Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
PLASTIC TAX RIDOTTA E RINVIATA A LUGLIO, SUGAR TAX A PARTIRE DA OTTOBRE
C’è un’immagine che spiega bene quanto divisivo, esasperato e schizofrenico sia stato l’ultimo miglio della manovra.
È il tavolo di palazzo Chigi intorno al quale si sono seduti tutti i rappresentanti della maggioranza. Le sedie sono rimaste occupate di giorno e di notte, qualcuno le ha anche sbattute.
Tra il Pd e i renziani si è arrivati quasi agli insulti. Su quel tavolo si sono scaricati tensioni, veti, diktat, minacce e numeri. Per 28 ore di fila.
Perchè tanto è durata, tra trattative e pause, la maratona scatenata da Italia Viva, che ha imposto al resto del governo di riscrivere l’intesa sulle tasse.
Alle dieci di sera Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri si presentano in sala stampa. I visi sono tirati dalla stanchezza. Con un colpo di reni il premier annuncia l’intesa.
La traccia è quella del compromesso, che spolpa e rinvia misure caratterizzanti. Prevale la ragione di governo, la necessità di evitare una crisi brandita da Matteo Renzi attraverso una parola: il voto.
Il punto di caduta dice che la tassa sulla plastica sarà ridotta ancora, questa volta dell′85%, ed entrerà in vigore a luglio, non a gennaio.
La sugar tax scatterà solo da ottobre. Quella sulle auto aziendali scompare.
Conte prova a metterci il cappello dell’impegno e di un risultato finale strappato tenendo insieme Pd, 5 stelle, Italia Viva e Leu: “Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse”.
Lo rivendica, il premier, e non è un caso perchè il senso dell’arrembaggio che hanno lanciato i renziani, la questione politica al centro del negoziato infinito, è questa: la potestà del taglio delle tasse.
Conte, Gualtieri, Renzi: passa da questa triangolazione molta della tensione politica che ha animato i lavori, ma anche i litigi, del tavolo di palazzo Chigi.
L’asse tra il premier e il ministro dell’Economia da una parte, il leader di Italia Viva dall’altra. I grillini in mezzo, con un’azione di disturbo più defilata ma ugualmente incisiva perchè quando si parla di manovra si parla di soldi e i soldi vanno spartiti.
Alla fine di una trattativa estenuante, un’intesa c’è. Va perfezionata ancora a livello tecnico perchè il rinvio delle microtasse apre un problema di gettito. Serviranno ancora tre giorni per confezionare gli emendamenti da presentare in Senato, ridotto a un’anticamera, con le sedute della commissione Bilancio rinviate di ora in ora perchè a palazzo Chigi tutto si intravedeva che la possibilità di mettere un punto alle tensioni tra i partiti di maggioranza.
Il primo effetto della schizofrenia della maratona di governo è questo ed è destinato ad ampliarsi. Il tempo scorre e la manovra va approvata in Parlamento entro il 31 dicembre.
Per un governo che aveva programmato un passaggio decisamente diverso da quello dell’anno scorso, quando Lega e 5 stelle riscrissero la manovra in una notte, è tempo di fare i conti con la corsa.
Ci sarà un solo passaggio nelle due Camere. Questo significa che la Camera, dove arriverà il testo che sarà licenziato da palazzo Madama alla fine della prossima settimana, si troverà nell’impossibilità di modificare il testo.
Proprio per questo, il governo si è impegnato a recepire le indicazioni dei deputati nelle modifiche che saranno introdotte al Senato. Ma questo non annulla un restringimento dei tempi che ha già portato la Lega sulle barricate.
Il governo arriva in Parlamento con una manovra riaperta e poi chiusa sul fotofinish. Si diceva della maratona.
Ripercorrerne le ultime 15 ore dà l’idea di questo affanno. Dopo la fumata nera di giovedì sera, l’appuntamento per il nuovo round a palazzo Chigi è fissato alle otto di mattina e tutti arrivano puntuali. Tutti tranne Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia è a via XX settembre dalle sette per chiudere la mission impossibile che Conte gli ha conferito: trovare 400 milioni.
Passa un’ora e il titolare del Tesoro arriva alla riunione. Sul tavolo vengono messi i 400 milioni necessari per cancellare la tassa sulla plastica e la sugar tax, come chiede Italia Viva.
Oltre al titolare del Tesoro e a Conte, intorno al tavolo siede il Pd, con Dario Franceschini e il viceministro dell’Economia Antonio Misiani, i grillini con Laura Castelli e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà . Per Leu c’è il sottosegretario Maria Cecilia Guerra. Italia Viva, come al vertice di giovedì sera, schiera Luigi Marattin, Davide Faraone e Teresa Bellanova.
Parte subito una gazzarra. Il Pd chiede che quei soldi siano usati per incrementare il taglio del cuneo fiscale, i 5 stelle vogliono destinarne una parte agli stipendi dei vigili del fuoco. I renziani sbottano contro i dem e si alzano dal tavolo: è scontro. Si arriva quasi agli insulti. Vertice sospeso.
Le tensioni tra i renziani e i dem si trasferiscono sui social. Marattin litiga con Misiani, Orlando battibecca con Faraone. Ma soprattutto arrivano le parole di Renzi: “Io non vorrei andare a votare, ma se ci costringono lo faremo. È un peccato ma dobbiamo prenderne atto”. È il passaggio che imprime l’accelerazione obbligata verso un’intesa altrettanto obbligata.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
OGNUNO ANDRA’ PER SE’, MA MOLTI AVRANNO MANI LIBERE DOPO IL VOTO
Franza o Spagna, purchè se magna. Il PD rinuncia di fatto al maggioritario a doppio turno nazionale, tenuto fermo fin qui dal segretario Nicola Zingaretti, e dà il via libera ad un proporzionale sul modello spagnolo con soglia implicita di sbarramento (dal 4 al 7-8% a seconda della grandezza delle circoscrizioni).
In vista della presentazione di un testo da parte dei partiti della maggioranza entro dicembre, l’intenzione è di andare verso il proporzionale, sia pure nella versione spagnola che argina la frammentazione favorendo i partiti medio-grandi, il Pd abbandona la strada fin qui perseguita di puntare a un’alleanza pre-elettorale con il M5S in funzione anti-salviniana ma almeno blocca la strada ad Italia Viva, che avrebbe così meno chances di portare suoi eletti in Parlamento.
Ma chi vince le elezioni con il sistema proporzionale sul modello spagnolo? Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore fa un po’ di conti:
Oggi le stime basate sui sondaggi dicono che il centro-destra di Salvini non è lontano dalla maggioranza assoluta dei voti. Se l’eventuale sistema elettorale proposto dai partiti al governo producesse un po’ di disproporzionalità , grazie alle soglie di sbarramento o alla dimensione ridotta delle circoscrizioni, forse ce la potrebbe fare.
Ma non è detto che si arrivi al voto con un centro-destra vicino al 50% e certamente non è detto che questo possa accadere in futuro.
L’esito “normale” di un sistema proporzionale è la dispersione dei voti tra più partiti, nessuno dei quali ha la maggioranza assoluta dei seggi.
Tra l’altro con un sistema del genere non c’è più bisogno di coalizioni pre-elettorali. Berlusconi, Salvini, Meloni si presenteranno ognuno per conto proprio, forse con una promessa di fare il governo insieme dopo il voto. E già qui si intravedono le altre ragioni della riforma, e che non riguardano solo il M5S.
Con il proporzionale, e quindi senza il vincolo del patto pre-elettorale che il maggioritario comporta, Forza Italia acquista molta più libertà di manovra.
Se le conviene farà il governo con Lega e Fdi ma potrebbe diventare disponibile anche a sostenere altri tipi di governo. E questo è un fatto che naturalmente non dispiace a sinistra.
Insomma, con la riforma che gli attuali partiti di governo stanno concependo si riaprono i giochi.
In ogni caso, comunque vada, è certo che con il proporzionale la vittoria del centro-destra alle prossime elezioni verrà limitata. Anche se arrivasse alla maggioranza assoluta, Salvini e Meloni dovranno fare i conti con Berlusconi e il suo pacchetto di seggi.
E se non arrivassero alla maggioranza assoluta? Con chi farebbe il governo Salvini? Di nuovo con Di Maio e insieme alla Meloni?
La Prima Repubblica è dietro la porta.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
INTERPELLATI DAL GIORNALISTA NESSUNO SA SPIEGARE COS’E’ IL MES, TUTTI SCAPPANO DALLA DOMANDA COME IL LORO CAPITONE
L’altroieri Matteo Salvini ha dato spettacolo sulle CACS del MES in un’intervista nella quale si capiva perfettamente che non sapeva di cosa stesse parlando.
Ma gli altri parlamentari leghisti come se la cavano? Sanno a cosa serve e cosa vuol dire MES?
Il Fatto Quotidiano, in un articolo a firma di Marco Franchi, racconta come hanno reagito a un paio di domandine tecniche alcuni degli eletti leghisti.
Alcuni hanno usato una tecnica collaudata ma sempre efficace: la fuga:
Il senatore Simone Pillon, organizzatore del Family Day e acerrimo nemico dei diritti dei gay, si blocca sul Mes, ma per motivi logistici, che pensate: “Mi scusi, sto scendendo dal treno, sto proprio materialmente scendendo”.
Il collega Andrea Ostellari, di professione avvocato, ci prova col vecchio trucco: “Non sento, mi sente? ”. Riproviamo: “Lei mi sente, dice? Sì, ma io non sento”. E mette giù. Stoico il deputato Marzio Liuni, che, seppur influenzato, riesce a sciogliere la sigla Mes e saluta rinfrancato dall’umana solidarietà che non consente di proseguire la conversazione.
Il giovane Andrea Crippa, onorevole classe ’86 e vicesegretario del Carroccio, è assai sincero: “A livello generale conosco l’argomento, ma se ne occupano principalmente le commissioni. Ecco se mi chiede le Cacs, le dico che è meglio rivolgersi a nostri tecnici, io seguo l’aspetto politico e la posizione del partito, che una e compatta”.
Igor Iezzi, che una volta si presentò in consiglio comunale a Milano col burqa per fermare la costruzione di un centro islamico, comincia spedito: “Il Mes è il meccanismo…”. Poi fa il simpatico: “Siete le Iene scritte?”. E cade la chiamata.
Ma qualcun altro ha anche deciso di rispondere:
Il deputato Eugenio Zoffili, che potrebbe insegnare sulle materie europee poichè per anni ha seguito l’europarlamentare Salvini come responsabile della segreteria anche se l’europarlamentare Salvini non era tra i più presenti, purtroppo non può affrontare le spine del Mes perchè “impegnato in una riunione importante”.
Il dottor Guido De Martini, oculista all ‘esordio a Montecitorio, ringrazia ma non compete con Salvini perchè sta per “entrare in aula”.
Il deputato Daniele Belotti, che si definisce un “talebano dell’Atalanta”, fa capire come funziona la struttura del Carroccio: “Le domande sul Mes sono belle domande. Il meccanismo europeo di stabilità è come il prelievo forzoso nei conti correnti del ’92 del governo di Giuliano Amato. E qui mi fermo, perchè se, oltre a ridere, volete spiegazioni inappuntabili potete parlare con i vari Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Massimo Garavaglia, Giancarlo Giorgetti”.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
I MORTI SI RISPETTANO, DI QUALSIASI PARTE POLITICA… NILDE IOTTI PUOI GIUDICARLA POLITICAMENTE MA DEFINIRLA “PROSPEROSA, BRAVA IN CUCINA E A LETTO” E’ DA SESSISTI SFIGATI
“Era facile amarla perchè era una bella emiliana simpatica e prosperosa come solo sanno essere le donne emiliane. Grande in cucina e grande a letto. Il massimo che in Emilia si chiede a una donna”.
In questi termini si è espresso Giorgio Carbone, giornalista di Libero, ricordando la figura di Nilde Iotti.
Il commento è stato giudicato sessista e misogino, scatenando numerose polemiche contro il giornale. L’Ordine dei Giornalisti ha deciso di deferire Libero per l’articolo.
“Sminuire la figura di Nilde Iotti non è solo l’ennesimo insulto a tutte le donne, ma lo è anche per il giornalismo”, hanno dichiarato attraverso una nota le parlamentari del Movimento 5 stelle del gruppo Pari Opportunità alla Camera, “Questo non è giornalismo, ma l’ennesimo articolo denigratorio e privo di contenuto. Non potremo mai raggiungere la piena parità e il rispetto se non si cambia anche la cultura del paese”.
Anche il Partito Democratico si è schierato a difesa della Iotti e ha attaccato il quotidiano diretto da Vittorio feltri: “L’articolo di Libero non offende solo la memoria della prima presidente della camera della storia repubblicana, ma tutte le donne italiane, di sinistra e di destra, moderate e radicali, femministe e non”.
Sia pentastellati che dem dichiaravano nella nota di voler presentare un esposto all’Ordine dei giornalisti, che è intervenuto sulla vicenda.
La reazione dell’Ordine dei Giornalisti – . “La trasmissione della fiction su Nilde Iotti, a venti anni dalla scomparsa, offre al quotidiano Libero un’altra opportunità per violare le regole principali deontologiche. Sessismo e omofobia: il giornalismo è un’altra cosa. Il riferimento fatto a una grande statista, prima donna in Italia a ricoprire una delle tre massime cariche dello Stato, è volgare e infanga con cinismo e allusioni becere tutte le donne italiane, non solo la prestigiosa figura di Nilde Iotti. Abbiamo già provveduto a segnalare al Collegio di Disciplina territoriale competente questo nuovo infortunio del quotidiano milanese”. Lo dichiarano Carlo Verna e Guido D’Ubaldo, presidente e segretario del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. “I contenuti dell’articolo di oggi sono deplorevoli ed infangano la memoria di una grande donna che ha fatto la storia italiana. La competenza delle sanzioni come per tutti gli ordini professionali, in base DPR 137/2012, è passato ai consigli di disciplina, che sono totalmente autonomi rispetto agli Ordini, nei quali riponiamo – come si deve nei confronti di chiunque si veda assegnata da una legge la funzione giudicante – piena fiducia. E ci fa piacere ricordare come pochi giorni fa la giustizia domestica in primo grado abbia disposto la radiazione per l’autore della cosiddetta telecronista sessista contro una guardalinee di calcio. Ancora una volta diciamo no a chi fa male al giornalismo”, hanno aggiunto Verna e D’Ubaldo.
Chi era Nilde Iotti
Staffetta partigiana e storica militante del Pci prima e dei Ds poi, Nilde Iotti è divenuta celebre per essere diventata la prima donna a ricoprire il ruolo di presidente della Camera, nel 1979. La sua figura ha rappresentato un punto di svolta nella politica italiana, segnando il primo passo nel coinvolgimento delle donne all’interno delle istituzioni italiane.
A vent’anni dalla scomparsa della Iotti (4 dicembre 1999) e a quarant’anni dalla sua nomina a presidente della Camera dei Deputati, la Rai ha deciso di omaggiarla con la docu-fiction “Storia di Nilde”.
Anna Foglietta è l’attrice scelta per interpretare la più longeva presidente della Camera dei deputati della storia della nostra Repubblica (dal 1979 al 1992).
Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri non ha risparmiato nemmeno lei. Carbone ha infatti proseguito il suo commento sessista facendo un paragone tra Nilde Iotti e Anna Foglietta: “Anna Foglietta, chiamata a raffigurarla sul piccolo schermo (buona scelta, una romana bella e soda, chiamata a interpretare la più in vista della campagna per il divorzio)”.
Gli ascolti tv della prima puntata della fiction – Giovedì 5 dicembre è andata in onda la prima puntata di “Storia di Nilde”. La fiction ha registrato un grande successo, conquistando 3.684.000 spettatori pari al 16.2% di share e vincendo la competizione della prima serata con gli altri programmi.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
CAPACITA’ DI ASCOLTO E MEDIAZIONE LO FANNO PREFERIRE A CHIUNQUE ALTRO, COMPRESO DI BATTISTA
Di Maio è ormai alle strette all’interno del Movimento 5 Stelle. A poco è servito l’intervento di Beppe Grillo, che lo ha confermato capo politico. L’assemblea dei parlamentari è letteralmente in subbuglio e da tempo gli eletti premono per la sostituzione di Di Maio.
Troppi gli errori commessi durante i 18 mesi di governo con la Lega di Matteo Salvini e che hanno portato il M5S a dimezzare il proprio consenso elettorale.
Ma a rendere Di Maio ormai inadatto al ruolo di capo politico, secondo molti tra i pentastellati, sono anche la sua scarsa propensione all’ascolto e la tendenza all’accentramento del potere decisionale, completamente antitetica ai valori originari del Movimento.
Le roventi polemiche interne che si stanno scatenando in queste settimane — complice il fatto che la Legge di Bilancio sembra non essere realmente condivisa all’interno del gruppo parlamentare — rischiano di mettere la parola fine all’esperienza del ministro degli Esteri alla guida del M5S.
A far deflagrare ulteriormente lo scontro è stata in particolare la decisione di presentare alla Camera una Legge di Bilancio blindata, senza lasciare agli eletti la possibilità di presentare emendamenti
Nelle chat interne del Movimento 5 Stelle i parlamentari hanno dato sfogo a tutto il loro malcontento e minacciato di spiegare pubblicamente alla stampa che cosa sta succedendo. Proprio questo crescente malcontento ha portato l’assemblea degli eletti a individuare, in via informale, un nuovo capo politico per il Movimento 5 Stelle.
La votazione ufficiosa ha già avuto luogo e la maggioranza ha scelto di designare l’attuale ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, come capo politico del M5S per il post-Di Maio.
Perchè proprio Patuanelli e non una figura più di spicco come Alessandro Di Battista, da sempre considerato il successore designato per antonomasia?
La risposta sta nel fatto che Patuanelli nel corso di questi anni si è fatto benvolere da tutti i parlamentari del pentastellati per la sua innata capacità di ascolto e di mediazione. Le stesse qualità che, secondo molti eletti, mancano a Di Maio portandolo a commettere irreparabili errori e a spingere alla fuga storici attivisti e colonne del M5S come le senatrici Elena Fattori e Paola Nugnes.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
NULLA DI FATTO A 51 GIORNI DAL VOTO
Fumata ancora nera ad Arcore. Il vertice del centrodestra che avrebbe dovuto sciogliere il nodo sulla Calabria finisce in un nulla di fatto.
Una nube nera si addensa sulla regione del Mezzogiorno che tornerà al voto lo stesso giorno dell’Emilia Romagna, vale a dire il 26 gennaio.
Non c’è il nome del candidato del centrodestra che dovrebbe spettare a Forza Italia. Ecco, dopo l’ennesimo vertice di oltre tre ore le posizioni restano immutate.
Con Matteo Salvini e Giorgia Meloni che dicono senza se e senza ma “no” a Mario Occhiuto, ovvero l’azzurro sindaco di Cosenza che è sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta e per corruzione.
“Non esiste, fateci un altro nome. Punto”, taglia corto il Capitano leghista mentre assapora un branzino che segue a un flan di tartufo. “Non esiste”, gli fa eco la pasionaria di Fratelli d’Italia che spalleggia il compagno di sovranismo.
Quando attorno alle 14 e 15 i tre, Berlusconi, Salvini e Meloni, prendono posto nella sala da pranzo di villa San Martino per discutere di candidati e regionali, i presupposti ci sono per un accordo.
Il clima appare positivo, Berlusconi scherza con il leader di via Bellerio, fa un accenno al Milan e al Monza, gli mostra una serie di opere d’arte appena acquistate. Eppoi si sofferma sul futuro dell’esecutivo giallorosso. Dureranno?, è la domanda del padrone di casa. Salvini confida al Cavaliere: “Ho segnali veri che i cinquestelle non tengono…”.
L’ex premier si esalta ogniqualvolta sente odore di campagna elettorale e sotto sotto sogna di tornare al governo da padre nobile del centrodestra. Sia come sia a questo punto della conversazione, mentre i camerieri servono gli ospiti, i tre convergono che la spallata verrà inferta dopo le regionali di gennaio quando “vinceremo in Emilia Romagna”.
Ecco, e in Calabria? La Calabria è il tema tabù. Il leader azzurro prova a forzare sulla candidatura di Occhiuto, il primo cittadino di Cosenza, nonchè fratello di Roberto, parlamentare azzurro in orbita Carfagna.
Salvini fa una smorfia, Meloni lo segue: “No, tutti tranne lui”. Ma gli Occhiuto, Mario e Roberto, pesano in regione e rappresentano un pezzo significativo di Forza Italia. Addirittura c’è chi sostiene che Mario starebbe pensando di scendere in campo lo stesso con una lista civica. Anche senza il sostegno degli azzurri. Ma Salvini sbotta: “Rappresentano la vecchia Calabria. Andiamo a cercare situazione pulite. Fateci un altro nome”.
Si riparte allora con la girandoli dei nomi. Il Cavaliere prende un foglio di carta e ci scrive su un nome: Jole Santelli. Quest’ultima è una figura storica di Forza Italia in Calabria, coordinatore regionale, oggi parlamentare, ma anche vicesindaco di Cosenza, ovvero vice di Occhiuto. La stessa Santelli che mercoledì a Montecitorio ha avuto un lungo colloquio con Maria Rosaria Rossi, un tempo appartenente al cerchio magico di villa San Martino. “E allora cosa cambia?”, si domanda Salvini.
Il pranzo scivola via, sulla tavola arriva il gelato al pistacchio, ma Salvini, Meloni e Berlusconi decidono di riaggiornarsi alla prossima settimana. La ragione è che non c’è un accordo sulla Calabria.
Occhiuto non s’ha da fare, e si può ragionare solo se Berlusconi fa una proposta differente. Si vocifera che il nome della Santelli potrebbe essere il punto caduta anche perchè terrebbe dentro gli Occhiuto’s. Non a caso ieri in Transatlantico Roberto (Occhiuto ndr.), fratello di Mario, confidava ad alcuni amici: “Certo, se fosse Jole cambierebbe tutto…Non potremmo non sostenerla”.
Non è escluso però che nel gioco dei veti incrociati potrebbe rispuntare il nome di Caterina Chiaravalloti, magistrato e figlia d’arte, il padre Giuseppe è stato presidente della Regione Calabria fra il 2000 e il 2005. “Un nome specchiato”, continuano a ripetere in Lega
Ecco, sulla Calabria siamo ancora a carissimo amico. Sulle altre regioni che torneranno al voto si trova un accordo di massima.
Ovvero, la candidatura della Campania spetterà agli azzurri, Marche e Puglia alla Meloni, la Toscana alla Lega, e la Liguria a Toti.
Non a caso i tre, per evitare che si inizi a diffondere la notizia di una fumata nera sulla Calabria, vergano una nota di carattere generale che certifica la distanza fra le parti. Eccola: “C’è una crescente preoccupazione per il liquefarsi della maggioranza di governo, che però propone una manovra disastrosa a base di tasse e manette”.
Fatta questa premessa e dopo un passaggio sui sondaggi che danno il centrodestra in netto vantaggio i tre tenori della coalizione entrano nel merito del confronto delle regionali: “Con grande spirito di coesione e di collaborazione, dopo un lungo e costruttivo confronto tra i leader, i tre partiti hanno raggiunto un accordo sui profili dei candidati governatori e sulla composizione delle liste per le Regioni che andranno al voto e che sarà perfezionato nei prossimi giorni”.
Peccato che non abbiano comunicato i nomi dei profili. Forse lo faranno nei prossimi giorni. Forse. Eppure la Calabria resta lì, immobile, senza alcun candidato, a cinquantuno giorni dall’apertura dei seggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
IN FRANCIA SI GUARDA AL FUTURO, IN ITALIA SI FANNO SOLO SPOT ELETTORALI
In Francia sono in corso violente manifestazioni di protesta contro la nuova riforma delle pensioni varata da Emmanuel Macron. Ma cosa comporta questa riforma di preciso? Il presidente ha scelto di sostenere un unico sistema “a punti” nel quale ogni giorno di attività lavorativa viene ricompensato da un punteggio che permette di accumulare contributi pensionistici.
Questa riforma segnerebbe la fine di un sistema suddiviso in oltre 42 diversi sistemi normativi, che regolano altrettante industrie e settori, con diversi livelli di contribuzione e beneficio.
Attualmente il sistema pensionistico francese può essere comparato al vecchio sistema retributivo italiano, anche se con alcune differenze.
Chi lavora nel sistema pubblico, ad esempio, vede calcolata la propria pensione secondo lo stipendio percepito nei sei mesi precedenti il pensionamento.
Nel settore privato vale lo stesso principio, applicato ai 25 anni precedenti.
Le intenzioni di Macron sono quindi quelle di semplificare il sistema, creando maggiore equità tra i settori, e di diminuire il rischio di deficit sulla spesa.
La proposta del presidente nasce infatti da una previsione di costi che, se non controllati, porterebbero il Paese a produrre un deficit di oltre 17 miliardi di euro prima del 2025, e sarebbe proprio il 2025 la data di inizio della riforma.
Un approccio di programmazione di medio-lungo periodo, calcolato su basi statistiche e di previsione, del tutto diverso da quanto accaduto, ad esempio, in Italia con Quota 100.
Pensiamo alle differenze: in Francia la proposta nasce con 6 anni di anticipo (e la possibilità di posticipare). Un tempo sufficiente per poter gestire la transizione e la programmazione di persone e famiglie.
Quota 100, al contrario, nasce in poco tempo, con una programmazione praticamente contemporanea, e con — probabilmente — obiettivi più legati al consenso politico delle elezioni europee piuttosto che al benessere dei lavoratori e dei cittadini.
Allo stesso modo, mentre l’adozione di Quota 100 ha fatto aumentare la spesa pubblica, con costi che ricadranno necessariamente sulle nuove generazioni, la riforma di Macron punta, almeno nelle intenzioni, a facilitare una maggiore sostenibilità dei conti pubblici.
Un altro Paese dove sono in corso riforme di questo tipo è il Brasile, dove una recentissima riforma costituzionale ha permesso di alzare l’età di pensionamento e modificare alcune norme considerate critiche.
La riforma delle pensioni del Brasile, secondo gli intenti del Governo, porterà ad un risparmio di oltre 195 miliardi di dollari e sarà attuata in circa 14 anni.
Brasile, Francia e molti altri paesi insegnano una lezione importante: per costruire il futuro serve programmazione. E per ridurre il peso del debito sulle future generazioni servono riforme coraggiosi, impopolari, ma che siano efficaci.
(da TPI)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
ECCO LE CIFRE DELLE RETRIBUZIONI DEI MEMBRI DELLO STAFF
Sul sito della presidenza del Consiglio sono stati aggiornati i dati sulle retribuzioni del premier, Giuseppe Conte, e dei membri degli uffici di diretta collaborazione del presidente, dei vicepremier e dei sottosegretari: il dato che subito salta all’occhio è che lo stipendio di Rocco Casalino, portavoce e capo ufficio stampa del capo dello Stato, è il doppio di quello di Conte.
Con il nuovo governo a maggioranza Movimento Cinque Stelle-Partito democratico, sono cambiati infatti gli staff dei singoli ministri e anche alcuni membri dei diretti collaboratori del premier.
Ma nonostante tali modifiche, con un compenso superiore ai 169mila euro Casalino rimane il collaboratore più pagato di Giuseppe Conte.
Sono tre le voci che compongono l’emolumento totale di Casalino: 91.696 euro di “trattamento fondamentale”, 59.500 euro di “emolumento accessorio” e 18.360 euro di “indennità diretta di collaborazione”.
Secondo gli ultimi dati disponibili, invece, l’indennità di carica di Giuseppe Conte ammonta a 88.353,98 euro. Un importo, questo, che è stato decurtato — su volere dello stesso premier — del 20 per cento rispetto all’indennità di 110.442,48 euro prevista dall’articolo 1 della legge n. 418 del 1999.
Il sito della presidenza del Consiglio riporta anche l’ultima dichiarazione dei redditi del premier, relativa al 2018: il reddito imponibile del capo del governo, che contiene però ovviamente anche le entrate extra-politiche e a cui vanno detratte le imposte, ammonta a 1.155.229 euro.
Un tema, quello dello stipendio di Casalino che supera abbondantemente quello di Conte, che si era presentato già un’altra volta, dopo l’insediamento del governo Lega-M5s. In quell’occasione, in un’intervista il portavoce del premier si era difeso dicendo che la sua retribuzione è “una questione di merito“.
Sono in tutto 48 i membri che fanno parte dello staff di Giuseppe Conte, suddivisi tra l’ufficio del presidente (14 persone), l’ufficio stampa (Casalino e altri 8 giornalisti), l’ufficio dei consiglieri diplomatico e militare (14 membri) e la segreteria dei sottosegretari Fraccaro, Turco e Martella (11 collaboratori).
I 14 membri dell’ufficio di Conte costano un totale di 314.500 euro. Un ammontare a cui mancano però le retribuzioni di alcuni collaboratori, stipendiati dal Senato, mentre altri lavorano a titolo gratuito.
Lo stipendio dell’intero ufficio stampa, Casalino compreso, sfiora invece la cifra monstre di 770mila euro. Una cifra che, divisa per i nove membri, porta a uno stipendio medio di 85.500 euro.
Quasi quanto quello percepito dal nostro presidente del Consiglio.
(da agenzie)
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Dicembre 6th, 2019 Riccardo Fucile
IL FOTOMONTAGGIO CON IL VOLTO DI SALVINI SUL CORPO DI UN MAXI-BACCALA’
«Meno baccalà , più sardine», recitano gli ultimi manifesti fake di Andrea Villa, il Banksy torinese.
Sono spuntati oggi, venerdì 6 dicembre, lungo strade della città . Al centro del cartello un fotomontaggio con il volto di Matteo Salvini, leader della Lega, sul corpo di un maxi baccalà .
E in fondo l’inequivocabile hashtag: #salvinibaccalà .
Non è la prima volta che il il Banksy torinese prende di mira il numero uno del Carroccio: a febbraio, quando ancora era vicepremier nel governo gialloverde, venne ritratto con Luigi Di Maio e nel mezzo un eloquente «Zero in due», a rimarcarne lo scarso – secondo l’autore – valore (0,2 era anche la percentuale di crescita del Pil in Italia nel 2019 secondo le previsioni della commissione UE).
Questa volta, invece, Villa prende spunto dal movimento delle sardine, che da qualche settimana stanno riempiendo le piazze italiane.
I finti manifesti si trovano in due punti: in corso San Maurizio, davanti all’istituto Avogadro, e in via Madama Cristina, davanti alla scuola Silvio Pellico. L’autore ha preferito non commentare l’opera.
(da agenzie)
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