Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
PARLA FEDERICA VINCI, CO-PRESIDENTE DI VOLT ITALIA, PARTITO EUROPEISTA: “SE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI 250.000 GIOVANI HANNO LASCIATO L’ITALIA LA COLPA E’ ANCHE SUA”… “L’EUROPA CI HA ACCOLTO, CI HA FATTO CAPIRE CHE VALIAMO E ORA SIAMO TORNATI IN ITALIA PER CAMBIARE QUESTA CLASSE DIRIGENTE INCAPACE”
Caro Senatore Salvini,
sono Federica Vinci, 27 anni, molisana, italiana ed europea.
Imprenditrice e presidente di Volt Italia, partito politico presente in tutti i Paesi europei , con un europarlamentare e migliaia di membri in tutto il continente.
Eh si, sono anche la Federica che è stata con lei su Rete 4, quella a cui lei non ha risposto ad una domanda molto semplice: “Lei cos’ha mai fatto per la nostra generazione?”.
Perchè sa, la Federica che ha interrotto, banalizzato e ridicolizzato dandomi del “tu” e sbeffeggiandomi come “l’Europeista”, quella a cui ha mancato di rispetto implicando che fosse mantenuta dai suo genitori, ma soprattutto quella a cui non ha risposto non sono io.
O meglio, non sono solo io: io sono soltanto un volto.
Il volto di una intera generazione europeista, innovatrice, imprenditrice, lavoratrice, che continua ad essere denigrata
Costantemente. Da lei, dalla sua classe politica, dal precedente governo e dalla sua stessa presenza.
Siamo minacciati dalle politiche cieche, dall’acchiappa-consenso, dall’indifferenza verso i diritti umani, dalla misoginia, dalla mancanza di visione, di rispetto nei nostri confronti. Dall’essere chiamati fannulloni, scansafatiche, mangiapane sulle spalle dei propri genitori.
Ma soprattutto, più di tutto, siamo minacciati dal suo antieuropeismo: perchè per noi l’Europa è l’unica speranza che abbiamo per un futuro di crescita, sviluppo e stabilità .
Ad ogni modo, Senatore, la capisco. Capisco che far contenti i suoi elettori sia più importante che garantire un futuro al futuro del Paese, eppure, io non mi arrendo e le ripeto qua perchè l’Europa per noi non è una sòla, ma sta diventando la nostra unica speranza.
Vogliamo parlare di numeri?
Grazie all’Europa, in 7 anni abbiamo redistribuito in modo più efficiente 44 miliardi di euro per l’Italia, di cui 8 a favore delle PMI; grazie all’Europa, nel 2018 hanno avuto accesso al programma Erasmus più di 853.000 studenti, i quali sono tornati portando nuove competenze e preziose capacità a servizio del nostro Paese; grazie all’Europa, la BCE ha comprato titoli di stato italiani per più di 2.300 miliardi; grazie all’Europa, abbiamo rafforzato il nostro commercio per più di 250 miliardi, due terzi del nostro export. Se sopravviveremo al Coronavirus, sarà anche grazie all’Europa.
Senatore, deve però anche capire che citare solo numeri quando si parla di Europa per noi è ingiusto e riduttivo.
L’Europa per noi è senso di libertà , apertura mentale, prospettive. È sapere di contare indipendentemente dalla nostra età , genere, etnia, orientamento sessuale.
E’ poter esprimere il nostro potenziale ed essere retribuiti per farlo, senza vivere di sogni e stage non pagati.
Ma soprattutto, l’Europa per noi è la speranza di un Futuro che l’Italia da sola non ci da e non ci potrà mai dare. Di un futuro in cui l’Europa è Unita: in grado di prendersi cura dei suoi cittadini e delle sue cittadine, di portare avanti una rivoluzione verde che salverà la mia e le future generazioni; di competere sugli scenari globali come un’unica grande forza economica e militare.
Più di tutto, l’Europa è la certezza che c’è qualcuno che pensa al nostro futuro, mentre a casa rimaniamo ancorati ai ricordi di un passato glorioso. Come quello degli anni ’80, quello della Liretta: ha presente?
Vede Senatore, è importante che capisca che per noi non si tratta di quanto diamo e quanto riceviamo indietro: si tratta di quanto uno è disposto ad investire nei suoi figli e l’Europa — a differenza dell’Italia — lo è.
Da questo Paese, Senatore, non vediamo altro che immobilismo e rimpianto dei tempi andati. Reddito di cittadinanza e Quota 100 per noi non sono altri che palliativi per tenere a bada l’elettorato e generare consenso.
Il primo non ha generato lavoro: solo il 3% di chi ha fatto richiesta ha ottenuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda, facendoci sentire sentire ancora più inetti per mancanze che nn sono nostre.
La seconda avrà al massimo fatto respirare qualche azienda che ci pensa due volte ad assumere in un costante periodo di crisi: per ogni 100 pensionamenti anticipati solo 35 posti di lavoro sono stati rimessi sul mercato.
Mercato del lavoro che intanto ha provato goffamente ad adattarsi a noi, con nuove forme contrattuali, senza o con scarsissime tutele e con un mondo dell’istruzione che è rimasto al dopoguerra con investimenti minimi per adattarsi a noi e alla realtà che cambia.
Tutto ciò in un’Italia in cui, nonostante siamo imprenditori e lavoriamo per questo Paese, o almeno ci facciamo il mazzo per provarci, si è convinti che i giovani di oggi non lavorino come lavoravano i nostri genitori e i nostri nonni, che siamo irrispettosi, che viviamo sulle spalle di mamma e papà .
Allora Senatore, è ora che faccia i conti con la triste verità : se negli ultimi 10 anni, siamo stati in 250 mila a lasciare l’Italia (e la nostra fuga ha impoverito il paese di un punto percentuale di Pil) la colpa è anche sua. E se lei mi dice che l’Europa è una sòla, io penso: “Meno male che ad accogliermi c’era l’Europa, anzi ma magari ci fosse un pò di Europa anche in Italia”.
Grazie all’Europa ho capito quanto valgo io e quanto vale la mia generazione.
Grazie all’Europa sono tornata in Italia.
Grazie all’Europa so quello che possiamo avere. Sono tornata per creare, costruire e difendere il mio futuro.
Siamo tornati per farci valere.
Federica Vinci è co-presidente di Volt Italia
(da “Fanpage”)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
DAL VOLONTARIATO IN INDIA AL CAMPO PROFUGHI DI SAMOS
Per i migliaia di profughi che vivono sulle isole greche la situazione è da anni al limite
della sopportazione. Negli inferni a cielo aperto costruiti dall’Europa sulle isole di Leros, Chios, Lesbos e Kira ogni giorno è una battaglia per la sopravvivenza. Nel solo campo di Samos, costruito per ospitare 648 richiedenti asilo, i rifugiati sono al momento 5.825.
Stipati in tende, ripari di fortuna e dimenticati.
«Quando vivi in un luogo che non esiste, anche tu smetti di esistere», dice a Open Nicolò Govoni, 27enne di Crema, uno dei fondatori della Onlus Still I Rise, che nel 2018 ha aperto la prima scuola per rifugiati nel campo sull’isola greca di Samos, accendendo una luce di speranza per i migliaia di bambini e donne bloccati sull’isola ellenica. Un nome, quello di Still I Rise, ispirato all’opera della scrittrice afroamericana Maya Angelou e al suo spirito di resilienza
Da anni Nicolò e un gruppo di altri ragazzi hanno deciso di fare loro questo spirito, arrivando ad aprire una scuola internazionale per rifugiati al confine turco siriano.
Uno sforzo riconosciuto a Nicolò con la candidatura al premio Nobel per la Pace, arrivato dalla Repubblica di San Marino attraverso Sara Conti, membro del Consiglio Grande e Generale, e il premio della Farnesina per l’impegno nel campo dei diritti umani arrivato la scorsa settimana.
Prima la scuola di Mazì (insieme in greco) a Samos, poi l’apertura di una scuola al confine turco-siriano. Il viaggio tuo e di Still I Rise da dove è iniziato?
«Dopo un’adolescenza turbolenta nel 2013 mi sono trasferito in India per un’esperienza di volontariato. E un viaggio che doveva durare 3 mesi è poi diventato una permanenza di 4 anni. Ho fatto l’università e lavorato come volontario in un orfanotrofio. Nel 2017 sono arrivato in Grecia sull’isola di Samos. Qui mi sono trovato davanti a una situazione più grave di quella che avevo trovato in India, le persone sono trattate alla stregua di animali. Quando stai in un luogo che non esiste come quello di un hotspot anche tu smetti di esistere. I profughi che ho incontrato ancora più che per la propria sicurezza erano scappati per la propria dignità . Una dignità che continua a venirgli completamente negata. Una delle problematiche maggiori è che i bambini non hanno accesso alla scuola. Il 70% della popolazione sono donne e bambini».
Da qui l’idea di aprire una scuola…
«Io e un’altra ragazza americana abbiamo improvvisato una classe in cui insegnavamo dei rudimenti di matematica, cultura europea ai bambini e così la mia esperienza di 2 mesi si è allungata di altri 7. C’erano molte difficoltà con le autorità locali, così con un’altra volontaria, Giulia, abbiamo deciso di staccarci dal gruppo con cui operavano e di aprire Still I Rise. Volevamo operare in modo slegato dalle dinamiche delle autorità e delle organizzazioni che lavoravano in questo hotspot. C’è una trama abbastanza fitta di finanziamenti europei e delle Nazioni Unite. Con Still I Rise abbiamo deciso di fare quello che sentivamo fosse giusto senza dover rendere conto a “questi poteri” un po’ più grandi»
Qual è stato il passo successivo?
«Abbiamo deciso di creare Mazì, un centro giovanile a Samos che fornisse un contesto scolastico di educazione formale per bambini e adolescenti. Per noi Mazì (insieme in greco) è stata una gioia incredibile, i due anni più belli della mia vita. I bambini lo amavano alla follia. Entravano e si sentivano non solo protetti ma anche seguiti, ascoltati, capiti e valorizzati. Con l’aiuto di altri volontari abbiamo portato sempre più professionisti in Still I Rise che hanno contribuito a un nuovo modello di scuola. A un certo punto abbiamo però deciso di avviare dei procedimenti penali contro le autorità del campo, sia in Grecia che attraverso la procura di Roma e denunciare come veniva gestito l’hotspot. Abbiamo fatto delle interrogazioni parlamentari e poi siamo arrivati lo scorso dicembre a ricevere una risposta positiva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il ricollocamento immediato di alcuni nostri minori non accompagnati che frequentavano la scuola».
Come siete arrivati in Turchia?
«Il modello che avevamo sembrava funzionare. Dopo pochi mesi i bambini che non parlavano nemmeno una parola della lingua locale, o dell’inglese, facevano enormi passi avanti. I bambini venivano seguiti anche a livello individuale attraversi specialisti dell’infanzia. Abbiamo deciso di portare questo modello di emergenza in altri luoghi e così il nostro pensiero è andato alla Turchia, visto che è una rotta obbligatoria per tutti i nostri ragazzi e coloro che cercano di raggiungere l’Europa. Quindi 8-9 mesi fa ci siamo spostati a Gaziantep, nel sud-est del Paese, dove abbiamo creato tutta la struttura legale e burocratica di Still I Rise in Turchia e ricevuto i permessi per operare. Abbiamo affittato e ristrutturato una scuola in una città che si trova al confine siriano e dove il 90% dei bambini profughi una volta raggiunti i 10 anni lascia la scuola. Purtroppo cinque giorni dopo la sua inaugurazione, il 16 marzo, abbiamo dovuto chiudere la scuola a causa dell’emergenza Coronavirus. Il tempo a disposizione ci ha però dato la possibilità di ristrutturarci. Eravamo nati come un gruppo di 3 volontari mossi dalla voglia di aiutare, ma era necessario creare un’organizzazione più strutturata assumendo persone che si occupassero della parte finanziaria, del marketing e di risorse umane».
Dopo la Turchia è arrivata la Siria. Quali sono le difficoltà di operare così vicino a Idlib e in un contesto geopolitico complicato come quello del nord-ovest della Siria?
«La scuola siriana si trova nella città di Ad Dana. È un progetto transfrontaliero come molti dei progetti portati avanti dalle no profit nel Paese visto che i confini sono chiusi, e l’accesso è interdetto se non in casi straordinari. Abbiamo assunto del personale che è stato addestrato e viene gestito da remoto. Un team di Gaziantep si occupa di seguire il lavoro in Siria. Chiaramente lavorando a distanza alla base di tutto c’è la fiducia. Ci siamo trovati a lavorare con persone che credono moltissimo in quello che fanno. Di solito i nostri direttori lavorano sul campo, ma in Siria non è possibile. Non essere lì e non essere coinvolti fisicamente è un po’ bizzarro e fuori dal nostro solito modo di operare. Ma vogliamo comunque che lo standard sia alto come quello nelle altre scuole. Certamente adesso siamo ancora nelle fase iniziali, ma sarà un progetto intrigante. È Giulia Cicoli a essere incaricata del Medio Oriente, una delle nostre fondatrici e lei è capacissima e non ho dubbi che verrà gestito tutto in maniera ottimale».
Parlando di Turchia, il Paese ospita il maggior numero di profughi e ha un tasso molto elevato di lavoro minorile. Come entrate in contatto con i ragazzi che frequenteranno poi la scuola?
«Come organizzazione abbiamo centri giovanili nei luoghi più volatili, come Samos e la Siria. Mentre in Turchia e in futuro in Kenya, che sono contesti più stabili, apriremo scuole internazionali. Parliamo di un percorso lungo e impegnativo che dà agli studenti un diploma riconosciuto nel mondo e che è di grande valore. Aiutiamo attraverso una borsa di studio quei ragazzi che non potrebbero mai permettersi un’istruzione simile. Per fare questo il numero di persone che possono entrare è limitato e chiaramente ci rivolgiamo a quelli più svantaggiati. Ma ci assicuriamo che per il bene dei ragazzo ci sia una famiglia alle spalle che li supporta. Prima di aprire la scuola passiamo sei mesi a fare una valutazione dei ragazzi con cui entriamo in contatto attraverso ong del luogo che ci segnalano i bambini più vulnerabili».
Hai spesso detto che il vostro è un programma non di volontariato ma di “volontalento”. Possiamo dire che al centro del vostro modello, sia per quanto riguarda gli studenti che lo staff, ci sia la valorizzazione del’individuo?
«Dall’inizio abbiamo preferito fare un servizio che fosse per pochi ma totale, un servizio di altissima qualità . Non ci interessa riempire numeri su excel. Quelli sono i progetti a brevissimo termine che sono necessari per la sopravvivenza delle persone. Quello che purtroppo è un buco nell’ambito della cooperazione sono i progetti a lungo termine che chiaramente hanno dei rischi. Mentre la scuola tradizionale è più come una catena di montaggio dove tutto è molto standardizzato per raggiungere un’efficienza massima, il nostro approccio è molto più agricolo: ogni pianta è una pianta diversa e viene accudita in quanto tale. Questo vale per i bambini che sono il nostro focus principale ma anche per i volontari e per lo staff. Non siamo un’organizzazione da migliaia di dipendenti, possiamo permetterci e siamo felici di assicurarci che tutti siano messi a loro agio. Se i volontari sono selezionati e a lungo termine è meglio per i bambini. Il nostro obiettivo principe è il servizio a minore, anche il servizio che facciamo in diagonale allo staff poi impatta i ragazzi».
A proposito di volontariato e staff. Tra poco lancerete l’International teaching program. Di cosa si stratta?
«Al momento è una “call” chiusa a causa dell’epidemia, ma aprirà presto. Dove noi operiamo tendiamo sempre a puntare su un team di locali. La scuola sarà gestita da professionisti del luogo sia per rispetto del contesto che ci accoglie, sia per favorire l’integrazione dei profughi nella cultura locale. Affiancati da questi professionisti, il nostro programma prevederà di mandare degli insegnanti internazionali che si occuperanno di quelle materie che richiedono una presenza di madre lingua, per esempio. Questi insegnanti saranno formati e avranno un contratto di 2-3 anni dove, a spese nostre, otterranno una certificazione di insegnante internazionale presso un’organizzazione esterna».
Tra le vostre tappe future c’è anche l’Italia. Sarà una scuola aperta a tutti?
«Siamo ancora agli albori di questa ricerca. Prima dell’Italia nel nostro piano di espansione c’è il Sud America. L’idea iniziale era aprire in Italia nel 2021, ma dovremo posticipare. È troppo presto per parlare di un luogo, ma sicuramente la scuola sorgerà dove c’è una grande concentrazione di profughi e grande disoccupazione. Le scuole internazionali che noi apriremo a parte quella di Gaziantep, perchè la legge turca lo impedisce, accoglieranno anche un 30% di bambini svantaggiati del luogo. In Kenya il 70% degli studenti saranno profughi e il 30% bambini svantaggiati kenyoti e la stessa cosa accadrà in Italia. Purtroppo il Coronavirus, come a tutti, ha cambiato i nostri piani».
Sogni futuri per Still I Rise?
«Quello che facciamo con Still I Rise è il nostro grande amore, siamo felici di quello che possiamo fare e di come possiamo farlo. È un’organizzazione che ti fa sentire parte integrante, non sei un funzionario. Il nostro sogno è quello di consolidare questo modello di scuola che è molto efficiente per chi è penalizzato, per chi rimasto è indietro. Ed è anche un ottimo modello economico. Le nostre scuole costano una frazione di una scuola media in un Paese Ocse. Io vorrei che questo modello potesse essere replicato in altri Paesi e perchè no, magari ispirare un cambiamento nella scuola pubblica. Io ho avuto dei problemi giganteschi con la scuola, e ora apro scuole che sono l’opposto di quelle che ho vissuto e ho odiato. Gli insegnanti sono i primi a dire che la scuola non funziona più, ci vuole veramente una riforma. È anche vero che Still i Rise è un grande amore ma è anche abbastanza faticoso, stiamo sempre lavorando. Ma ci dà grande gioia. Il 2020 ci sta testando però ne usciremo e spero che potremmo portare aiuto al meglio delle nostre capacità dovunque andremo».
(da Open)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA A PIETRO BARTOLO, L’EX MEDICO DI LAMPEDUSA
“Ma cosa c’è da sorprendersi da uno che mentre chi gli sta vicinoparla dei bambini morti si mette a mangiare ciliegie! Sono politici come Salvini o la Meloni a fomentare l’odio razzista. Per esistere hanno bisogno del Nemico da additare come responsabile di tutti i mali: la disoccupazione, la criminalità diffusa, e se avessero potuto spararla grossa, anche del Coronavirus”.
Se c’è un uomo simbolo di una Italia solidale, generosa, impegnata in una solidarietà fattiva, quotidiana, nei confronti di migranti e rifugiati che in questi anni sono sbarcati sulle coste siciliane, quest’uomo è Pietro Bartolo, 64 anni, il “medico dei migranti”, impegnato da una vita a Lampedusa, reso famoso dal film “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, vincitore nel 2016 dell’Orso d’oro a Berlino, ed oggi europarlamentare, tra i più votati in Italia.
In questa intervista esclusiva concessa a Globalist, Bartolo parla anche dei decreti sicurezza: “Dovrebbero essere cancellati totalmente. Altro che decreti sicurezza. Sono decreti insicurezza , perchè hanno buttato sulla strada tantissimi migranti, finiti alla mercè delle organizzazioni criminali”.
Al Parlamento europeo Lega e Fdi hanno rifiutato di condannare il razzismo, votando contro una risoluzione al Parlamento europeo contro il razzismo in solidarietà con le manifestazioni di Black Lives Matter. Come commenta il loro voto contrario?
Vista la loro storia, la sorpresa sarebbe stata se avessero votato a favore. Stiamo parlando di politici, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che hanno cavalcato paure e insicurezze additando i migranti come fonte di ogni male. Così hanno alimentato l’odio xenofobo. Quanto a Salvini, dopo essersi infatuato di Putin ora non perde occasione per elogiare Trump, ergendolo a modello. Ma per tornare al voto del Parlamento europeo, è importante, a mio avviso, sottolineare che la risoluzione è stata sostenuta e votata anche dai parlamentari di Forza Italia. Ci si può dividere su tante cose, ma sulla condanna di ogni forma di razzismo, le forze democratiche devono fare quadrato. E’ una battaglia di civiltà .
A proposito di battaglie politiche. In Italia si discute sulla modifica dei decreti sicurezza. Qual è la sua opinione in merito?
Fosse per me, li cancellerei totalmente. Ma quali decreti sicurezza Sono stati decreti insicurezza!. Lo sono stati perchè hanno gettato in mezzo alla strada tante persone che sono finite nelle mani delle organizzazioni criminali. Sono stati decreti insicurezza perchè hanno precarizzato situazioni già al limite, e indebolito cose positive che erano state fatte…
A cosa si riferisce in particolare?
Mi riferisco all’esperienza dello Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) grazie al quale si è cercato, e in molti casi riuscito, a determinare processi di inclusione di migranti e richiedenti asilo, creando opportunità di lavoro e dimostrando che una comunità integrata è una comunità non solo più solidale, ma più ricca. E’ l’esperienza che Mimmo Lucano ha portato avanti a Riace. E non a caso, il sindaco Lucano è stato subito preso di mira dalle destre. Perchè il modello Riace smontava la loro narrazione sull’invasione, sull’impossibilità di coesistere e cooperare assieme. Ora il Consiglio di Stato ha dato ragione a Lucano, ma resta la campagna di odio della quale è stato oggetto.
Oggi è la Giornata del Rifugiato. L’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nell’annuale rapporto Global Trends, ha fotografato un mondo sempre più diseguale e ingiusto. Un dato per tutti: quasi 80 milioni di persone in fuga.
Un dato sconvolgente, quello a cui lei fa riferimento, ma sconvolgente, e molto significativo, a anche la parte del Global Trends in cui si dà conto del fatto che la stragrande maggioranza di questa moltitudine che fugge dall’inferno di guerre, pulizie etniche, povertà assoluta, disastri ambientali, trova un precario rifugio in Paesi poveri e non nel ricco Occidente. Quanto all’Italia, sono una lacrima dell’oceano. Chi parla ancora di “invasione” dovrebbe vergognarsi. Queste persone non cercano l’eldorado, ma la sopravvivenza. Tanto si è detto e scritto su “aiutiamoli a casa loro”, per non averli a casa nostra. Quanta ipocrisia e falsità c’è in questa affermazione. M se siamo stati noi, l’Occidente, a penetrare in “casa loro”, depredandoli delle ricchezze naturali, sfruttandoli in modo disumano, fomentando guerre per preservare i nostri interessi e quelli delle multinazionali, e violentando l’ambiente. Rispetto a tutto ciò, non esiste un risarcimento adeguato. L’Occidente si è arricchito sulla loro pelle e ora erige muri, chiude porti, blinda le frontiere. Vergogna! Si continua ad affrontare il fenomeno migratorio come una emergenza, riducendolo peraltro a problema di sicurezza e di ordine pubblico, mentre invece è un fenomeno strutturale, è la normalità del nostro tempo, non l’emergenza. Stiamo parlando di persone, non di numeri. Di vite spezzate, di un futuro negato. Se le parole solidarietà , giustizia, umanità , hanno ancora un valore concreto, è tempo di dimostrarlo.Partendo dai più indifesi tra gli indifesi: gli 80 milioni in fuga. Un popolo invisibile solo per chi non vuol vedere per meschini calcoli elettorali.
(da Globalist)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
“OCCORRE SEGUIRE LA STRADA DEI BUONI RAPPORTI PERSONALI, DELLE ALEEANZE E DELLE CONVERGENZE DI INTERESSE”
Attacca il governo ma prende sempre più le distanza dalla deriva sovranista.
Berlusconi sceglie una lingua e un atteggiamento diverso da quello dei suoi alleati. Lo ha datto in una intervista a RaiNews24: “Il recovery fund è assolutamente essenziale perchè l’Italia possa riprendersi dalla crisi. La proposta della Commissione europea è perfetta per le esigenze dell’Italia. E’ essenziale che non venga modificata” e “la nostra posizione non si difende con una sfida muscolare con l’Europa, che non saremmo in grado neppure di reggere”
Chiaro il riferimento alle derive anti-europee della Lega e ai solidi rapporti con i nemici dell’Italia che ci sono tra i governi sovranisti dell’ex est europeo.
“La nostra posizione – ha aggiunto – si difende costruendo buoni rapporti personali, alleanze e convergenze di interesse, come hanno sempre fatto in passato i miei governi. Il problema è che il governo Conte delle quattro sinistre in Europa non ha credibilità , è considerato debole senza autorevolezza”.
“Sul Mes non è un mistero che la nostra visione sia diversa da alleati, ma queste spaccature si ritrovano amplificate nel governo”.
“Noi – ha aggiunto – abbiamo sempre saputo fare sintesi in una coalizione in cui non siamo certo tutti uguali. La maggioranza di governo è invece incapace di garantire una linea di condotta coerente e questo in Europa ce la faranno pagare”.
“Il recovery Fund è assolutamente essenziale – ha aggiunto -, la proposta della Commissione europea è perfetta per le esigenze dell’Italia e io personalmente sono intervenuto più volte. E’ essenziale che non venga modificata e la nostra posizione non si difende certo con una sfida muscolare con l’Europa, che non saremmo neppure in grado di reggere, ma costruendo buoni rapporti personali, alleanze e convergenza di interessi. E io dico che l’Italia ha assoluto bisogno dell’aiuto dell’Europa ma anche l’Europa ha bisogno dell’Italia: salvare l’Italia significa salvare l’Europa”.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
I DIRIGENTI MEDICI DELLE ATS PUNTANO IL DITO SULLE RESPONSABILITA’ DEI VERTICI DELLA REGIONE
I medici lombardi accusano Giulio Gallera e Attilio Fontana: il Fatto spiega oggi che i dirigenti medici delle 8 “Agenzie di tutela della salute” interpellati dalla Anaao Assomed puntano il dito contro il Pirellone per come ha gestito l’emergenza COVID-19:
Il 66,4% dei 113 coordinatori che hanno risposto ai 17 quesiti posti nella ricerca intitolata Le Ats al tempo della pandemia: l’opinione dei dirigenti sanitari accusano la Regione di non essere stata abbastanza veloce nell’impartire istruzioni sia sullo svolgimento dei test che sulle modalità di tracciamento e isolamento dei casi, con la messa in quarantena dei contatti dei positivi. Operazione fin dall’inizio indicata come vitale per evitare la diffusione del virus. Fondamentale almeno quanto l’utilizzo dei tamponi
Anche su questo punto la gestione del Pirellone ha lasciato a desiderare: alla domanda sulla “inadeguata azione nell’effettuare i test”rilevata da virologie ed epidemiologi il 62,2% ha risposto che la causa è stata “l’assenza di indicazioni chiare”, per il 47,7% la “mancanza di tamponi”e per il 46,8% la “mancanza di personale”.
Solo l’8% dice che “l’isolamento è iniziato subito”. Quasi 6 dirigenti su 10 (il 57,6%) sostengono, poi, che “l’enorme pressione sugli ospedali”, investiti dalla fine di febbraio dall ‘ondata di ricoveri dovuti alle polmoniti interstiziali da Covid-19, ha influito “rende ndolo maggiormente difficoltoso sul compito delle Ats”, i nuovissimi otto “cervelli”sanitari della Regione (Città Metropolitana di Milano, Insubria, Brianza, Bergamo, Brescia, Pavia, Val Padana e Montagna) nati al posto delle vecchie Asl con la legge 23, la riforma varata da Maroni.
È il punto in cui l’analisi dell’Anaao si allarga al “modello Lombardia”, creato nella sua ultima versione proprio dalla legge approvata l’11 agosto del 2015, che prometteva una medicina territoriale capillare e un percorso personalizzato per ognuno del 3,5 milioni di pazienti cronici della Regione.
Al posto delle 15 Asl (cui era affidata l’assistenza territoriale) sono nate le 8 Ats e l’attività di erogazione delle prestazioni delle prime, comprese le vaccinazioni e le certificazioni, è passata alle 27 Asst (Aziende Socio-Sanitarie Territoriali).
Nel pieno della bufera Covid i problemi sono arrivati proprio dalla “suddivisione dei compiti di prevenzione fra Ats e Asst”: il 54% degli intervistati ritiene la suddivisione “non chiara ”, il 28% pensa che lo sia solo in parte mentre solo l’8% non ha problemi a interpretare la legge. Giudizio negativo anche sulla “enorme estensione territoriale delle Ats”, che per il 67% ha influito “sulle difficoltà di rispondere all’emergenza.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
IN ALTRI POST AUSPICA LA POSSIBILITA’ DI ARRESTARE “CHIUNQUE GIRI PER STRADA SENZA MOTIVO”
Uno degli agenti che domenica scorsa a piazza Bellini, nel centro storico di Napoli, ha fermato tre attivisti di un centro sociale ha pubblicato negli ultimi mesi su Facebook post nei quali si augurava la morte di Carola Rackete.
Lo rende noto Acad (Associazione contro gli abusi in divisa), onlus che persegue la “difesa dei diritti delle persone soggette ad episodi di abusi da parte delle forze dell’ordine”.
Sulla pagina Facebook dell’associazione sono stati diffusi gli screenshot “di alcuni post pubblicati negli ultimi mesi da uno degli agenti che ha partecipato all’operazione di Polizia che domenica sera a piazza Bellini (Napoli) ha portato tre persone in carcere in seguito a un banale controllo documenti.
“Se queste sono le modalità con cui chi dovrebbe garantire la sicurezza si esprime in pubblico – scrive l’associazione – allora c’è evidentemente un problema. Oggi per altro è la giornata mondiale dei rifugiati ed è inammissibile e intollerabile che, al di là del fanatismo ideologico, un esponente delle forze dell’ordine auguri la morte violenta a chi salva persone nel Mediterraneo, come si legge da uno di questi post”.
(da Globalist)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
COMMISSIONATA DAL PARTITO MARXISTA-LENINISTA TEDESCO… IL COMUNE SI ERA OPPOSTO, MA HA DOVUTO ARRENDENDERSI IN QUANTO ERETTO SU UN TERRENO PRIVATO
Mentre in Italia impazza il dibattito su Montanelli, a Gelsenkirchen, cittadinia tedesca che
si trova nel bacino minerario della Ruhr, si inaugurerà una statua in onore di Vladimir Ilitch Oulianov, meglio noto come Lenin.
Ad averla commissionata è il Partito Marxista-Leninista Tedesco (MLPD). La statua, era stata realizzata nel 1957 in Cecoslovacchia e doveva essere inaugurata a marzo ma poi è stato tutto rimandato a causa dell’emergenza Coronavirus.
Il comune di Gelsenkirchen si era opposto al monumento ma, trovandosi questo su un terreno privato, alla fine ha dovuto capitolare dopo che il tribunale superiore di Mà¼nster ha respinto l’appello.
La scorsa settimana ad Amburgo una statua di Otto von Bismarck, il primo cancelliere tedesco, è stata schizzata di vernice rossa.
Bismarck, che orchestrò l’unificazione della Germania nel 1871, è anche noto per aver ospitato la Conferenza di Berlino del 1884, in cui l’Africa venne divisa tra le potenze coloniali europee.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO EMERGENZE DELL’OSPEDALE DI SIENA: “SITUAZIONE RIMANE GRAVE, PROBABILI CONSEGUENZE ALLA VISTA”
«Condizioni stabili, ma grave il quadro neurologico che andrà valutato la prossima settimana, quando lo permetteranno le condizioni cliniche». Sabino Scolletta, direttore del Dipartimento di emergenza dell’ospedale di Siena, ha definito così le condizioni di Alex Zanardi, rispondendo alle domande dei giornalisti alle 18 di oggi, 20 giugno.
«Non ci sono particolari variazioni cliniche rispetto a stamani», ha aggiunto il medico. Zanardi continua a essere «ventilato meccanicamente». Le sue condizioni sono stabili da un punto di vista cardiorespiratorio, stabili anche i parametri metabolici che danno un quadro clinico generale buono. «Grave invece la situazione sul piano neurologico». L’atleta resterà in coma farmacologico, ha detto il dottore, almeno per altre 48 ore e potrebbe riportare dei danni alla vista. «Zanardi è un grande atleta, quindi per questo motivo probabilmente sta rispondendo molto bene alle terapie. Siamo fiduciosi», ha aggiunto il medico.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2020 Riccardo Fucile
IN UN LUOGO AFFOLLATO NELLA CAPITALE SENZA PROTEZIONE… L’INTIMAZIONE AL FOTOGRAFO: “QUESTI STRONZI STANNO FOTOGRAFANDO”
Per carità , nessuna ordinanza che glielo vieti, nel Lazio, ma ieri sera i romani che li hanno
visti ridere e scherzare tra tanta gente, dietro la centrale e affollata Pizza Navona, sono rimasti perplessi.
Attilio Fontana e Giulio Gallera erano a chiacchierare senza mascherina, in mezzo a molte persone, ben sapendo che la politica, specie quella che arriva dalla regione più toccata dalla tragedia del Coronavirus e in cui i contagi non sono ancora una faccenda risolta, dovrebbe dare il buon esempio.
E il buon esempio, al di là di ordinanze di presidenti di regione che ormai si affidano più al buonsenso individuale che ad altro, dovrebbe essere — forse — che in luoghi affollati, soprattutto chi arriva da regioni in cui il rischio esiste ancora più che in altre, dovrebbe/potrebbe mettere la mascherina. Specie se ha un ruolo istituzionale.
Lo sa bene chi accompagnava Fontana e Gallera ieri sera nella passeggiata romana, visto che il ragazzo che ha scattato le foto si è ritrovato con una signora (la segretaria? un’assistente?) alterata di fronte a lui, che sbraitava: “Non può fare foto, cancelli le foto!”.
Lo racconta A., il fotografo improvvisato, a TPI e aggiunge: “Si è poi avvicinata subito ad Attilio Fontana per dire testuali parole: “Attilio metti la mascherina, questi stronzi stanno fotografando. Per poi aggiungere mentre me ne andavo: qui non è obbligatorio indossarla!”.
Sarebbe ancora una volta però obbligatorio un bel corso di comunicazione politica per Fontana e Gallera. Ma forse quello è l’ultimo dei (loro) problemi.
(da TPI)
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