Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
TRE LEADER, INCHIODATI ALLA CRISI DI GOVERNO DI AGOSTO, STANNO TRASCINANDO L’ITALIA A FONDO
In quest’orgia di parole, ricorriamo alle immagini.
Ecco la prima: Giuseppe Conte, solito eloquio pomposo e ridondante, tra inglesismi, latinismi, e citazioni di commi e cavilli, utilizza la sua arringa per parlare a nuora (Salvini), perchè suocera (Di Maio) intenda.
Più volte, seduto alla sua destra, il ministro Gualtieri applaude. Mai lo fa, seduto alla sua sinistra, il capo dei Cinque stelle, che oggi chiede modifiche a quel Mes su cui tacque allora, ai tempi del governo gialloverde. Momento topico.
Sentite qui l’avvocato del popolo, avvocato di due governi opposti, in definitiva avvocato di se stesso, sempre innocente con buona pace del principio della responsabilità politica del governo nella sua collegialità : “Come risulta da convocazioni formali, numerose sono state le riunioni in cui ministri, vice e sottosegretari si sono confrontati su questa materia”.
La suocera, imbarazzata, tace. Borghi gli urla in faccia: “Di Maio, dimettiti”.
Poche ore dopo, ecco la seconda istantanea.
Al Senato, quando interviene Salvini, il capo dei Cinque stelle non c’è, sottraendosi al ruolo di bersaglio, perchè in fondo la pensa come l’opposizione di oggi, che fu governo allora quando non disse niente sull’impianto del Mes, per come veniva negoziato.
Nell’assenza si materializza il cuore del problema. Perchè l’opposizione è dentro, non fuori. E infatti non è l’unico assente. Il leader della Lega indica i banchi della maggioranza: “Guardi là , signor Conte. Mentre lei parlava mancavano sessanta senatori della maggioranza. Questo vorrà dire qualcosa”.
Sono le foto di una sorta di nuovo 20 agosto — Conte contro Salvini, Salvini contro Conte, Di Maio che sta con Conte, ma vorrebbe stare con Salvini — ma stavolta senza dramma, e anche senza prospettiva, speranza, eterno “prima” in cui non c’è un dopo. Un remake farsesco di tre uomini ancora profondamente intrecciati l’uno all’altro e inchiodati allo stesso ruolo, diventato stucchevole come ogni ripetizione incapace di evolvere, prigionieri del passato.
Se il 20 agosto segna comunque una cesura consumatasi con la dignità di una crisi dichiarata, questo 2 dicembre lo ripropone nelle forme di una polemica scesa dal piano nobile al sottoscala, tra accuse di “tradimento” e repliche sull’ignoranza, senza uno straccio di politica.
Ma la testa e l’orologio emotivo sono eternamente fermi ad allora.
Questo 2 dicembre è il disvelamento che il nuovo governo non è mai nato.
Un premier che accusa l’avversario per accusare l’alleato, senza mai farne il nome, con l’atteggiamento, in fondo, di chi si sente sempre estraneo e superiore, tanto al governo di allora quanto al governo di oggi, tanto alla crisi di allora quanto a quella di oggi, come se lo sfarinamento delle maggioranze fosse questione che non investe chi ha il dovere di guidarle.
Un capo dell’opposizione che, nel suo discorso, anzi nella sua sequenza di slogan da comizio, parla più dell’Umbria e dell’Emilia che del provvedimento in questione. L’altro, Di Maio, che non presentandosi in Senato assieme a un pezzo dei suoi rende plastico ciò che aveva detto più volte al cdm di domenica notte.
E cioè che al Senato non ci sono i numeri sulla questione del Mes, se non ci saranno modifiche.
Ecco, dicevamo, è la cronaca di un nuovo governo mai nato, una di quelle classiche situazioni incancrenite in cui tutto può anche precipitare senza che nessuno lo decide, come sempre nelle fasi in cui il morto, inteso come la dinamica in cui sono inchiodati i protagonisti, rischia di sbranare il vivo.
Parliamoci chiaro: la crisi dei Cinque stelle ha contagiato il governo, rendendola strutturale.
Nel discorso di Conte, come sempre proprio di chi affida il ruolo alla verbosità come a una pochette, c’è solo un elenco di fatti e circostanze per spiegare che tutti sapevano e nessuno parlava, e di recriminazioni verso i ministri del suo governo, ma manca il cuore della questione, il “che fare”.
Anzi il “che fare” consiste in un prendere tempo, sperando che il ministro dell’Economia riesca a ottenere all’Eurogruppo modifiche sull’unione bancaria e sui dettagli del Mes, nella famosa logica di pacchetto. Per poi convincere Di Maio.
Solo in Italia si può assistere allo spettacolo surreale di un Parlamento che discute, in un clima da pre-crisi di governo, di un tema che l’Eurogruppo considera chiuso perchè “la riforma è stata già approvata a giugno”.
Quel che resta da discutere sono solo alcune “questioni subordinate” per cui si può concedere un altro mese o due, ma senza che si possa riaprire la discussione. Che poi è quel che, con grande franchezza, ha spiegato il ministro Gualtieri la scorsa settimana. Non è un dettaglio: siamo di fronte a un impianto negoziato dallo scorso governo, difeso solo dal Pd, disconosciuto dai vicepremier di allora.
Di comprensibile c’è solo una ripetuta, continua incertezza, “istituzionalizzata” in una ridda di vertici inconcludenti e in una sequenza di consigli dei ministri che iniziano a palazzo Chigi nell’ora in cui aprono le balere e finiscono quando chiudono i night club, con i giornali già in stampa, alla faccia della trasparenza.
Il governo è un eterno vertice notturno, come se ormai fosse diventato difficile anche organizzare incontri in modo solare e razionale, e anche questo è un dato politico.
Non c’è una sola giornata in cui, a un certo punto, è possibile mettere un punto fermo su ciò che accade.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
FALLITI I TENTATIVI DELLE DIPLOMAZIE CINQUESTELLE… SPUNTANO I CRITICI DI DI MAIO: “SIAMO RIDICOLI E INCOMPETENTI”
“Conte gli ha fatto male”. È direttamente da una fonte al vertice del Movimento 5 stelle che si percepisce il livello dello scontro in corso tra i due dioscuri del Movimento 5 stelle. Che qualcosa non vada lo si capisce dall’aula della Camera.
Luigi Di Maio è seduto alla sinistra del premier che interviene in difesa del Mes, non lo guarda, la prossemica tradisce il gelo. Nessun applauso, solo un timido sorriso quando il capo del governo richiama “la resistenza allo studio dei dossier” da parte del fu ministro dell’Interno.
Che i marosi si stiano trasformando in tempesta diventa chiaro un paio di ore dopo. La scena è la stessa, con Conte impegnato a replicare il discorso a Palazzo Madama. Di Maio non c’è.
Dietro le quinte si è consumato uno scontro senza quartiere. Pochi minuti prima che il premier si materializzasse a Montecitorio, sullo smartphone del ministro degli Esteri arriva il testo del discorso. Non la prende bene.
Perchè le parole di Conte sono un frontale con Matteo Salvini. Ma, pur non citandoli mai, investono come un treno i 5 stelle: “Il lavoro sul Mes ai tavoli europei, a livello tecnico e politico, era pienamente conosciuto dai membri del primo governo da me guidato”. Tutti i ministri, nessuno escluso.
Vengono citate 11 occasioni in cui le modifiche del Fondo salva stati sono state oggetto di discussione in maggioranze delle quali i 5 stelle hanno fatto sempre parte.
Il testo è una difesa del lavoro svolto, e una spiegazione che quanto fatto non è stato portato avanti “al buio”, così come sostiene il capo politico M5s.
Il tempo per correggere il tiro non c’è. Un parlamentare a lui molto vicino legge qualche minuto prima la prolusione contiana. “È la linea di Gualtieri, praticamente”. È un attimo, poi si corregge: “Ottimo, sbugiarda Salvini”. Ed è vero, dal punto di vista di Palazzo Chigi. Sbugiarda Salvini ma non mette di certo Di Maio in una posizione facile. Di Maio arriva in aula, la faccia è scura.
Nell’ora che passa tra la fine del dibattito alla Camera e l’inizio di quello al Senato le diplomazie si mettono al lavoro. Raccontano che non ci sia stato un contatto diretto fra i due, tanto è freddo il gelo che spira di questi tempi.
Tra le righe, la richiesta avanzata al premier di correggere il tiro. Che viene garbatamente respinta. Conte non può rinnegare ciò che ha scritto e pubblicamente detto. Per una questione di opportunità , certo, ma soprattutto perchè secondo il presidente è la versione lineare dei fatti. La mediazione fallisce.
Di Maio non si presenta in Senato, e convoca i ministri a Palazzo Chigi per il tardo pomeriggio. L’ordine di scuderia è minimizzare l’incontro, il senso è un serrate i ranghi: il Fondo salva stati non deve essere modificato.
Al sottosegretario Laura Agea viene dato un incarico che mette nero su bianco lo strappo con il Pd: scrivere un testo 5 stelle in vista della risoluzione di maggioranza da votare il prossimo 10 dicembre, e partire da quello per trovare una complicatissima quadra con il Nazareno.
La tela già sfibrata dal fallimentare vertice notturno viene definitivamente strappata. I due cercano di rattopparla con due dichiarazioni incrociate in cui si danno dei buffetti girando intorno al problema.
Parte Conte: “Cosa c’entra Di Maio? Nessun malumore, ci sono nell’ambito dielM5s criticità sollevate ma noi siamo assolutamente determinati, tutto il governo, a lavorare sino all’ultimo per migliorarlo”.
Risponde il capo politico: “Il presidente ha messo a tacere le falsità diffuse dall’opposizione. Abbiamo apprezzato la posizione ribadita circa la logica di pacchetto. Siamo compatti più che mai nel dover rivedere questa riforma”. Troppo poco per considerare ricomposta la situazione.
Pubblicamente il leader pentastellato è attento a non elevare lo scontro sopra la soglia di guardia. Perchè Palazzo Chigi rimane in definitiva il miglior, se non l’unico, alleato per poter portare a casa qualcosa.
Ma sa anche di avere dietro di sè la stragrande maggioranza del Movimento. E gioca a suo favore una pattuglia di irriducibili al Senato, che non ratificherebbe a prescindere le modifiche in caso di giravolta improvvisa.
Gli oltre venti banchi vuoti (oltre a quello di Di Maio) di Palazzo Madama parlano da soli. “Un discorso da amministratore di condominio”,le sprezzanti parole di Gianluigi Paragone, che dà fiato all’indicibile da parte dei vertici.
Ma non tutti la pensano così. O meglio, se nel merito condividono il muso duro, è la gestione del caso, e il vaso di Pandora scoperchiato da Conte a finire nel mirino.
A tarda sera un esponente pentastellato che ha accesso alla stanza dei bottoni risponde al telefono: “Siamo ridicoli”. In che senso scusi? “Nel senso che chi di noi si occupa di queste cose è un incompetente, non capisce nulla. Sono buoni solo a cavalcare la comunicazione, non a occuparsi delle cose serie. E ora provano a rifarsi una verginità ”. La chiosa è a cavallo tra la valutazione politica e un significativo e dirompente auspicio per il futuro: “Per fortuna che c’è Conte”. Sipario sulla giornata.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
IL VIDEO ORIGINALE PUBBLICATO DALLA MELONI MANIPOLATO DAI SOLITI ISTIGATORI ALL’ODIO, E’ STATO AGGIUNTO UN ALTRO VIDEO CHE CIRCOLAVA SUL WEB E CHE NON C’ENTRAVA NULLA
Circola un video, pubblicato il primo dicembre 2019, in cui Giorgia Meloni verrebbe attaccata e insultata da una presunta migrante mentre si fa intervistare da TG2 motori a bordo di un auto.
Le reazioni al video sono le solite da parte di chi ci crede:
Nico: «Chi è quella pazza sparategli»
Donatella: «Giorgia Meloni l ha ignorata… Mi auguro che la prossima demente venga fermata… Due calci nel culo prima
Giovanni: «Questa e una PUTANA di una certa ideologia. Io in questo caso son favorevole a un bel cazzotto nei denti. ANCHE SE DONNA.»
Cristina: «non voto Meloni, ma sarebbe questa la sinistra contro la violenta destra?»
L’utente che aveva condiviso il video, di fatto manipolato, aveva scritto il seguente commento tutto rigorosamente in maiuscolo: «QUESTO È INACCETTABILE!!! GUARDATE COSA FA QUESTA BUONISTA ALLA MACCHINA DI GIORGIA MELONI MENTRE VIENE INTERVISTATA!!! MA I CARABINIERI SONO STATI AVVISATI??? VI SEMBRA UN COMpORTAMENTO ACCETTABILE???».
Ma il video originale pubblicato nel canale Youtube di Fratelli d’Italia il 13 gennaio 2019 smentisce il video falso.
In pratica è stato aggiunto un altro video — intitolato «STFU I’m listening to» — che risulta essere perfetto per essere inserito all’interno di quello con Giorgia Meloni.
Il video del ragazzo in auto mentre riceve gli attacchi della donna fuori dall’abitacolo è diventato virale, ma soprattutto per i video creati apposta per rilanciarlo.
Una evidente manipolazione con lo scopo di fomentare odio, tanto per cambiare.
(da “Open”)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
LUCA COLETTO HA AVUTO UNA CONDANNA A DUE MESI DI RECLUSIONE
La Lega ha vinto le regionali in Umbria e dal momento che i leghisti di ogni ordine e grado ultimamente hanno scoperto quanto bravi e belli sono in Veneto soprattutto per quanto riguarda la sanità regionale.
Niente di meglio quindi che nominare — al grido di prima gli umbri — l’ex sottosegretario alla Sanita del Governo Conte 1 Luca Coletto, già assessore di Luca Zaia in Veneto dal 2010 al 2018 (fu con Coletto che la Regione fece ricorso contro la Legge Lorenzin sui vaccini obbligatori, perdendolo).
Coletto, che alla fine dell’esperienza del Conte One disse ai giornalisti che sarebbe tornato in cantiere (è geometra) si dovrà invece occupare della Sanità umbra.
Il capogruppo del PD in Consiglio regionale Tommaso Bori ha però sollevato una questione riguardante il passato di Coletto.
«C’è un certo Luca Coletto che è stato condannato per incitamento a commettere atti di discriminazione razziale e per il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico o razziale» ha scritto su Facebook qualche giorno fa, mentre in Aula oggi ha affermato che «avere in Giunta una persona che ha subito una condanna è grave, ma una condannata per razzismo è inaccettabile».
Bori chiede alla presidente Donatella Tesei «se sapeva o era all’oscuro. La delega alle discriminazioni data a Coletto è un cortocircuito».
Da parte sua invece Coletto replica alle accuse dicendo «sfido a trovare su Internet una mia frase razzista» aggiungendo che «è vero che c’è stata questa condanna, ma è anche vero che si trattava di un reato di opinione».
Non c’è alcun impedimento che vieti a Coletto di ricoprire la carica di assessore (come del resto è già accaduto in Veneto): «sono stato riabilitato — ha aggiunto — a esercitare le mie funzioni, tanto che da quell’episodio sono stato assessore regionale alla Sanità del Veneto e anche sottosegretario e nessuno ha mai avuto da ridire».
Ma forse la sensibilità in Umbria è diversa da quella veneta
La condanna della Cassazione risale al 2009 (quando Coletto era vicepresidente della provincia di Verona) e riguarda fatti avvenuti nel 2001 quando Coletto era consigliere di circoscrizione.
Tra i condannati c’era anche Flavio Tosi, che all’epoca dei fatti era consigliere regionale per la Liga Veneta e che poi avrebbe ricoperto l’incarico di assessore regionale alla Sanità e successivamente di Sindaco di Verona (nonchè di vicesegretario della Lega).
Nel 2001 Tosi, Coletto, Matteo Bragantini, Enrico Corsi, Barbara Tosi e Maurizio Filippi si fecero promotori di una raccolta firme per «manda re via gli zingari da Verona» e ottenere «lo sgombero degli in sediamenti abusivi e la non rea lizzazione di nuovi campi rom» i cui toni vennero giudicati come razzisti.
All’epoca della sentenza di primo grado i condannati ricevettero la solidarietà di Forza Nuova. Qualche tempo dopo la sentenza la Lega organizzò una manifestazione contro il procuratore Papalia e i giudici che avevano condannato i sei leghisti (presente anche il ministro Calderoli) durante la quale venne deposta una lapide con il nome del procuratore.
È vero quindi quello che dice Coletto: su Internet non si troveranno tracce su Internet di frasi razziste.
Ma solo perchè Coletto è stato condannato in un periodo in cui “Internet” non era ancora uno strumento di propaganda politica.
Il reato di cui era accusato assieme ad altri cinque esponenti della Lega era stato consumato “fuori” da Internet
La condanna era stata di mesi due di reclusione ed il divieto di svolgere propaganda elettorale per tre anni, condizionalmente sospese.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
POI SE LA PRENDE CON UNA GIORNALISTA “BRUTTA” E “AMICHETTA DEI CALCIATORI” E CON LE “LESBICHE FEMMINISTE”
Sergio Vessicchio è stato radiato dall’Ordine dei Giornalisti della Campania ma continua a dare spettacolo su Agropolinews, dove è comparso un post in cui si contesta la guardalinee Veronica Vettorel per aver chiamato un fuorigioco annullando il goal del pareggio dell’Avellino durante la partita di Coppa Italia con la Ternana.
Già che c’è Vessicchio accusa una giornalista di essere “brutta” e l’amichetta di calciatori…
“Stranamente l’assistente donna Veronica Vettorel, bellissima ragazza non certo come Titti Festa giornalista irpina molto nota per essere amichetta di calciatori e allenatori da circa un ventennio (Cuccureddu docet),fa annullare inspiegabilmente il goal.Viene fuori il finimondo. Dagli spalti,in tutti i settori si alzava la voce: “Aveva ragione Vessicchio”. L’Avellino cacciata dalla Coppa Italia dopo aver giocato benissimo da una guardalinee magari mandata per assicurare la quota rosa e pulirsi la coscienza. L’idea di Vessicchio(il sottoscritto) non era quella della competenza ma sicuramente quella di mandare le donne ad arbitrare partite femminili.”
Non contento, Vessicchio ha riproposto alcuni cavalli di battaglia:
“La donna non concepisce il calcio per il valore che ha,per gli interessi che si porta dietro e per quello che significa per il “pallone in genere”.(…) Ad Avellino si è riproposto il problema e si ripropone ogni qualvolta vanno in campo.E tutti stanno zitti per paura di finire azzannati dalle lesbiche femministe le reali diavole di tutto il sistema,delle quali hanno paura perchè nessuno ha voglia di finire nel tritacarne mediatico.”
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
AVEVA PUBBLICATO SUL GIORNALE DI CASAPOUND UNA SCHEDATURA DEGLI ORGANIZZATORI DELLE SARDINE
Dama Sovranista, la pagina facebook di Francesca Totolo, è stata rimossa da Facebook.
La pagina, il cui nome viene dalla definizione datale da La Stampa, è stata cancellata dopo la pubblicazione di un articolo in cui la Totolo diceva di aver “schedato” gli organizzatori delle sardine.
La Totolo su Twitter aveva detto di essere stata oggetto di segnalazioni su Facebook: “Continuate pure a rosicare piccini, non mi fermerete certamente così”.
È possibile quindi che le segnalazioni siano arrivate dai gruppi di sardine chiamati in causa nell’articolo.
Resta la valutazione di Fb che ha ritenuto contrario ai suoi principi la schedatura delle persone con relativi profili e foto.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
LA SORELLA DI FABRIZIO: “NON HA SENSO SOSTITUIRE LA DEDICA DEL PONTE INTITOLATO ALL’EROE PARTIGIANO PER ASSEGNARLA A FABRIZIO, CREANDO CONTRASTI, SI TROVI UN’ALTRA VIA”
Quello che è accaduto nelle ultime 48 ore a Genova è uno specchio tristemente fedele di quello che è diventato questo Paese
È il caso di Genova, guidata dal sindaco Marco Bucci, il manager che ha trionfato nel 2017 con il sostegno dell’intera coalizione di centrodestra.
Accade, così, che il Consiglio comunale a trazione leghista approvi a colpi di maggioranza una mozione per intitolare un luogo della città alla memoria di Fabrizio Quattrocchi, il contractor rapito e ucciso in Iraq nel 2004 famoso per l’atto di eroismo e coraggio con cui ha affrontato la morte: “Vi faccio vedere come muore un italiano”.
Il problema è che la scelta per l’intitolazione ricade su un ponte sul Bisagno noto come “passerella Firpo”, che ricorda — con tanto di targa — Attilio Firpo, il celebre e celebrato partigiano “Attila” trucidato a colpi di fucile a due passi da lì dalle Brigate nere il 14 gennaio del 1945.
Il comunicato della famiglia Firpo è durissimo. “La storia — scrivono gli eredi — dovrebbe essere maestra. Ma, se ne distruggiamo la memoria, rischiamo di ripetere gli stessi errori. I simboli servono a mantenere memoria e attenzione”.
L’Anpi provinciale suggerisce al sindaco di trovare un altro luogo per celebrare Quattrocchi. Ma, invece delle scuse, dall’amministrazione arrivano goffe e pallide scuse legate alla topografia della città . La polemica non si placa, i social si infiammano. Per un giorno a Genova non si parla d’altro.
Il clima del dibattito si fa talmente rovente che, alla fine, persino la famiglia Quattrocchi è costretta a intervenire.
Lo ha fatto ieri sera, per bocca della sorella Graziella (già candidata locale con AN, una decina d’anni fa), con un garbo, una dignità e una compostezza da cui l’intera destra genovese e ligure avrebbe solo da imparare.
“Chiedo al Consiglio comunale e al sindaco Bucci di riconsiderare la propria posizione, scegliendo eventualmente un altro luogo da dedicare alla memoria di Fabrizio — ha scritto Graziella -. Io e la mia famiglia non desideriamo che il ponte sia intitolato a Fabrizio, poichè si prospetta sin dalla sua origine come fonte di sofferenza e contrasti non voluti sia per noi che per la famiglia Firpo”.
A quel punto il sindaco Bucci e i suoi non hanno potuto far altro che prendere atto e cercare una nuova destinazione.
Ci voleva una donna, ci voleva una sorella per fare quello che un’intera parte politica non è riuscita a fare.
Ci voleva una come Graziella, le cui parole oggi sono una boccata d’ossigeno nel clima inquinato dalla propaganda.
(da Tpi)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
CONTINUANO GLI ATTACCHI DEL GOVERNO SOVRANISTA ALLA LIBERTA’ DI STAMPA… IL MODELLO DELLA MELONI STA DIVENTANDO UNA DITTATURA COME NEI REGIMI COMUNISTI DELL’EST
Mentre in Italia viene preso a modello dalle destre sovraniste, il governo ungherese, guidato da Viktor Orban, continua la sua corsa verso qualcosa che assomiglia sempre meno a una democrazia liberale e sempre più a regimi che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle.
L’ultimo allarme viene lanciato questa volta dalla stampa, per la precisione dal quotidiano Nepszava che ha dato conto del divieto stabilito dall’agenzia di stampa ufficiale ungherese (Mtva), controllata dal governo, di dare voce a due importanti ONG, focalizzate sul rispetto dei diritti umani: Amnesty International e Human Rights Watch.
Una misura che ha incontrato il commento piccato dei vertici nazionali della ONG: «È scandaloso che lo stato ungherese stia censurando le importanti informazioni pubblicate da Amnesty International e Human Rights Watch. È un altro affronto alla libertà di espressione e un’ulteriore restrizione dell’operato delle ONG nel Paese» ha sentenziato Dà¡vid Vig, direttore della sede ungherese di Amnesty International, aggiungendo: «Il Governo sta volontariamente negando ai cittadini l’accesso a informazioni vitali riguardo l’abuso di diritti umani, sia in Ungheria, che nel resto del mondo».
Del resto, non sono pochi gli osservatori che puntano il dito sui rischi corsi dalla libera stampa in Ungheria.
Come riportato da un’inchiesta del Fatto Quotidiano: la strategia del governo sui media è duplice. Da un lato molti media sono spariti da un giorno all’altro, comprati e “normalizzati” da uomini vicino a Orbà¡n. Nel 2016 è chiuso Nèpszabadsà¡g, uno degli ultimi giornali di sinistra, dopo essere stato comprato da investitori collegati a Fidesz, mentre sono molti i media e i giornali diventati veri e propri megafoni del Governo.
Ma non solo, lo Stato sembra avere un ruolo importantissimo anche per quel che concerne gli investimenti pubblicitari, condizionando così pesantemente il mercato pubblicitario ed esercitando una pressione costante su tutta la stampa.
Secondo quando riportato dall’Associazione dei pubblicitari ungheresi, lo stato è il player che investe maggiormente in pubblicità nel Paese.
Negli scorsi anni ha spento milioni di euro per pubblicizzare esclusivamente campagne pro-governative. Campagne, va ricordato, pagate con i soldi dei contribuenti ungheresi.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
DOPO L’ELOGIO DI HITLER SU TWITTER E I POST ANTISEMITI ANCHE LA PROCURA APRE UN FASCICOLO
Il rettore dell’Università di Siena, Francesco Frati, chiederà alla commissione disciplinare la sanzione della destituzione per Emanuele Castrucci, docente di filosofia del diritto, autore di alcuni tweet sul suo profilo in favore di Hitler.
La decisione è stata presa nella seduta odierna del Senato accademico che “unanime, ha condiviso la proposta del Rettore in ordine alle azioni da intraprendere”, spiega una nota dell’ateneo.
I legali dell’università hanno anche presentato denuncia alla Procura a carico del professore universitario che fa apologia del nazismo su Twitter.
Il rettore che dapprima aveva sminuito con un “opinioni personali”, dopo le polemiche ha dunque chiesto la massima sanzione. Emanuele Castrucci, docente di Filosofia del diritto e filosofia politica, aveva pubblicato una serie di post antisemiti e a favore di Adolf Hitler sul suo profilo Twitter.
In uno degli ultimi c’è una foto del dittatore nazista con il suo pastore tedesco Blondi e la scritta: “Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo”.
Quando si è scatenata la bufera sul suo account, Castrucci non ha trovato di meglio che rispondere: “I gentili contestatori del mio tweet non hanno compreso una cosa fondamentale: che Hitler, anche se non era certamente un santo, in quel momento difendeva l’intera civiltà europea”.
Nel tardo pomeriggio però il tweet in favore di Hitler è stato rimosso dal profilo del professore, ma ne è comparso un altro: “Il re è nudo, ma da sempre guai a chi lo dice”. In precedenza Castrucci aveva fatto appello alla “libertà di pensiero”, spiegando che quanto scritto su Twitter sono “opinioni del tutto personali”, espresse “fuori dall’attività di insegnamento”.
In questo modo aveva risposto via email al direttore del dipartimento di giurisprudenza Stefano Pagliantini.
“Come pensiamo di poter combattere l’antisemitismo – dice Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma – quando nelle aule universitarie un docente insegna i pregiudizi antiebraici? Faccio appello al ministro Fioramonti e al rettore affinchè allontanino immediatamente questo professore”.
Sulla questione era intervenuto su Twitter il ministro dell’istruzione Fioramonti: “Questa mattina ho sentito il rettore Francesco Frati che mi ha subito comunicato la sua intenzione di prendere provvedimenti. Bene. Su queste cose non si scherza. Mai”.
(da agenzie)
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