Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
LEGA 24%, PD 20,5%, M5S 18%, FDI 16,2%, FORZA ITALIA 7,1%, ITALIA VIVA 2,9%… TRA I LEADER CONTE GUADAGNA 2 PUNTI E SPERANZA SUPERA SALVINI
Nonostante le difficoltà della ripartenza il premier Giuseppe Conte continua ad essere il leader con il maggior consenso nel Pase.
A registrarlo è il “cruscotto settimanale” realizzato da Ipsos, secondo il quale il gradimento per il capo del governo, rispetto alla precedete rilevazione, è passato da 61 a 63 punti: l’inquilino di Palazzo Chigi, dunque, ha guadagnato altri due punti in sette giorni.
Anche l’esecutivo fa registrare un consenso alto, visto che è al 57%, con trend stabile. Sempre sul fronte governativo, il 35% degli intervistati ha un’opinione positiva degli Stati generali dell’Economia, che si sono conclusi domenica scorsa. Negativa l’opinione del 29%, mentre addirittura 36 persone su cento non hanno alcuna valutazione della kermesse di villa Pamphilj,
Il vantaggio di Conte sugli altri leader, sempre secondo il sondaggio dell’istituto di Nando Pagnoncelli, resta quindi molto largo.
Al secondo posto della classifica c’è Giorgia Meloni, stabile a 36 punti, mentre in terza posizione si registra un soprasso: il ministro della Salute, Roberto Speranza supera Matteo Salvini e raggiunge quota 35%. Il leader della Lega rimane inchiodato a quota 33, mentre quello di Leu ha guadagnato due punti nell’ultima settimana.
Al 29%, con un +1 rispetto alla settimana scorsa, c’è il ministro del Pd Dario Franceschini, seguito a 26 punti da Luigi Di Maio, che ha perso un punto in sette giorno.
Poi la titolare dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, che ha guadagnato due punti ed è al 25%. Invariati al 24% Nicola Zingaretti e Silvio Berlusconi.
Chiudono la classifica il guardasigilli Alfonso Bonafede (19 punti, -1 rispetto al precedente sondaggio), Vito Crimi (19 punti, -1) e Matteo Renzi: è stabilmente ultimo con 12 punti percentuali.
Tra le forze politiche la classifica delle intenzioni di voto è guidata dalla Lega, che resta sempre in testa col 24% ma perde uno 0,3 rispetto alla scorsa settimana. Seguono Pd al 20,5% (-0,3%) e M5S al 18% (+0,3%), quindi Fratelli d’Italia con il 16,2% (-0,5%), Forza Italia al 7,1% (stabile) e Italia Viva, che chiude al 2,9% con trend positivo pari a +0,2%.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
LA LEADER TEDESCA NON CAPISCE PERCHE’ L’ITALIA NON VOGLIA USARE I SOLDI DEL MES, VISTO CHE CI SERVONO…CONTE VUOLE EVITARE CHE IMPLODA IL M5S… SAREBBE INVECE L’ORA CHE SI METTA AI VOTI, COSI GLI ITALIANI SAPRANNO CHI LI HA DERUBATI DI 36 MILIARDI CHE SOLO DEI CAZZARI POSSONO RIFIUTARE
“Con i fondi messi a disposizione si può fare molto, ma il recovery fund non può risolvere tutti i problemi dell’Europa. Non abbiamo messo a disposizione degli Stati strumenti come il Mes o Sure perchè restino inutilizzati”.
In un’intervista a un gruppo di quotidiani europei, tra cui l’italiano La Stampa, Angela Merkel mette il dito nella piaga del governo Pd-M5s.
Inconsapevolmente e stando alle prime anticipazioni. Poi ne escono altre, in cui la Cancelliera precisa che la scelta se usare o meno il Mes è “una decisione italiana”. Ma la frittata è fatta. Giuseppe Conte risponde piccato: “Sul Mes non è cambiato nulla. Rispetto le opinioni di Angela Merkel, ma a far di conto per l’Italia è il sottoscritto con Gualtieri, il Ragioniere dello Stato e tutti i ministri”.
Sul Mes, si apprende, il governo non deciderà prima del consiglio europeo del 17 e 18 luglio, dedicato a cercare un’intesa europea sul recovery fund.
“Stiamo facendo di conto in questi giorni — continua Conte – ci aggiorniamo continuamente sui flussi di cassa. Nella riunione di ieri con i capidelegazione abbiamo iniziato a ragionare con Gualtieri sul ventaglio di possibilità , sui prossimi provvedimenti e ci aggiorneremo a inizio settimana prossima. Sono allo studio col Mef varie misure, c’è un ventaglio di ipotesi. Sure è un percorso attivato e quindi è probabile che chiederemo di partecipare al programma”.
Parole più legate alla politica interna che alle relazioni estere, tanto più che Conte ha bisogno dell’assist della Cancelliera per l’intesa europea sul recovery fund.
Di fatto, il premier tenta di scavalcare la grana che, da mesi ormai, inchioda la maggioranza di governo: accedere o meno agli aiuti del Mes, 36mld di euro per le spese sanitarie per la pandemia. Il M5s resta contrario, il Pd e Italia Viva sono favorevoli.
Non a caso, la parte Dem al governo non enfatizza le parole della Cancelliera. Le legge più come un dato oggettivo, un modo per ricordare che oltre al recovery fund, sul quale gli Stati europei devono ancora raggiungere un’intesa ma che comunque metterà risorse a disposizione solo a partire da gennaio 2021, l’Unione Europea ha deciso altre misure per 540 miliardi di euro: i 240mld del Mes, i 200mld della Bei e i 100mld per il sostegno alla disoccupazione con il piano Sure della Commissione europea.
Sono strumenti di emergenza, che i paesi in emergenza possono usare, è il ragionamento.
Ma sul Salva Stati la parte pentastellata della maggioranza ancora nutre riserve. Teme le condizionalità ex post, la sorveglianza rafforzata prevista nei trattati del Mes ma che verrebbe sospesa grazie ad un accordo politico tra gli Stati membri sulla nuova linea di credito istituita per la pandemia.
Da qui, l’irritazione di Conte. All’orizzonte del governo non c’è una decisione entro le prossime tre settimane. Nemmeno le comunicazioni in Parlamento del presidente del Consiglio alla vigilia del summit europeo di metà luglio serviranno a chiarire cosa si fa sul Mes.
Perchè, questa è la spiegazione ufficiale, il Mes non è all’ordine del giorno del Consiglio europeo di luglio, che invece discuterà del recovery fund e di come trovare un’intesa — ancora lontana — tra gli Stati membri, tra le richieste del nord Europa e quelle del sud, le rivendicazioni dell’est del continente.
Non a caso, la Cancelliera tedesca continua a premere per un accordo, che evidentemente non è ancora fatto. Il recovery fund “non risolve tutti i problemi, ma non averlo rafforzerebbe il problema — dice Merkel nell’intervista — Una disoccupazione troppo forte in un paese può avere un effetto esplosivo. I pericoli per la democrazia sarebbero a quel punto maggiori”.
Certo, quando ricorda che esiste il Mes come strumento cui attingere in caso di emergenza, Merkel parla il linguaggio dei ‘frugali’ del nord, recalcitranti sul recovery fund e tranquilli sul fatto che l’Italia, il paese più piegato dal covid, possa far ricorso al Salva Stati (basti vedere il ragionamento del ministro degli Esteri olandese Stef Blok in visita istituzionale a Roma martedì scorso).
Del resto, la Cancelleria svolge il ruolo delicatissimo di mediazione tra i paesi europei nella trattativa sulle risposte comuni alla crisi economica da Covid. E dunque, da una parte difende il recovery fund, dall’altra ricorda che nel frattempo l’Ue ha già disposto altri strumenti che non dovrebbero restare “inutilizzati”.
Ma a Roma il governo è bloccato su questa decisione. Alla vigilia del Consiglio europeo di metà luglio, è prevedibile una discussione parlamentare molto accesa. Prima del summit informale del 19 luglio, Emma Bonino di ‘+ Europa’ aveva presentato una risoluzione che parlava anche di Mes: non è stata votata perchè Conte ha deciso di tenere solo un’informativa in aula, non delle comunicazioni che prevedono il voto sulle risoluzioni. Motivo: il Consiglio della settimana scorsa era informale. Il prossimo però sarà formale.
Il Parlamento voterà sulle comunicazioni del premier, ma nella risoluzione di maggioranza non ci sarà il Mes: perchè il vertice europeo di luglio non ne parlerà , è la spiegazione ufficiale che trapela dal governo.
Decisione rimandata, ancora una volta, in attesa dell’intesa europea sul recovery fund. E se non arriverà con il Consiglio europeo di metà luglio? Nel governo, alzano le mani. Servirà un altro summit a fine mese, nella speranza che si arrivi ad un accordo. E forse, solo allora, arriverà anche la richiesta italiana di usare i fondi del Mes.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
RICALCOLARE I VITALIZI IN REALTA’ RISCHIEREBBE DI TRASFORMARSI NEL PRECEDENTE PERFETTO PER DANNEGGIARE IL POPOLO ITALIANO
Premessa: questo articolo non parla dei vitalizi, delle ragioni per cui i parlamentari italiani ne hanno beneficiato per decenni, del loro importo e del fatto che siano giusti o sbagliati. Senza entrare nel merito di questo, c’è una considerazione da fare su cosa il ricalcolo retroattivo dei vitalizi degli ex parlamentari, annullato ieri dall’apposita commissione del Senato, avrebbe potuto comportare.
I vitalizi in Italia sono un’erogazione in denaro attribuita a tutti gli ex parlamentari che, negli anni, è stata gradualmente ridimensionata per tutti coloro che non ne godano già .
Per tutti gli eletti dal 2013 è stato sostituito da una pensione parlamentare basata sul sistema contributivo, lo stesso sistema usato dai comuni cittadini, seppur con cifre ben più alte. In altre parole, per gran parte degli attuali parlamentari i vitalizi non esistono più.
La legge approvata nel 2018, cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle, voleva rompere anche l’ultimo baluardo di questo famigerato sistema, ricalcolando su base contributiva tutti i vitalizi già maturati e percepiti da tutti gli ex parlamentari attualmente in vita.
Una norma su cui nel merito si può pensare ciò che si vuole ma che ha un grave vizio di forma, la retroattività .
Proprio questo vizio è stato determinante il 25 giugno nella Commissione contenziosa del Senato per far annullare la legge del 2018, ripristinando i vitalizi per gli ex parlamentari così come erano.
Ma si tratta semplicemente di un cavillo legale? La situazione in realtà è ben più complessa, e la retroattività più che un cavillo rappresenta una tutela, non tanto per la famigerata casta ma per tutti noi italiani. Anche se oggi nelle tasche di noi italiani non ne verrà nulla.
Abolire retroattivamente tutti i vitalizi, infatti, sarebbe stato un precedente potenzialmente molto pericoloso e avrebbe rappresentato un’alterazione dei diritti acquisiti, tanto che aveva sollevato già nel 2018, al tempo dell’approvazione della legge, numerosi dubbi sulla sua legittimità , a partire da quelli dell’ex presidente della Corte Costituzionale Sabino Cassese.
Detto in soldoni: togliere oggi i vitalizi acquisiti poteva sembrare una vittoria del popolo sulla casta ingorda, ma si sarebbe potuto trasformare in un boomerang contro quello stesso popolo.
Se oggi venisse usato contro un’elite ristretta e privilegiata, una volta rotto il tabù del mettere mano ai privilegi acquisiti, quel tabù è rotto per sempre.
Così se oggi vai a ricalcolare al ribasso i vitalizi dei parlamentari, un domani qualsiasi governo del futuro potrebbe tranquillamente fare lo stesso con le pensioni percepite da milioni di italiani, senza che nessuno gridi allo scandalo o all’illegittimità , proprio in virtù di questo precedente.
Forse una volta tanto essere dalla parte dell’elite significa essere dalla parte del popolo.
(da Open)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
LA SCUOLA RIAPRE IL 14 SETTEMBRE, IL GOVERNO METTE SUL TAVOLO UN ALTRO MILIARDO E 50.000 ASSUNZIONI
L’accordo sulla riapertura della scuola – lunedì 14 settembre – è arrivato e per ora è basato su promesse e annunci.
Il via libera è arrivato sull’impegno del Governo su risorse e personale, due punti sui quali in particolare Regioni e Anci avevano chiesto certezze e garanzie. Su entrambi hanno incassato le promesse della ministra, che prima ha sottolineato: “È necessario il miliardo in più che ho chiesto” e poco dopo ha annunciato 50mila assunzioni per il personale scolastico. Mentre il premier Conte assicurava: “Abbiamo un ulteriore miliardo che stanziamo per ulteriori investimenti sulla scuola, che ci dovrà consentire di avere una scuola più moderna, sicura e inclusiva. E nel Recovery Fund un importante capitolo sarà dedicato proprio agli interventi sulla scuola”.
Impegni “ai quali ora bisogna dare seguito” ripete il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro che alla realizzazione delle promesse ha vincolato il suo parere positivo alla nuova bozza di Piano scaturita dal confronto tra ministra e Regioni.
La creatività dei dirigenti, il tavolo per i trasporti. Nella quale si prevedono l’estensione dell’orario fino al sabato, le classi divise in vari gruppi di apprendimento, i turni a seconda dei gradi scolastici.
L’organizzazione è demandata alla creatività dei dirigenti scolastici: anche per l’utilizzo degli spazi interni ed esterni, ciascuna scuola potrà avvalersi delle possibilità indicate nel Piano.
Il personale ausiliario si occuperà dell’accoglienza e della vigilanza, mentre gli orari di inizio e fine delle attività scolastiche dovranno essere scaglionati per evitare assembramenti.
Ancora, si prevede l’istituzione di “Conferenze dei servizi, su iniziativa dell’Ente locale competente, con il coinvolgimento dei dirigenti scolastici” per “analizzare le criticità delle istituzioni scolastiche” e l’avvio del “cruscotto informatico”, cioè la banca dati sulla quale è possibile fare le simulazioni delle disposizioni delle classi per capire quali potranno essere utilizzate e quali no.
Mentre la didattica a distanza – prevista solo per gli studenti delle superiori – viene definita “complementare”. Per la riorganizzazione del trasporto pubblico locale, necessità segnalata dalle Regioni, si prevede l’attivazione di un tavolo tra Ministeri competenti, Regioni, Anci e Upi anche per discutere del “reperimento di specifiche risorse che si rendessero necessarie”.
L’indicazione, o linea guida che dir si voglia, più rilevante resta quella, arrivata dal Comitato tecnico scientifico, su distanziamento fisico e utilizzo della mascherina, obbligatorio dai 6 anni in su.
La distanza da mantenere è di un metro tra le “rime buccali”, ossia da bocca a bocca, per cui nelle aule sarà possibile avvicinare i banchi e disporne di più su un numero maggiore di file.
Quanto alla mascherina, il Cts riesaminerà la questione alla luce della situazione epidemiologica del momento “almeno due settimane prima” dell’inizio delle lezioni. Gli esperti potrebbero decidere di allentare o anche proprio di eliminare l’obbligo.
E se i livelli del contagio da Covid-19 fossero più alti di quelli di oggi? Al momento, tutti concentrati sull’organizzazione della ripartenza, nessuno se lo chiede espressamente.
Le aule, le criticità e il “cruscotto”.
L’indicazione del metro tra le “rime buccali” ha incontrato il favore dei presidi, con il presidente dell’Associazione nazionale, Antonello Giannelli, che ha visto un po’ sfumare il rischio di scaricabarile che tanto aveva preoccupato i dirigenti scolastici.
“La nuova bozza è molto migliorata – ha commentato – sono state accolte modifiche che vanno nella direzione che avevamo indicato. È stato chiarito, ad esempio, che a individuare le aule dovranno essere gli Enti locali, che potranno utilizzare il “cruscotto informatico”.
Positiva anche la precisazione sul distanziamento fisico a un metro da bocca a bocca. Così, il numero di aule incapienti sarà sicuramente inferiore a quel che si poteva temere. Infine, per quel che riguarda i livelli di servizio da garantire, siccome non viene detto nulla, dobbiamo assumere che si tratta del 100% degli studenti e del 100% delle ore di lezione in presenza. L’unica criticità resta quella delle aule laddove non fossero tutte capienti per il numero di alunni e studenti da accogliere. Speriamo gli Enti locali riescano a reperirle tutte in due mesi”.
“No a interventi spot”. “Ora – dice Francesco Sinopoli, segretario generale Flc Cgil – va cambiata l’impostazione delle politiche sulla scuola”. Il riferimento è soprattutto all’ulteriore stanziamento di fondi promesso dalla ministra. “Va bene, ma non basta”, taglia corto Sinopoli. E avverte: “I fondi che si stanzieranno ora devono essere impiegati per organici e infrastrutture. In generale, tutte le risorse che si destineranno alla scuola devono diventare investimenti stabili. Nessuno pensi a interventi spot”. delle Regioni e anche in conferenza Stato Regioni manterrà il dissenso rispetto al ministro della Pubblica Istruzione. Non daremo l’intesa, non diremo che siamo d’accordo con le misure che si vanno a prendere, perchè abbiamo considerato irresponsabile decidere di andare al voto il 20 settembre”.
Stefano Bonaccini, oltre a ringraziare la ministra Azzolina per il miliardo in più chiesto per la scuola ha detto che “le Regioni hanno avuto un ruolo determinante nella costruzione di un Piano scuola 2020-2021 che rispondesse il più possibile alle diverse esigenze dei docenti e dei dirigenti scolastici, degli studenti e degli enti locali”.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
RENZI TEME CHE TUTTO POSSA SALTARE
Il campanello d’allarme è scattato lo scorso 19 giugno. Al Senato nella sala del governo sono riuniti i capogruppo di maggioranza insieme al ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ”.
Pallottoliere in mano, contano febbrilmente i numeri dei senatori che sono riusciti a rientrare a Roma per partecipare alla fiducia sul decreto intercettazioni, dopo che un pasticcio sul numero legale aveva portato all’annullamento del voto della sera prima.
Il Partito democratico dice che un senatore è out, per il resto il gruppo è a ranghi completi, stessa identica situazione per Italia viva. E i 5 stelle? “Dovremmo essere novantuno, anzi no, forse novantatrè, a breve lo sappiamo”.
Un navigato conoscitore delle dinamiche di Palazzo Madama sbotta: “In quel momento si è capito che non controllano più niente lì dentro”.
E la conferma arriva da una fonte al vertice del Movimento: “Non governiamo più niente del gruppo, non c’è un capo, gli altri sono militanti, sono organizzati per correnti, da noi non si riesce non dico tanto a controllare, ma nemmeno più a monitorare nulla”.
E’ allarme sui numeri. Pallottoliere alla mano, la maggioranza conta 165 senatori, più i colleghi a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo, presenti nei momenti decisivi.
“Ci aspettiamo altri arrivi, anche da M5s”, ha spiegato oggi Matteo Salvini, annunciando il proseguio di una campagna di arruolamento che ha portato quattro grillini a fare armi e bagagli e a traslocare nella Lega. Ne basterebbero altrettanti per mettere la maggioranza sull’orlo del burrone.
Inaspettatamente è stato Matteo Renzi a cercare nel modo più deciso possibile di calmierare le acque, proponendo un patto di legislatura a Pd e M5s, con obiettivo l’elezione del presidente della Repubblica nel 2022, da non lasciare a una maggioranza sovranista.
I suoi la motivano con tutto l’armamentario retorico del caso: “Matteo è stato il primo a volere questo governo”, “Matteo è il leader di una forza responsabile come Italia viva”, “Matteo come tutti noi vuole solo che l’Italia torni a crescere”. Ma nel clima di sospetti in cui vive e di cui si nutre la maggioranza una lettura “propagandistica” delle parole dell’uomo dei penultimatum non bastano.
Ecco che un uomo vicino all’ex rottamatore va più a fondo: “Abbiamo capito due cose: la prima è che non è questa la fase in cui far cadere il governo, la seconda è che rischia seriamente di cadere per lo sgretolamento dei 5 stelle e l’incapacità di Giuseppe Conte di gestire la situazione”.
Il leader di Italia viva, in parte rassicurato dalla prova di forza delle settimane scorse che gli ha conferito maggiore peso e agibilità in maggioranza, avrebbe deciso di rinviare l’idea di uno showdown che pure ha accarezzato negli ultimi mesi.
A settembre, il ragionamento, la situazione sarà completamente diversa: incombe la sessione di bilancio, c’è il voto regionale e quello referendario, andare al voto sarà estremamente complicato, anche considerando gli orientamenti del Quirinale.
E proprio definire quale asticella quella della data per eleggere il successore di Sergio Mattarella è il miglior collante possibile, spiegano da Italia viva: “Qualunque altro tema, dal decreto Rilancio al Semplificazioni, avrebbe incontrato i distinguo di qualcuno”.
Il non detto del ragionamento è che la finestra per andare alle urne insieme alle regionali scade il 10 luglio. E che se venisse giù tutto in tempi rapidi non ci sarebbe tempo per riscrivere la legge elettorale, cosa possibile con una transizione più morbida, magari fino alla primavera dell’anno prossimo.
Insomma, c’è il bene del paese nel discorso renziano, ma anche una robusta dose di calcolo politico.
A preoccupare sono anche gli incessanti segnali di insofferenza da parte del Nazareno. Raccontano che Dario Franceschini sarebbe al limite della sopportazione di quello che chiamano “il metodo Conte-Casalino”.
Il riferimento ultimo è al vertice di maggioranza di ieri, con i partiti impossibilitati a discutere del Semplificazioni perchè nessuno ha mai visto il testo, e per l’incaponimento definito “incomprensibile e non concordato con nessuno sull’Iva”.
Anche Nicola Zingaretti è assai scontento, e sempre più componenti di peso del partito si interrogano su quale sia il confine tra responsabilità nazionale – che fin qui, sondaggi alla mano, ha comunque generato dei dividendi, e autolesionismo.
Ai vertici del Movimento c’è grande preoccupazione. Per la situazione interna, certo, ma soprattutto per l’impatto che potrebbe avere sul governo.
Da quelle parti non è sfuggito che Renzi abbia teso la mano “alla maggioranza”, e non al governo. Un modo obliquo, sostengono, per dire che non ha mai abbandonato l’ipotesi di giubilare Conte e cambiare governo fino a scadenza naturale della legislatura.
Prima della pausa estiva al Senato arriverà il decreto Rilancio, blindato dopo il passaggio alla Camera, il probabile voto sullo scostamento di bilancio e probabilmente il decreto Semplificazioni in prima lettura.
Ma a preoccupare in particolar modo è la risoluzione sull’Europa, che il premier vorrebbe rimandare a settembre ma che attualmente è prevista per la prima metà di luglio.
Il Mes costituisce il più concreto rischio d’incidente. E proprio sul Mes si potrebbe sperimentare il soccorso azzurro, una coincidenza d’intenti con Forza Italia che garantirebbe i numeri ma che soprattutto sarebbero le prove generali del nuovo schema che l’ex premier ha in mente.
Certo, con Fi il partito guidato da Vito Crimi non accetterebbe mai di governare. “Ma se Renzi – dice un esponente di governo – lavorasse per un gruppetto che garantisse i voti magari dal gruppo Misto, ecco, non è che noi ci opporremmo…”.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI TRENTO AUTORIZZA L’OMICIDIO SENZA MOTIVO… DICA AI SUOI AMICI CACCIATORI DI NON ANDARE A ROMPERE I COGLIONI NEL BOSCO COSI’ NON SUCCEDE NULLA
Uccidere l’orso che ha aggredito due cacciatori, questa è la decisione di Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento, che sembra non avere dubbi. Solo che i dubbi ci sono, e sono anche molti.
Innanzitutto non è chiaro chi sia questo orso e poi non è possibile pensare di procedere con gli abbattimenti invece di investire in campagne di educazione: l’obiettivo è forse riaprire la caccia all’orso? Nel caso, ditecelo subito.
Tralasciando le questioni legate alla convivenza uomo-animale, alla scelte dell’essere umano di reintrodurre questi animali sul territorio senza forse analizzare adeguatamente le conseguenze, alla necessità dell’educazione delle persone agli orsi e alla miracolosa sopravvivenza all’attacco di padre e figlio, la domanda su cui dovremmo soffermarci è: ma come lo riconosceranno l’orso?
o, perchè è interessante capire esattamente su quale orso cadrà la condanna a morte firmata da Fugatti, si deciderà di sparare a caso?
Al momento infatti non sembrano essere rimasti segni di pelo di orso impigliati da qualche parte, nè sulle vittime, quindi a chi di dovere non resta che sperare di raccogliere materiale genetico adatto all’identificazione, nel frattempo però si è già firmato per l’abbattimento.
L’ennesima decisione in opposizione agli orsi da parte di Fugatti e le sue dichiarazioni allarmistiche sul numero degli esemplari e la loro vicinanza agli esseri umani accende qualche dubbio circa l’obiettivo finale di queste prese di posizione: si sta forse cercando di aprire la caccia all’orso?
Perchè se è così tanto vale dirlo.
Era il 1999 quando il progetto Life Ursus, dopo aver ottenuto un finanziamento dell’Unione Europea, ha dato l’avvio alla ricostituzione di un nucleo di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di altri soggetti dalla Slovenia.
Da allora, piano piano, l’orso ha iniziato a spostarsi e riprodursi, a fare insomma quello che era semplicemente previsto dal progetto di reintroduzione (e dalla natura senza l’uomo).
Nel frattempo però l’essere umano forse si era dimenticato di questi animali e degli ecosistemi in cui si sarebbero inseriti, ha continuato ad espandersi invadendo sempre più la natura e, guarda un po’, ad un certo punto si è ritrovato ad essere faccia a faccia con l’orso
Certo per chi non vive in Trentinto, o in zone in cui la presenza dell’orso è presa in considerazione, viene difficile comprendere cosa significhi convivere con simili animali, noi in città abbiamo giusto le blatte, i ratti, i gabbiani e i piccioni.
Ma per chi vive questi luoghi, la convivenza con l’orso è scontata e ci si divide tra chi ne comprende le necessità di specie, si informa ed evita di trovarsi in situazioni che possano metterlo a confronto con questo animale, e chi invece, forse perchè poco informato o arrogante, si oppone concettualmente alla presenza dell’orso e si muove sul territorio come se si trattasse di un chihuahua.
Nel caso in questione, le vittime sono due cacciatori, insomma due persone preparate ad uccidere animali liberi che dovrebbero essere sufficientemente educate in fatto di regole di comportamento in contesti in cui potrebbe esserci l’orso.
Cosa può essere successo quel giorno? Quell’orso è davvero così pericoloso?
Verrebbe da pensare che l’aggressione di orso pericoloso, meritevole di un’uccisione (sempre che si possa essere davvero considerare un essere vivente meritevole di una condanna a morte), dovrebbe comportare ferite ben più gravi di quelle subite dai due cacciatori, è particolare il fatto che l’orso possa essersi scagliato su di loro, per poi scappare in seguito alla loro reazione di difesa.
Anche il WWF si schiera a favore dell’orso, ma soprattutto contro le condanne a morte prese alla leggera, e dichiara “vanno fermati gli abbattimenti ‘automatici’ di tutti gli orsi coinvolti in incontri ravvicinati o incidenti, modificando il testo del Piano d’azione per la conservazione dell’orso sulle Alpi (PACOBACE), che prevede la possibilità di abbattimento anche in caso di orsi che hanno semplicemente fatto ciò che la natura gli ha insegnato”.
E così il Ministro Sergio Costa, sulla vicenda, dichiara: “La mia posizione è sempre stata la stessa, e non è cambiata: gli orsi non si uccidono! Il tema dell’abbattimento degli animali è molto complesso e va analizzato in un modo molto ampio e scientifico”.
Sono molti gli aspetti che non tornano di questa vicenda, ciò che è certo è che Fugatti non vede l’ora di liberarsi di questo orso. Un bel morto e via. Problema risolto. Siamo sicuri?
Nel 2020 il contatto dell’uomo con la natura sembra essere praticamente nullo, ci siamo dimenticati di essere animali quindi sembra normale essersi dimenticati cosa significhi essere animali: la natura lì fuori però non è cambiata.
Gli orsi stanno solo facendo gli orsi, in un habitat in cui noi esseri umani li abbiamo reintrodotti, adesso però non ci va più bene. Non riusciamo a convivere con gli altri animali rispettando i loro spazi.
Qual è esattamente l’obiettivo dell’essere umano nei confronti della natura? Amiamo gli animali chiusi negli zoo, nelle gabbie, e gli spariamo a vista in libertà . Ma questo non è amore, ma ignoranza e opportunismo.
Lo vediamo anche nella nostra società umana, è tutto bello quando è lontano, quando si tratta di adeguare i nostri spazi anche ad altri, come nel caso dei migranti, sembra quasi impossibile provare empatia: e allora anche in quel caso sparare ai barconi ci sembra la scelta più ovvia, più saggia.
Certo, è forse una coincidenza che Fugatti sia un leghista, la passione per sparare agli altri sembra essere più forte di quella per la conoscenza, l’accoglienza, l’apertura (mentale), l’educazione e la convivenza.
C’è da augurarsi di non essere noi i prossimi che secondo alcuni meritano un colpo in testa perchè, improvvisamente, non rientrano più nelle regole del territorio.
(da Fanpage)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
LA RACCOMANDATA DI SALVINI AVEVA ACCUSATO IL CONDUTTORE DEL PROGRAMMA MA 15 DONNE PRENDONO POSIZIONE IN SUA DIFESA
Una maglietta bianca con su scritto «Don’t look back», il suo compagno di conduzione che esce dalla scena poco prima che la regia mandi il cosiddetto ‘nero’.
Poi il messaggio invitato dallo staff de La Vita In diretta (firmato da 15 donne) a Lorella Cuccarini, mostrando tutta la loro sorpresa per le accuse di maschilismo nei confronti di Alberto Matano.
L’ultima puntata di questa stagione della trasmissione pomeridiana di Rai 1 è stata tutt’altro che tranquilla con gli stracci che sono iniziati a volare fin dal primo pomeriggio, dopo la lettera scritta dalla ‘più amata dagli italiani’.
Lorella Cuccarini aveva parlato del suo addio a La Vita in diretta, accusando il suo compagno di viaggio alla conduzione, Alberto Matano, di un atteggiamento non solo egocentrico, ma anche maschilista.
Accuse che sono state evidenti anche durante l’ultima puntate di questa stagione, con le tensioni evidenti tra i due per tutto il corso della puntata. Poi è arrivato anche il messaggio di 15 donne dello staff e della redazione della trasmissione, che si sono dissociate dall’accusa mossa dalla showgirl e conduttrice.
Il testo del messaggio è stato pubblicato in anteprima da Leggo. Ecco quanto scritto dalle 15 donne a Lorella Cuccarini.
«Cara Lorella dopo aver letto la tua mail, arrivata a ridosso dell’ultima puntata del programma, abbiamo provato smarrimento e incredulità per le tue parole. Abbiamo trascorso mesi durissimi e difficili in cui abbiamo lavorato insieme, con te e con Alberto, con impegno e dedizione, per gli stessi obiettivi e non ci aspettavamo una conclusione come questa. Fare finta di niente sarebbe la soluzione più semplice ma sentiamo il bisogno di dover dire la nostra, da donne. Abbiamo lavorato per tutta la stagione invernale in questo programma e siamo sorprese e amareggiate e stentiamo ancora a credere alle accuse di maschilismo rivolte ad Alberto. La nostra esperienza di lavoro con lui è stata caratterizzata da rispetto e riconoscimento professionale. Da grande giornalista, Alberto ha saputo valorizzare ognuno di noi nel proprio ruolo, con passione generosità e intelligenza, avendo sempre come obiettivo la qualità del programma».
Il messaggio porta le firme di Maria Graziano, Maria Teresa di Furia, Elena Martelli, Ilenia Petracalvina, Shaila Risolo, Raffaella Longobardi, Lucia Loffredo, Lucilla Masucci, Simona Giampaoli, Sonia Petruso, Erika Tuccino, Mara Pannone, Sara Verta, Donatella Cupertino.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA A MAURO PALMA: “STOP ALLE DETENZIONI INUMANE NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA”
“Cambiare subito i decreti sicurezza”. “Stop alle detenzioni inumane nei centri di accoglienza”. “Riportare il carcere nel solco della Costituzione”. Ma anche “non vedo evidenze su una trattativa tra lo Stato e la mafia per ottenere le scarcerazioni”.
E ancora: “Non leggo le rivolte come organizzate anticipatamente dalle mafie”. Questo, e molto altro, nell’intervista a Repubblica di Mauro Palma, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, che oggi presenterà la sua relazione alle Camere.
Il carcere, 60.769 detenuti al 31 dicembre 2019, 53.527 al 25 giugno 2020. Lei ha inviato questi dati a Mattarella, ne spiegherà il significato oggi in Parlamento davanti alla presidente della Consulta Cartabia che si è spesa per un “carcere dei diritti”. Cosa significano queste due cifre?
“Semplicemente che non c’è bisogno di provvedimenti eccezionali per ridurre il numero dei detenuti. Con un tempestivo e adeguato ricorso agli strumenti che l’ordinamento già prevede si può trasformare il carcere portando fuori e risolvendo fuori da quelle mura le difficoltà e la conflittualità . Basti pensare che ancora oggi abbiamo in cella 867 persone condannate a meno di un anno e 2.274 con una pena tra uno e due anni. Evidentemente questi sono casi che l’istituzione “carcere” non può risolvere. Per la semplice ragione, tra l’altro, che qualsiasi programma di recupero richiede almeno sei mesi. Queste vite invece entrano ed escono dal carcere. Sono solo persone senza strumenti per difendersi”.
Lei sta proponendo di tenerli fuori?
“Nella società che sta fuori bisogna trovare strumenti di controllo e di sostegno senza far ricadere sul carcere problemi che il carcere stesso non può risolvere. Anche economicamente, un investimento esterno alla lunga sarebbe meno dispendioso di una ripetitività di detenzioni”.
Ma il calo di circa 7mila detenuti in sei mesi come si è prodotto e cosa vuol dire?
“Tre fattori sono stati determinanti. Il primo, e più importante, è stata l’accelerazione di provvedimenti dei magistrati di sorveglianza che sulla spinta del rischio epidemico hanno fatto un grande lavoro di esame di tutte le situazioni meno rilevanti. Il secondo fattore è stato il minor numero di ingressi in carcere, sia per il calo dei reati durante il lockdown, sia per essere tornati alla custodia cautelare in carcere come misura estrema. Il terzo fattore è la norma del 17 marzo, contenuta nel decreto Cura Italia, che ha previsto una più rapida possibilità di accesso alla detenzione domiciliare. Va detto comunque che gli effetti di questa norma eccezionale sono stati ben minori degli altri due. A conferma che un buon uso dell’ordinarietà è sempre meglio dell’eccezionalità “.
Lei scrive però che stanno di nuovo aumentando i nuovi ingressi in carcere, a maggio 117 in media al giorno a fronte di 86 scarcerazioni, più di 150 persone negli ultimi 15 giorni. Significa che il carcere sta tornando sovraffollato?
“Non siamo ancora a questo, anche se i posti disponibili oggi sono intorno ai 47mila. Ma se malauguratamente dovessimo aver bisogno di spazi per isolare persone, avremmo necessità di un carcere molto meno “denso”. Per questo i numeri dovrebbero ancora calare riservando la pena in cella solo quando è davvero necessaria e utile”.
“Si va in carcere perchè puniti, non per essere puniti”. Che significa questa frase contenuta nella sua relazione che Repubblica ha letto in anticipo?
“Vuol dire che la pena è la privazione della libertà , ma non c’è alcun bisogno di ulteriori aggravamenti, mentre servono percorsi diversificati. Il trattamento di un detenuto comune è naturalmente diverso da quello di un condannato per fatti di grande criminalità . Ma ciò non vuol dire che il secondo debba avere meno diritti e maggiori aggravamenti. Il secondo semmai richiede maggiore osservazione e rigore nell’interruzione dei rapporti con le reti criminali. Non si capisce perchè debba richiedere meno ore d’aria”.
Sta dicendo che il 41bis e l’Alta sicurezza sono trattamenti ingiusti?
“Assolutamente non lo sto dicendo. Dico invece che vanno prese tutte le misure rigorose per interrompere le connessioni criminali. Ma la finalità costituzionale della pena resta anche per loro perchè la Costituzione non fa distinzione”.
La nostra Carta vale anche per chi ha fatto le stragi e ha ucciso uomini come Falcone e Borsellino? Io non credo.
“Non sono d’accordo con lei. La Carta vale per tutti. Ma spetta a noi saper tradurre i suoi principi in un sistema sicuro, rigoroso, ma che non la tradisca”.
I primi sei mesi del 2020 sono stati squassati dalla pandemia da Covid che lei paragona alla sfera d’acciaio che nel film di Fellini “Prova d’orchestra” irrompe in scena. Ma il coronavirus ha prodotto, nel mondo delle prigioni, le rivolte, su cui si affastellano molte ipotesi. Qual è la sua?
“Le prime rivolte sono nate anche da un grande errore comunicativo che ha fatto percepire il decreto che stava per essere approvato come una norma che avrebbe chiuso tutto. Questo, a chi vive in una realtà già chiusa, ha provocato una duplice ansia. Non a caso Modena, il carcere centro della rivolta, ha visto i primi casi accertati di Covid. Che poi, nelle stesse rivolte si possa insinuare via via la criminalità organizzata non è da escludere e l’autorità giudiziaria lo accerterà . Ma non leggo le rivolte come organizzate anticipatamente dalle mafie”.
In un’audizione di fronte alla commissione parlamentare Antimafia Nino Di Matteo lascia intendere che un’ipotetica trattativa tra i mafiosi e lo Stato è realisticamente possibile. Ne ha viste delle tracce concrete?
“Assolutamente no. E anzi chiederei in generale a chi prospetta determinate tesi di sostenerle con elementi di evidenza”.
Sta dicendo che servono delle prove? E quali potrebbero essere?
“Per avanzare un’ipotesi così importante si devono avere dei dati di fatto per dimostrare la connessione, altrimenti s’ingenera nell’opinione pubblica un’idea di onnipotenza della criminalità che ha effetti negativi sul sentirsi attori e difensori della propria democrazia”.
Le scarcerazioni – quasi 500 di cui 220 di mafiosi di alto e medio livello – sono documentate. Lei come le valuta?
“Non c’è stata alcuna scarcerazione, ma arresti domiciliari o detenzioni domiciliari. Sempre provvedimenti decisi dall’autorità giudiziaria. In più della metà dei casi sono stati i giudici di merito a decidere per persone ancora sotto processo. Quindi tanti giudici e tante indipendenti valutazioni. Per meno di metà dei casi è stata la magistratura di sorveglianza che da sempre è chiamata anche a rivedere periodicamente queste decisioni. Ci potranno essere state delle valutazioni assunte sull’onda del rischio di contagio da Covid, ma certamente la magistratura era in grado di rivederle anche senza i decreti che impongono un ritmo di revisione. È giusto rivederli comunque se la motivazione del contagio viene meno”.
L’ormai famosa circolare del 21 marzo. Secondo lei è la causa delle scarcerazioni? Era il frutto di una trattativa?
“Che possa essere stata il frutto di una trattativa lo escludo, o comunque non ho avuto in mano alcun elemento in questa direzione. Mi pare evidente che si trattasse soltanto di un’indicazione di fattori di possibile rischio. Non escludo neppure che nell’ansia del periodo possa essere stata letta come una sorta di indicazione ai giudici. Ma è chiaro che poi gli stessi giudici hanno deciso in modo autonomo”.
L’ex capo del Dap Francesco Basentini era un direttore modesto, un direttore incapace, un direttore che consapevolmente ha ceduto alle pressione di una trattativa?
“Non mi associo ai cori di chi, quando una persona decade da un suo ruolo, smette di parlarne bene e individua in lui tutti i difetti. Questo non significa che fossi d’accordo con tutte le sue scelte”.
Cosa ha criticato?
“La sua non vicinanza con il personale, anche in momenti di difficoltà . L’errore di non essere andato subito nei luoghi delle rivolte, neppure a Modena dove pure erano morte più di dieci persone. Il non aver costruito una fisionomia unitaria e coesa del Dipartimento”.
Secondo lei un capomafia detenuto al 41bis come Pasquale Zagaria può essere messo ai domiciliari? Ne ha diritto chi ha commesso reati gravissimi?
“Se lo richiede la situazione sanitaria e se non ci sono altre soluzioni che riescano a garantire la salute in piena sicurezza, la risposta è sì. Nel caso specifico altre soluzioni potevano essere trovate. Già tre anni fa avevo segnalato al Dipartimento che non c’era una struttura sanitaria di piena sicurezza in Sardegna nel caso si fosse ammalato uno dei tanti detenuti al 41bis che pure si trovano in quella regione”.
Scorrendo la relazione colpisce il suo soffermarsi sul reato di tortura e sul primo bilancio che cerca di trarne.
“La relazione cade nella giornata internazionale contro la tortura. Contestare anche questo reato può essere utile all’indagine per l’assoluta trasparenza, a volte per ridimensionare alcuni casi, ma soprattutto per la complessiva dignità dei corpi di polizia che non hanno assolutamente bisogno di essere tutelati da un alone di non trasparenza. L’Italia è stata condannata a Strasburgo per il G8 di Genova del 2001 e per un caso penitenziario di Asti proprio perchè pur avendo appurato che la tortura c’era stata, però mancava il reato”.
Migranti e decreti sicurezza. Quei decreti sono ancora lì, proprio nella versione di Salvini. La maggioranza rossogialla non ce la fa a cambiarli. Lei parla di un “Mediterraneo teatro di violazioni”. Cosa chiede al governo?
“Innanzitutto di modificare subito i decreti, a partire dalle stesse osservazioni che aveva fatto il presidente Mattarella quando furono convertiti in legge. Se una nave non può più salvare vite umane perchè corre il rischio di sanzioni esemplari, è innegabile che ci sia una responsabilità dell’Italia rispetto ai morti”.
Quando lei cita i dati sui migranti – 6.172 persone nei centri, solo 2.992 rimpatriate, mentre per 1.775 la privazione della libertà non è confermata – sta dicendo che i centri sono prigioni non autorizzate?
“Chiudere vite umane in attesa di un rimpatrio del tutto ipotetico e che poi non avviene, è un atto illegittimo non solo secondo me, ma secondo la stessa direttiva europea sui rimpatri. La situazione è migliorata rispetto a prima, ma la percentuale di chi è stato di fatto detenuto nei centri, peraltro in condizione spesso peggio del carcere, è ancora troppo alta”.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2020 Riccardo Fucile
L’EX MANAGER AVEVA CORSO ALLE PRIMARIE NEL 2016 E ALL’EPOCA TRUMP SI ERA GIA’ DISTINTO PER EPITETI SESSISTI CONTRO DI LEI
Il miliardario xenofobo perde i pezzi: un’altra esponente repubblicana, l’ex manager Bianca Carly Fiorina, annuncia che a novembre non potrà votare per Donald Trump ma sceglierà il democratico Joe Biden
L’annuncio dell’ex candidata alla Casa Bianca, che si è scontrata con il presidente nelle primarie del 2016, ha provocato subito l’irratata reazione su Twitter di Trump: “una candidata alla presidenza fallimentare, Carly Fiorina, dice che voterà per il corrotto Joe Biden – ha scritto – ha perso così di brutto con me, due volte in una stessa campagna, che deve votare per Joe”.
“Il nostro voto più di una semplice croce, è una dichiarazione sulla direzione in cui vogliamo andare ed io credo che ora noi abbiamo bisogno di una vera leadership che possa unire il Paese” ha detto Fiorina in un’intervista.
Durante la campagna elettorale per le primarie repubblicane del 2016, Trump aveva attaccato Fiorina anche per il suo aspetto fisico: “guardate quella faccia! Chi potrebbe votare per lei? Potete immaginarvi questa la faccia del prossimo presidente”, aveva detto in un’intervista.
Quattro anni fa la repubblicana aveva alla fine votato per Trump, ma negli ultimi mesi ha duramente criticato il presidente per il suo comportamento definito “distruttivo per la Repubblica”.
(da agenzie)
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