DI BATTISTA MIRA A STOPPARE CONTE LEADER DEL M5S (E FAR CADERE IL GOVERNO)
FOTOGRAFIA DI UNA CRISI STRUTTURALE DEL MOVIMENTO IN CUI NESSUNO HA PIU’ LA FORZA DI RAPPRESENTARE IL TUTTO… LA SINTESI DI UN PARLAMENTARE M5S: “PER DUE ANNI SI E’ FATTO GLI AFFARI SUOI, A CHE TITOLO PARLA?”
Chiedere gli Stati generali del Movimento proprio mentre sono in corso gli Stati generali del governo dà il senso della portata della sfida.
Sostanziare questa sfida con una piattaforma alternativa, per usare un linguaggio antico, perchè quella che Alessandro Di Battista illustra, nel suo ritorno mediatico a Mezz’Ora in più dopo mesi di silenzio, è una piattaforma alternativa, sul Movimento e sul governo, ne dà il senso della sua rilevanza.
L’intervento di Beppe Grillo, prontamente uscito dal lungo letargo, paternalistico nei toni, censorio nello spirito politico, rende plastico quanto Di Battista sia vissuto come una minaccia rispetto all’attuale assetto.
Ecco, diciamola così, in modo un po’ ruvido, ma efficace: se Di Battista fosse già il capo politico del Movimento, oggi sarebbe caduto il governo perchè le sue parole rappresentano, sui dossier cruciali, non degli aggiustamenti di linea, ma un’altra linea. La sfiducia sull’Europa e sulla troika chiamata ad aprire gli Stati generali, l’opposizione all’utilizzo del Mes, la contrarietà al Ponte sullo Stretto, la revoca, senza se e senza ma, della concessione Autostrade ad Atlantia, la denuncia anche morale dell’accordo sulla fornitura d’armi all’Egitto in nome dell’esigenza di giustizia e trasparenza nella vicenda Regeni, l’opposizione alla prospettiva di un’alleanza organica col Pd: non occorre la convocazione di un “congresso” del Movimento, la data, la location, le bandiere e le fanfare – magari si farà , magari non si farà , anche questo è parte essenziale dell’aspra contesa – per registrare che è già in atto.
È un congresso strisciante, a bassa intensità a cui, a prescindere dalla consistenza delle truppe parlamentari di Di Battista, è appeso il governo proprio nel momento più delicato, la fine dell’emergenza sanitaria e l’urgenza dell’emergenza economica, in cui occorrerebbe il massimo della coesione, della visione, della determinazione nelle decisioni.
Le parole con cui Luigi Di Maio ha prontamente ribadito la sua contrarietà al Mes sono proprio la conferma di quanto condizionante sul governo sia la linea di Di Battista, perchè chiama in causa mai sopite ragioni identitarie, proprio ora che tutte le fragilità del Conte 2 vengono disvelate da una montante disagio sociale destinato a diventare protesta.
È una posizione non banale, il cui sottotesto è questo: quando in autunno esploderà la rabbia, come accadde ai tempi del governo Monti col Movimento che di quella spinta ne diventò canalizzatore e interprete, proviamo a rappresentarla o lasciamo che si incanali a destra?
Anche la scelta della parola “congresso” che evoca una liturgia tanto antica quanto vituperata ai tempi d’oro segna una svolta: l’idea cioè che la leadership sia contendibile e che nessuno ha più forza, consenso, autorità , carisma per imporla agli altri.
Neanche il fondatore a cui non a caso Di Battista replica, trattandolo come parte in causa e non come autorità morale riconosciuta da tutti.
La posta in gioco della contesa, inevitabilmente destinata a condizionare non l’esistenza nell’immediato ma la politica del governo, è squadernata.
E riguarda la manovra in atto per “imporre” Conte alla guida dei Cinque stelle e fare di questo governo l’incubatore della famosa “alleanza organica col Pd” , in uno schema in cui l’M5s, con Conte, raggiungerebbe il trenta per cento. Il che, se così fosse, configurerebbe per il Pd un’operazione che assomiglia alla rianimazione di un morto col proprio sangue. Ma questo è un altro discorso.
Dicevamo, la posta in gioco. Osservate il timing: oggi, proprio oggi, Di Battista, ieri, proprio ieri Casaleggio, il giorno dell’apertura degli Stati generali, in un’intervista al Corriere ha offerto il suo contro-piano in dieci punti, sottolineando il suo mancato invito a Villa Pamphili.
È una linea di frattura vera, politica, di prospettive, che chiama in causa le ragioni di fondo e l’identità stessa del Movimento e al tempo stesso ne certifica una crisi strutturale.
Dall’uno vale uno di una volta all’“uno, nessuno, centomila”, in cui nessuno ha la forza e i gradi di rappresentare il tutto: il fondatore messo in discussione da Di Battista, Di Battista scomunicato dal fondatore, ma sostenuto dal capo della Casaleggio associati, l’ex capo politico Di Maio che, in questa dinamica, può esercitare un ruolo ma comunque da comprimario, l’attuale reggente Crimi che, evidentemente, regge tutto tranne un equilibrio.
È la fotografia di una crisi che non può rimanere a lungo aperta e che in qualche modo si chiuderà : o con una svolta governista o con una svolta identitaria o con una spaccatura, sulle ceneri del Movimento, tra una “lista Conte” e una ridotta identitaria. Chissà . Nel frattempo, c’è un paese da ricostruire
(da “Huffingtonpost”)
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