Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
IL SENSO DEL MESSAGGIO DI MATTARELLA E’ UN “FATE PRESTO” SU TUTTI I FRONTI
La notizia non è tanto questo o quel passaggio sulle degenerazioni o sulle “gravi distorsioni” emerse dal caso Palamara oppure questo o quel passaggio di difesa della magistratura, della sua funzione e dei suoi anticorpi.
Repetita iuvant, ma in fondo Mattarella lo aveva già detto, anche con maggiore indignazione, sia dopo la prima sia dopo la seconda “ondata” di ascolti, che hanno squadernato, agli occhi dell’opinione pubblica, una questione morale nella magistratura, con i suoi intrecci correntizi e le sue commistioni opache con la politica.
Il senso del discorso del capo dello Stato, nel corso della cerimonia per ricordare i magistrati uccisi dalla mafia e dal terrorismo — esempio di “fedeltà ” repubblicana che cozza con la fedeltà correntizia dei casi in questione – è, se lecito, il tormento.
Il tormento di un uomo delle istituzioni che, pur consapevole delle implicazioni di questa crisi, è altresì consapevole dei suoi limiti e non intende valicarli, con una risposta eccezionale all’eccezione che snaturerebbe la natura della sua funzione: “Si odono – questo il passaggio – talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perchè assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione ai diversi organi costituzionali e senza tener conto di essi”.
Non è forzato scorgervi un salto di qualità , in questa tenaglia tra preoccupazione crescente e senso del limite.
Perchè la questione è squadernata e riguarda la delegittimazione che investe la magistratura italiana, in un quadro in cui, di fronte all’intreccio tra toghe e politica che emerge dallo scandalo Palamara, nè la politica, nel suo complesso, nè la magistratura, hanno mostrato una consapevolezza e una capacità reattiva.
A fronte cioè di questa assillante urgenza è altresì squadernata l’assenza di un’azione tempestiva e determinata che tuteli e rilegittimi la magistratura agli occhi degli italiani, evitando che, nella propaganda politica e nel senso comune, venga buttato via assieme all’acqua sporca delle degenerazioni anche il bambino, e cioè l’ordinamento giudiziario nel suo complesso.
Ecco il punto, più volte gli appelli alla riforma del Csm sono caduti nel vuoto, e con essi la sollecitazione a uno scatto istituzionale.
Chiedere al capo dello Stato di dettare o imporre una riforma al Csm e al Parlamento equivale a invocare una “supplenza”, all’interno di un quadro in cui il presidente del Consiglio non mai avvertito la necessità di un discorso alle Camere, così come i presidenti dei due rami del Parlamento, nè le singole forze politiche.
Neanche quelle che, quando al Colle abitava un capo dello Stato “supplente” della politica, ne denunciavano l’attitudine monarchica o minacciarono l’impeachment quando l’attuale esercitò le sue prerogative al momento della formazione del governo. È un punto molto delicato il rispetto, scelto da Mattarella, di questo confine che poi rappresenta l’essenza del suo settennato parlamentarista in tempi di populismo.
La rinuncia cioè a pilotare politicamente la crisi, indirizzandola di fronte al paese oltre la moral suasion, pur ravvisandone tutti i fondamentali.
È evidente che, nella cerimonia odierna, c’è tutta la consapevolezza che la questione giudiziaria è a un bivio, sottolineato nell’intervento-denuncia del vicepresidente Ermini verso chi “insudicia il proprio ruolo con pratiche da faccendiere”.
Così come è evidente la consapevolezza che siamo arrivati a uno snodo delicato della questione sociale, che impone quella “concretezza” negli atti di governo, sottolineata dal capo dello Stato nel primo giorno degli Stati Generali e ribadita con l’invito a dare risposte rapide sui fondi europei, nel corso del pranzo odierno col premier i ministri alla vigilia del Consiglio europeo.
È un “fate presto” il senso del messaggio, su tutti i fronti, che reca in sè il timore che tra un po’ sarà troppo tardi.
Messaggio che in fondo è rassicurante, che poggia in un caso sulla fiducia che magistratura sia ancora in grado di autoriformarsi perchè il corpo nel suo complesso è sano, al netto delle degenerazioni, e che il governo, nell’altro caso, sia in grado di fare le riforme scuotendosi dall’immobilismo.
Rassicurante, in definitiva, nei confronti della politica nel suo insieme cui viene ancora concesso un credito sulla propria capacità di correggersi.
Se così non fosse, e fosse già troppo tardi, quel tormento e quel rispetto del limite assumerebbero un carattere drammatico perchè, anche a volerlo oltrepassare, i margini sarebbero assai più stretti.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
SBARCATI DA GENNAIO AD OGGI 5.709 MIGRANTI, LE VITTIME SI SONO RIDOTTE A UN TERZO, SONO 186… COSA E’ CAMBIATO? PARLANO SEA WATCH, MEDITERRANEA E IL SINDACO DI LAMPEDUSA
Dall’inizio dell’anno a oggi in Italia sono sbarcati 5709 migranti, certifica il Viminale con tanto di rilievi per mesi e giorni e grafici annessi.
Nello stesso periodo – dal primo al 18 giugno – del 2019 se ne contarono 2177, meno della metà (nel 2018 erano stati 15.617).
All’aumento registrato nelle persone sbarcate corrisponde un calo del numero dei morti e dispersi in mare, aspetto della questione spesso taciuto su cui oggi ha risollevato il velo la foto del corpicino della neonata affogata nel naufragio di sabato scorso, ritrovato sulla spiaggia di Sorban, lungo la costa libica.
Più arrivi meno morti. Dal 1 gennaio scorso al 12 giugno – fonte Unhcr – nel Mediterraneo centrale, sulla rotta Libia-Italia, si sono contati 186 morti.
Nello stesso periodo del 2019 le stime ufficiali ne avevano registrato 567, 1336 in tutto l’anno.
E dagli studi dell’Istituto di politica internazionale è emerso che nel periodo in cui al Viminale c’era Salvini, a una riduzione delle partenze del 60% ha corrisposto un aumento delle morti in mare del 19%.
Mentre nei primi cinque mesi a guida Lamorgese il calo delle morti in mare è stato drastico (-80%), malgrado un numero di partenze in aumento del 18%.
Ma, torna la domanda, oltre che nei numeri di persone arrivate in Italia o morte in mare nel tentativo di arrivarci, il cambiamento si è registrato anche sul fronte delle politiche per l’immigrazione? Nei fatti, non si direbbe. Il Governo ha annunciato l’intenzione di modificarli, ma i decreti sicurezza, su cui Salvini aveva incardinato la sua “politica dei porti chiusi” non sono stati toccati.
E con la pandemia da Covid-19, agli inizi di aprile è arrivato pure il decreto interministeriale con cui l’esecutivo ha stabilito che i porti italiani non potevano più essere considerati “porti sicuri” per le persone soccorse in mare da navi di nazionalità diversa da quella italiana fuori dall’area Sar italiana.
Il provvedimento, firmato dai Ministeri dell’Interno, della Sanità , delle Infrastrutture e degli Affari Esteri, è ancora in vigore. Intanto proseguono i viaggi della speranza dei migranti in fuga da Libia e Tunisia.
A Lampedusa “mini-sbarchi autonomi”.
A Lampedusa continuano quelli che il sindaco Totò Martello definisce “mini-sbarchi autonomi”. Ieri ne ha contati sei – in tutto 120 persone “subito trasferite in Sicilia”, puntualizza – mentre stamattina è arrivata un’imbarcazione con a bordo 46 migranti, per ora sistemati nell’hotspot dell’isola. Rispetto all’era Salvini, insomma, gli sbarchi sono tutt’altro che diminuiti.
“Funzionano come sempre – spiega il sindaco – molto dipende dalle condizioni del tempo. Ora che verranno le belle giornate sicuramente aumenteranno”.
Meglio di prima funziona di certo il rapporto col Viminale. “Ora si interloquisce, al Ministero ti rispondono al telefono anche di notte, mentre in precedenza non ti rispondeva nessuno, neanche alle lettere”.
Quanto agli sbarchi, “è evidente che senza accordi con i paesi rivieraschi del Mediterraneo le cose non cambieranno, bisogna attivare le procedure per far sì che queste persone arrivino in Italia regolarmente invece di consegnarli nelle mani di banditi e mafiosi incuranti della vita delle persone”.
Fronte del mare.
Per Giorgia Linardi, portavoce della Ong tedesca Sea Watch in Italia, nelle politiche dell’attuale governo non c’è stata una discontinuità rilevante rispetto a quelle del precedente. Specie nei confronti delle Ong.
“Il nostro approccio non è cambiato. Per noi non ci sono alternative al tornare in mare e a rivolgersi a Italia e Malta come porti cui far riferimento. Le iniziative del governo Conte II – spiega ad HuffPost – non hanno segnato una diversità di approccio rispetto a una gestione più strutturale invece che emergenziale del fenomeno. Sia per le partenze dalla Libia che dalla Tunisia, che ormai proseguono dagli anni ’90, per cui il fenomeno non può essere gestito e raccontato come emergenza”.
La Sea Watch 3, la nave della Ong tornata in mare a inizio giugno, si trova nel Mediterraneo centrale e in questo momento ha a bordo 165 migranti – tra loro 14 donne e 6 bambini – soccorsi in due operazioni, l’ultima stanotte.
“Temiamo che anche per questo sbarco le persone vengano lasciate in mare per giorni, in attesa di un accordo con gli Stati membri per la redistribuzione delle persone. Gli accordi vanno definiti a monte e non mentre si tengono uomini, donne e bambini bloccati in mare – spiega la portavoce della “Sea Watch” – Ci uniamo alla richiesta italiana di una responsabilizzazione a livello europeo. Ma l’Italia non può tenere il punto con l’Europa sulla pelle delle persone. Rispetto al precedente, questo Governo non sta facendo della criminalizzazione contro le Ong il centro della sua campagna comunicativa, ma l’atteggiamento verso di noi continua a essere ostile. Saremmo ben felici di non operare se ci fossero delle alternative alla nostra presenza in mare, se sapessimo che non ci fossero più persone in mare e che i soccorsi avvenissero nel rispetto del diritto internazionale. Invece, anche in questi mesi di lockdown abbiamo registrato casi di persone abbandonate in mare quando non proprio respinte illegalmente, nonostante le autorità fossero state informate. Pure ieri ci sono stati respingimenti malgrado avvistamenti e segnalazioni di Frontex. Le autorità – conclude Linardi – continuano a non gestire il fenomeno via mare e intanto le persone continuano a mettersi in viaggio, ad attraversare il mare e a morire”.
Ancora naufragi, soccorsi e respingimenti nel Mediterraneo.
Nel Mediterraneo centrale si trova anche la “Mare Jonio” di “Mediterranea Saving Humans”, che ieri ha denunciato l’ennesimo respingimento di migranti in Libia. “Nelle politiche del Governo attuale non è cambiato molto rispetto a quello precedente – scandisce Alessandro Metz, l’armatore sociale di “Mediterranea” – la comunicazione è stata modificata, non c’è più quella barbarie del recente passato. Ma continua il finanziamento alla Guardia costiera libica e dunque ai centri di detenzione e da uno studio-denuncia emerge un ruolo forte di Italia e Malta nel compimento di azioni illegali per ricatturare e riportare migranti in Libia”.
Metz si chiede quale direzione intenda seguire il Governo per modificare i decreti sicurezza. La domanda è: “Si intende fare un lavoro di pulizia comunicativa o cancellarli e quindi reimpostare su basi diverse le politiche dell’immigrazione?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
LAMORGESE HA PRESENTATO IL TESTO, TUTTI FAVOREVOLI TRANNE IL M5S , QUELLI DEI “TAXI DEL MARE” NON CAMBIANO MAI, TEMONO DI PERDERE I VOTI RAZZISTI
Fumata nera. Il primo vertice di maggioranza sui decreti sicurezza non ha generato un punto di caduta accettabile per nessuno.
Il ministro Luciana Lamorgese ha messo le carte sul tavolo. Presentando un testo che, come nelle previsioni, accoglie le osservazioni di Sergio Mattarella nella lettera che inviò a Giuseppe Conte e ai presidenti delle Camere al momento della firma. Ma che, a sorpresa, va anche oltre. Suscitando l’immediata reazione di Vito Crimi, plenipotenziario M5s alla riunione: “Siete sicuri che sia questo il momento per affrontare questo tema? Non sarebbe, vista la crisi e i tanti provvedimenti da mettere in campo, più ragionevole rimandarlo?”.
Attorno al tavolo insieme al capo politico M5s – in questa occasione in veste di viceministro dell’Interno – il collega al Viminale del Pd Matteo Mauri, Carmelo Miceli e Davide Faraone per Italia viva, Federico Fornaro e Loredana De Petris per Leu.
Il testo che ha distribuito Lamorgese, come detto, interviene dunque sugli appunti del presidente della Repubblica, innanzitutto ricalibrando e riequilibrando ruoli e funzioni del ministro dell’Interno, rimettendo come centrale nelle politiche del mare il dovere di soccorso e salvataggio delle imbarcazioni in difficoltà , e intervenendo sulle multe per le imbarcazioni sanzionate che, nell’ultima formulazione, potevano arrivare fino al milione di euro.
Ma il pacchetto presentato dalla ministra va oltre. Interviene, per esempio, anche sui tempi di detenzione amministrativa dei migranti nei Centri di identificazione ed espulsione e rende più agevole e lineari le problematiche sul riconoscimento dello status di rifugiato e il reintegro della protezione umanitaria.
Nell’ora e mezzo di incontro Lamorgese ha auspicato di raggiungere in un tempo ragionevole a un testo condiviso da portare in Consiglio dei ministri. La road map ottimale prevederebbe un via libera già a partire dalla prossima settimana, ma la faccenda è più complicata di così.
Nonostante la soddisfazione a una prima lettura, anche Pd, Iv e Leu hanno chiesto qualche giorno di tempo per vagliare le correzioni e proporre integrazioni o ulteriori modifiche.
Il che renderà necessario un altro vertice, già fissato per la giornata di giovedì, “ma solo un faccia a faccia tra Giuseppe Conte e i capi delegazione potrà sciogliere i nodi e portare a un ok politico”, spiega uno dei partecipanti. Fornaro chiede rapidità nei tempi, e di smontare “l’impianto ideologico e propagandistico voluto dall’ex ministro Salvini”. Un’operazione questa che non può ricevere l’avallo del Movimento 5 stelle, che su quei provvedimenti ha messo faccia e voti.
Un pentastellato che si occupa del dossier spiega che “sarebbe incomprensibile accapigliarsi su quella che non è una priorità adesso, con la situazione che sta vivendo il paese sarebbe da irresponsabili”. Di fatto un invito a rimettere i decreti in un cassetto almeno fino all’autunno.
Proposta irricevibile per i partner di maggioranza. Il Pd guarda a Luigi DI Maio per una mediazione che non porti a uno scontro, dopo le parole del ministro degli Esteri che si è detto consapevole “che questa è una sensibilità del Pd” e “disponibili a trovare un punto di caduta, spiegando di essere “certo che si troverà ”.
Lunedì la prima prova dei fatti.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
DUE RAPPORTI INCHIODANO IL NOSTRO PAESE SULLA MANCATA TUTELA DEI DIRITTI UMANI: L’ACCORDO ITALIA-LIBIA HA CAUSATO 5.500 MORTI E ABBIAMO AUMENTATO DI ALTRI 3 MILIONI DI EURO IL CONTRIBUTO AI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA
Dalla riforma dei decreti sicurezza al memorandum con la Libia, il dossier migranti è ancora tutto sul tavolo della maggioranza, con un governo che al suo esordio aveva promesso discontinuità rispetto al trend tracciato dall’esecutivo Conte I a trazione leghista. Discontinuità di cui però, dal 5 settembre 2019, al di là degli annunci non si vede traccia.
Alla vigilia della Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno arrivano i dati a fotografare la durezza di un dossier che divide la maggioranza.
Prima di tutto i numeri snocciolati da Oxfam: sono 230 le persone che sono morte lungo la rotta del Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno, 5.500 da quando è stato firmato il controverso accordo tra Italia e Libia.
Con il nostro paese che, come noto, continua a finanziare la cosiddetta guardia costiera libica: 3 milioni in più quest’anno rispetto al 2019, «per uno stanziamento complessivo di 58,28 milioni per il 2020 e di 213 milioni in tre anni, nonostante le indicibili violazioni dei diritti umani inflitte a migliaia di disperati».
Nel frattempo l’alleanza delle Ong che si occupano di soccorso in mare pubblica oggi un rapporto che documenta come «la collaborazione aerea tra l’Ue e la Libia faciliti le intercettazioni e i respingimenti di massa dei migranti nel Mediterraneo centrale».
Come quello, l’ennesimo, che l’equipaggio della ong italiana Mediterranea testimonia di aver visto compiere sotto ai propri occhi: «l’ennesimo respingimento verso la Libia finanziato dall’Italia con la complicità dell’Unione Europea».
Sullo sfondo lo sgomento — sempre più flebile, in verità — per il ritrovamento nelle scorse ore del corpicino di una bimba di 5 mesi sulla spiaggia di Sorman, in Libia: una delle vittime, 12 sulle 30 a bordo, del naufragio di un barcone di migranti lo scorso 13 giugno a una decina di chilometri da Zawya.
La piccola indossava ancora il suo pigiama: un’immagine straziante, come già quella del piccolo Alan Kurdi, che certo fa versare lacrime. Già . Ma poi?
Mentre dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo centrale sono morte affogate più di 230 persone, portando il totale a 5.500 dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia, delle modifiche richieste al governo libico che a novembre hanno giustificato il rinnovo dell’accordo non vi è traccia di sorta. «Siamo al paradosso», affonda Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
«Mentre al largo delle coste libiche si continua a morire, proprio il Governo che doveva segnare una discontinuità sulle politiche migratorie, con un “copia e incolla” della descrizione delle missioni nel dossier presentato al Parlamento negli anni precedenti, aumenta gli stanziamenti alle autorità libiche e alla Guardia Costiera».
In pratica «si va avanti nella stessa direzione», con la (sottile) differenza che man mano in Libia «“l’industria del contrabbando e tratta” è stata in parte convertita in “industria della detenzione” con abusi e violenze oramai note a tutti, anche grazie a questo considerevole flusso di denaro».
Flusso di denaro che non si interrompe: sono 3 milioni in più rispetto all’anno scorso quelli che, ricorda Oxfam, il nostro paese darà alla Guardia Costiera libica rispetto al 2019, per uno stanziamento complessivo di 58,28 milioni per il 2020 e di 213 milioni in tre anni.
Solo quest’anno infatti la Guardia costiera libica ha intercettato e riportato più di 4.200 persone — 1.400 in più rispetto allo stesso periodo del 2020 — in quello che è un paese in guerra.
Più di 2mila persone in questo momento, «bloccate nei centri di detenzione ufficiali». E chissà quante in quelli non ufficiali, «controllati dalle diverse bande armate e fazioni in lotta, con oltre 400mila gli sfollati interni a causa della guerra civile».
Nonostante la pandemia, nel frattempo, le attività delle navi umanitarie di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale sono ricominciate: a bordo della Sea Watch 3 ci sono in questo momento 165 persone salvate in due operazioni di soccorso. La nave della ong tedesca da ieri sta segnalando altre due imbarcazioni in difficoltà : una potrebbe nel frattempo essere approdata a Lampedusa. Ma dell’altra, nonostante le ricerche, non c’è traccia.
Alarm Phone, Borderline-Europe, Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch ricordano oggi di aver «assistito e documentato direttamente a respingimenti illegali verso la Libia coordinati dalle autorità europee, come Frontex e Eunavfor Med, e attuati dalla cosiddetta Guardia costiera libica, un gruppo di milizie (finanziate e addestrate dall’Ue) con un passato di palesi violazioni dei diritti umani e di collaborazione con i trafficanti di esseri umani».
(da Open)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
LA RELAZIONE ANNUALE DELLA CONSOB: “CON IL NUOVO GOVERNO IL DIFFERENZIALE E’ SCESO A CAUSA DI UNA PIU’ ELEVATA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI INTERNAZIONALI SULLE POLITICHE EUROPEE DEL PAESE”
L’occasione è stata la presentazione annuale della relazione della Consob sullo stato attuale del sistema finanziario in Italia.
In un passaggio del suo discorso, il presidente Paolo Savona — che Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno voluto fortemente come numero uno di Consob — ha riportato alcuni dati degli analisti che sottolineano come nel 2019 (quindi all’indomani dell’esperienza dell’esecutivo gialloverde) il differenziale Btp/Bund sia sceso a causa di una più elevata fiducia degli investitori internazionali sulle politiche europee del Paese.
Il sottinteso è che, quando era in carica il governo giallo-verde (di cui Savona faceva parte come ministro degli Affari Europei), la fiducia degli investitori era più bassa e il livello dello spread più alto. A isolare questo passaggio su Twitter ci ha pensato il giornalista de Il Foglio Luciano Capone.
«L’importanza della fiducia negli equilibri del mercato finanziario è stata asseverata nel 2019 da un’importante discesa dello spread sul rendimento dei titoli di stato — ha detto Savona nel suo passaggio -, pur in presenza di una politica monetaria europea inizialmente più cauta e un lieve peggioramento del saggio di crescita reale. Gli analisti attribuiscono tale comportamento al venir meno dei timori di un cambiamento di denominazione del debito pubblico italiano per tornare a una moneta nazionale».
Ma vi ricordate quando Paolo Savona era stato indicato dai gialloverdi come ministro dell’Economia di un governo Conte 1 e quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella impedì questa circostanza?
In quell’occasione si arrivò addirittura a invocare l’impeachment per il capo dello Stato. Oggi, la stessa persona che era molto vicina alle teorie no euro e al ritorno a una valuta nazionale, ammette che gli analisti hanno segnalato un miglioramento del mercato finanziario all’indomani di un cambio di esecutivo, con conseguente virata a U sulla politica monetaria dell’Italia, a un passo dal ritorno alla lira nel 2018 e poi ritornata saldamente (?) pro-euro con il nuovo governo a metà 2019.
(da agenzie)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
CI VOLEVA MUSUMECI, IL PRESUNTO MITO DEI PRESUNTI DESTRI LEGALITARI, PER AFFIDARE LA SANITA’ SICILIANA AI SOVRANISTI LOMBARDI
La Sicilia parla lombardo. È cosa fatta, infatti, la riorganizzazione del pronto soccorso 118, che vedrà sparire la gestione della siciliana Seus, a favore della Areu, società che arriverà sull’isola con la denominazione di Areu Sicilia, sul modello sanitario lombardo, negli ultimi mesi al centro di critiche.
Si è infatti concretizzato il protocollo di intesa fra le due regioni, firmato nell’ottobre del 2018 da Nello Musumeci e Ruggero Razza (presidente della Regione Siciliana e assessore alla Sanità ) e dagli omologhi lombardi Attilio Fontana e Giulio Gallera, in cui si avviava una collaborazione “al fine di mutuarne la positiva esperienza”: all’Areu Sicilia sarebbero passate così le quote appartenute della Seus, delle quali è titolare la Regione in misura del 53,25 per cento.
Se la questione aveva fatto discutere non poco nel 2018, la gestione lombarda del soccorso siciliano come “modello da imitare” suona stonata nel mondo post Covid-19 da cui la sanità della Lombardia non esce certamente indenne, con problemi e inchieste come quella legata alla costruzione dell’ospedale Covid nella zona Milano Fiera.
L’affare, conclusosi solo adesso, ha anche un risvolto politico che rinsalda il rapporto tra Musumeci e la Lega, da poco entrata nella giunta del presidente: a gestire la nuova governance della neonata Areu Sicilia potrebbe essere infatti Alberto Zoli, direttore di Areu Lombardia, scelto dalla Lega per l’amministrazione della società lombarda, o comunque un direttivo di marca milanese.
Ma la virata a nord del presidente era già partita nel 2018, quando era stata affidata la carica di presidente del Cda di Seus al manager milanese Davide Croce, scelto per un ruolo la cui nomina è stata sempre viziata dalla politica.
Mentre comincia il “totopoltrone” per la nuova società , alla finestra ci sono 3200 dipendenti della Seus (società nata solamente nel 2009) oggi in agitazione, che attendono di capire il loro futuro. Nella legge 562/19 che ha istituzionalizzato il nuovo corso del soccorso siciliano si fa presente che le nuove assunzioni devono avvenire “attraverso procedure concorsuali” per i già dipendenti Seus, un concorso di cui però non si conoscono i dettagli.
Tutti i dubbi sul nuovo modello vengono esposti dalla segretaria generale della Cisl Fp di Agrigento, Caltanissetta ed Enna Floriana Russo Introito: “La Seus era organizzata bene — dice — per questo motivo non comprendiamo i motivi di questa scelta, ancor di più oggi, dopo l’esperienza del Covid. Non necessariamente un servizio come Areu è infatti un servizio da imitare, per questo motivo abbiamo diversi dubbi”.
Anche sul futuro dei dipendenti la situazione non è affatto chiara: “Abbiamo chiesto un incontro con l’assessore per chiarire tutti i dubbi — afferma ancora la segretaria Cisl Fp — il personale amministrativo passerà nella nuova Areu, ma dopo una prima fase, la Seus finirà e allora vogliamo comprendere bene il futuro del resto del personale”.
Il nuovo incontro, adesso, potrebbe sciogliere gli ultimi quesiti sul futuro dipendenti, ma non i dubbi legati all’imitazione di un “modello sanitario lombardo” che sembra uscire con le ossa rotte dall’emergenza Coronavirus.
(da agenzie)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
PER I 1.100 METRI DEL MORANDI TUTTO DI CORSA PER FINIRE PRIMA DELLE ELEZIONI REGIONALI, PER TAPPULLARE UN PONTE DI 110 METRI CHE NON ATTIRA TELECAMERE DUE ANNI PER INIZIARE A TAPPULLARLO
Era stato chiuso al traffico poche settimane dopo il crollo del ponte Morandi ma, benchè si tratti di un intervento di portata ben inferiore, il consolidamento del ponte don Acciai, al Lagaccio, terminerà quattro o cinque mesi dopo l’inaugurazione del nuovo viadotto sul Polcevera.
Se non ci saranno altri intoppi, infatti, i lavori che sono stati avviati per mettere in sicurezza e consolidare questa infrastruttura urbana, termineranno a novembre di quest’anno anzichè all’inizio di giugno, e costeranno circa 450 mila euro in più del previsto, portando a poco meno di 2 milioni (iva inclusa) il costo complessivo dell’intervento, che rientrava fra quelli finanziati nel 2016 dal governo con il Patto per Genova.
Il nuovo crono-programma dei cantieri è stato annunciato dall’assessore comunale ai Lavori pubblici Pietro Piciocchi,
«Quello che colpisce è che, per la seconda volta, il progetto di questo ponte sia stato modificato provocando uno slittamento dei tempi» rimarca l’opposizione, ricordando che già una prima variante aveva ritardato, due anni fa, la pubblicazione del bando di gara per appaltare i lavori.
Lavori che, secondo i piani iniziali dell’amministrazione comunale, sarebbero dovuti incominciare entro la fine del 2018, mentre sono stati consegnati il 7 ottobre 2019 e sarebbero dovuti terminare il prossimo 3 giugno.
E, invece, alla fine il ponte don Acciai resterà chiuso per più di due anni se i lavori saranno completati a novembre, visto che il transito dei veicoli era stato interdetto, per ragioni di sicurezza, il 3 settembre 2018.
E gli abitanti del Lagaccio dovranno fare i conti ancora per alcuni mesi con i disagi dovuti alla chiusura del ponte, e con la viabilità alternativa che è stata messa a punto per garantire il collegamento fra via Napoli e via Bari.
L’ultima variante comporta il rifacimento integrale della parte centrale dell’impalcato in cemento armato, che verrà sostituita con una struttura composta da travi di acciaio cor-ten, con sopra una soletta di cemento armato.
I tecnici del Comune spiegano che la variante si è resa necessaria dopo aver verificato le condizioni di grave degrado di questa parte dell’impalcato, ed evidenziano che la soluzione individuata, più leggera e di più facile manutenzione rispetto ad una struttura tutta in cemento armato, offre maggiori garanzie anche in termini di sicurezza. La prima variante aveva riguardato invece il numero di pile di sostegno dell’impalcato centrale.
Insomma quando non ci sono le telecamere per Bucci e Toti il modello Genova non esiste più e per tappullare un ponte di 110 metri (non di 1.100 come per ilMorandi) ci vogliono due anni e mezzo
(da agenzie)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
CONVOCATO L’AMBASCIATORE RUSSO… E’ IL MODELLO SOVRANISTA CHE QUALCUNO VORREBBE IMPORTARE IN ITALIA
È una decisione che potrebbe avere enormi conseguenze politiche. La procura federale tedesca ha accusato la Russia di aver commissionato un omicidio avvenuto un anno fa in un parco di Berlino.
I magistrati sono convinti che Mosca abbia ordinato al sicario Vadim S. di “liquidare” il ceceno Tornike K., attivista anti-russo freddato in pieno giorno nel Tiergarten ad agosto del 2019. L’accusa della procura è stata formulata davanti alla Corte d’appello di Berlino. Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha minacciato immediatamente conseguenze contro la Russia: “Il governo – ha detto da Vienna – si riserva esplicitamente di intraprendere ulteriori misure”. E ha aggiunto che la gravità della situazione lo ha spinto ad “invitare” l’ambasciatore russo in Germania al ministero degli Esteri per colloqui.
Nelle settimane scorse il governo Merkel ha già dichiarato di voler chiedere a Bruxelles “l’implementazioni delle cyber sanzioni” contro Mosca in riferimento al clamoroso attacco hacker al Bundestag del 2015. Anche qui i giudici tedeschi hanno individuato la “manina” dei servizi segreti russi dietro lo spettacolare cyber attacco che era penetrato anche nella mail della cancelliera Angela Merkel.
Riguardo al “caso Tiergarten”, la procura federale è convinta che “l’esecuzione su commissione sia stata motivata dall’opposizione della vittima allo Stato russo e ai governi delle sue repubbliche autonome Cecenia e Inguscezia ma anche all’esecutivo filorusso della Georgia”.
Tornike K., quarantenne ceceno dal passaporto georgiano, era crollato a terra il 23 agosto del 2019, ucciso da numerosi da colpi di pistola alla testa e alla schiena. Il sicario, che lo aveva freddato passandogli accanto in bicicletta, era stato catturato poco dopo dalla polizia. Testimoni lo avevano visto buttare una parrucca, un’arma e la bicicletta nella Sprea. Da allora è in carcere. All’inizio di dicembre la Procura federale ha assunto le indagini su di sè – un indizio della gravità del caso.
La reticenza dei russi a collaborare con le autorità tedesche sull’omicidio del Tiergarten aveva indotto il governo ad espellere due diplomatici russi; Mosca aveva risposto con una mossa speculare, cacciando due feluche tedesche dalla Russia.
(da agenzie)
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Giugno 18th, 2020 Riccardo Fucile
LE ANTICIPAZIONI DEL NEW YORK TIMES SUL LIBRO DELL’EX CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA … TRUMP CERCA DI IMPEDIRE LA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO
Donald Trump chiese al presidente cinese Xi Jinping di acquistare prodotti agricoli Usa per poter vincere il voto degli agricoltori statunitensi in vista delle elezioni.
E’ una delle rivelazioni fatte dall’ex consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, nel libro di memorie, del quale la Casa Bianca sta cercando di bloccare la pubblicazione.
Secondo un’anticipazione pubblicata dal Wall Street Journal, il presidente Usa espresse a Xi “l’importanza degli agricoltori e dell’aumento degli acquisti cinesi di soia e grano nel risultato elettorale”, in quella che Bolton definisce “la confluenza nella mente di Trump dei suoi interessi politici e degli interessi nazionali Usa”.
In un’altra anticipazione pubblicata dal New York Times, Bolton sostiene nel suo libro ce vi sarebbero stati altri comportamenti impropri da parte di Trump, riguardanti la banca turca Halkbank, un caso attualmente aperto negli Usa, e l’azienda tecnologica cinese Zte. Secondo l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, Trump avrebbe adottato “l’ostruzione della giustizia come stile di vita”, mentre durante la procedura di impeachment per la questione ucraina si scagliava contro i democratici del Congresso che volevano fare luce sulla vicenda.
Altro episodio controverso raccontato da Bolton nel suo libro riguarda l’incoraggiamento che Trump avrebbe dato a Xi Jinping per la costruzione di campi di internamento in Cina per le minoranze musulmane. “Trump disse che Xi doveva procedere con la costruzione dei campi” e che era “esattamente la cosa giusta da fare”, scrive l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale.
Nel frattempo, Bolton ha rilasciato un’intervista all’emittente Abc che dovrebbe essere trasmessa domenica. Secondo una breve anticipazione già diffusa, Bolton parla anche del rapporto tra Trump e Vladimir Putin e di come il presidente russo in diverse circostanze abbia beffato il presidente Usa.
Intanto il dipartimento di Giustizia ha presentato ad un giudice federale una richiesta d’urgenza per bloccare la pubblicazione del memoriale di Bolton. Nel libro, Bolton sostiene che il presidente Donald Trump avrebbe dovuto essere indagato non solo per avere esercitato pressioni sull’Ucraina, ma per diverse altre vicende nelle quali avrebbe usato i suoi poteri presidenziali per promuovere i propri interessi politici.
La richiesta presentata dal dipartimento di Giustizia sostiene che “la pubblicazione del manoscritto danneggerebbe la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
(da Globalist)
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