Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEL LAVORO: “ALLARGARE IL REDDITO DI CITTADINANZA, BONUS E SUSSIDI ESTESI ANCHE AD APRILE”
“In queste ore sto lavorando al Reddito d’emergenza. Servono 3 miliardi e procedure semplificate, in
modo da poterlo erogare in pochissimo tempo”.
Il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo fa parte di quel pezzo di governo più incalzato dall’emergenza sanitaria, sociale ed economica che ha investito l’Italia.
“I bonus per i lavoratori saranno prorogati anche ad aprile”, spiega, aggiungendo che sta studiando il modo di alzare quegli importi.
Sul versante economico la proposta che più farà discutere: “Proporrò un allargamento del Reddito di cittadinanza prevedendo un ‘alleggerimento’ dei requisiti d’accesso, in particolare quelli che riguardano il patrimonio immobiliare, fino al termine dell’emergenza economica”.
Ministra Catalfo andiamo con ordine. Diamo per scontato che il lockdown sarà prorogato oltre il 3 aprile. Si pone il tema del come. Ci sarà una riapertura selettiva già a partire da quella data?
Gli esperti dicono che le misure prese dal Governo nelle scorse settimane stanno funzionando. Ma, come ha spiegato il Ministro Speranza, siamo ancora nel pieno dell’epidemia. Perciò non è ancora il momento di abbassare la guardia. La chiusura di molte attività , che abbiamo recentemente disposto, dovrà sicuramente protrarsi. Si potrebbe comunque prevedere un percorso di riapertura graduale ma per ora è prematuro: sono momenti decisivi e la nostra assoluta priorità resta quella di proteggere la salute dei cittadini.
Oltre ai 400 milioni stanziati dal governo per l’emergenza alimentare si parla di un Reddito di emergenza per tutti coloro che non hanno accesso ad altri tipi di sostegno. Ci state lavorando?
I 400 milioni sono una prima, pronta risposta per consentire ai Comuni di fronteggiare l’emergenza alimentare. A ciò va affiancato un “salvagente”, un Reddito di emergenza o di garanzia per l’appunto, sul quale sto lavorando proprio in queste ore al Ministero del Lavoro. Una misura rivolta a tutti i cittadini che oggi sono privi di qualsiasi forma di sostegno al reddito. In altri termini, vogliamo raggiungere chi non è coperto dagli ammortizzatori sociali e dagli indennizzi previsti dal decreto Cura Italia o dal Reddito di cittadinanza, di cui già beneficiano 2,5 milioni di persone e che — come ricordato da molti sindaci e dal presidente ANCI, Decaro — rappresenta un importante aiuto, soprattutto in questo difficile momento. Per il Rem servono circa 3 miliardi di euro e procedure semplificate, in modo da poterlo erogare in brevissimo tempo.
Rimane il fatto che passata la crisi molti più cittadini saranno in difficoltà . Come pensate di prepararvi?
È un rischio che c’è, perchè chi già oggi ha redditi medio-bassi potrebbe ritrovarsi in una condizione di ulteriore difficoltà con un conseguente impatto negativo sulla nostra economia. Proprio per questo, dobbiamo giocare d’anticipo. Per quanto mi riguarda, proporrò un allargamento del Reddito di cittadinanza prevedendo un “alleggerimento” dei requisiti d’accesso, in particolare quelli che riguardano il patrimonio immobiliare, fino al termine dell’emergenza economica. Il motto “nessuno deve rimanere indietro” per me valeva ieri e vale oggi, ancora di più visto il momento che stiamo attraversando e il prossimo futuro.
Nel frattempo però molte fabbriche che hanno chiuso non riapriranno più. Si può pensare a un paese che va avanti solo di sussidi
Il sostegno economico dei cittadini sarà fondamentale al termine di questa emergenza, anche per evitare un crollo verticale dei consumi. A ciò bisognerà certamente affiancare un maxi-piano di sostegno alle imprese, utilizzando tutte le risorse che saranno necessarie. In questo senso, mi auguro che l’Europa dimostri il senso della sua esistenza. Non è più tempo di tentennamenti. La sospensione del patto di stabilità da parte della Commissione europea e il programma di acquisto di titoli da 750 miliardi disposto della Bce vanno nella giusta direzione, ma non bastano. È arrivato il momento di emettere eurobond. Questa non è un’emergenza che riguarda solo l’Italia ma tutta l’Ue: non c’è nulla da aspettare.
Oltre a commercianti e precari in evidente crisi, il dibattito verte su un possibile sdoganamento del lavoro in nero.
Il lavoro nero è una piaga che va combattuta, oggi e sempre. Impossibile quindi pensare ad un suo “sdoganamento”. Ma in questo momento eccezionale serve un sostegno per tutti, un intervento di carattere sociale ed economico che vada a proteggere i cittadini e le famiglie che non ce la fanno a mettere in tavola un pasto caldo per sè e per i propri figli.
Il ministro Provenzano parla di un rischio della tenuta democratica del paese. I segnali di tensione si accumulano, lei che percezione ha della crisi sociale che sembra incombere? Quanto può andare avanti l’Italia in queste condizioni?
Sarebbe stato sicuramente un rischio se non avessimo introdotto, un anno fa, il Reddito di cittadinanza. In molti lo hanno criticato ed attaccato, ma oggi questo strumento si sta rivelando fondamentale per aiutare milioni di famiglie. Inoltre, col Rem daremo un’ulteriore mano a chi è in difficoltà . Ricordo poi che con le misure inserite nel “Cura Italia” garantiamo la cassa integrazione a tutti, anche alle aziende con un solo dipendente o ai lavoratori appena assunti. Solo per il capitolo lavoro del decreto sono stati stanziati circa 11 miliardi: una cifra senza precedenti.
C’è un gran tumulto nel mondo delle partite Iva, che lamentano di aver ricevuto l’elemosina. Parliamo di un tessuto di milioni di persone che rischiano di rimanere a reddito zero per mesi, pur avendo in molti casi alle spalle una storia lavorativa solida. Il bonus verrà prolungato e rafforzato nel mese di aprile e maggio? O saranno costretti a chiedere il Reddito di emergenza?
Per le partite Iva non ci sarà bisogno di chiedere il Reddito di emergenza. Quello di marzo, com’è stato chiarito più volte, è solo un primo intervento. Il bonus verrà certamente prolungato anche ad aprile e stiamo lavorando per far sì che l’importo sia più alto degli attuali 600 euro.
E i professionisti che accedono al fondo di ultima istanza?
Sabato ho firmato il decreto che fissa le modalità di attribuzione dell’indennità . Professionisti e autonomi potranno presentare la domanda agli enti di previdenza ai quali sono iscritti. Ne beneficeranno ingegneri, architetti, commercialisti, avvocati, giornalisti, solo per fare alcuni esempi. Anche in questo caso l’obiettivo è di prevedere, per queste categorie di lavoratori, una somma superiore per il mese di aprile.
Gli altri bonus previsti per i lavoratori verranno anch’essi prorogati ad aprile? E cosa succederà nei mesi successivi? Si continuerà su questa strada o verranno utilizzati altri canali?
Rifinanzieremo e prorogheremo tutto ciò che sarà necessario, in modo tale che nessun lavoratore resti senza sostegno al reddito. Stiamo già lavorando anche su questo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ORIENTATO AD AUMENTARE L’ASSEGNO PER GLI AUTONOMI… LA VERIFICA E’ IL MINIMO DA FARE, PER MOLTI LA CIFRA SAREBBE SUPERIORE A QUELLO CHE DICHIARANO AL FISCO
Duecento euro in più – 800 invece di 600 – per 5 milioni e mezzo di lavoratori autonomi, partite Iva, collaboratori, stagionali, artigiani, commercianti, agricoli, lavoratori dello spettacolo.
Il governo, nel decreto di aprile, pensa di aumentare l’indennità per le persone ferme a causa del coronavirus.
Ma con ogni probabilità la misura sarà sottoposta alle condizioni. Probabile che i beneficiari dovranno dimostrare di essere entrati in crisi con l’esplosione dell’epidemia.
Intervistato a “Circo Massimo” (Radio Capital), il vice ministro Antonio Misiani spiega che “è ragionevole chiedere e ottenere l’aumento della cifra. Lavoriamo per farlo, sia pure introducento un minimo di selettività in più”.
Misiani parla anche di un decreto “consistente” in termini di risorse che muoverà altri fondi rispetto ai 25 miliardi già stanziato a marzo: “Faremo tutto quello che è necessario”.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IN PRATICA I VERTICI DELLE FORZE DELL’ORDINE NON RISPONDONO PENALMENTE DEI RISCHI A CUI E’ ESPOSTO IL PERSONALE PER IL CORONAVIRUS
“Siamo sconcertati dalla votazione favorevole della IV Commissione Difesa del Senato durante i
lavori di conversione del D.L. n.18 2020 DDL1766 nella seduta del 26 marzo 2020 all’emendamento che di fatto (…) concederebbe uno scudo penale ai vertici delle amministrazioni del Comparto Sicurezza e Difesa in esito ai rischi a cui e’ esposto il personale nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso” .
Lo afferma in una nota Giuseppe Tiani segretario generale del Siap.
Si intenderebbe pertanto escludere la responsabilita’ del datore di lavoro e del preposto figure espressamente previste dal D. Lgs. 81 08 e dal codice civile a meno che non venga dimostrata a loro carico la colpa grave o il dolo.
E’ una ipotesi che al di la’ dei profili di incostituzionalita’ – continua Tiani – vede la nostra netta e forte contrarieta’ tale scelta vanificherebbe tutte le conquiste volte alla tutela dei lavoratori nell’affrontare sul posto di lavoro i rischi connessi alla propria funzione ed in tal senso ci conforta apprendere che a quanto risulta il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha espresso parere contrario a tale misura. In un momento storicamente eccezionale la cui tragicita’ sara’ pienamente compresa solo tra qualche tempo le donne e gli uomini in divisa sono chiamati ad assolvere un compito decisivo nella lotta al contenimento ed alla sconfitta del virus e non puo’ minimamente essere presa in considerazione alcuna ipotesi di deresponsabilizzazione preventiva e retroattiva. – conclude Tiani – Gli effetti nefasti in termini di ammalati e deceduti sono gia’ tangibili anche tra il personale in uniforme e cio’ di cui la politica tutta si deve preoccupare e’ di fornirgli al piu’ presto tutti gli strumenti ed i dispositivi di protezione individuale necessari a combattere questa guerra piuttosto che pensare a scudi penali ingiustificati e immorali .
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
A PIACENZA, UNO DEI DISTRETTI DELLA LOGISTICA PIU’ GRANDI D’ITALIA, SI CONTINUA A PRODURRE PER I GRANDI MARCHI DELL’ABBIGLIAMENTO
Il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri dello scorso 22 marzo ha disposto la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali ritenute “non essenziali”, al fine di contenere ulteriormente il diffondersi della pandemia di Coronavirus.
Eppure, nonostante la decisione del governo (piuttosto criticata dai sindacati per via delle tante deroghe previste), anche molte aziende che non appartengono sicuramente alla filiera dei beni essenziali stanno continuando a lavorare.
Lo ha potuto documentare anche Fanpage.it, che ha fatto un viaggio a Piacenza, in uno dei distretti della logistica più grandi d’Italia.
Nel polo logistico continua la produzione e la distribuzione di prodotti non essenziali come l’abbigliamento.
Tanti i lavoratori intercettati dai giornalisti di Fanpage.it, che lavorano per marchi come Moncler, H&M, Dolce&Gabbana, Zalando.
“Facciamo il lavoro che abbiamo sempre fatto, anche se siamo un quarto del personale: giubbotti, scarpe, magliette — dice una dipendente che lavora per conto di Moncler -. Di sicuro non siamo un bene essenziale. Più che arrabbiati è una questione d’ansia, nel senso che uno viene al lavoro, abbiamo le mascherine i guanti, ma dato che molti in questo momento sono fermi perchè non sono ritenute attività essenziali, riteniamo che anche la nostra non lo sia”.
E proprio sui dispositivi protettivi la lavoratrice ammette: “Fai conto che le mascherine sono arrivate ieri (giovedì, ndr), prima solo chi le aveva se le metteva, gli altri facevano come sempre”.
Non tutti sembrano scontenti di lavorare: “Siamo tranquilli”, dice un’altra lavoratrice, sempre per conto di Moncler, che spiega quali sono le mansioni svolte in questo periodo in cui gran parte d’Italia è ferma per l’emergenza Coronavirus: “Controllo qualità , riparazioni, un po’ di tutto. Dobbiamo lavorare — dice la donna — siamo in pochi ma va bene così”.
Anche all’interno degli uffici il lavoro continua, anche se con meno impiegati: “Ci sono comunque delle spedizioni, delle consegne in transito. I beni sono in lavorazione nonostante non siano beni primari — ammette una delle impiegate che continua a recarsi al lavoro — però da quello che sono ci sono delle deroghe per poter lavorare, per il momento”.
(da Fanpage)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
SPESA E MEDICINE A DOMICILIO: I GIOCATORI DELL’AMATORI NAPOLI DIVENTANO VOLONTARI PER SANT’EGIDIO
Maglietta e pantaloncini restano nell’armadietto, così come il paradenti. La dotazione è un’altra:
mascherine, guanti e in tasca il gel igienizzante.
I giganti del rugby si trasformano in angeli al servizio di chi sta peggio a causa dell’emergenza coronavirus.
Spesa o medicinali, ci pensano (e non sono i soli) i giocatori dell’Amatori Napoli che hanno aderito all’appello della Comunità di Sant’Egidio. Si “gioca” in coppia e non c’è bisogno di placcare proprio nessuno.
Il campo non è più quello del Villaggio dell’ex base Nato di Bagnoli, ma è esteso a tutta la città . ” Sono stato ai Quartieri Spagnoli e poi nella zona di Piazza Dante”, spiega Luciano Dublino. Il suo ruolo è quello di estremo- ala ma adesso si sta dedicando agli anziani: “Io e il mio compagno Paolo Gisolfo ci siamo recati in auto a Montesanto, presso la sede della Comunità . Abbiamo ricevuto la lista della spesa e dei medicinali”.
Fila al supermercato e in farmacia, poi la consegna a domicilio. ” Qualcuno ci ha calato il famoso ” panaro”, ad altri abbiamo lasciato tutto fuori la porta proprio per evitare contatti. Il rispetto delle norme di sicurezza è fondamentale ” .
Ma il ringraziamento vale tanto pure a distanza. ” Gli anziani – continua Luciano Dublino – sorridevano con gli occhi e hanno riscaldato il nostro cuore. Ci siamo sentiti dei nipoti, pronti ad aiutare i nonni che non possono uscire di casa perchè rappresentano la categoria più a rischio per il Covid 19″.
In tasca ovviamente c’è l’autocertificazione e l’attestato della Comunità di Sant’Egidio: ” Il momento più bello – aggiunge Luciano Dublino – è stato quello dei controlli. Una pattuglia dei carabinieri ci ha fermato e noi abbiamo mostrato i nostri documenti e l’attestato del servizio per cui eravamo impegnati. Ci hanno fatto i complimenti per quanto stavamo facendo. Mi sono sentito orgoglioso”.
La turnazione all’Amatori Napoli è appena cominciata: la squadra è all’opera ormai da diversi giorni. Pasta, casse d’acqua e non solo.
“La prossima settimana è già tutta piena – spiega il capitano dell’Amatori Alessandro Quarto – nessuno si è tirato indietro sul nostro gruppo Whatsapp. L’adesione è stata massiccia. Siamo pronti ad aiutare, vogliamo restituire qualcosa alla comunità . Per noi è quasi un dovere. Arriviamo a Montesanto con auto o moto, poi ci spostiamo a seconda delle esigenze”, spiega Alessandro Quarto che abita a Fuorigrotta, a due passi dal San Paolo. “Ma la mia passione è la palla ovale ” . E l’impegno sociale. Che è quasi un dovere per l’Amatori Napoli. L’iniziativa è stata voluta fortemente dal direttore sportivo, Gabriele Gargano.
“Mi sono messo in contatto con l’assessora regionale alle Politiche sociali, Lucia Fortini, e ci siamo offerti di partecipare a qualche iniziativa. Non sapevamo neanche che percorso seguire e lei ci ha indirizzato presso la Comunità di Sant’Egidio. Non ci fermeremo qui, parteciperemo anche a un altro progetto, organizzato dal Banco alimentare. Distribuiremo pacchi di viveri di prima necessità agli indigenti. I nostri 30 giocatori hanno tutti accettato, quindi restiamo a disposizione per gli altri”.
Il rugby è stato rinviato direttamente alla prossima stagione agonistica. La Federazione ha preso la sua decisione e non ci saranno recuperi nei mesi estivi.
“Così possiamo assestarci spiega il presidente Diego D’Orazio – e prepararci per il nuovo campionato di serie A. Ovviamente resteremo vicino ai nostri ragazzi nel corso di questi mesi”. E alle persone meno fortunate. All’Amatori Napoli la solidarietà è la parola d’ordine.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELLE MISURE DI CONTRASTO E COSA NON HA FUNZIONATO… CI VOLEVA PIU’ CORAGGIO NEL CHIUDERE SUBITO
Harvard Business Review, rivista della celebre università americana, ha pubblicato un’analisi su quello che si può imparare dagli errori nel contrasto al coronavirus in Italia. Secondo gli studiosi statunitensi, “alcuni aspetti della crisi – a partire dalla tempistica – possono essere indiscutibilmente attribuiti a pura e semplice sfortuna, e che non potevano essere sotto il pieno controllo dei legislatori”.
In generale, “dobbiamo accettare che una comprensione inequivocabile di quali soluzioni funzioneranno probabilmente richiederà diversi mesi, se non anni”.
Però, “altri aspetti sono emblematici dei profondi ostacoli che i leader in Italia hanno affrontato nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica ad essa e nell’apprendere dai primi successi nell’implementazione (ndr. nelle ex rosse zone) – e, soprattutto, dai fallimenti”
Ciò che è avvenuto in Italia, secondo lo studio, è “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti, piuttosto che una completa mancanza di conoscenza di ciò che dovrebbe essere fatto”, anche perchè c’era già stato l’esempio della Cina.
Uno dei primi fattori ad aver condizionato le scelte sarebbe un meccanismo psicologico noto come pregiudizio di conferma (confirmation bias): è il processo mentale attraverso il quale ricerchiamo delle informazioni che confermino il nostro modo di vedere le cose, scartando quelle che sono in contrasto alla nostra visione.
“Le minacce come le pandemie” – si legge nello studio – “che si evolvono in modo non lineare (per esempio, iniziano in piccolo ma si intensificano in modo esponenziale), sono particolarmente difficili da affrontare a causa delle difficoltà nell’interpretare in modo rapido ciò che sta accadendo in tempo reale”.
Il momento ideale per l’azione è all’inizio, “quando la minaccia sembra essere piccola” o inesistente. “Se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori come se le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare”.
Nei primi momenti, in Italia, c’è stata una fase nel quale la minaccia non è stata percepita come tale: “Alla fine di febbraio, alcuni importanti politici italiani si sono impegnati in strette di mano pubbliche a Milano per sottolineare che l’economia non dovrebbe andare nel panico e fermarsi a causa del coronavirus”.
Lo studio fa riferimento soprattutto alla campagna #MilanoNonSiFerma e al caso di Nicola Zingaretti, che organizzò un aperitivo nel centro di Milano per poi risultare, una decina di giorni dopo, positivo al covid-19.
“L’incapacità sistematica di ascoltare gli esperti evidenzia i problemi che i leader – e le persone in generale – hanno avuto nel capire come comportarsi in situazioni terribili e altamente complesse in cui non esiste una soluzione facile”
Quindi, una prima lezione è riconoscere i propri pregiudizi di conferma.
Una seconda lezione è quella di evitare provvedimenti graduali. La scelta di adottare vari decreti che hanno intensificato la rigidità delle misure in modo progrssivo non è stata efficace per due motivi: “Innanzitutto, non era coerente con la rapida diffusione esponenziale del virus. I ‘fatti sul campo’ in qualsiasi momento non erano semplicemente predittivi di quale sarebbe stata la situazione pochi giorni dopo. Di conseguenza, l’Italia ha seguito la diffusione del virus piuttosto che prevenirlo. In secondo luogo, l’approccio selettivo potrebbe aver involontariamente facilitato la diffusione del virus”, scatenando, ad esempio, la reazione smodata delle persone, come nel caso degli esodi verso il Sud Italia. Un altro problema è quello di non aver avuto strumenti efficaci di contact-tracing.
Secondo la rivista, anche la frammentazione del nostro sistema sanitario, gestito dalle Regioni in modo diverso, ha contributo ad aggravare la situazione. Emblematici sono gli approcci diversi portati avanti da Veneto e Lombardia: “Mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti”.
La meticolosità del metodo veneto – dove sono stati fatti più test, il tracciamento dei contatti è stato più rapido e preciso, gli operatori sanitari sono stati riforniti presto delle protezioni necessarie – ha portato a più risultati della strategia della Regione governata da Fontana.
Una nota particolarmente dolente riguarda la raccolta dati, di fondamentale importanza per capire la portata dei problemi e per scegliere le misure di contrasto.
All’inizio, “Il problema era la scarsità di dati. Più specificamente, è stato suggerito che la diffusione diffusa e inosservata del virus nei primi mesi del 2020 potrebbe essere stata facilitata dalla mancanza di capacità epidemiologiche e dall’incapacità di registrare sistematicamente picchi di infezione anomala in alcuni ospedali. Più recentemente, il problema sembra essere di precisione dei dati”, come sottolineato in Italia anche da vari giornalisti ed esperti.
Lo studio si conclude con le due grandi lezioni che andrebbero apprese dal caso italiano: “Innanzitutto, non c’è tempo da perdere, vista la progressione esponenziale del virus”. Le misure vanno implementate il prima possibile, ed in modo organico, senza essere graduali. La seconda lezione è che “un approccio efficace nei confronti di Covid-19 richiederà una mobilitazione simile alla guerra – sia in termini di entità delle risorse umane ed economiche che dovranno essere impiegate, nonchè l’estremo coordinamento che sarà richiesto in diverse parti” della sanità , sia pubblica che privata.
Quindi, “se i politici vogliono vincere la guerra contro Covid-19, è essenziale adottarne uno che sia sistemico, dia la priorità all’apprendimento ed è in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci”
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
“IL 5 GENNAIO SI E’ PROCLAMATO LO STATO DI EMERGENZA MA PER TROPPO TEMPO NON SI E’ FATTO NULLA”
“Come tutti”, il governo “ha sottovalutato”. Lo afferma il famoso farmacologo Silvio Garattini, 91
anni, fondatore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano. “Il 5 gennaio – sottolinea Garattini – il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, ma poi non è stato fatto nulla per un mese e mezzo. E mancata una cabina di regia che gestisse l’emergenza in arrivo. Protezione civile e governo dovevano dare disposizioni alle regioni, procurare mascherine, elaborare un codice di comportamento, istruire i medici, procacciarsi respiratori, creare strutture intermedie dove alloggiare i positivi che non necessitano di ricovero, così da non affollare gli ospedali ma evitare che le persone si contagiassero solo in famiglia”.
Il “caos, però”, secondo Garattini, “non è colpa solo di questo governo”, ma anche “dei governi degli ultimi 10 anni che hanno tagliato fondi alla ricerca. Se si sopprimono i letti e i medici competenti, quando arriva l’emergenza si hanno meno risorse per affrontarla. Abbiamo un numero di ricercatori troppo basso, quindi è impossibile fare massa critica per affrontare i problemi. Nella miseria attuale, ognuno cerca di sopravvivere guadagnandosi la propria visibilità “.
Un problema che ha intaccato anche l’Istituto superiore di sanità , aggiunge Garattini, che è “un istituto eccellente, ma anche i suoi ricercatori hanno fatto parte delle carenze di sostegno alla ricerca scientifica”.
Quanto al fatto che in Italia si muore di più rispetto alla Germania, il famoso farmacologo ribadisce che “questa situazione è figlia degli errori storici commessi dalla politica. Accanto al taglio selvaggio dei fondi per la ricerca c’è la spesa bassa per la sanità , inferiore di due punti percentuali di Pil rispetto alla media Ue. Naturale che poi ci siano meno macchinari”, come respiratori, quindi più morti.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL GIORNO DEI “CONTAGGI ZERO” NELLA PRIMA META’ DI MAGGIO
La discesa della curva epidemica del Coronavirus SARS-COV- e di COVID-19 in Italia, peraltro ancora non iniziata malgrado i primi segnali positivi, potrebbe concludersi intorno ai primi di maggio con il raggiungimento del fondamentale obiettivo “contagi zero”.
È la previsione di una ricerca condotta dall’Einaudi Institute for Economics and Finance (Eief), che indica sostanzialmente tre date in base alle previsioni più ottimistiche o più pessimistiche, sulla base dei dati della Protezione Civile che però, avvisano i ricercatori, non danno la misura del totale delle persone infettate, che è “probabilmente maggiore di un intero ordine di grandezza”.
Il giorno dei “contagi zero” in tutto il Paese, sulla base di queste curve, potrebbe essere il 5, il 9 o il 16 maggio.
Ma è un termine condizionato dalle differenze sostanziali di crescita tra una Regione e l’altra: seguendo la curva più ottimistica, in Liguria, Basilicata e Umbria la data potrebbe essere addirittura il 7 aprile, in Sicilia il 14 aprile, così come in Veneto, in Piemonte il 15 aprile, nel Lazio il 16.
Più tempo per la Lombardia, che deve aspettare il 22 aprile, mentre l’Emilia-Romagna raggiungerà il target il 28 aprile. Ultima, come detto, la Toscana, che il 5 maggio (nell’ipotesi migliore) potrebbe toccare quota zero.
I numeri rappresentano ovviamente una stima che oscilla tra l’ipotesi più ottimistica (il 5 maggio, con la Toscana che “chiude” l’emergenza per ultima) e la data “di assestamento” del 16 maggio.
Un calcolo che dipende dalla presa in considerazione dei valori mediani (quelli al centro della distribuzione delle probabilità fra le evenienze peggiori e migliori) o dalla presa in considerazione anche di eventuali valori estremi ed eccezionali.
Secondo la previsione dell’Istituto Einaudi le prime regioni che riusciranno a bloccare i contagi sono il Trentino Alto Adige, la Basilicata e la Valle d’Aosta, seguite dalla Puglia, che già nei prossimi 10 giorni potrebbero veder scomparire il virus dal loro territorio. L’ultima posizione della graduatoria è occupata dalla Toscana, che sembra essere la regione più indietro nel piegare la curva dei nuovi contagi e dove si dovrà aspettare la prima metà di maggio per non vedere più nuovi contagi.
L’istituo avverte anche che non è stato possibile fare delle stime per tre regioni (Marche, Molise, Sardegna) perchè i dati attualmente a disposizione non sono sufficientemente ampi.
Franco Peracchi, autore dello studio, spiega che comunque la qualità dei dati è decisiva: “Va notato che il numero dei casi in questo momento non è pari al numero degli abitanti del Paese attualmente infettati, ma solo a quello di coloro che sono risultati positivi al test. La quantità di persone attualmente infettate è probabilmente maggiore di un intero ordine di grandezza. Inoltre, la proporzione fra i casi positivi e il numero di persone infettate in ogni momento dato non va considerata costante, perchè i criteri e l’intensità dei test variano nel tempo e fra regioni.”
Per questo motivo lo studio vieni rivisto e aggiornato ogni giorno dopo il bollettino della Protezione Civile e pubblicato sul sito dell’EIEF.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL BOLLETTINO DELLA PROTEZIONE CIVILE A 20 GIORNI DALLA “STRETTA”
Sono ormai oltre 100 mila i casi totali di pazienti contagiati dal Coronavirus in Italia. Secondo
l’ultimo bollettino presentato dal Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli sono arrivati a 101.739: 4.050 in più rispetto al dato di ieri.
Le vittime nel Paese sono salite a 11.591, 812 nelle ultime 24 ore.
I pazienti guariti in totale sono 14.620, 1.590 solo nella giornata di ieri. «È il numero più altro da quando è iniziata l’emergenza», ha detto Borrelli.
Al momento il totale dei pazienti positivi è 75.528. Di questi 3.981 sono in terapia intensiva, 27.795 sono ricoverati con sintomi e 43.752 si trovano in isolamento domiciliare.
(da Open)
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