Giugno 30th, 2020 Riccardo Fucile
E’ IL PRIMO A ROMPERE PUBBLICAMENTE IL FRONTE
Oggi Matteo Pucciarelli su Repubblica intervista Primo Di Nicola, ex giornalista e senatore del MoVimento 5 Stelle che, unico per ora nel suo partito, apre pubblicamente al MES seguendo la linea del Partito Democratico che con una lettera di Nicola Zingaretti al Sole 24 Ore ha detto sì allo strumento:
«Questo strumento non è più quello che ha portato allo strangolamento della Grecia. Oggi l’unica condizionalità è legata all’utilizzo in ambito sanitario per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Certo, c’è da aspettare che le regole del Mes vengano definitivamente scritte, ma Dio solo sa quanto bisogno abbiamo di quei 36 miliardi. Mi chiedo: se ne abbiamo bisogno e dovesse rivelarsi conveniente, perchè no?».
Condivide i 10 punti per il sì messi in fila dal segretario dem Nicola Zingaretti?
«Mi paiono proposte di buon senso, limitate alla sanità , che ha però bisogno di essere riformata togliendo alle Regioni le troppe competenze accordate negli ultimi decenni e che spesso si sono trasformate in sprechi e scandali».
Non ha perplessità quindi.
«Aspetti, i dubbi ci sono e riguardano i problemi che potrebbero crearsi se un paese non dovesse essere in grado di restituire il prestito. Quindi penso sia necessario chiarire che in ogni caso la sovranità nazionale non si tocca, lasciando ai paesi che dovessero trovarsi in difficoltà la libertà di individuare le ricette economiche più adatte a fronteggiare le eventuali crisi».
Secondo lei le resistenze interne nel Movimento sono infrangibili?
«Chissà , certo è che dalle posizioni preconcette, ideologiche, occorre passare a una linea ragionata, spiegando all’intero M5S che se si ricorresse al Mes risparmieremmo svariati miliardi di tassi di interesse che potremmo impiegare per le tante altre nostre emergenze».
Se il Mes non si chiamasse Mes sarebbe tutto più semplice forse…
«Probabilmente sì».
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 30th, 2020 Riccardo Fucile
DOPO I 107 CASI ACCERTATI IN BARTOLINI A BOLOGNA, LA DENUNCIA DEI SINDACATI: “INFEZIONI ANCHE IN TNT, CDL E SDA, CHIEDIAMO CHE I LAVORATORI SIANO MESSI IN QUARANTENA E SOTTOPOSTI A TAMPONE
Allarme Coronavirus nel settore della logistica. Dopo i 107 casi accertati tra i lavoratori di
Bartolini, oggi Brt, in zona Roveri a Bologna, diventati 109 dopo che due camionisti sono risultati positivi al tampone, altri se ne sono registrati nelle ultime ore in nuovi magazzini, segno che l’infezione si sta diffondendo a macchia d’olio in questo comparto che non si è mai fermato dall’inizio dell’emergenza.
“C’è un caso in Tnt, 1 tra i dipendenti della ditta di consegna Sda, caso isolato e non collegato al focolaio in Brt, più altri 2 in quarantena presso il proprio domicilio che invece avevano avuto contatti con con i lavoratori di Brt, e 2 casi in Cdl, azienda che si occupa della distribuzione dei giornali — specifica a Fanpage.it Simone Carpeggiani, coordinatore provinciale di SiCobas -. Il fatto è che ogni giorno c’è qualcosa di nuovo e per questo siamo molto preoccupati”.
Dunque, con la vicenda di Bartolini è come se fosse stato scoperchiato una sorta di vaso di Pandora, che dimostra come l’attenzione deve restare alta per garantire la sicurezza dei lavoratori.
Per questo, i sindacati stanno cercando di coinvolgere le istituzioni, locali e nazionali, per mettere a punto un piano di intervento e salvaguardare in questo modo la salute dei dipendenti del settore.
“Quello che noi chiediamo — aggiunge Carpeggiani — è la possibilità di mandare in quarantena retribuita e preventiva i lavoratori e di sottoporli a tampone per evitare lo scoppio di nuovi focolai. Al momento, nessuna delle aziende in cui sono stati riscontrati casi positivi di Covid-19 hanno chiuso, continuano la loro attività come sempre. Il problema della logistica è in espansione, come dimostra questa impennata di casi che si sta verificando negli ultimi giorni. Abbiamo chiesto un incontro con le autorità regionali e a brave lo faremo anche con il Mise per denunciare questa situazione e illustrare quali sono le difficoltà reali dell’applicazione delle leggi anti-contagio in un settore del genere”.
Il riferimento è alle norme di distanziamento sociale e sanificazione che non sempre vengono osservate nei magazzini.
A ciò si aggiunga poi il problema dei driver. Due di loro, in Brt, sono risultati positivi e hanno continuato a lavorare in attesa del tampone: “Tutti i lavoratori hanno continuato a lavorare in attesa di essere sottoposti al test — conclude Carpeggiani, che, in riferimento ai driver puntualizza: “Per quanto riguarda la sicurezza degli utenti, è previsto che chi consegna lasci i pacchi davanti alla porta dei riceventi per non avere contatti. Si devono rispettare questo regole, abbiamo anche detto che chi non ha la protezione adatta venga sospeso e venga lasciato fuori dal magazzino”.
(da Fanpage)
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Giugno 30th, 2020 Riccardo Fucile
QUESTA VOLTA L’AUTORE DELLA VERGOGNOSA FALSITA’ SI BECCA UNA QUERELA
Questa volta, la vicenda non si concluderà semplicemente con la smentita dei siti di debunking su una bufala evidente che sta circolando in rete ormai da qualche ora.
Ivan Scalfarotto, infatti, ha appena annunciato di voler querelare la persona che ha diffuso uno screenshot di un emendamento di Carlo Giovanardi risalente alla scorsa legislatura che è stato invece attribuito al testo della legge contro l’omofobia (Scalfarotto-Zan) che questa settimana arriverà alla Camera dei deputati per la prima discussione.
Nell’emendamento si inserirebbe la pedofilia tra gli orientamenti sessuali. Una questione che non può assolutamente essere ascrivibile a qualsiasi esponente del parlamento italiano e che — come ha spiegato il portale Bufale.net — era stata inserita in passato in un emendamento ostruzionistico del centrodestra, che facesse arenare la discussione sul tema dell’omofobia già nella passata legislatura.
«C’è davvero qualcuno che crede che la legge sull’omofobia che arriverà questa settimana alla Camera, possa sdoganare la pedofilia? — ha scritto Gennaro Migliore commentando la fake news che sta circolando online — Assurdo come un documento palesemente falso come questo possa girare così tanto in rete. Anche in un momento come questo, c’è chi prova a speculare».
«Considerata la gravità del fatto — ha invece specificato Ivan Scalfarotto — ho dato mandato al mio legale perchè proceda in sede penale e civile nei confronti del Signor Angelini che ieri mi ha accusato di difendere la pedofilia attribuendomi un emendamento a firma di Carlo Giovanardi».
La legge contro l’omofobia sarà in discussione questa settimana alla Camera, dove ha buone possibilità di poter mettere d’accordo la maggioranza. Si tratta di un provvedimento che nei giorni scorsi è già stato osteggiato dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal mondo della destra conservatrice. Nel solco dei contrari al provvedimento, evidentemente, si può inserire anche chi ha pensato di prendere un vecchio emendamento di Giovanardi e di decontestualizzarlo, applicandolo alla proposta di legge attualmente in discussione. Un goffo tentativo di manipolazione che, adesso, rischia di avere un risvolto penale.
(da Giornalettismo”)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
IL VERTICE A MESEBERG PER METTERE A PUNTO UNA STRATEGIA SUL RECOVERY FUND
“Sovranismo europeo”. Angela Merkel ed Emmanuel Macron si appropriano del concetto
che finora ha ingrassato i nazionalisti anti-Ue, prendono il brand e lo estendono oltre i confini degli Stati membri: per comprendere tutta l’Unione Europea. Nella conferenza stampa a Meseberg, dopo un bilaterale che già iscrivibile nella storia a due anni dalla dichiarazione franco-tedesca firmata sempre in questo castello barocco vicino Berlino, l’espressione viene citata da Macron. Ma rispecchia perfettamente l’obiettivo del semestre tedesco di presidenza dell’Ue, al via dopodomani: stabilire una sovranità europea nel mezzo delle nuove rivalità tra Usa, Russia, Cina.
Solo che per ora il “sovranismo europeo” è un sogno, un obiettivo cui lavorare. Sul recovery fund, la sfida più importante degli Stati membri per rispondere alla crisi economica del covid, la Cancelliera tedesca e il presidente francese non hanno ancora un poker in mano, a poco più di due settimane dal Consiglio europeo del 17 e 18 luglio.
“Speriamo di trovare una soluzione, ma la strada è ancora lunga”, ammette Merkel, al termine di un vertice di larghi sorrisi e concordia franco-tedesca. “Sono lieto di ritrovarmi con Angela Merkel per andare avanti sul piano di rilancio europeo che permetterà di superare la crisi economica e sociale. Faremo tutto il possibile per convincere i nostri partner. L’Europa ne ha bisogno”, dice Macron.
La Cancelliera tedesca accoglie il presidente francese negli splendidi giardini di Meseberg, la giacca bianca riflette il sole estivo. Cornice perfetta, prospettiva complicata. La speranza è di raggiungere un accordo a luglio sul recovery fund: 750mld di aiuti (500mld di sussidi e 250mld di prestiti) raccolti con bond della Commissione europea sul mercato per aiutare i paesi più colpiti dal coronavirus come l’Italia. E anche sul bilancio pluriennale europeo: lo strumento che nel 2058 dovrà di fatto ripagare il debito comune europeo creato dal recovery fund. Ma i lavori sono ancora in corso, con i paesi frugali che chiedono garanzie su come verranno spesi i soldi e con i paesi più deboli — come l’Italia — che devono dare queste garanzie sotto forma di piani di riforme e investimenti.
Non a caso, la Cancelliera sottolinea che collegare l’uso dei fondi anti-crisi al semestre di sorveglianza europeo — cioè il periodo di supervisione delle politiche di bilancio degli Stati membri da parte della Commissione europea — è “una proposta eccellente”, “estremamente utile per tutti”. Macron cita l’Italia: “Il premier Conte ha fatto delle proposte” per il rilancio dell’economia italiana e “anche in Germania possiamo investire di più e lo faremo”.
E’ questo il nodo principale della trattativa che fa dire alla Cancelliera: “Non possiamo definire adesso quale sarà il risultato, ci sono resistenze da superare, l’esito non è in tasca”. Però, aggiunge, “tutti” i leader europei “sono stati d’accordo che occorre tutti uscire più forti dalla crisi, con un bilancio comune, e che ogni Paese deve anche guardare al proprio interno e fare ciò che deve fare a livello nazionale per rendere l’economia competitiva”. E poi spezza una lancia a favore dell’Italia e dei paesi più deboli: “Alla fine dobbiamo avere uno strumento che funzioni, un fondo di rilancio sostanzioso che serva a qualcosa e che aiuti i Paesi e le regioni più toccati dalla crisi”.
Il recovery fund è il primo test del rilancio di Meseberg. Ma Merkel e Macron tentano di presentare un piano di rilancio europeo di lunga gittata, almeno per i prossimi due anni. Vale a dire: dalla presidenza tedesca che finisce a dicembre 2020 a quella francese che inizia a gennaio del 2022. Il succo è: con la crisi del covid, l’Europa si gioca la faccia.
“Siamo ad un momento di verità per l’Europa”, dice il presidente francese, lanciando l’idea che la conferenza sul futuro dell’Europa — processo di riforma tutto in fieri — duri fino alla presidenza francese, appunto.
Ma il tempo stringe. E il motore franco-tedesco funziona più a Berlino, dove Merkel è alla fine del suo ciclo politico eppure combattiva, che a Parigi. Macron sta attraversando una fase di calo nei sondaggi e nelle urne, come dicono le comunali francesi che ieri hanno registrato un successo dei Verdi. Da Meseberg, il presidente insiste sull’ambientalismo, pur affermando che il test di ieri è “locale, non nazionale”. Questa “Europa sovrana”, sottolinea, deve esserlo dal punto di vista “climatico”, oltre che “economico, industriale, sanitario…”. E poi affonda cerca il titolo forte per i giornali di domani attaccando la Turchia sulla Libia: “Haftar ha fatto un’operazione militare in disaccordo con la Francia. Ma la responabilità di Russia e Turchia è grande. In particolar modo, la Turchia”, che appoggia il governo di al Serraj a Tripoli, “ha una responsabilità storica e criminale, da membro della Nato”.
Meseberg è evocativo di storia. Proprio qui, esattamente due anni fa, Merkel e Macron firmarono la dichiarazione franco-tedesca che lanciò il processo di rafforzamento dell’unione bancaria e monetaria, inclusa la riforma del Mes. Non è andata benissimo, visto che il pacchetto è ancora da completare. Ma l’intenzione dei due leader resta intatta, anzi rafforzata dalla prova del covid. Se l’Europa si gioca la faccia, Merkel si gioca la carta con cui verrà ricordata nei libri di storia, Macron si gioca il futuro. Potrebbe anche bastare per andare avanti. Chissà .
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
ZINGARETTI INSISTE CHE SERVE, M5S IN SUBBUGLIO: “TRENTA DEI NOSTRI NON LO VOTANO NEANCHE SOTTO TORTURA”
“La nostra posizione non cambia”. “Siete miopi ed ideologici”.
La lettera di Nicola Zingaretti sul Mes ha fatto detonare la maggioranza. Il segretario del Partito democratico ha scritto al Corriere della Sera per ribadire una posizione inequivocabile: “Basta incertezze, quei soldi servono al sistema sanitario nazionale”, con tanto di corollario in dieci punti per spiegare come potrebbero essere spesi e che effetti positivi potrebbero generare. I vertici del Movimento 5 stelle schiumano rabbia: “Quel che pensiamo noi è chiaro da mesi a tutti – si sfoga un ministro – che vuole fare, far cadere il governo?”.
Il voto in Parlamento sul tema è l’unico vero scoglio che si ritrova la maggioranza sulla strada dell’ombrellone. Giuseppe Conte rimane in silenzio: dopo una breve riunione con il suo entourage ha deciso di non rispondere. E’ la strategia di sempre: non andare a un braccio di ferro, situazioni che considera improduttive e in cui si sente a disagio, e lasciar decantare il tema in attesa di tempi migliori e nella speranza che maturi un punto di caduta.
Il dado a Palazzo Chigi è stato tratto: il voto non s’ha da fare, non subito almeno. A settembre il quadro politico sarà evoluto e si potrà convincere Pd e Italia viva a farne a meno (difficile) o i 5 stelle a dire sì (opzione anche questa complicata, ma con più margini di manovra).
Le diplomazie sono in moto per sventare un’eventuale risoluzione prima del Consiglio europeo del 17 e 18 luglio prossimi. La risoluzione ci sarà , non tenendo più la motivazione dell’informalità del vertice, ma sarà calibrata parola per parola sul solo Recovery fund. Il Mes nemmeno citato.
“E’ una posizione coerente – spiega un parlamentare che coltiva i rapporti con il premier – Conte ha sempre detto che il voto sul Mes ci sarà quando avremo chiaro il quadro di tutte le misure messe in campo dall’Europa. E non sappiamo nemmeno se la riunione a Bruxelles di metà luglio sarà decisiva. Zingaretti ha rotto gli indugi, anche spinto dalla robusta parte del partito capeggiata da Dario Franceschini che non ne può più dell’immobilismo e del decidere di non decidere da parte di Conte. Il quale non se la passa bene nemmeno tra i pentastellati.
Le chat interne sono esplose: “Non dovremmo rispondere noi, dovrebbe rispondere Conte, visto che è stato lui a dire mai al Mes”. I 5 stelle schiumano. Un alto dirigente ha una teoria: “Il fatto che non dica una parola è preoccupante. Dice di avere un ottimo rapporto con Zingaretti, è impensabile che il Nazareno non lo abbia avvertito. E’ una strategia per metterci all’angolo”.
Ecco lo scontro, con Stefano Patuanelli a ribadire che “la posizione M5s non cambia” e il vicecapogruppo Pd alla Camera a puntare il dito sugli alleati “miopi e irresponsabili”. L’ala più riformista nel Movimento guarda preoccupata al pallottoliere: “Una trentina dei nostri non lo votano nemmeno sotto tortura”, dice un esponente dei vertici.
I più sono alla Camera, ma sono i 7/8 al Senato a preoccupare maggiormente. Che succede se i voti di Forza Italia risultano decisivi? Gli azzurri hanno mandato un messaggio chiaro a Conte: senza un riferimento al Mes non voteranno lo scostamento di bilancio.
Poco male, perchè su quel voto i numeri ci sono. Sul Mes traballano paurosamente. La speranza è che l’estate e il quadro d’autunno favoriscano un punto di caduta, un ammorbidimento pentastellato. Operazione ardita e non priva di rischi d’incidente da qui alla pausa per le vacanze.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
MALUMORI M5S SUGLI APPALTI, PD E IV ESASPERATI DAL METODO: “DECIDONO TUTTO CONTE E CASALINO”
Per Giuseppe Conte si è in dirittura d’arrivo, mentre la maggioranza esplode. Domenica
sera iniziano a girare le prime bozze del decreto Semplificazioni, il terzo step per affrontare l’era del Covid-19 secondo il premier, dopo il decreto Cura Italia e il Rilancio.
Palazzo Chigi indica una road map che ha come punto di arrivo il Consiglio dei ministri di giovedì: “Lo riusciamo ad approvare”, è sicuro l’entourage del premier. “Per noi giovedì va benissimo, bisogna solo capire di quale settimana”, ironizza un dirigente del Partito democratico.
Giovedì della settimana scorsa si era capito che qualcosa non stava andando. “Scusate, ma non è possibile che solo noi non abbiamo visto un testo”, è sbottato Luigi Marattin durante il vertice di governo.
“Veramente nemmeno noi lo abbiamo mai visto”, è intervenuto gelido Dario Franceschini”. “Noi nemmeno”, ha chiuso il coro per Leu Maria Cecilia Guerra.
Un provvedimento cruciale sul quale tutti i partiti di maggioranza non hanno possibilità di mettere occhi e ragionamenti a una settimana dall’approvazione.
“E’ il metodo Conte – sbotta un uomo vicino al ministro della Cultura – funziona così, come per gli Stati generali: decidono tutto lui e Casalino, noi forse veniamo informati, se si ricordano.
Conte non sembra trovare alleati nemmeno nel Movimento 5 stelle nella battaglia carsica che sta dilaniando la maggioranza.
Sugli articoli che semplificano il codice degli appalti, il cosiddetto “modello Genova”, all’interno dei gruppi parlamentari è in atto una sommossa. Il bersaglio è Conte, ma a molti non sfugge che a perorare la causa siano stati anche Stefano Buffagni e Giancarlo Cancelleri, viceministri rispettivamente allo Sviluppo economico e alle Infrastrutture. “Così è troppo – spiega un deputato grillino di peso – non si rendono conto che sta roba non la votiamo”.
Il testo andrà limato, è evidente. Il premier spera di sciogliere tutti i nodi in un vertice con i capi delegazione che ha messo in agenda per martedì, rimandare l’articolato agli uffici per le opportune correzioni, e portarlo in Cdm due giorni dopo.
Una road map ottimistica. “Giovedì al massimo lo licenziamo senza intese”, dicono fonti di Italia viva, sottintendendo che trovare in tre giorni un accordo è al limite dell’utopia, aggiungendo che il metodo di provvedimenti decisi a tavolino da Palazzo Chigi “francamente sta diventando inaccettabile”.
Senza contare che in una nota congiunta Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto a gran voce di essere convocati preventivamente, per un confronto su una norma che riguarderà milioni di lavoratori, anche e soprattutto del comparto pubblico.
Oltre al capitolo degli appalti, la maggioranza è percorsa da tensioni sulle norme che riguardano l’edilizia e la certificazione antimafia, e la parte dedicata alla Pubblica amministrazione ha lasciato perplessa in alcuni punti la ministra Fabiana Dadone.
Un “approfondimento” è stato inoltre chiesto dai 5 stelle sui capitoli che riguardano misure più vantaggiose per funzionari e politici che firmano per responsabilità penali ed erariali, che impattano sul reato dell’abuso d’ufficio.
Da Leu i segnali sono poco incoraggianti: “Giudichiamo malissimo tutto quel che implica sanatorie di fatto o mani libere sul territorio”, definendo “inaccettabile il testo nella sua parte di tutela dell’ambiente.
Mettendo insieme i puntini ne esce fuori un quadro che difficilmente porterà a un’approvazione in tempi rapidissimi e senza lasciarsi dietro scorie come auspicato dal premier. Conte martedì riunirà la sua maggioranza intorno al tavolo della sua sala riunioni. Da come ne usciranno si capirà la piega che prenderà l’ennesimo, tribolato, decreto legato al coronavirus e alle sue conseguenze.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
ADDIO AL PALAZZO CHE HA FATTO LA STORIA DI QUESTO QUARTO DI SECOLO DELLA POLITICA ITALIANA
Quella villa, col suo meraviglioso parco sull’Appia Antica, un capolavoro anni ’30, su un unico piano tra immensi saloni, è stata il piccolo grande simbolo di un sodalizio.
Quello tra il magnate miliardario Silvio Berlusconi e l’artista, ma soprattutto l’amico, Franco Zeffirelli.
Perchè quando l’allora premier l’ha acquistata – era il 2001 – il regista fiorentino la abitava già da tempo. Tre milioni, 375 mila euro il costo, tutto sommato dati in dono, se si considera che il Cavaliere la acquistò a quell’esorbitante cifra per concederne l’usufrutto vita natural durante al maestro del Gesù di Nazareth e di tanti altri capolavori.
E non passò giorno senza che Zaffirelli riconoscesse e ringraziasse il “generoso Silvio” per quel regalo d’altri tempi. Dal valore doppio, dato che considerava il fondatore di Forza Italia il suo leader politico, oltre che il fraterno amico.
Dopo la morte del regista, l’anno scorso, sono iniziati lenti i lavori di ristrutturazione, anzi restauro, dell’edificio che solo adesso – complice il lockdown – stanno per concludersi del tutto.
Così, l’eurodeputato (come anticipato in queste ore dal Messaggero) ha deciso di trasferire proprio nella zona verde della Capitale la sua residenza per le poche giornate romane che d’ora in avanti intenderà concedersi.
Trasloco a settembre e addio a Palazzo Grazioli, che ha fatto la storia di questo quarto di secolo della politica italiana. Per ragioni economiche, anche. La residenza su due piani nel cuore di Roma, ormai per lui inutilmente a due passi dal Senato e dalla Camera, era stata affittata nel 1996.
Al costo poco ragionevole, persino per la famiglia Berlusconi di questi tempi, di 480 mila euro l’anno. Nell’ultimo, ma così anche negli ultimi precedenti, il capo del partito ci aveva messo piede pochissimo.
A febbraio, prima della quarantena a Nizza, la precedente visita. Si chiude dunque il “Parlamentino” del piano terra, location di memorabili comizi del leader per i soli parlamentari del partito e di epici confronti interni.
Stanza di compensazione dei minidrammi giudiziari del fondatore – condanna definitiva e l’espulsione dal Parlamento del 2013 – e dei suoi sodali (Denis Verdini). Stanze in cui erano di casa Gianni Letta e il compianto Paolo Bonaiuti, sede di lavoro per l’avvocato Niccolò Ghedini e più di recente del braccio destro Licia Ronzulli.
Adesso varcavano il portone solo il paio di segretarie rimaste, l’autista, i dirigenti fidati di partito Valentino Valentini e Sestino Giacomoni che avevano lì ancora l’ufficio. E poi giusto Fedele Confalonieri quando di tanto in tanto mette piede a Roma.
Nel grande appartamento con camere da letto, salone, cucine del piano nobile, il primo – dove sono andati a trovarlo leader di mezzo mondo, da Putin a Orban – Berlusconi non ha più alcuna voglia di entrare, raccontano i suoi.
E se proprio sarà costretto a raggiungere la Capitale per un incontro politico coi parlamentari, intende almeno godersi il verde e i silenzi dell’Appia piuttosto che i rumori e il traffico a pochi metri da Piazza Venezia.
Per tenere a rapporto deputati e senatori, basterà – come avvenuto prima dell’epidemia – la Sala Koch di Palazzo Madama o l’aula dei gruppi parlamentari, in via di Campo Marzio, alla Camera. E poi per l’attività del partito resta la sede di Piazza San Lorenzo in Lucina. Coi suoi saloni e i suoi studi, più che sufficienti, hanno deciso ad Arcore.
Con Grazioli, va da sè, si chiude un’altra pagina della politica attiva del Cavaliere. E’ un ulteriore pezzo della sua vita politica attiva che va in archivio.
Le tante auto blu posteggiate nella piazzetta Grazioli sul retro. I tanti giornalisti seduti sulle foriere sotto i balconi, negli “anni d’oro” della sua presidenza del Consiglio, a registrare ingressi e uscite, durata dei summit e umori del capo, che ogni tanto si fermava e scendeva dall’auto sorridente e prodigo di dichiarazioni, altre passava dritto salutando dal finestrino o cupo sulle sue carte.
Fino al declino post 2009, quando dalle mura del Palazzo le ragazze che lo frequentavano iniziarono a far filtrare racconti non esattamente politici.
Il resto è cronaca di una parabola discendente. Del consenso, ma in fondo anche della passione per il partito e gli affari di Stato, di un Berlusconi che ormai riesce ad accendersi più per le vicende del Parlamento europeo del quale fa parte dal 2019 che per quelle italiane.
L’opposizione gli sta così stretta e angusta, gli appare così vecchia, da aver voglia di superarla, per uscire dal recinto e voltare pagina. Un po’ come dire addio a Palazzo Grazioli.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
MA DEI PALAZZONI EX CIRIO E DELLO SFRUTTAMENTO DEI BRACCIANTI NON FREGA NULLA A NESSUNO… IRONIA DELLA SORTE: L’AUTO DI SALVINI COSTRETTA AD ALLONTANARSI PASSANDO DALLA ZONA ROSSA
Si affacciano e lo guardano esterrefatti. Parlano tra loro e iniziano a gesticolare. Chi è
arrivato sotto i balconi pericolanti e sdruciti, con cemento che crolla e ferri scoperti, dei palazzoni ex Cirio di Mondragone? C’è Matteo Salvini alla ricerca del palcoscenico più infuocato che in questi giorni l’Italia propone.
Sui parapetti ci sono i braccianti bulgari, asserragliati dentro casa e quasi non credono ai loro occhi quando vedono scorrere il sangue dalla testa di un manifestante.
Il leader leghista grida nel megafono i suoi slogan e inizia così la sua campagna elettorale in vista delle elezioni regionali di settembre.
La polizia carica i manifestanti arrivati qui per rovinargli la passerella in questo teatro dello sfascio: “Cosa hai fatto quando eri al Viminale? E cosa ha fatto il centrodestra in tutti questi anni?”.
Questo luogo avrebbe bisogno di risposte, non di spot e di guerriglie, e invece si trova esposto nell’ennesima battaglia propagandistica.
Siamo a cento metri dal mare. A pochi passi da un litorale che qui in Campania sarebbe dovuto diventare, negli anni ’80, il luogo della vacanza per eccellenza, una specie di riviera romagnola. E invece vi è un’area della città che oggi è un ghetto ancora più ghettizzato. Militarizzato. Blindato dalle camionette dell’esercito e dei carabinieri. Uomini in divisa sorvegliano giorno e notte i cinque palazzoni dove vivono settecento bulgari su una popolazione di 28 mila abitanti. Gli immigrati in tutto qui in città sono tremila.
Superato il fiume Garigliano, il confine tra il Lazio e la Campania, qualche chilometro più avanti, Mondragone si presenta così. Con un’area divenuta zona rossa perchè 43 lavoratori dei campi, che risiedono in questi edifici, sono risultati positivi al Covid. Giorni fa hanno provato a violare la quarantena perchè se non lavorano non ricevono la loro già scarsa paga e quindi non portano il cibo a casa. È successo che gli abitanti si sono ribellati, è scoppiato il caos con tanto di sedia lanciata da un balcone.
E così la pandemia non ha fatto altro che radicalizzare le contraddizioni che quest’area vive almeno da cinquant’anni. Da quando doveva essere trasformata in qualcosa di meglio e invece è rimasta terra di speculazione edilizia, sfruttamento della manodopera e criminalità .
Ora si è acceso un focolaio, che non è solo quello del Coronavirus, è un focolaio di tensioni tra abitanti e immigrati che non fa altro che acuire gli squilibri sociali.
Dal 2015 c’è sul tavolo del sindaco una pila di ordinanze di sgombero, ma nessuno le ha portate a termine.
“Qui tutti sanno ma tutti fanno finta di nulla”, dicono gli abitanti. Mentre Don Franco Alfieri, il parroco del Santuario, che da queste parti ha combattuto la camorra, non nasconde le sue preoccupazioni: “Qui si sta facendo un’opera di sciacallaggio. I politici vengono a speculare, più di qualcuno soffia sul fuoco per controllare l’incendio. Ma qui stiamo parlando di cittadini europei, sono bulgari e nonostante questo non hanno diritti”. Non è la prima volta che da queste parti avviene una sommessa “ma poi si riparte da principio senza mettere in campo un progetto”.
I braccianti bulgari continuano ad andare nei campi partendo alle cinque del mattino a bordo di furgoni che vanno a prenderli di fronte a questi palazzoni. “Se adesso ci sono centinaia di uomini a blindare quella zona, perchè una pattuglia della polizia non ha mai seguito quei furgoni per arrestare i caporali? Nessuno ci dà retta”, Igor Prata, segretario generale Flai Cgil di Caserta che da anni denuncia questa situazione, non fa altro che ripeterlo: “I braccianti bulgari lavorano anche 12 ore al giorno per un massimo di 30-35 euro se sono donne e 35-40 euro se sono maschi. E vanno a lavorare anche gli adolescenti. Ovviamente tutto in nero”.
Don Franco Alfieri vorrebbe proporre progetti per integrare almeno i bambini: “Bisogna portarli a scuola, solo così gli daremo un futuro diverso”. Ma niente da fare. Nei palazzoni ex Cirio si vive in dieci persone in un appartamento, in condizioni igienico sanitarie devastanti, senza contratto e in molti casi che non è in mano ai caporali è in mano alla criminalità organizzata. “Dovrebbe intervenire la Asl, mandare i controlli”, dice ancora don Franco: “C’è irresponsabilità da parte delle autorità . Queste persone le troveremo morte lì dentro. Forse solo allora si farà qualcosa”.
Come dice Sergio Nazzaro, scrittore vissuto a Mondragone: “Il vero straniero è il problema, che è sempre di qualcun altro. Non appartiene mai a noi, non si ascolta mai qualcuno ammettere le proprie responsabilità , sono demandate ad un altro da noi”. E invece qui ognuno ha la propria fetta di responsabilità . Il sindaco Virginio Pacifico avrebbe preferito “gestire questa emergenza con minori tensioni. I problemi urbanistici e sociali dell’area ex Cirio necessitano di un sostegno anche e soprattutto degli enti di governo a noi sovraordinati”. Appunto. Enti di governo a noi sovraordinati.
Ed ecco il presidente Vincenzo De Luca in allarme. Mondragone rischia di macchiare l’immagine Covid free che in quest’ultimo mese ha creato attorno alla regione Campania. Le camionette delle forze dell’ordine non hanno frenato il focolaio.
Oggi sono stati riscontrati altre 23 casi di Coranavirus in città , fuori dai palazzoni ex Cirio ma ad esso collegati. E si teme che nei prossimi giorni sarà peggio. Intanto i braccianti bulgari restano a guardare, non possono entrare nè uscire da casa. In compenso però sotto i loro occhi c’è un maxi assembramento creato dai leghisti, dalle forze dell’ordine, dai contestatori.
Come se qui giù invece il Covid non esistesse. Salvini si infila in macchina e ironia della sorte è costretto a passare proprio dalla zona rossa perchè un muro umano gli impedisce il transito tra urla e proteste.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 29th, 2020 Riccardo Fucile
E’ DURATO DUE ORE E MEZZA, LE CONDIZIONI RESTANO GRAVI MA STABILI
Alex Zanardi è stato portato di nuovo in sala operatoria ed ha subito un nuovo intervento al cervello. Lo rende noto il policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, dove è ricoverato dallo scorso 19 giugno in seguito all’incidente che lo ha coinvolto.
“Nell’ambito delle valutazioni diagnostico-terapeutiche effettuate dall’èquipe che ha in cura l’atleta – spiega il bollettino medico diffuso dalla direzione sanitaria dell’Azienda ospedaliero-universitaria senese – è stata effettuata una tac di controllo. Tale esame diagnostico ha evidenziato un’evoluzione dello stato del paziente che ha reso necessario il ricorso ad un secondo intervento di neurochirurgia”.
Dopo l’intervento, durato circa 2 ore e mezza, Alex Zanardi è stato “nuovamente ricoverato nel reparto di terapia intensiva dove resta sedato e intubato: le sue condizioni rimangono stabili dal punto di vista cardio-respiratorio e metabolico, gravi dal punto di vista neurologico, la prognosi rimane riservata”.
“L’intervento effettuato – dichiara il direttore sanitario dell’Aou senese Roberto Gusinu – rappresenta uno step che era stato ipotizzato dall’èquipe. I nostri professionisti valuteranno giorno per giorno l’evolversi della situazione, in accordo con la famiglia il prossimo bollettino sarà diramato tra circa 24 ore”.
(da agenzie)
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