Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
FOTOGRAFIA DI UNA CRISI STRUTTURALE DEL MOVIMENTO IN CUI NESSUNO HA PIU’ LA FORZA DI RAPPRESENTARE IL TUTTO… LA SINTESI DI UN PARLAMENTARE M5S: “PER DUE ANNI SI E’ FATTO GLI AFFARI SUOI, A CHE TITOLO PARLA?”
Chiedere gli Stati generali del Movimento proprio mentre sono in corso gli Stati generali del
governo dà il senso della portata della sfida.
Sostanziare questa sfida con una piattaforma alternativa, per usare un linguaggio antico, perchè quella che Alessandro Di Battista illustra, nel suo ritorno mediatico a Mezz’Ora in più dopo mesi di silenzio, è una piattaforma alternativa, sul Movimento e sul governo, ne dà il senso della sua rilevanza.
L’intervento di Beppe Grillo, prontamente uscito dal lungo letargo, paternalistico nei toni, censorio nello spirito politico, rende plastico quanto Di Battista sia vissuto come una minaccia rispetto all’attuale assetto.
Ecco, diciamola così, in modo un po’ ruvido, ma efficace: se Di Battista fosse già il capo politico del Movimento, oggi sarebbe caduto il governo perchè le sue parole rappresentano, sui dossier cruciali, non degli aggiustamenti di linea, ma un’altra linea. La sfiducia sull’Europa e sulla troika chiamata ad aprire gli Stati generali, l’opposizione all’utilizzo del Mes, la contrarietà al Ponte sullo Stretto, la revoca, senza se e senza ma, della concessione Autostrade ad Atlantia, la denuncia anche morale dell’accordo sulla fornitura d’armi all’Egitto in nome dell’esigenza di giustizia e trasparenza nella vicenda Regeni, l’opposizione alla prospettiva di un’alleanza organica col Pd: non occorre la convocazione di un “congresso” del Movimento, la data, la location, le bandiere e le fanfare – magari si farà , magari non si farà , anche questo è parte essenziale dell’aspra contesa – per registrare che è già in atto.
È un congresso strisciante, a bassa intensità a cui, a prescindere dalla consistenza delle truppe parlamentari di Di Battista, è appeso il governo proprio nel momento più delicato, la fine dell’emergenza sanitaria e l’urgenza dell’emergenza economica, in cui occorrerebbe il massimo della coesione, della visione, della determinazione nelle decisioni.
Le parole con cui Luigi Di Maio ha prontamente ribadito la sua contrarietà al Mes sono proprio la conferma di quanto condizionante sul governo sia la linea di Di Battista, perchè chiama in causa mai sopite ragioni identitarie, proprio ora che tutte le fragilità del Conte 2 vengono disvelate da una montante disagio sociale destinato a diventare protesta.
È una posizione non banale, il cui sottotesto è questo: quando in autunno esploderà la rabbia, come accadde ai tempi del governo Monti col Movimento che di quella spinta ne diventò canalizzatore e interprete, proviamo a rappresentarla o lasciamo che si incanali a destra?
Anche la scelta della parola “congresso” che evoca una liturgia tanto antica quanto vituperata ai tempi d’oro segna una svolta: l’idea cioè che la leadership sia contendibile e che nessuno ha più forza, consenso, autorità , carisma per imporla agli altri.
Neanche il fondatore a cui non a caso Di Battista replica, trattandolo come parte in causa e non come autorità morale riconosciuta da tutti.
La posta in gioco della contesa, inevitabilmente destinata a condizionare non l’esistenza nell’immediato ma la politica del governo, è squadernata.
E riguarda la manovra in atto per “imporre” Conte alla guida dei Cinque stelle e fare di questo governo l’incubatore della famosa “alleanza organica col Pd” , in uno schema in cui l’M5s, con Conte, raggiungerebbe il trenta per cento. Il che, se così fosse, configurerebbe per il Pd un’operazione che assomiglia alla rianimazione di un morto col proprio sangue. Ma questo è un altro discorso.
Dicevamo, la posta in gioco. Osservate il timing: oggi, proprio oggi, Di Battista, ieri, proprio ieri Casaleggio, il giorno dell’apertura degli Stati generali, in un’intervista al Corriere ha offerto il suo contro-piano in dieci punti, sottolineando il suo mancato invito a Villa Pamphili.
È una linea di frattura vera, politica, di prospettive, che chiama in causa le ragioni di fondo e l’identità stessa del Movimento e al tempo stesso ne certifica una crisi strutturale.
Dall’uno vale uno di una volta all’“uno, nessuno, centomila”, in cui nessuno ha la forza e i gradi di rappresentare il tutto: il fondatore messo in discussione da Di Battista, Di Battista scomunicato dal fondatore, ma sostenuto dal capo della Casaleggio associati, l’ex capo politico Di Maio che, in questa dinamica, può esercitare un ruolo ma comunque da comprimario, l’attuale reggente Crimi che, evidentemente, regge tutto tranne un equilibrio.
È la fotografia di una crisi che non può rimanere a lungo aperta e che in qualche modo si chiuderà : o con una svolta governista o con una svolta identitaria o con una spaccatura, sulle ceneri del Movimento, tra una “lista Conte” e una ridotta identitaria. Chissà . Nel frattempo, c’è un paese da ricostruire
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
“L’AMBIENTALISMO NON E’ SOLO UN VALORE DI SINISTRA, MA ACCOMUNA TUTTI I POPOLI”… DOPO TANTI ANNI DALLE PRIME ESPERIENZE, LA NUOVA DESTRA SI FA INTERPRETE DEI VALORI ECOLOGISTI
Chi ha seguito nascere il movimento Fridays for Future ricorderà che a marzo 2019, alla vigilia della manifestazione globale per il clima che ha visto oltre 100mila persone scendere in piazza, il movimento aveva due identità online: due pagine Facebook, due account diversi su Twitter e Instagram. Una di queste era la pagina ufficiale di Fridays for Future Italia, e oggi conta circa 38mila follower.
L’altra invece, che ne conta circa 52mila, dopo qualche settimana, ha cambiato nome in Futuro Verde.
Nei giorni scorsi ha annunciato di essere diventata formalmente parte di un nuovo soggetto politico fondato da Filippo Rossi e che si chiama “La Buona Destra”, a cui destinerà quindi anche una buona parte di follower raccolti quando era ancora la pagina ufficiale del movimento ispirato all’attivista svedese Greta Thunberg.
Ma come è accaduto?
Ad aprile 2019 il movimento ambientalista presentava un manifesto nazionale e man mano si organizzava in nuclei di coordinamento locali attraverso i quali si può tuttora aderire al movimento, indipendentemente dal colore politico.
Inutile negare che le pagine social costituiscano un importante megafono e quindi rappresentino anche uno strumento di coordinamento del movimento, oggi come ieri.
In quanto movimento nato spontaneamente, anche la sua gestione è stata per lungo tempo improvvisata, senza una chiara suddivisione dei compiti. Una fluidità che lasciava molto spazio all’iniziativa individuale e anche ad ambiguità rispetto ai ruoli e competenze di ciascuno.
Per questo motivo uno dei gestori della pagina originale di Fridays for Future, Luca Polidori, decise, con un gesto «non molto bello», come lui stesso ammise al telefono, di escludere alcune persone fino ad allora deputate, insieme a lui, alla gestione della pagina. L’obiettivo era preservare — così diceva — l’imparzialità politica del movimento e — temendo l’avvicinamento dei Fridays al movimento No Tav e il partito dei Verdi — anche da possibili strumentalizzazioni.
Ecco, proprio ieri l’ex pagina ufficiale di Fridays for Future, Futuro Verde, ha annunciato pubblicamente il suo sostegno a un movimento politico, di destra.
«Da oggi si fa sul serio, da oggi siamo parte del partito la Buona Destra guidato da Filippo Rossi. Perchè l’ambientalismo non è solo un valore di sinistra e tutto lo spettro politico ne deve parlare. Perchè decrescere non è una soluzione sostenibile e perchè mentre l’estrema destra spaccia i confini come amici dell’ambiente noi crediamo che la cooperazione internazionale sia l’unica soluzione. In questo articolo la base su cui costruiremo il nostro contributo politico».
Così si legge sul post pubblicato sulla pagina: insomma un’alternativa all’ambientalismo “di sinistra” e “mainstream”, presumibilmente quello degli ex colleghi attivisti, che dà il suo appoggio a un partito che a sua volta si definisce in opposizione alle destre di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Il fondatore de “La Buona Destra”, Filippo Rossi, non è nuovo alla scena politica (e mediatica). Ex giornalista, ex direttore del Futurista e fondatore della rassegna culturale Caffeina
Dopo un trascorso in Alleanza Nazionale è stato vicino al Pdl, rimanendo sempre fedele a Gianfranco Fini ed approdando infine anche in +Europa di Emma Bonino. Appare fondamentale nel suo percorso politico anche l’aggressione subita da parte di alcuni militanti di CasaPound nel 2012.
A ottobre del 2018 pubblicava invece su Il Foglio un manifesto per la buona destra, in cui lamentava «una fortissima sensazione di estraneità rispetto a una destra (destra?) sempre più caricaturale. Sempre più cattiva. Sempre più estrema in ogni sua espressione. Come se l’urlo fosse l’unico modo di vivere la politica. Come se l’odio fosse l’unico sentimento possibile».
Una destra «retrograda, chiusa, illiberale, plebiscitaria, semplicistica, ispiratrice di remote derive razziste».
(da Open)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
DI FORMAZIONE LIBERALE, FU ATTACCATO DAGLI ANTIFASCISTI TRINARICIUTI E DAI SEDICENTI FASCISTI DA AVANSPETTACOLO
Da buono studioso, Renzo De Felice si è sempre sforzato di andare oltre la lettura scontata e
superficiale del periodo fascista.
Nella sua completa e notevole opera di ricostruzione degli avvenimenti attorno al fenomeno — anche grazie a quello che potremmo chiamare “metodo De Felice” — il professore romano ha cercato di evidenziare tutti gli aspetti, tutte le ragioni, tutte le colpe, in maniera scientifica e capillare.
Ha avuto il coraggio di proporre non un “Fascismo alternativo”, ma di analizzare il periodo in maniera controcorrente, guardando al Fascismo nella sua totalità ed interezza, senza offrire ai lettori una visione tipicamente partigiana o faziosa.
E siccome, come vuole la vulgata, la storiografia del Ventennio e del suo Duce la può fare solo la sinistra — a destra perde di credibilità e in un paese in cui si è tacciati di “fascista” ad ogni piè sospinto risulterebbe inutile ed infruttuosa — De Felice, di famiglia liberale e uomo non di destra, ha tentato di capire e studiare a fondo il fenomeno. Ed è stato ugualmente e spietatamente attaccato dagli antifascisti di professione.
Aspre le critiche intorno al celebre libro defeliciano Intervista sul Fascismo, il pamphlet del giugno 1975 (quarantacinque anni fa); anno e mese in cui alle elezioni regionali il Partito Comunista Italiano battè per la prima ed unica volta la Democrazia Cristiana.
Non era mai successo: certo, in passato il PCI si era avvicinato elettoralmente alla Balena Bianca, ma non era riuscito a superarla. La santabarbara verbale del PCI era piena zeppa di allusioni alla presunta “fascistaggine” dell’avversario dallo scudo crociato.
Nonostante l’arma letale politica dell’Antifascismo — che automaticamente scomunica senza possibilità di appello qualsiasi avversario a prescindere — il partito delle Botteghe Oscure non ci riuscì a sorpassare quello di Piazza del Gesù alle politiche del 1976, quando molti elettori — per dirla con una nota, indelebile e fortunata espressione che spostò migliaia di voti — si turarono il naso e votarono DC.
Ad intervistare De Felice (maestro di Emilio Gentile e Paolo Mieli, tra gli altri) nell’Intervista un giovane Michael Ledeen, ebreo polacco, allievo dello storico del Nazismo George Mosse e all’epoca fresco di studi.
Nel saggio De Felice ha cercato le spiegazioni e i motivi della nascita del Fascismo e delle decisioni prese dal vertice del movimento negli anni: e spiegare, o dare spiegazioni, non vuol dire giustificare.
De Felice si è sforzato di sorvolare sulle letture consolidate e scontate del fenomeno fascista; con tutte le differenze, una sorta di Giampaolo Pansa ante litteram, in un’epoca dove anche all’estero diversi studiosi (come Franà§ois Furet o Ernst Nolte) studiavano i movimenti totalitari nella più estrema controversia e solitudine all’interno del mondo accademico.
Quanto a De Felice, non si può non riconoscergli il coraggio di aver esplorato neutralmente il tema più caldo del Novecento italiano ed esporlo in maniera sintetica e fattuale. Il “metodo De Felice” è basato sulla non-capziosità , in un paese fondato sull’estenuante e sterile divisione (ed invidia) sociale, nonchè sull’assenza di una “memoria nazionale”, traducibile nella riluttanza di troppi italiani di fare i conti con la propria turbolenta Storia.
Un’interpretazione “di sinistra” del Fascismo (che fu tra l’altro economicamente vicino a posizioni “di sinistra”) è parziale; stessa cosa dicasi per un’interpretazione nostalgica. «Il Fascismo andava rivisitato, ristudiato, col maggior distacco, con la maggiore serenità possibile», scrive De Felice nell’Intervista.
«Il Fascismo, che io chiamo “Fascismo storico” — come si è attuato fra il 1919 e il 1945 — è morto; è irresuscitabile. È una pagina chiusa, e proprio per questo è possibile studiarlo storicamente, con un metodo e una mentalità storici.»
Non può che far ridere dunque l’odierna accusa di Fascismo nei confronti di alcune personalità della politica nazionale e internazionale corrente.
Quella del Fascismo è una storia chiusa, che d’altra parte non può e non deve essere soggetta all’umidità di una biblioteca nei sotterranei, quanto oggetto da esaminare con cura e attenzione sotto la lampada e la lente d’ingrandimento della Storia.
De Felice ha sfatato anche un mito che negli anni è stato adottato — in malafede — da tantissimi circoli culturali: equiparare storicamente Nazismo a Fascismo.
Due fenomeni molto diversi (ne La fine della Storia e l’ultimo Uomo Francis Fukuyama ha spiegato che «il Fascismo non era una dottrina universale», a differenza del Socialismo nazionale). E anche qui, apriti cielo! Nazismo e Fascismo (e Comunismo) sono uguali in quanto ideologie totalitarie, stataliste, liberticide e criminali; tuttavia, De Felice spiega che il primo «guardava al passato, voleva costruire una nuova società sulla base della tradizione, di elementi antichi e immutabili, in primo luogo la razza; al contrario, il Fascismo fondava la sua visione politica sull’idea di progresso.
Corrispondentemente, nel Fascismo c’erano un ottimismo vitalistico e una proiezione verso il futuro che nel Nazismo risultavano invece assenti.»
Sottolineare le differenze in sede storica vuol dire giustificare o essere filo-qualcosa? No di certo. Tentare di spiegare le sfumature di due sistemi totalitari — per altro ispirati ad un altro sistema, quello socialista — corrisponde all’aderenza nei confronti dei medesimi? Di nuovo, no di certo.
Ancora più storicamente scorretto è l’equiparare il Fascismo ai movimenti conservatori, cosa tornata di moda recentemente.
«I regimi conservatori», continua De Felice, «hanno un modello che appartiene al passato, e che va recuperato, un modello che essi ritengono valido e che solo un evento rivoluzionario ha interrotto; bisogna tornare alla situazione prerivoluzionaria. I regimi di tipo fascista invece, vogliono creare qualcosa che costituisca una nuova fase della civiltà .» Il Fascismo vuole creare un uomo nuovo, una figura nuova, ma con ispirazioni dirette dal passato. Parte dell’umanità , «il Fascismo», ha scritto Madeleine Albright in Fascism: a warning, «non è un’eccezione dell’umanità , ma parte di esso.»
A difendere De Felice dalle (ridicole) accuse — guarda a caso — di filo-Fascismo e revisionismo da parte di una ben nota e dominante intellighenzia da salotto “proletario a parole”, Rosario Romeo e il migliorista del PCI Giorgio Amendola.
De Felice ha scritto che il danno più grosso fatto dal Fascismo «è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista […] agli antifascisti […] Una mentalità fascista che va […] combattuta in tutti i modi, perchè pericolosissima. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo.»
Il Fascismo degli antifascisti: dannoso, oggi come nel 1945 o nel 1975, al dibattito democratico. Tramite un metodo certamente innovativo e controverso nell’approcciare il Ventennio (cioè semplicemente quello di stare sopra le parti e analizzare le cose nel merito, senza lasciarsi prendere da odiose partigianerie), De Felice ha mostrato coraggio nel tentare di offrire agli italiani una visione moderna, completa, imparziale del Fascismo dalle origini alla disfatta.
Sarebbe spettato ai suoi lettori coltivare e promuovere negli anni una visione altrettanto lucida, nonchè l’elaborazione ragionata dei fatti (luttuosi) che hanno sconvolto un intero paese.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
PERCHE’ I SOVRANISTI NOSTRANI NON INTERVENGONO CON I PAESI DI VISEGRAD CHE NON VOGLIONO IL RECOVERY FUND PER NON AIUTARE “I PAESI DEBITORI” COME L’ITALIA?… O NON CONTANO UNA MAZZA O FANNO SOLO GLI INTERESSI DI ALTRI PAESI
Ieri ci siamo persi lo sfottò di Giuseppe Conte che ha chiesto a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni di aiutarlo a superare la contrarietà dei paesi del patto di Visegrad nei confronti del Recovery Fund.
«Molti Paesi europei di destra lo contestano, alcune forze di opposizione sono molto legate ai governi di Visegrad -ha spiegato il premier-. Chiedo di lavorare per darci una mano nell’interesse nazionale, vi prego, vi riconoscerò pubblicamente questo aiuto intervendo anche con i partiti con cui avete legami, con i Paesi che stanno cercando di contrastare la risposta che la Commissione Ue sta offrendo”, ha detto il presidente del Consiglio a margine degli Stati Generali.
“Il coinvolgimento delle opposizioni” nel piano di rilancio “è d’obbligo. Abbiamo il dovere di lavorare con la massima condivisione, avevamo invitato ieri i leader dell’opposizione, continueremo caparbiamente a coinvolgerli e confidiamo di farlo nella prossima settimana, quando avremo un riscontro di idee dalle forze politiche, sociali e culturali del Paese”.
Ora, a parte che Giorgia Meloni ha detto di recente che lei il Recovery Fund l’aveva sempre voluto per prima ed era merito suo (ovviamente dopo l’approvazione del piano di massima, non prima), l’esortazione suona come uno sfottò perchè i paesi di Visegrad, così come quelli ribattezzati come “frugali”, hanno già bocciato il piano.
La proposta della commissione Ue per la ripresa dalla crisi del coronavirus è per il premier ceco Andrej Babis “inammissibile”.
Secondo il primo ministro, il piano di rilancio non dovrà servire a versare denaro a Paesi gravemente indebitati i cui problemi sono stati aggravati dall’epidemia. E detta così sembra proprio che si parli dell’Italia.
“Dovrebbero innanzitutto garantire che la loro situazione migliorerà in futuro”, ha affermato sottolineando che “i Paesi dalle economie sane soffrono ugualmente e in particolare soffrono le economie piccole dipendenti dall’export, come quella della Repubblica ceca”.
Di Babis abbiamo già parlato all’epoca della partita di mascherine per l’Italia rimaste curiosamente bloccate proprio in Repubblica Ceca.
La Repubblica Ceca fa parte insieme a Ungheria, Polonia e Slovacchia del Patto di Visegrad, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte quando era al governo con la Lega incontrò Andrej Babis — quello che definì come “strada per l’inferno” la richiesta italiana di accogliere i migranti e che ancora pochi giorni fa è tornato sul punto — mentre Salvini si preparava al summit dei sovranisti col premier ungherese Viktor Orbà n.
Sempre in tema di Visegrad, si può aggiungere che anche Orbà n ha bocciato il piano
Il Recovery Fund proposto dalla Commissione europea è “assurdo e perverso”: lo ha detto il primo ministro ungherese Viktor Orban, per il quale “finanziare i ricchi con i soldi dei poveri non è una buona idea”.
Il premier parlava con l’emittente statale Kossuth Rà¡dià³. Secondo le cifre della Commissione, che prevedono un fondo per la ripresa da 750 miliardi di euro, all’Ungheria sarebbero riservati 15 miliardi in tutto, di cui 8,1 a fondo perduto e 6,9 in prestiti. (ANSA)
Proprio per questo oggi Salvini era particolarmente nervoso quando ha risposto a Conte tirandogli in ballo i cinesi: “Conte dice che abbiamo rapporti con i paesi Visegrad? Il premier si preoccupi invece di chi — nella sua maggioranza — preferisce interloquire con i regimi sanguinari di Cina, Venezuela e Iran”.
Poveretto, non sapeva proprio cosa dire.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
GLI ARGOMENTI DEI RICORSI IN CASSAZIONE DEI POLITICI CONDANNATI
“Quel rimborso è stato chiesto per sbaglio!”, “La borsa griffata era una borsa portalibri!”,
“Offrivo le cene per il rafforzamento con l’elettorato!”. “Mi ero dimenticato il beauty-case e dovevo vedere il Papa!”.
Nel leggere gli argomenti dei ricorsi in Cassazione dei vari protagonisti di “Rimborsopoli” in Piemonte, dopo le condanne in appello, non si può non ridere di gusto. Ma partiamo dall’inizio, perchè tutto cominciò con le ormai famose mutande verdi che divennero il simbolo del caso giudiziario.
“Era un paio di pantaloni corti, trasformati dai giornali in mutande verdi. Uno scontrino inserito per errore nelle spese da rimborsare”, si giustificò all’epoca l’ex governatore leghista del Piemonte, Roberto Cota. La vicenda, iniziata nel 2013, coinvolse ben 52 consiglieri regionali, tutti accusati a vario titolo di aver utilizzato in modo illecito (principalmente rimborsi per spese personali) i fondi destinati ai gruppi consiliari.
L’iter giudiziario è stato travagliato: il Tribunale di primo grado ha assolto Cota e 14 consiglieri e ne ha condannati 10. In secondo grado condanna per 24 consiglieri, tra cui Cota e il sindaco di Borgosesia Paolo Tiramani. La Corte di Cassazione, in seguito ai ricorsi, ha poi deciso un nuovo giudizio di secondo grado per Cota, Tiramani, Alberto Coronassi (quest’ultimo ai tempi consigliere regionale per Forza Italia) e qualche altro consigliere. In pratica, alcuni di loro, rifaranno l’appello.
Nello specifico, delle sette motivazioni di ricorso presentate dai legali di Tiramani solo una è stata accolta, e cioè l’accusa di peculato in concorso con Mario Carossa, all’epoca capogruppo della Lega Nord. “Si torna indietro. Attendo l’appello bis sapendo che non ho commesso alcun reato”, afferma lui.
Il problema è che, leggendo le motivazioni della Cassazione, è evidente che i giudici non mettono in alcun modo in discussione il fatto che i consiglieri si facessero rimborsare indebitamente qualsiasi cosa, ma piuttosto accolgono ricorsi sulle accuse di “concorso” o, in quasi tutti i casi, per altre ragioni di natura tecnica. In pratica, si appropriavano di denaro che non spettava loro, ma in alcuni casi non è detto che l’uno sapesse quello che faceva l’altro.
La lettura delle motivazioni regala momenti di notevole ilarità , perchè i giudici smontano con eleganza quasi tutte le surreali, creative, acrobatiche argomentazioni del ricorso.
Nel caso del consigliere Massimo Giordano (accusato di aver sottratto 14.000 euro in rimborsi) “le spese di ristorazione e pernottamento potrebbero rientrare fra quelle sostenibili per il consolidamento del gruppo con elettori e simpatizzanti, anche se sostenute per eventi non ufficiali”.
In pratica, se porti a cena 12 persone al pub (come, per esempio, nel suo caso) e ti fai rimborsare la cena, stai consolidando le simpatie a colpi di Menabrea doppio malto, sei autorizzato. Anche le multe che si fece rimborsare, secondo i suoi legali, sono state “un errore di fatto” e gli arredi “sono stati riscattati”.
L’ex consigliere regionale Roberto Alfredo Tentoni, che si fece rimborsare da buffet a cene a telecamere e generatori di corrente, sostiene che fossero “cene istituzionali legate alla promozione del territorio” e che “la Corte avrebbe ignorato il contenuto di alcune testimonianze di chi disse che nell’invitarlo si era presentato in qualità di consigliere regionale e aveva portato i saluti del Consiglio stesso”.
Quindi per farsi rimborsare un pranzo dalla Regione basta dire “Ti saluta il Consiglio!”. È quella che si dice “insindacabile giustificazione”, dopo “professore, non ho potuto fare i compiti, è morta nonna”.
La storia delle telecamere acquistate poi è meravigliosa. Il consigliere si fa rimborsare 2.000 euro per il loro acquisto. Se le piazza a casa sua, in camera da letto e in cucina. Ma “non si può escludere che le avesse utilizzate anche in Regione”, dice il suo legale.
E a tal proposito, nel ricorso si afferma che ha montato quelle telecamere in cucina e camera perchè temeva qualche conseguenza per la sua incolumità visto il suo impegno in Consiglio contro il fenomeno delle “mandrie vaganti”. Giuro. C’è scritto.
La difesa del consigliere Alberto Goffi, 11.000 euro di rimborsi soprattutto per spese di ristorazione tra cui 600 per fornitura di pasticcini, ha argomentato: “Le spese dovrebbero essere ricondotte alla battaglia politica”. Cioè, lanciava pasticcini agli avversari?
Il consigliere Andrea Stara (46.970 euro di rimborsi) si faceva rimborsare focacce, spese al supermercato, multe, tagliaerba, soggiorni in Puglia e Basilicata e consumazioni di 32 collaboratori.
Nel suo caso, la scusa più utilizzata — ovvero “mi facevo rimborsare cene che miravano alla valorizzazione del territorio” — non viene utilizzata per un semplice motivo: nella lista rimborsi, giuro, c’è anche la voce “KEBAB”. Del resto, è l’unico esponente del centrosinistra coinvolto nella vicenda, lo si intuisce anche da questo. Si faceva rimborsare le multe per “mera negligenza”.
Il consigliere Michele Formagnana, 27.000 euro rimborsati, prelevava somme e le metteva in cassaforte della propria agenzia assicurativa “per organizzare convegni”.
Secondo la difesa, poi l’indagine della Procura lo ha spaventato e non li ha organizzati più, restituendoli. Insomma, la scusa è che quei soldi prelevati e messi in cassaforte fossero “un fondocassa”. In pratica il fondocassa del fondocassa. “Non c’era motivo per cui conservasse quelle somme in un luogo privato”, si legge nelle motivazioni. Tra parentesi, il consigliere aveva acquistato una cappella cimiteriale: probabilmente voleva nasconderci altro fondocassa dentro.
Alberto Cortopassi, (55.000 euro di rimborsi) si era fatto restituire spese per la prima comunione del figlio, vini, regali a collaboratori, abbigliamento, profumi, cd natalizi e gioielli. Dal 20 al 30 ottobre 2010 aveva chiesto il rimborso per 78 consumazioni al ristorante (3.100 euro).
In pratica andava otto volte al giorno a pranzo e cena. Ci si aspettava che i suoi legali utilizzassero la scusa della bulimia nervosa o della tenia nell’intestino, e invece agiva “per visibilità e consenso personale”.
E “l’imputato aveva trasformato la sede di un noto ristorante in un luogo ordinario di incontri personali”. In pratica aveva spostato l’ufficio al ristorante. Una scusa validissima. Poteva andare peggio per le casse pubbliche: poteva spostare l’ufficio in un rivenditore Lamborghini.
Michele Dell’Utri si fece rimborsare spese di ristorazione, quadri e cornici, l’abbonamento a La Stampa: secondo i legali erano “spese giustificabile per rafforzamento col elettorato e a raccogliere l’orientamento dei simpatizzanti”. Visto che nei rimborsi c’erano anche spese al supermercato sarebbe interessante capire come procurarsi elettori al banco frigo latticini e salumi. “Non sarebbe sindacabile la modalità di tale attivismo”, si legge.
Roberto De Magistris si fece rimborsare, tra le altre cose, cene al ristorante Galli di Verbania, ma nel ricorso si sostiene che furono “spese attribuite per errore all’imputato”, tanto che il ristoratore testimoniò di non averlo mai visto.
Idem rimborsi per una gara di moto in Liguria con gli amici: la fattura era stata emessa a soggetto terzo, quindi fu un errore. E un errore furono anche i rimborsi per la fiera del tartufo ad Alba. In pratica, De Magistris rimborsava a sua insaputa.
Stasera vado da Cracco, lascio il conto a nome suo. Tra i suoi rimborsi anche 36 t-shirt, fiori, tassa per il passaporto elettronico, 122 euro di frigobar per una visita istituzionale al papa. È già tanto che non le abbia caricate sul conto di papa Francesco.
Il sindaco di Borgosesia Paolo Tiramani (12.000 euro di rimborsi) si fece rimborsare spese in discoteca, al bowling, da Ikea e poi popcorn, multe, navigatori satellitari, soggiorni, dolciumi, cioccolato, scarpe e confetti.
Le motivazioni del ricorso sono bellissime: “Non c’è prova che abbia ricevuto il rimborso delle spese ritenute illecite visto che il rimborso avveniva tramite contanti”. In pratica chiedeva rimborsi ma poi non si faceva rimborsare, chiaro.
O anche “Il regolamento della Lega Nord non prevede l’indicazione delle specifiche circostanze nelle quali la spesa era sostenuta”, e “Era alla sua prima esperienza e ha commesso errori, “avrebbe sempre ritenuto la materia poco chiara”. Certo, legittimo, alla prima esperienza, avere dubbi sul fatto che l’acquisto dei pocorn rientri nelle spese di rappresentanza.
La consigliera Augusta Montaruli acquistò la borsa di un noto stilista (Borbonese), che secondo la difesa “è un mero contenitore di libri”. Certo, le famose borse porta-libri. Secondo la Montaruli poi, era “un premio per un concorso letterario per sensibilizzare sulla violenza contro le donne”. Certo. Peccato che nella sua nota spese ci sia finito anche l’apparecchio Microtouch per togliere peli dal naso e orecchie. Sarà stato un premio per un concorso per sensibilizzare sui problemi dell’ irsutismo.
Angelo Emilio Filippo Burzi si fece rimborsare 200 pasti mentre era in vacanza ad agosto 2012, ma “ne approfittò per frequentare autorevoli amici”. In pratica se porti a cena l’imbianchino sei un impostore, se porti a cena 200 architetti sei nell’ambito della legalità
Roberto Cota giustifica il rimborso di mutande o pantaloncini verdi più tutto il resto comprato in America, affermando che il viaggio a Boston era considerato privato ma lui doveva incontrare un ingegnere. Comodo ed economico, insomma. Tra l’altro non è ben chiaro il perchè, a questo punto, l’ingegnere ricevesse solo interlocutori con pantaloncini o mutande verdi. 47 scontrini, conservati gelosamente chissà perchè, gli sono stati rimborsati “per errore”. Altri acquisti erano “FUTURI regali di rappresentanza”.
La difesa di Michele Giovine, capogruppo di “Pensionati per Cota”, condannato per appropriazione di 112.000 euro, afferma che l’attività dei gruppi sarebbe svolta in regime privatistico, dunque l’imputato non è pubblico ufficiale.
Il consigliere Massimo Giordano sostiene che siano spese di rappresentanza anche quelle dal fruttivendolo e l’alloggio di sua moglie a Kiev.
Il consigliere Massimiliano Motta si fa rimborsare un beauty-case ma perchè “avendo un’udienza dal papa, si era reso conto di aver dimenticato il proprio”. Insomma, se vai da Papa Francesco e ti sei dimenticato il dentifricio o il dopobarba, pagano i cittadini.
(da TPI)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
DECINE DI AUTISTI AL SERVIZIO DEI POLITICI, MOLTI SONO A LORO VOLTA ESPONENTI LOCALI DEI PARTITI
La Treccani nel 2008 ha introdotto il neologismo “spendopoli” per indicare uno scandalo suscitato dal malcostume di sperperare denaro pubblico. E se a spendere (e spandere) tali soldi sono i politici di una casta che mira ad autoconservare i propri privilegi (e quelli per gli amici degli amici) andiamo a toccare un punto divenuto assai dolente nella storia politica degli ultimi dieci anni.
In Calabria, terza regione più povera d’Europa secondo l’European regional social scoreboard del Comitato europeo delle Regioni, in cui il pil pro capite è inferiore del 60 per cento della media Ue, i cosiddetti “privilegi della casta” sono ancora più duri a morire che altrove.
Non solo portaborse strapagati parenti degli amici, c’è un’altra categoria di illustri privilegiati: è il caso degli autisti, decine di persone nominate nell’ambito di quel paradiso di incarichi fiduciari a spese dei contribuenti per scarrozzare i politici regionali.
In Calabria per legge hanno diritto all’autista i presidenti della Regione e del consiglio regionale e i loro vicepresidenti, i segretari questori del consiglio, i presidenti di commissione consiliare, i capigruppo e gli assessori regionali.
Il ruolo di autista è una carica assai ambita dato che è possibile arrivare a guadagnare anche 40.000 euro l’anno. Tutti soldi dei calabresi che gravano a bilancio sul “costo personale delle strutture speciali”, con un consiglio regionale che in questo spende 4 volte quello del Piemonte. In più, nel bilancio di previsione 2020-2022 di Regione Calabria è previsto un rimborso spese autisti di 100.000,00 euro annui e un rimborso forfettario per il trattamento mensa pari a 180.000,00 annui.
Già , perchè se un autista della giunta ha un contratto “all inclusive” di 38.000 euro annui, un autista del consiglio oltre allo “stipendio base” di 28.707 euro, ha diritto ad un rimborso spese forfettario per “trattamento mensa” ed un rimborso spese “finalizzato al ristoro del disagio economico e fisico che affrontano gli autisti, la cui residenza dista almeno 10 chilometri da quella del titolare della struttura”.
In Calabria, quindi, un autista che abita a più di 25 chilometri dalla residenza del suo datore di lavoro ha diritto a ricevere 750 euro mensili esentasse “per il ristoro del disagio economico e fisico” che patisce nell’affrontare tale interminabile tragitto che rientrerebbe, invece, nelle normali mansioni di lavoro di un autista, ma la normativa regionale slega i trattamenti economici degli autisti a qualsiasi tipo di contrattazione collettiva. Insomma, decide la casta.
Ovviamente gli autisti non utilizzano mezzi loro come un qualsiasi riders sottopagato.
La normativa regionale prevede un diritto alle “spese per il noleggio e l’esercizio delle autovetture” che comporta un rimborso che va dai quasi 4000 mensili per i presidenti della giunta e del consiglio, agli oltre 3000 euro i vicepresidenti e gli assessori, ai 2300 per i segretari questori del consiglio regionale. In quel caso si hanno a disposizione tre opzioni: l’utilizzo di un’autovettura a noleggio fornita dal consiglio regionale; un contributo per il noleggio e l’utilizzo di un’autovettura noleggiata, oppure un contributo per l’esercizio di auto di proprietà del politico. Il tutto con un costo di bilancio pari a 425.000 euro solo per il 2020.
Chi sono, quindi, i più bramosi di mettersi alla guida delle auto degli assessori e dei consiglieri calabresi? Una stuola di amministratori pubblici locali ed esponenti di partiti politici.
E se la presidente della giunta Jole Santelli ha come autista il responsabile enti locali di Forza Italia per la provincia di Cosenza, il presidente del consiglio Mimmo Tallini ne ha due, part-time: un consigliere comunale di Catanzaro indagato nell’ambito dell’inchiesta gettonopoli ed un ex consigliere comunale di Crotone eletto col centrosinistra.
L’assessora regionale ai trasporti Domenica Catalfamo ha come autista part-time un rappresentante dei giovani di Forza Italia del reggino (vicino al di lei cugino, l’onorevole Francesco Cannizzaro), mentre l’assessore all’agricoltura Gianluca Gallo ha un ex consigliere comunale di Cassano Ionio, Forza Italia.
In consiglio regionale, il segretario questore in quota Lega Filippo Mancuso ha nominato, addirittura, un sindaco del catanzarese per guidare la sua auto, mentre il capogruppo dell’Udc Giuseppe Graziano ha assunto la moglie dell’ex assessore regionale all’ambiente dei Verdi della giunta di Agazio Loiero.
Anche l’opposizione ha le sue auto, con il capogruppo del PD Mimmo Bevacqua che vede sedersi al posto del guidatore un consigliere comunale di Acri, mentre il segretario questore Graziano Di Natale ha assunto il segretario del PD di Paola.
Certo, con una previsione di calo del Pil nazionale del 7 per cento a seguito della pandemia, la classe politica calabrese, dopo la pessima figura con la legge sui vitalizi, dimostra di essere, in maniera tassativamente bipartisan, sempre più legata al passato e isolata in un bunker di privilegi.
(da TPI)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
GRAN SENSO DELLE ISTITUZIONI… LA PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA: “IL DECORO VA RISPETTATO, SI PERCEPISCE ANCHE UN GETTONE DI PRESENZA”
Ha preso parte al Consiglio comunale da remoto: anzi, proprio dalla spiaggia.![](https://i.postimg.cc/5tpfrP9L/5ee62d49220000cf2682a8e5.jpg)
Il consigliere Giulio Venturi (Insieme Bologna) è apparso in videoconferenza dalla sdraio ed è per questo stato redarguito dalla presidente Luisa Guidoni, nel bel mezzo dei lavori: “Devo pertanto richiamare tutti i consiglieri a tenere un comportamento e comunque ad osservare una presentabilità , un decoro e una correttezza che dev’essere valida per tutte le sedute di Consiglio, sia in videoconferenza sia in presenza”.
E aggiunge: ”È un episodio molto spiacevole, ricordo infatti a tutti che la funzione del consigliere comunale dev’essere esercitata in condizioni tali da garantire l’esclusività dell’attività , per la quale si percepisce un gettone di presenza e si beneficia inoltre, nei casi previsti, di permesso di lavoro”.
Ma da dove nasce il richiamo? Il Corriere della Sera lo ricostruisce così.
Tra i consiglieri comunali circola una spiegazione secondo cui nelle immagini diffuse sulla piattaforma su cui si svolgono i Consigli si è potuto vedere, per qualche istante, che Venturi, nipote del giuslavorista ucciso dalle Br Marco Biagi e che è stato eletto con una lista civica che guarda a destra, sarebbe apparso collegato da una spiaggia, in costume e seduto su una sdraio. Ironia della sorte, proprio nella giornata di venerdì, Venturi su Facebook ha pubblicato un post con la foto di una battigia, con scorcio d’acqua azzurra e citazione di Ernest Hemingway dedicata all’amore per il mare. Il post, in seguito, è stato rimosso.
La stessa immagine del mare, Venturi l’aveva pubblicata nelle storie, dove aveva aggiunto anche una scritta «Buon venerdì».
Di certo c’è che lo stesso Venturi è tra i pochi consiglieri, a quanto si apprende, che ha tentato di contrastare la decisione di far riprendere i Consigli in presenza (dal 29 giugno) senza dare l’opportunità di proseguire con la partecipazione online.
(da agenzie)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
RENATO BRUNETTA: “LA TEORIA PER CUI ALL’ITALIA E’ SUFFICIENTE CHE LA BCE ACQUISTI I NOSTRI TITOLI DI STATO E’ CAMPATA IN ARIA”
I teorici del sovranismo monetario di casa nostra, gli stessi che, soltanto un anno fa, suggerivano all’Italia di abbandonare l’euro e ritornare alla lira (fortuna che non sono stati ascoltati), hanno elaborato di recente una singolare tesi, secondo la quale la politica monetaria ultra espansiva attuata dalla Banca Centrale Europea (BCE) attraverso il suo programma di acquisto di titoli di Stato (Quantitative Eeasing in generale e PEPP nello specifico), per un totale di 1.350 miliardi di euro, sarebbe sufficiente per permettere all’Italia di avere a disposizione tutte le risorse finanziarie necessarie per uscire dalla crisi economica e finanziaria nella quale è entrata a causa del lockdown da pandemia.
Questa teoria, tanto semplice quanto seducente, è riassumibile nell’idea che il nostro Tesoro può permettersi di emettere tutti i titoli di Stato di cui ha bisogno per finanziare l’ingente aumento di deficit pubblico, tanto, alla fine, c’è sempre la BCE (con il suo braccio armato della Banca d’Italia) che acquisterà questi titoli sul mercato secondario. Questa “promessa” (il sostantivo è dell’amico professor Alberto Bagnai) contribuisce a tenere bassi i rendimenti dei titoli, e a mantenere sostenibile l’ingente debito pubblico italiano, che ormai, lo ricordiamo, si avvia verso la cifra monstre di 2.500 miliardi di euro, pari al 160,0% del nostro Pil.
Evidentemente non preoccupati da questi record negativi toccati dal nostro debito pubblico, i sovranisti monetari nostrani propongono di indebitarci ancora di più, dal momento che la BCE finirà per monetizzare il debito pubblico italiano in via indiretta, attraverso il suo programma di acquisto di titoli.
La “teoria monetaria sovranista” ha come importante corollario che, per i motivi esposti, inutile, o addirittura dannoso, è per il Governo italiano ricorrere alle risorse finanziarie messe in campo dalla Unione Europea, attraverso 4 pilastri finanziari (MES, BEI, SURE e Next Generation UE Fund), del valore complessivo, ad oggi, di 2.400 miliardi di euro, suddivisi in grants e loans.
Il rapporto tra Governo italiano e BCE diventa, dunque, sempre secondo questa nuova teoria, diretto e non mediato da altre istituzioni europee, le quali, alla fin fine, diventano superflue, se non addirittura dannose, con le loro fastidiose richieste di condizionalità strategica (vi diamo i soldi in cambio di riforme per la crescita).
Teoria molto sexy, impressive, facile da spiegare e altrettanto facile da capire, molto popolare, quella del sovranismo monetarista.
Peccato, che abbia la stessa attendibilità del mito del Re Mida.
Lasciando perdere la mitologia, e tornando alla triste scienza, essa, teoria, appare tanto inattuabile, in una unione monetaria come l’eurozona, quanto dannosa, per la stessa idea dell’uso distorto e opportunista delle politiche monetarie che propone. La teoria del “sovranismo monetario”, come l’abbiamo definito noi, applicata al nostro Paese, presenta almeno tre errori sui fondamentali economici che la rendono, come dicevamo, inattuabile e pericolosa.
Primo errore: credere, come fanno Bagnai e compagni, che la moneta non sia un bene qualsiasi, e che quindi se ne possa godere in quantità illimitata, attraverso l’aumento dell’offerta da parte della BCE, credere ciò, dicevamo, mina alle fondamenta la teoria che fu di Ludwig von Mises, Friederich August von Hayek, due mostri sacri della teoria economica, e, del più a noi vicino, Arthur Laffer, tanto per fare un po’ di citazioni colte. Tale assunto porta al risultato, tipico di tutti i beni offerti in quantità illimitata (“beni pubblici”, nella teoria economica), di far assumere a quel bene un valore di mercato pari a zero. Nel caso di specie, il nostro povero €uro. Ludwig von Mises nella sua teoria della moneta, scriveva che “l’espansione e la contrazione della quantità di banconote in circolazione non sono mai la causa, ma sempre e solo l’effetto, delle fluttuazioni della vita economica.
La moneta è solo una misura di valore accettata e, anche in assenza di una banca centrale, continuerebbe ad esistere, per il solo fatto che è utile”. La produzione rappresenta la domanda di moneta, come ricordava inoltre uno dei padri fondatori della “supply side economics”, Arthur Laffer, secondo il quale l’offerta di moneta è “determinata dalla domanda”.
Quello che i teorici nostrani del sovranismo monetario sostengono, invece, è l’esatto contrario. L’offerta di moneta dovrebbe infatti essere, secondo il loro ragionamento, “determinata dall’offerta”, ovvero aumentata dalla banca centrale senza che vi sia un corrispondente aumento di domanda che, anzi, in una crisi come quella attuale, è fortemente diminuita, dal momento che a diminuire enormemente sono state le transazioni commerciali che la giustificano.
Questo mismatch che si viene a creare tra domanda e offerta di moneta per scopi transazionali, come noto, è alla base della perdita di reputazione di una valuta, nella fattispecie sempre il nostro povero euro, che, stampato in quantità ingiustificate, si troverebbe, di fatto, ad essere considerato carta straccia se le teorie dei sovranisti fossero prese sul serio. Come è successo storicamente in molti paesi dell’America Latina con la loro storia di default multipli e di inflazione alle stelle, con relativa povertà ciclica. Da qui la pericolosità storicamente certificata della teoria.
Secondo errore: credere che gli Eurobond, lo strumento scelto dalla Unione Europea per finanziare il programma comunitario a 4 pilastri, non abbiano un mercato, come sostengono sempre i nostri sovranisti monetari, è del tutto falso. Gli Eurobond, infatti, un mercato ce l’hanno eccome e l’interesse da parte degli investitori internazionale c’è. Fare un po’ di telefonate in giro per credere. È anche ridicolo soltanto pensare che prima di proporli ufficialmente, Bruxelles non abbia sondato il terreno tra i grandi investitori internazionali per verificarne l’interesse. Che, infatti, c’è.
Purtroppo per l’Italia, però, gli Eurobond rischiano di produrre effetti negativi sui nostri BTP, dal momento che la domanda degli investitori potrebbe incanalarsi su questi titoli, piuttosto che sui nostri, e questo non perchè l’Europa è cattiva, ma perchè i mercati tendono a punire gli Stati che non attuano politiche di riduzione del debito e non effettuano le riforme strutturali necessarie. È proprio il caso italiano. Se, infatti, per i sovranisti monetari di casa nostra il debito pubblico a crescita illimitata non è affatto un problema, per gli investitori internazionali lo è, eccome!
Terzo errore: continuare a non capire che i pilastri finanziari europei non sono una questione di politica monetaria, ma un primo passo per la costruzione di una politica di bilancio comunitaria, indispensabile per completare il progetto dell’euro, è il tipico fraintendimento di chi non ha capito che senza una politica economica e di bilancio, che è poi la principale espressione della democrazia rappresentativa, non può esistere una unione monetaria compiuta.
Ripetiamo ancora una volta quello che usava ripetere Mario Draghi ad ogni riunione della BCE: senza delle politiche di bilancio efficaci a livello nazionale ed europeo, le politiche monetarie espansive possono far ben poco per riportare l’eurozona sul terreno della crescita. Politica monetaria e politica di bilancio sono, infatti, due facce della stessa medaglia, complementari e non concorrenti, entrambe necessarie ma singolarmente non sufficienti.
Non può esistere l’euro senza l’Unione Europea, come non può esistere l’Unione Europea senza l’euro. E, soprattutto, senza regole.
L’idea di stare nel club europeo avendo come referente esclusivo Francoforte, ovvero una banca centrale tanto mitizzata quanto non rispondente alla realtà , senza rapporti con le istituzioni di Bruxelles o Strasburgo, che della volontà popolare sono l’espressione, è una pura contraddizione in termini.
Nessun altro paese membro accetterà mai un simile impianto teorico-politico, esso non potrà mai essere accettato dalle istituzioni europee, nè potrebbe accettarlo la BCE, che ha infatti esortato l’Unione Europea a rafforzare, in tempi brevi, l’intera strategia di politica economica comunitaria.
Della serie: noi, BCE, stiamo facendo la nostra parte, con la moneta; fate presto voi, Unione e Stati, a fare la vostra.
Renato Brunetta
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 14th, 2020 Riccardo Fucile
DURANTE GLI SCONTRI CON LA POLIZIA UN ESTREMISTA FERITO VIENE CARICATO SULLE SPALLE DI UN GIOVANE DI COLORE CHE LO PORTA IN SALVO
È l’immagine che potrebbe riconciliare Londra e il Regno Unito spaccati dalle proteste e
dalle polemiche degli ultimi giorni, travolgenti anche qui dopo l’uccisione di George Floyd in America. È un’immagine di pietas, di compassione postmoderna, che da ieri sera sta facendo il giro del Paese e della Rete.
È un’immagine che infonde speranza e fiducia nonostante le lacerazioni razziali e le ferite sociali di questi ultimi giorni, riapertesi oltremanica dopo le manifestazioni antirazziste di Black Lives Matter due weekend fa, gli scontri che ne sono scaturiti, lo sfregio alla statua di Churchill, vergata da un giovane manifestante nero con “era un razzista” fino alla contromanifestazione di hooligan ed estrema destra di ieri: scontri con la polizia, giornalisti picchiati (tra cui l’italiano Corrado Amitrano) e l’oltraggio della targa a Keith Palmer, il poliziotto inglese ucciso dall’Isis nel 2017 a Westminster, che un dimostrante (poi arrestato) ha scambiato per orinatoio.
Ora però, l’immagine che potrebbe cambiare molte cose. Un uomo nero, muscoloso, con jeans e maglietta, giubbotto e cappelli neri, che si carica sulle spalle un manifestante opposto e contrario, bianco, di destra. Non per scontrarsi fisicamente con lui, visto che intorno, all’esterno della stazione londinese di Waterloo, infuria la battaglia tra gli attivisti di Blm e hooligan e destra radicale. Anzi, l’uomo nero, tuttora sconosciuto, porta in braccio l’uomo bianco, anche lui di generalità ignote, proprio per salvarlo dalla furia e dalla violenza, dato che è ferito.
Dovrebbe essere la normalità : la fratellanza e la solidarietà tra esseri umani. Ora invece ce ne stupiamo. Segno di tempi non confortanti. Ma, contemporaneamente, questa pietas è anche il segno che si può restare umani, persino nelle circostanze più violente.
E che, forse, un mondo migliore è sempre possibile.
(da agenzie)
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