistati, invece, dice di non avere chiaro il Mes: il 22 per cento — uno su 5 — ammette di non saperne nulla, il 33 dice di avere poco chiaro l’argomento.
Difficile aggiungere, tra l’altro, il 6 per cento di chi risponde “non saprei” tra quelli più “consapevoli”.
Ixè ha anche chiesto agli intervistati a chi si sentono più vicini su questa vicenda, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte o al segretario della Lega Matteo Salvini.
A spuntarla di poco è proprio il capo del governo (30 per cento) con il leader del Carroccio al 28. Il 9 per cento si sente vicino a Luigi Di Maio.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2019 Riccardo Fucile
VOTANO IN DISSENSO SOLO 4 GRILLINI: LA QUINTA COLONNA PARAGONE (CHE NESSUNO ESPELLE) E I TRE PREVISTI: LUCIDI, GRASSI E URRARO … DI MAIO: “SALVINI HA APERTO IL MERCATO DELLE VACCHE”
Il Senato dà il suo ok alla mozione della maggioranza con 165 sì e 122 no sul Mes. Durante la discussione prima della votazione, Luigi Di Maio è entrato a gamba tesa da Tirana ed è tornato ad attaccare il suo ex-alleato di Governo: “Matteo Salvini ha deciso di aprire il mercato delle vacche. Mi auguro che a questo mercato non partecipi nessuno”.
Il ministro degli Esteri ha risposto così a una domanda sul senatore grillino Stefano Lucidi che sarebbe pronto a unirsi alla Lega.
Intanto Ugo Grassi, Gianluigi Paragone e Francesco Urraro hanno annunciato in Senato il voto in dissenso al M5s sul Mes
(da agenzie)
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