Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
CONTE SI TIRA FUORI DALLA LOTTA, LA GRANA VENEZUELANA AUMENTA IL CAOS… AVANZA L’IPOTESI DIRETTORIO SENZA CAPO E IL RITORNO DI GRILLO
Quando il conflitto a bassa intensità nel Movimento 5 stelle è diventato un volare di stracci con Beppe Grillo a dare ad Alessandro Di Battista del generale Pappalardo qualsiasi, a Palazzo Chigi è montato qualcosa in più della semplice preoccupazione.
Le diplomazie si sono messe in moto e hanno subito disinnescato la mina piazzata sapientemente da Emma Bonino: una risoluzione per far votare al Senato sì o no al Mes.
Detto fatto, la modalità con cui Giuseppe Conte si recherà a Palazzo Madama saranno quelle dell’informativa e non delle comunicazioni, una sottigliezza procedurale che evita il voto e permette di calciare il barattolo un po’ più in là , ancora una volta.
La situazione interna al Movimento è parossistica. Privi di una leadership forte e di un’idea per il futuro del partito, il ritorno dell’ex deputato romano in tv ha generato il caos, in cui l’unico filo conduttore sembra quello del portare a casa la propria pelle, da peones i peones, da colonnelli i colonnelli, un po’ come i tacchini che come unico scopo hanno quello di non essere mangiati a Natale.
Il presidente del Consiglio si tiene prudentemente fuori dalla corrida generata da Di Battista. “Conte pensa a governare”, taglia corto il suo staff.
Ovviamente la faccenda non è così semplice. La polverizzazione delle posizioni, la mancanza di guida e la rissa tra le figure apicali di quello che è il partito di maggioranza non fanno dormire sonni sereni al premier.
Il caso del finanziamento in nero che secondo il quotidiano spagnolo Abc sarebbe stato dato dal governo venezuelano a Gianroberto Casaleggio nel 2010 da un lato ricompatta la faccia pubblica dei pentastellati, dall’altro è un ulteriore elemento di stabilità per una maggioranza sgangherata e un governo impegnato, dicono, a progettare nei saloni di Villa Pamphili l’Italia che verrà .
L’avvocato del popolo ha convocato proprio tra i giardini di uno dei parchi più belli di Roma un Consiglio dei ministri serale per prorogare la cassa integrazione e dare il segnale che c’è un governo operativo, che si preoccupa del paese e non è avviluppato in quelle che sempre più vengono percepite come trame di Palazzo.
C’è un altro elemento che l’uscita dell’ex deputato romano ha messo in copertina: il ruolo di Conte nel Movimento che verrà . Consiglieri e uomini vicini al capo del Governo che fino a ieri cavalcavano alacremente i sondaggi per i quali con il premier M5s sarebbe potuto tornare a percentuali di prima della presa del potere, oggi tacciono.
Lo stesso presidente, che mai aveva fatto mistero di essere a disposizione per il proprio paese alla fine dell’esperienza a Palazzo Chigi, durante il punto finale della giornata degli Stati generali si è schernito: “Ho un’occupazione. Lo dico a quanti elaborano sondaggi inserendo la figura di Conte. Lo dico anche ai compagni di viaggio. Domani se terminerò di prestare questo servizio e tornassi a fare quello che facevo prima sarei contentissimo”.
L’intervento di Di Battista lo ha costretto inoltre a altre due precisazioni. Sul Mes la posizione attendista ha virato verso un più netto “come governo non abbiamo necessità di attivare il Mes”, proprio negli stessi minuti in cui Paolo Gentiloni sosteneva l’esatto contrario. E su Grillo è stato secco: “Non l’ho sentito”.
Il riferimento al fondatore ci riporta dentro la pugna per il M5s che verrà .
L’intervento dell’ex comico è stato pensato anzitutto per stabilizzare fughe in avanti e sterilizzare chiunque pensi che i 5 stelle debbano prendere altre strade prima della fine della legislatura (ma anche dopo) che non siano proseguire nel rapporto con il Pd.
Ma di fatto hanno aperto a una stagione di confronti, contrasti e polemiche che andrà avanti da oggi almeno fino a fine ottobre. “Se Di Battista diventa capo politico il governo rischia di cadere. Se vince la linea di Conte e di Fico, quella di un collocamento nel campo del centrosinistra, Alessandro se ne va e il governo rischia di cadere”, spiega un parlamentare.
C’è sempre l’opzione Luigi Di Maio, che in queste ore ha avuto contatti con lo stesso Grillo. Il ministro degli Esteri nelle ultime 48 ore è stato bombardato di telefonate. Chi lo ha sentito spiega che “Luigi negli ultimi tempi ha avuto un po’ di freddezza con Conte. Lui non ha mai voluto il governo con il Pd, Conte con Beppe è stato un sostenitore, ma alla fine governano assieme. Entrambi cercheranno di arginare Di Battista, e poi se la vedranno più in là ”.
Lo spettro della scissione ritorna d’attualità , eterno tema carsico nella storia pentastellata, che ciclicamente ritorna d’attualità . Mai con questa concretezza. Certo a ottobre, alle assise 5 stelle, non oggi. Ma ci si deve iniziare a fare i conti.
L’onorevole Giorgio Trizzino implora di “non trasformare questa discussione in una guerra tra bande”, ma i buoi sono già scappati dalle stalle. Un suo collega non vuol sentire parlare di scissione ma solo perchè “per fare scissioni devi avere delle correnti che abbiano strutture, idee diverse. Le correnti hanno una dignità , noi non abbiamo correnti, solo personalismi”.
Nel gruppo parlamentare c’è chi spinge per un ritorno di Grillo: il fondatore che torna a fare il capo politico fino alle elezioni, poi si vedrà . Chi ha confidenza con l’uomo dice tuttavia che l’uomo esclude fortemente il ritorno, e a parte qualche intemerata non ha intenzione alcuna di ributtarsi nella mischia.
L’ipotesi prevalente su cui ragionano i colonnelli è invece un’altra. Strutturare il congresso M5s su temi e proposte non concorrenti, senza voti divisivi. E archiviare il modello con il capo politico per sostituirlo con un Direttorio in cui inserire tutte le anime, da Di Battista a Di Maio, dalla Taverna a Patuanelli passando per Chiara Appendino.
Uno dei massimi esponenti pentastellati spiega che ”è questo l’unico modo di evitare una scissione che adesso no, ma in autunno rischia di lacerarci”. Non la migliore soluzione ma, continua la stessa fonte, “la domanda non è se funziona, la domanda è come tenere insieme tutti i pezzi”.
Di Battista continua a ripetere di “non volere nessuna scissione, voglio rinforzare il Movimento”, e liquida l’attacco di Grillo con un “amen”. A volerla assi invece, due grandi ex.
Da destra Gianluigi Paragone ha teso la mano all’amico Alessandro: “Sono pronto a lanciare un partito antisistema. Grillo lo ha stoppato con atteggiamento padronale, ormai M5s è centrosinistra, con Conte leader”.
Proprio quel che va a genio, al contrario, a Lorenzo Fioramonti, che sta lavorando a una sua formazione progressista e ambientalista, rilanciata proprio in queste ore. Piccoli poli, che nel tradizionale sgranarsi del rosario delle fuoriuscite potrebbero essere attrattive per chi vorrà tentare strade alternative. Sempre considerando, tuttavia, che la pancia del gruppo parlamentare è profondamente governista.
La resilienza di deputati e senatori nel tenersi lo scranno è il collante che finora ha permesso alle 5 stelle di non schiantarsi sulla dura terra.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
IN EUROPA CONTINUA LO STALLO SUL RECOVERY FUND
Nemmeno mercoledì il Parlamento italiano voterà sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che ha già attivato una linea di credito dedicata alla pandemia con 37 miliardi di euro riservati all’Italia per spese sanitarie.
Ma non è una notizia che riguardi solo l’incapacità del governo di decidersi a chiedere questi prestiti, per via delle distanze in maggioranza, M5s contrario, Pd favorevole.
Il premier Giuseppe Conte insiste a dire che non c’è la “necessità ” di chiedere aiuto al Mes. Ma, al netto delle questioni politiche italiane, il punto è che mercoledì non si vota perchè non ci saranno ‘comunicazioni’ del premier in vista del Consiglio europeo di venerdì, che avrebbe dovuto discutere del ‘recovery fund’.
Conte terrà solo un’informativa, che non prevede un voto finale. Il problema vero sta nei ritardi europei.
Il fatto è che il Consiglio europeo di venerdì è diventato nel frattempo un vertice ‘informale’, non deciderà nulla sul ‘recovery fund’, sul pacchetto della Commissione europea ‘Next generation Eu’ ci sarà solo uno scambio di vedute tra i leader.
Ognuno dirà la sua, nessun progresso in vista, l’intesa a 27 è ancora lontanissima, rimandata a luglio se andrà bene. E adesso l’ostacolo è l’accordo tra gli Stati membri sul bilancio pluriennale.
“Il Consiglio europeo sarà informale – dice Conte in conferenza stampa al termine della seconda giornata degli stati generali dell’economia – Passerò alle Camere per informare sulle discussioni che avremo al Consiglio europeo”, sul Mes “non ci sono novità . Noi come governo abbiamo detto che non c’è la necessità di attivare il Mes. Dovremo costantemente aggiornarci sulla finanza pubblica”, “non ci sono certezze sull’andamento dell’economia. Semmai faremo valutazioni in questa direzione ne parlerà il Parlamento”.
Insomma, c’è anche una catena di ritardi europei dietro lo stallo italiano sul Mes.
Ritardi che allungano i tempi sul recovery fund, lo strumento inedito proposto dalla Commissione Ue, 750 miliardi di euro in sussidi (500mld) e prestiti (250mld) da reperire sul mercato sotto forma di obbligazioni comuni con la garanzia del bilancio pluriennale europeo 2021-2027.
Ed è proprio sul bilancio che si è incagliata una trattativa che già sul ‘recovery fund’ in sè non procedeva spedita, ostacolata dalle distanze tra nord e sud Europa, est e ovest, ‘frugali’ contro gli Stati più colpiti dall’epidemia e più indebitati, il blocco di Visegrad che punta i piedi per avere di più.
Ebbene, oltre a tutto questo, c’è l’intesa sul bilancio europeo ancora tutta da costruire: una proposta del Consiglio europeo su questo arriverà solo il 23 giugno.
La riunione dei capi di Stato e di governo dell’Ue in programma per venerdì si presenta dunque ‘svuotata’. Anzi, probabilmente i leader dedicheranno tempo a discutere di Brexit, visto lo stallo delle trattative tra Bruxelles e Londra per la definizione dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione entro fine anno. Su ‘Next generaion Eu’, cioè il ‘recovery fund’, ci sarà solo uno scambio di vedute in attesa di definire un accordo sul bilancio pluriennale. Senza, non si può procedere sul recovery fund. E per ora le trattative sul bilancio sono impantanate.
Gli Stati del più ricchi del nord vogliono mantenere i cosiddetti ‘rebates’, gli sconti di cui beneficiano sui loro contributi al bilancio, in quanto non usano molti fondi europei (i ‘rebates’ sono un vecchio privilegio concesso alla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e rimasto ora per Olanda, Germania, Austria e altri).
Gli Stati dell’est puntano a difendere i fondi di coesione, dai quali dipende gran parte del loro pil.
Gli Stati del sud e in generale quelli più indebitati tentano di difendere la proposta della Commissione.
E poi c’è tutta la questione ‘risorse proprie’: le nuove tasse per giganti del digitale, della finanza e per chi inquina che il piano ‘Next generation Eu’ prevede di istituire per aumentare la capacità del bilancio europeo dei prossimi sette anni. Un’intesa a 27 sul bilancio non è dietro l’angolo.
Per tutto questo, mercoledì in Parlamento non va al voto la risoluzione di Emma Bonino, senatrice di ‘+Europa’ sul Mes. E non va al voto l’eventuale risoluzione di maggioranza sul Mes, ancora tutta da definire.
Se ne parla a luglio, alla vigilia del Consiglio europeo del 9 luglio quando Conte potrà tenere le sue comunicazioni. Sempre che nel frattempo proceda la trattativa europea sul recovery fund: a Roma si spera in Angela Merkel, che a luglio assume la presidenza di turno dell’Ue per sei mesi e vuole raggiungere un accordo in fretta.
Ad ogni modo, il mancato voto parlamentare di mercoledì, per il governo è un pericolo scampato, vista la difficoltà di convincere una parte consistente del M5s a chiedere i fondi del Mes, gli unici fondi europei disponibili al momento, se si eccettua il piano di acquisiti di titoli di Stato messo in campo dalla Bce per l’emergenza coronavirus (Pepp).
Infatti, anche per il piano Sure elaborato dalla Commissione europea e ratificato dai ministri finanziari dell’Ue (Ecofin), 100mld di sostegno agli Stati per la disoccupazione dovuta alla crisi economica da covid, bisognerà aspettare.
Si tratta di qualche settimana: le risorse di Sure, riferiscono fonti europee non saranno disponibili prima di luglio. Si attende la ratifica di alcuni Parlamenti nazionali.
Questione non proprio neutra per i paesi più rigoristi del nord, perchè Sure presuppone una garanzia di 25mld di euro da parte di ogni Stato dell’Ue.
Proprio oggi Conte ha preso l’impegno con i sindacati, invitati agli Stati generali dell’economia in corso a Villa Pamphili. “Cassa integrazione per tutti finchè serve”, sono le parole del premier che annuncia l’adozione di un decreto in consiglio dei ministri oggi sulla proroga della cassa integrazione decisa in pandemia.
Resta il Mes, ma in Italia è come se non ci fosse, per ora. Perchè tra i cinquestelle prevalgono i dubbi sulla sorveglianza rafforzata che potrebbe incombere sull’Italia in un secondo momento, dopo aver usufruito dei 37miliardi di aiuti senza condizioni. Sorveglianza che è prevista nel trattato del ‘fondo Salva Stati’ (articolo 3) ma che non si applicherebbe alla linea di credito istituita per la pandemia: lo garantisce “un accordo politico tra gli Stati”, dice il direttore del Mes Klaus Regling ogni volta che glielo si chiede. Accordo politico, finchè dura.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
QUANTO DURERA’ L’OPERA DELLO STREET ARTIST OZMO PRIMA CHE IL MURALES VENGA IMBRATTATO?
Stamattina, nella centralissima via Torino a Milano, è comparsa l’immagine di un «monumento in memoria della sposa bambina».
Il riferimento, chiarissimo, è a Indro Montanelli, al centro delle polemiche per il suo matrimonio, da soldato, con una bambina eritrea di 12 anni.
Ieri Rete Studenti Milano e LuMe (Laboratorio universitario Metropolitano) hanno rivendicato l’imbrattamento della statua dedicata al giornalista a Milano.
A realizzare questa affissione è stato lo street artist Ozmo.
«Rappresentando su questo piedistallo una bambina, africana, infibulata, venduta in sposa a un soldato bianco, vittima più volte del colonialismo dell’uomo, in questo momento delicato di lotte globali per i diritti delle minoranze etniche esplose dopo l’assassinio di George Floyd, voglio restituire, almeno in parte, dignità ai deboli, emarginati, violentati e derubati», ha detto l’artista.
«Immaginandola libera, protagonista, dipinta in un gesto di orgoglio, è la mia dedica a chi, come lei, si trova dalla parte sbagliata della storia — ha aggiunto — È Fatima-Destà , che ora si erge come una statua, la bambina di 12 anni che Indro Montanelli sposò in Eritrea da soldato, grazie alla controversa pratica chiamata “madamato”, che permetteva ai cittadini italiani nelle colonie di accompagnarsi temporaneamente con donne native».
Questa foto raffigura una bambina eritrea, con un’età simile a quella di Fatima-Destà , la bimba sposata in Africa dal giornalista, mentre si reca al villaggio con una tanica gialla contenente acqua potabile.
«Il viso è coperto da una macchia di colore-mascherina — ha spiegato l’ autore -. Vediamo solamente gli occhi, che ci guardano in modo ambiguo, chi ci vedrà un sorriso, chi una smorfia di dolore».
Quanto durera’ prima che il murales venga imbrattato dai sovranisti ?
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
CI MANCAVA UN RAPPRESENTANTE DELLE ISTITUZIONI CHE INVOCA LA VIOLENZA: E’ LA DESTRA DELLA LEGALITA’
Cerano è un piccolo comune di poco più di 6mila abitanti. Tra di loro c’è anche Alessandro Albanese che di professione fa il vicesindaco della cittadina in provincia di Novara (in Piemonte).
Lui, eletto in una lista di Centrodestra, non ha dubbi su come debbano essere trattati quei ragazzi che hanno imbrattato (con tanto di rivendicazione social) la statua di Indro Montanelli nei giardini di Porta Venezia Milano: rieducati con delle sane manganellate.
«Quelli che hanno imbrattato la statua di Indro Montanelli a Milano andrebbero individuati e “rieducati” con sane manganellate!», ha scritto Alessandro Albanese — una prima volta — in risposta a un tweet pubblicato da Guido Crosetto sul suo profilo social.
A quel tweet ha risposto un utente che metteva in correlazione il concetto di educazione — anzi, di rieducazione — paventato da Alessandro Albanese con la storia di Indro Montanelli (con riferimento al matrimonio con la 12enne abissina Destà ).
Ma il vicesindaco di Cerano tira dritto e ribadisce la sua posizione dopo quel che è accaduto la notte tra sabato e domenica all’interno dei giardini di Porta Venezia.
Secondo Alessandro Albanese, dunque, è più giusto rieducare con sane manganellate i giovani che hanno oltraggiato la memoria di Indro Montanelli, piuttosto che condannare quei fatti storici che videro protagonista — come per sua ammissione televisiva — il giornalista.
E’ il centrodestra della legalità .
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
“QUELLI CHE GIA’ STANNO EMERGENDO NEGLI ULTIMI GIORNI SONO SOLO L’INIZIO”… TRE REGIONI IN PERICOLO CON UN INDICE RT VICINO A 1
Il consulente del ministero della Sanità Walter Ricciardi in un’intervista rilasciata oggi al Messaggero si dice convinto che i focolai che iniziano a moltiplicarsi lungo lo Stivale possano essere solo l’inizio della nuova fase dell’epidemia mentre tre regioni (Lombardia, Lazio e Puglia) hanno un indice Rt che si avvicina pericolosamente a 1:
«Teniamoci pronti a migliaia di cluster. Finora le Regioni hanno risposto bene, ma con un numero limitato di casi è facile. Per l’autunno non basterà il tracciamento manuale realizzato fino a oggi, sarà decisiva la tecnologia. Come l’App Immuni, che funzionerà appieno, però, solo se la scaricherà almeno il 60-70% dei cittadini».
Che succede se si supera questa soglia? Alla Regione Lazio, che ora ha l’indice Rt allo 0,93, fino a qualche settimana fa si ipotizzavano chiusure, se si fosse andati oltre l’1. Quale è la linea del Ministero? C’è un automatismo?
«No, nessun dogma. L’indice Rt è uno dei parametri, sottolinea la dinamica del contagio. Ma non può essere l’unico fattore. Anche perchè quando i numeri sono bassi e c’è un focolaio come quello di questi giorni, è chiaro che l’Rt si alza subito.Per questo non dobbiamo guardare solo a quell’indicatore, ma anche ai numeri assoluti e alla capacità di risposta del sistema sanitario, se si fanno tutti i tamponi necessari per circoscrivere i focolai in tempi stretti».
Quali indicatori farebbero scattare l’allarme?
«Tocca guardare ai numeri assoluti dei casi positivi. Se si ha l’Rt a 0,9 con dieci casi è un conto, se si ha lo stesso indice con mille casi è tutto un altro scenario. Poi è decisiva la capacità di fare diagnosi tempestivamente e la risposta assistenziale sul territorio. Finora le regioni stanno rispondendo bene nel contenere i nuovi cluster. Ma è chiaro che in questo momento, dato il numero estremamente limitato di focolai, è possibile reagire più facilmente.Se si arriva a una situazione di migliaia di cluster, bisogna essere aiutati dal tracciamento tecnologico, altrimenti non si riesce a fronteggiarli. Il tempo e le risorse che si impiegherebbero, sarebbero talmente tanti che non ce ne sarebbe la possibilità ».
Dobbiamo quindi davvero ipotizzare una nuova fase fatta di migliaia di focolai in tutta Italia?
«Noi dobbiamo considerarlo, auspicabilmente per evitarlo, però ci dobbiamo far trovare pronti. Tutti ci auguriamo che, con tutte le misure messe in campo e i comportamenti corretti da parte delle persone,non si arrivi a questa situazione, però normalmente in epoca autunnale-invernale, si sa che tornano i virus respiratori, quello dell’influenza, della para-influenza, le polmoniti e probabilmente anche il coronavirus. Dobbiamo prepararci al fatto che i numeri si alzino. Il tracciamento manuale che si sta facendo in questi giorni è importante, ma è essenziale che venga potenziato col tracciamento tecnologico».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
BENEFICIARIE 1,17 MILIONI DI FAMIGLIE, L’ASSEGNO MEDIO E’ DI 519 EURO (TRA POVERI VERI E APPROFITTATORI)
Sono 1 milione e 171 mila le famiglie che hanno percepito il Reddito o la Pensione di cittadinanza con un importo medio del beneficio pari a circa 519 euro.
E’ quanto riporta l’Osservatorio statistico dell’Inps, riferito al periodo che va dall’aprile del 2019 a maggio 2020. Le persone complessivamente interessate dalla misura sono quasi 2 milioni e 797 mila. Nel dettaglio, il Reddito va a nuclei 1,042 milioni, per un importo medio di 557 euro, mentre le famiglie che percepiscono la pensione di cittadinanza sono 129.324 con un importo medio di circa 238 euro.
Sono 1.952.640 i nuclei che hanno presentato domanda per il reddito o la pensione di cittadinanza.
E’ quanto si legge nel report dell’osservatorio dell’Inps sui dati relativi a Reddito e Pensione di cittadinanza aggiornati al mese di maggio.
Nel dettaglio, le domande accolte sono 1.315.511, quelle respinte 490.634, mentre 144.495 sono decadute e 146.495 sono quelle in lavorazione. La Campania è la Regione con una più alta percentuale di domande accolte, sono 258.685 (19,7%) mentre la Valle d’Aosta quella con la percentuale più bassa, solo lo 0,1% (1.388).
Finora per il Reddito e la Pensione di cittadinanza sono stati spesi circa 6 miliardi e 555 milioni di euro. E’ quanto emerge dalle tavole dell’Osservatorio Inps aggiornate a tutto maggio, sommando gli importi erogati per il sussidio dal mese di avvio, ovvero da aprile dello scorso anno. Solo a maggio, ultimo mese disponibile, sono stati spesi 580 milioni. Risultato di un importo medio mensile di 543,26 euro e un numero di nuclei pari a 1.067.865.
Delle famiglie che hanno ricevuto il reddito o la pensione di cittadinanza sei su dieci risiedono nelle regioni del Mezzogiorno. Così l’Osservatorio dell’Inps, secondo cui il 62% del totale dei beneficiari è al Sud (Isole incluse), mentre il 23% si trova al Nord e il 15% al Centro.
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
IN UNGHERIA NON C’E’ UNA EMERGENZA COVID, MA E’ L’OCCASIONE PER SUCCHIARE ALTRI QUATTRINI ALL’EUROPA
Dopo aver ‘sparato’ contro per settimane, il premier ungherese Viktor Orban ha deciso di sostenere il ‘recovery fund’ varato dalla Commissione europea per rispondere alla crisi economica da Covid.
Pur “riluttante”, ha detto Orban già venerdì scorso in un’intervista radiofonica, “devo ammettere che dobbiamo usare questo strumento”, ma “i soldi devono essere distribuiti equamente. Non si può prendere in giro l’Europa dell’est, non siamo scemi”.
In vista del Consiglio europeo di venerdì prossimo, il leader più ‘pesante’ del blocco dei paesi di Visegrad ammorbidisce dunque la sua posizione sul piano di ricostruzione europeo.
Non per merito di Matteo Salvini che oggi, rintuzzando a Giuseppe Conte (“Convincete Visegrad”, aveva chiesto il premier al centrodestra nella prima giornata degli Stati generali dell’economia), garantisce che “Orban sostiene le richieste dell’Italia”.
L’ungherese invece fa un gioco tattico per ottenere di più per la sua Ungheria, preoccupata come gli altri paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) di perdere il posto come privilegiati dai fondi europei in base al Pil (basso), superati dai paesi più colpiti dal virus come l’Italia.
Di fatto, l’Ungheria non ha vissuto una vera emergenza Covid: ad oggi, poco più di 4mila casi, meno di 600 decessi.
Però il leader di Fidesz non vuole restare indietro rispetto ai 750 miliardi di euro che il Recovery fund dovrebbe mettere a disposizione (secondo la proposta della Commissione europea), tra sussidi e prestiti.
Per questo, Orban pianta i suoi paletti in vista della trattativa che a partire da venerdì entra nel vivo: può darsi che siano necessari ben due consigli europei straordinari a luglio per l’intesa a 27. Sul recovery fund infatti ognuno dei 27 Stati membri dell’Ue gioca la sua partita e la trattativa è ancora in salita.
Intanto, i paesi di Visegrad si presentano in un’unica squadra, come al solito. Divisi semmai dalla competizione interna allo stesso blocco, come al solito: non c’è legame sovranista che tenga due paesi insieme, prevale l’interesse nazionale.
Dentro Visegrad, ognuno pensa a ottenere di più per il proprio paese anche a scapito dell’alleato. Però giovedì scorso i premier di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia hanno concordato una linea comune in un vertice in Moravia (Repubblica Ceca).
Tra i quattro, la Polonia è la più colpita dal coronavirus: oltre 29mila casi, oltre 1200 decessi. Varsavia figura al terzo posto nella ripartizione degli aiuti del recovery fund: ben 64mld di euro, dopo l’Italia (172) e la Spagna (140).
Una ripartizione che però non lascia contenti Stati membri che hanno conosciuto un’emergenza molto più grave, come il Belgio, per esempio, che ha oltre 60mila casi di covid e quasi 10mila morti.
Ma il premier polacco Mateusz Morawiecki – a capo dell’esecutivo del Pis, il partito del sovranista JarosÅ‚aw KaczyÅ„ski – insiste e attacca quei paesi europei che usufruiscono di sconti (‘rebates’) sui loro contributi al bilancio dell’Ue (Germania, Olanda, Austria e altri) perchè usano meno fondi europei rispetto ad altri Stati.
“I Paesi dell’Ue più ricchi dovrebbero pagare di più nel bilancio dell’Unione sulla scia della ripresa economica”, è il ragionamento di Morawiecki dopo il vertice in Moravia. “Non dovrebbero esserci sconti nel bilancio dell’Ue per quei Paesi che sono più ricchi”.
Il premier ceco Andrej Babis, liberale a capo di un’alleanza di governo con i socialdemocratici, sostiene che “il criterio principale” dell’assegnazione delle risorse “debba essere il crollo del Pil, da valutare all’inizio del prossimo anno” in ogni Stato dell’Unione, e non la diffusione dell’epidemia. La Repubblica Ceca ha oltre 10mila casi di covid, 330 decessi.
Anche la Slovacchia teme di non avere molti ‘titoli epidemici’ per attingere al recovery fund, in quanto ha avuto ‘solo’ 28 decessi e poco più di 1500 casi di coronavirus. Per questo, il premier Igor Matovi, conservatore del Ppe che governa anche con i sovranisti, ce l’ha con i paesi del sud: “Dovremmo evitare che un Paese con più o meno la stessa popolazione e più o meno lo stesso Pil pro capite che si trovi in Europa meridionale trarrà vantaggio dal programma molto più di un paese dell’Europa centrale”.
Tutta tattica, per ottenere di più da ‘mamma Europa’. E’ questo il gioco dei sovranisti, da Orban in giù. E il Covid esalta ulteriormente le richieste nazionali.
Venerdì dunque si entra nel vivo della trattativa, partendo da posizioni ancora distanti e con il rischio che il recovery fund esca dimagrito dal negoziato a 27.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
SI INCAZZANO ANCHE I CARABINIERI: “QUATTRO MESI CHE FACCIAMO DI TUTTO PER TENERE LA GENTE A DISTANZA E OGGI SALTA TUTTO”
Da una parte, un gruppo di giovani che gridava “scemo scemo” e dall’altra i sostenitori che rispondevano gridando “Matteo Matteo”
Un gruppo di una ventina di persone, per lo più giovani e studenti, ha accolto con fischi l’arrivo di Matteo Salvini a Gardone Val Trompia in provincia di Brescia. Oltre ai fischi anche insulti e urla al leader della Lega.
Dopo la contestazione subita all’esterno del polo tecnologico Salvini si è affacciato dalla finestra del secondo piano per chiedere ai suoi sostenitori di non rispondere alle provocazioni.
Per oltre venti minuti Salvini si è gettato tra la gente con le distanze anti COVID-19 che sono saltate. “Quattro mesi che facciamo di tutto per tenere la gente lontana e oggi è saltato tutto”, ha commentato un carabiniere del servizio d’ordine secondo quanto riporta l’agenzia di stampa ANSA.
Malgrado l’intervento delle forze dell’ordine che si sono schierate in un cordone anti sommossa il gruppo di contestatori non si è però allontanato dal prato del polo tecnologico. Il gruppetto di giovani è rimasto a una decina di metri dall’ingresso della palazzina dove Salvini sta incontrando il presidente degli industriali bresciani Giuseppe Pasini
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2020 Riccardo Fucile
PARLA MARCOS GARCIA REY, AUTORE DELL’ARTICOLO SUI FINANZIAMENTI AL M5S: “CHAVEZ LO HA FATTO ANCHE CON PARTITI AFFINI DI ALTRI PAESI”… “MI QUERELINO PURE, ESIBIRO’ LE PROVE, NON HO MAI PERSO UNA CAUSA”
Il chavismo finanziò il Movimento 5 stelle che oggi governa l’Italia. L’autore di questo articolo pubblicato sul giornale Abc, è Marcos Garcàa Rey, un giornalista freelance spagnolo che da tempo segue le vicende interne al Venezuela.
Oggi, 15 giugno, la sua inchiesta sta facendo tremare il partito italiano più rappresentato in parlamento: se dovesse essere confermato che a Gianroberto Casaleggio è stata consegnata una valigetta con 3,5 milioni di euro in contanti, potrebbe essere la fine dell’ultimo bastione della diversità dei Cinquestelle.
Mentre Vito Crimi e Davide Casaleggio annunciano azioni legali, il console del Venezuela in Italia, Gian Carlo Di Martino, ha detto a Open che l’inchiesta è una ricostruzione fantasiosa per affossare i 5 stelle e che il documento a suo supporto sarebbe falso.
«Faccio il giornalista investigativo da molti anni, ho fonti importanti in diversi Paesi — racconta Garcàa Rey -. Sono tre anni che porto avanti indagini in Venezuela. Quello che ho scritto è tutto verificato, ho consultato più fonti, sia pubbliche che interne dell’intelligence del Paese sudamericano».
Garcàa Rey, sei certo che questi 3,5 milioni di euro sono arrivati al Movimento 5 stelle?
«Sì, e se occorrerà sarò pronto a dimostrarlo in tutte le sedi opportune. Non so se ci siano stati altri flussi di denaro, ma per quanto riguarda i 3,5 milioni di euro più fonti dirette mi hanno confermato che sono arrivati nelle tasche dei 5 stelle».
Sei stupito dalla reazione che ha suscitato il tuo articolo?
«Capisco che in Italia questa notizia stia creando molto scalpore perchè riguarda un partito di governo, ma in Spagna e negli altri Paesi no. Anche perchè, almeno per quanto mi riguarda, il comportamento del Venezuela in questa vicenda non mi stupisce».
Come mai?
«Negli anni in cui Chavez potè approfittare di ingenti risorse derivanti dalla vendita del petrolio, sappiamo che lui e il suo governo favorirono i movimenti politici affini al socialismo. Non è successo solo in Italia, ma in molti altri Paesi. Per esempio ci sono indagini della polizia sul trasferimento di denaro dal Venezuela a movimenti politici in Argentina».
Davide Casaleggio e Vito Crimi hanno bollato il tuo pezzo come «fake news» e hanno annunciato una querela.
«Sono molto tranquillo, non pubblicherei mai qualcosa del genere senza verifiche. Nella mia vita ho ricevuto diverse azioni legali a mio carico, ma non ho mai perso una causa. Ribadisco, la mia tranquillità è estrema: riceverò attacchi tanto dal Movimento 5 stelle quanto dal governo venezuelano, ma sono abituato a lavorare sotto pressione».
Da dove è partita la tua indagine?
«Mi è arrivato un documento che racconta una storia. Quella storia l’ho interpretata per i lettori, consultando tutte le mie fonti. Non ho dubbi che questa valigetta con i contanti sia arrivata in Italia attraverso il consolato di Milano e che Di Martino, il console, ha fatto da intermediario tra il governo di Hugo Chavez e il Movimento 5 stelle. Ho pubblicato il documento, ma ho altre prove che ciò che è scritto in quel documento sia verità ».
Il console Di Martino dice che quel documento è falso.
«Ho le prove, invece, che quel documento sia vero e che Di Martino abbia fatto da intermediario. Il console rientra nella vicenda perchè era la voce del governo di Chavez in Italia e lui senz’altro sapeva del dialogo tra Venezuela e 5 stelle. La valigetta con i 3,5 milioni di euro è passata per il suo consolato».
A questo proposito, il console si difende sostenendo che fosse impossibile per lui, arrivato da un paio di mesi in Italia, avere dei legami con i 5 stelle.
«Capisco il suo tentativo di difesa, ma io ho le mie fonti che dicono il contrario. Quello che è sotto gli occhi di tutti, oggi, è che nel tempo ci sono state molte relazioni tra il Movimento 5 stelle e il Venezuela».
Marcos Garcàa Rey è un giornalista investigativo freelance. Fa parte dell’International Consortium of Investigative Journalists e coordina il master di giornalismo investigativo co-organizzato dall’Università Rey Juan Carlos e da Unidad Editorial.
(da Open)
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