Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL GOVERNO DECIDE DI TRATTARE PER ARRIVARE SUBITO A UN ACCORDO… I CINQUESTELLE ESCLUSI DAL VERTICE DECISIVO TRA CONTE, GUALTIERI E DE MICHELI
C’è una frase che Giuseppe Conte ripete fino allo sfinimento quando nel primo pomeriggio il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e la titolare delle Infrastrutture Paola De Micheli sono seduti al tavolo di palazzo Chigi: “La questione Autostrade va chiusa subito”.
Il fiato sul collo di Nicola Zingaretti è fortissimo. Poche ore prima il segretario del Pd ha strigliato la maggioranza, mandando un segnale al premier: “Ora bisogna davvero chiudere. Penso ad Alitalia, ad Autostrade o all’ex Ilva”.
I dossier sono impantanati, persino il tanto annunciato decreto sulle semplificazioni viene rinviato ancora. Sul tavolo c’è la proposta al rialzo che i Benetton hanno presentato a metà maggio e svelata stamattina: 3 miliardi invece che due e il disinnesco della mina del 30 giugno, termine entro il quale può andarsene e incassare 21 miliardi dallo Stato.
Si discute, poi la decisione: niente revoca, bisogna trattare con Atlantia per arrivare a un accordo. E il prima possibile.
L’urgenza di arrivare a una conclusione è anche nelle intenzioni del premier. D’altronde fu Conte, allora alla guida del governo gialloverde, a presentarsi a Genova all’indomani del crollo del ponte Morandi per promettere l’avvio immediato del procedimento che doveva portare a togliere la concessione autostradale ad Atlantia.
Sono passati quasi due anni e due governi, infiniti tentativi di mediazione con la nuova maggioranza, decine di rinvii del Consiglio dei ministri decisivo per assumere una decisione. Insieme a Conte, Gualtieri e De Micheli al tavolo siedono i capi gabinetto del premier e dei due ministri. I 5 stelle non ci sono. Nelle fila del Movimento più di qualcuno sbotta.
Un esponente di governo grillino non trattiene l’indignazione e la preoccupazione: “Ci sono solo quelli del Pd, a noi chi ci rappresenta? Conte?”. Il titolare del Tesoro e quella delle Infrastrutture appartengono alla parte più morbida del Governo, dove per morbido si intende la volontà di ascoltare Atlantia, mentre quasi tutti tra i 5 stelle hanno oscillato da sempre e oscillano tra la revoca totale e al massimo quella parziale.
A via XX settembre è in piedi un tavolo dove Atlantia interloquisce con i tecnici del Tesoro sulla questione dell’adeguamento delle tariffe e sui requisiti per accedere al prestito con garanzia pubblica chiesta dalla stessa società .
Il ministero dei Trasporti è un altro interlocutore, naturale visto che ha la delega sulle autostrade. E infatti è arrivata qui la lettera di cui si diceva sopra, quella che alza l’asticella dei soldi che Atlantia è disposta a dare al Governo: tre miliardi in tutto, divisi tra 1,5 miliardi per il calo delle tariffe e ulteriori investimenti, 700 milioni per ulteriori manutenzioni e 800 milioni (prima erano 700) per Genova.
Parte la discussione. Non ci sono solo i soldi in più. Il consiglio di amministrazione di Atlantia, che si è riunito lunedì, ha deciso anche di bypassare la scadenza del 30 giugno, lanciando un segnale chiaro: non ce ne andiamo e non battiamo cassa, anzi siamo disposti a trattare. D’altronde appena domenica era stato Conte a dirsi disposto a valutare una eventuale nuova proposta, rimarcando che quelle ricevute fino a quel momento erano inaccettabili.
L’impegno a non lasciare il Governo con le autostrade in mano tra una settimana, ma anzi a continuare nella gestione della rete e intanto trattare, è stata la chiave di volta che ha fatto virare la riunione di governo verso la direzione della distensione.
Anche perchè solo tenendo fuori la minaccia della concessione si può concretizzare l’altra gamba dell’accordo che ha in mente il governo, oltre a incassare i soldi messi sul piatto da Atlantia.
Con la revoca in campo nessun investitore, pubblico o privato, è disposto a prendersi Autostrade, in tutto o in parte. Il progetto del Governo punta sulla Cassa depositi e prestiti e sul fondo F2i, che negli scorsi giorni si voleva far entrare dentro Autostrade in seguito a una auspicata discesa di Atlantia dalla quota di maggioranza a una di minoranza.
F2i si era solo affacciata alla cosiddetta data room di Autostrade, sondando le condizioni, non Cdp. In entrambi i casi facendo prevalere prudenza e mettendo in chiaro che un investimento è fattibile e sostenibile solo se si smette di parlare di revoca.
Quanto Atlantia dovrà scendere dentro Autostrade è una questione che farà parte della trattativa. Lo schema con la Cassa depositi e prestiti e F2i è stato comunque messo sul tavolo durante l’incontro a tre.
Il segnale di Atlantia viene raccolto. E a sua volta la società , secondo quanto apprende Huffpost da fonti industriali di primissimo livello, è pronta a valutare “una proposta ragionevole”. Da palazzo Chigi alcune fonti spiegano all’Adnkronos che “sono state concordate condizioni minime al di sotto delle quali rimane irricevibile qualsiasi proposta di controparte e diventa automatica la revoca”.
Quindi si tratta. Ed è Conte a voler chiudere il prima possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“NON C’E’ GARANZIA DI ACCORDO SUL RECOVERY FUND”: L’INTESA E’ LONTANA
“Tutti vogliamo l’accordo sul recovery fund, ma al momento non c’è garanzia di successo”. E se all’Italia servono soldi? Usi il “Mes”.
E’ lapidario Stef Blok quando da Roma incontra in videoconferenza la stampa italiana a Bruxelles, dopo i suoi colloqui di giornata con i ministri Luigi Di Maio ed Enzo Amendola.
Il ministro degli Esteri olandese riserva all’Italia la sua prima visita istituzionale all’estero dopo la fine del lockdown. Un gesto di considerazione diplomatica, ma Blok non è per niente tenero.
Viene in Italia a scandire ciò che l’Olanda chiede sul recovery fund insieme all’Austria e agli altri paesi ‘frugali’. L’Aja vuole garanzie sulle riforme, spiega il ministro olandese, vale a dire quelle “misure necessarie per un conti sostenibili ed un’economia competitiva”.
Basterà seguire le raccomandazioni della Commissione europea, che devono essere “la base” per il negoziato, insiste Blok pur difendendo la sospensione del Patto di stabilità e crescita, “che anche l’Olanda userà , perchè anche i nostri debito e deficit aumenteranno”, ammette.
Ma per gli olandesi si deve sempre tornare alla sorveglianza garantita dalla Commissione sugli Stati. E dunque: misure che garantiscano conti a posto. Ma se non si arriva ad un accordo sul recovery fund? C’è il Mes. Il ministro è chiaro anche su questo: “L’Eurogruppo ha già raggiunto un’intesa sul Mes che è a disposizione di tutti gli Stati europei. Il Mes è ancora aperto”.
Dunque, se proprio l’Italia ha bisogno di aiuti subito, usi gli oltre 36 miliardi di euro che le spettano dai 240mld a disposizione con la nuova linea di credito istituita nel Salva Stati per la pandemia.
Il ministro evita di commentare su “misure specifiche”, come l’idea di Giuseppe Conte di ridurre l’Iva. Dice di aver apprezzato “la convocazione degli Stati generali dell’economia da parte di Conte”. Ma serve qualcosa in più. Servono garanzie sulle riforme: “Ogni piano di ricostruzione può avere successo solo se il paese che ne prende i soldi li usa per misure che portino alla crescita e sostengano l’economia”.
Il colloquio con Di Maio alla Farnesina è cordiale e franco, come si dice in linguaggio diplomatico per indicare confronti senza tensioni ma nella distanza più totale delle posizioni degli interlocutori. “E’ un dovere degli Stati fondatori dell’Ue, quali sono l’Italia e i Paesi Bassi, dare una risposta straordinaria ad una crisi straordinaria di cui nessuno ha colpa”: il ministro degli Esteri italiano tenta parole definitive con Blok. Ma l’intesa a 27 è ancora lontana. Tanto che a Bruxelles non escludono un secondo vertice entro la fine di luglio, oltre al consiglio europeo straordinario convocato oggi dal presidente Charles Michel per il 17 e 18 luglio.
Due giorni per discutere. E sarà la prima volta che i 27 leader europei si incontrano di persona da quando a marzo sono state decise le misure di lockdown per pandemia. Non si vedono fisicamente tutti insieme dal 20 febbraio scorso, quando si chiusero in summit a Bruxelles per due giorni senza trovare un’intesa sul bilancio pluriennale 2021-2027, proprio nelle stesse ore in cui a Codogno emergevano i primi casi di contagio da covid.
A metà luglio riprenderanno proprio da lì, dal bilancio pluriennale che nel frattempo la Commissione europea ha proposto di modernizzare per fare in modo che inglobi il nuovo recovery fund: 750mld di euro, ripartiti tra 500mld di sussidi e 250mld di prestiti, da raccogliere sul mercato con bond emessi dalla Commissione e con risorse proprie (tasse sul digitale, carbon tax e altre) da istituire.
Ecco, però ancora non ci siamo. Finalmente c’è una data per il summit straordinario di luglio, voluto in presenza a Bruxelles per favorire la discussione e magari la firma dell’intesa. Ma l’accordo ancora non c’è, nonostante gli evidenti segnali di attenzione di un paese recalcitrante come l’Olanda nei confronti dell’Italia.
“L’Italia è stata particolarmente colpita dalla crisi — dice Blok — ma anche l’Olanda lo è stata. E l’economia olandese ne uscirà come la più colpita per via della sua struttura particolarmente aperta agli scambi commerciali”.
Di Maio lo ringrazia per gli aiuti arrivati dall’Aja: 32 tonnellate di gel disinfettante, segnale modesto che l’Italia ha apprezzato. Ieri, incontrando Di Maio, il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas ha riferito della “disponibilità dell’Austria e dell’Olanda a trattare”. Sembrerebbe chiaro che i paesi ‘frugali’ riusciranno a mantenere i cosiddetti ‘rebates’, gli sconti ai contributi sul bilancio dell’Unione di cui beneficiano perchè non sfruttano molto i fondi europei.
Ma si tratta ancora sul resto: la dimensione totale del fondo, la proporzione tra sussidi e prestiti, la ripartizione delle risorse. Quest’ultimo tema punta dritto alla Polonia, destinataria di 64mld di aiuti, al terzo posto per le risorse che le vengono assegnate dopo Italia e Spagna (rispettivamente 172mld e 140mld) eppure meno colpita dalla pandemia rispetto ad altri paesi come il Belgio, per dire.
Anche sui sussidi Blok è lapidario: “Non sono convinto che le finanze pubbliche non si sostengano con i sussidi”. E poi lancia una frecciata al cuore del recovery fund: “Non siamo entusiasti di qualsiasi forma di debito europeo”.
Ursula von der Leyen comunque continua a dare la sua parola che la proposta della Commissione europea non verrà stravolta.
Lo ha fatto oggi incontrando i presidenti dei gruppi parlamentari dell’Eurocamera. Per lei sarebbe confermata la ripartizione tra 500mld di sussidi e 250mld di prestiti, il Parlamento avrà poteri di controllo sulle spese, come chiesto dal presidente David Sassoli la settimana scorsa. E in più, la presidente presenterà un piano dettagliato con contenuti e tempi sull’aumento del tetto delle risorse proprie nel bilancio europeo, punto molto sensibile per una larga maggioranza parlamentare che va dal Ppe ai socialisti, liberali, Verdi, sinistra ed eletti M5s.
La presidente dell’esecutivo di Palazzo Berlaymont si è detta anche d’accordo su una soluzione-ponte di 11 miliardi e mezzo per mettere a disposizione risorse a partire da settembre, in quanto il recovery fund sarà operativo da gennaio 2021, se tutto va bene. Ma proprio la soluzione-ponte è argomento ancora dibattuto nello scontro tra nord e sud Europa.
I ‘frugali’ sono contrari perchè, dal loro punto di vista, l’Ue ha già messo a disposizione 540mld di aiuti, tra la linea di credito del Mes (240mld), l’intervento della Bei (200mld) e il piano Sure della Commissione (100mld che però, va detto, non saranno disponibili prima di settembre).
Della serie: se l’Italia ha bisogno di soldi subito, usi queste risorse. Tradotto: usi il Mes, che dispone di fondi pronti all’uso, oltre 36mld per l’Italia. Blok lo dice esplicitamente a Roma.
“Tutti i Paesi concordano sulla necessità di interventi straordinari per fronteggiare una situazione straordinaria, permangono differenze di vedute su quali siano le soluzioni da adottare”, conclude Di Maio dopo l’incontro con Blok. Ma “nessuno può farcela da solo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA CONVERGENZA TRA SALVINI, RENZI E DI MAIO PER FAR CADERE IL GOVERNO… IL TAFAZZISMO DELLE MANCATE ALLEANZE ALLE REGIONALI
Anche i più miti, a volte, si incazzano, almeno a parole: “Ma vi pare possibile? Siamo quelli che dicono ‘governeremo insieme per quattro anni’, ricostruiremo l’Italia, eccetera, eccetera. E poi? Poi non siamo in grado neanche di fare un accordo a Barletta”.
È questo lo sfogo che Nicola Zingaretti ha consegnato ai suoi, prima di dare alle agenzie una dichiarazione in cui invita il governo, con maggiore calore, a chiudere qualcuno dei tanti dossier aperti, da Alitalia ad Autostrade e una sul tafazzismo, ovvero andare divisi consegnando così parecchie regioni alla destra: “Abbiamo fatto un governo per fermare Salvini — la seconda parte del suo sfogo – e ora gli consegniamo mezza Italia? È incredibile quel che sta accadendo”.
Ce l’ha con Conte, l’unico a non aver capito la reale posta in gioco e la necessità urgente di un cambio di passo.
Con Renzi che invece, come Salvini, lo ha capito benissimo, al punto da regalargli la candidatura di Scalfarotto in Puglia per indebolire Emiliano ricevendo in cambio una candidata debole come la Ceccardi in Toscana, che consentirà all’ex leader del Pd di dire che ha vinto in casa.
Con i Cinque stelle smarriti in un cupio dissolvi.
Il punto è chiaro, l’election day di settembre, quando si voterà in sei regioni (attualmente 4 a 2 per il centrosinistra) e per il referendum sulla riduzione dei parlamentari. Inevitabilmente, un voto politico, anche sul governo e sull’alleanza che lo sostiene. Il centrodestra, cioè l’opposizione, è unito ovunque e già in campagna elettorale dopo l’accordo siglato ieri sui candidati.
La maggioranza, cioè il governo, è diviso ovunque, tranne in Liguria forse dove Pd e Cinque stelle alla fine riusciranno a trovare una quadra, ma non è una regione contendibile. E poi Renzi, altra componente della maggioranza, alleato del Pd solo in Toscana, Campania e Marche, cioè dove si può vincere.
Al Nazareno è stato già analizzato il worst case scenario, dato come probabile: la destra che vince le regionali, ribaltando il 4 a 2 attuale, il governo che è minoranza nel paese, il referendum come un plebiscito, e quel punto partiranno le fanfare contro un Parlamento delegittimato e di abusivi incollati alle poltrone solo per lo stipendio, la crisi sociale più acuta, tra Cassa integrazione che non arriva e fine del blocco dei licenziamenti. Magari si può anche andare avanti per spirito di “autoconservazione” ma, politicamente parlando, il governo è “imploso”.
Ecco il punto. Quel messaggio sui “tafazzi” di oggi è già un modo per preparare il momento in cui ci si rimpalleranno le responsabilità domani, quando il 20 sera si vedrà chi ha vinto e chi ha perso, e per colpa di chi si è perso.
È un messaggio già arrivato a uno dei destinatari, ma che non ha sortito alcun effetto, se non quello di suscitare una reazione altrettanto stizzita: “Zingaretti è in difficoltà al suo interno e per questo cerca un capro espiatorio. Lo sa da sempre che non avremmo potuto sostenere De Luca o Emiliano” sono le parole che il reggente dei Cinque Stelle Vito Crimi ha consegnato a qualche parlamentare che gli ha chiesto lumi. Il clima è questo, apparentemente da Festival dell’impotenza in cui ognuno non ha la forza per sovvertire un esito che appare scontato.
Dietro la spinta inerziale, però, al Nazareno non sfugge il punto di caduta, la “convergenza oggettiva” tra Salvini, Renzi e Di Maio, insita nel worst case scenario: “Provare a far cadere il governo e rimettere in discussione la leadership del Pd”.
Magari Gori ha sbagliato i tempi e stavolta i primi a non seguirlo sono stati proprio i renziani rimasti dentro il Pd, ma un’uscita del genere sarebbe difficilmente ignorabile il 21 settembre, in caso di esito negativo, soprattutto se la sconfitta dovesse essere ascrivibile alla mancata alleanza tra Pd e Cinque stelle, l’asse politico attorno a cui ruota il mandato dell’attuale segreteria.
C’è una battuta, attribuita al vicesegretario Andrea Orlando particolarmente gettonata in questi giorni: “Abbiamo posti in piedi tra potenziali capi dello Stato e aspiranti segretari… Se qualcuno, con lo stesso impegno, andasse in giro a fare campagna elettorale…”.
Ecco, Conte nella morsa di due congressi striscianti, quello del Pd e quello dei Cinque stelle. Il Pd nella morsa di un governo immobile che “se non fa almeno tre o quattro cose, a settembre arriva stracotto”.
Il tema è squadernato e con esso l’assenza di soluzione, oltre agli inviti e alle dichiarazioni diventati più pressanti, se è vero che l’uscita sull’Iva non è stata concordata e c’è voluta qualche telefonata di Gualtieri e di Gentiloni per rassicurare l’Europa che a Villa Pamphili il premier non preso un colpo di sole.
Zingaretti è incazzato, ma finchè non immagina una alternativa, si ritrova il governo sempre appeso a Barletta.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
BOTTA E RISPOSTA TRA IL FONDATORE DI AZIONE E LA LA LEADER DI FDI
«Giorgia Meloni ripete in tv quello che sente al bar. Gli elettori la votano perchè dicono di parlare come lei. Ma lei non deve fare l’eco ma dare soluzioni ai problemi», queste le parole di Carlo Calenda (Azione) a “Mezz’ora in più”, il programma di Rai 3 condotto da Lucia Annunziata. Immediata la replica della leader di Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni, infatti, intervenendo a Rtl 102.5, ha replicato così: «È tipico della loro arroganza questo disprezzo per la gente comune, per il popolo. Ci hanno detto che alle nostre manifestazioni venivano solo parrucchieri e che eravamo ridicoli perchè stavamo nelle periferie».
Ma lo scontro non si è fermato qui. Su Facebook Calenda è tornato a risponderle: «No Giorgia Meloni io non “denigro il popolo”, ma chi prende in giro il popolo. I politici sono pagati per offrire soluzioni alle preoccupazioni dei cittadini, non per ripeterle nei talk show».
(da Open)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“NESSUNA DOSE E’ STATA TROVATA NEL CONFESSIONALE”
La grafica con un titolo di giornale che ha chiaramente semplificato la questione, le sottolineature in giallo al punto giusto e il solito tweet di accuse a don Massimo Biancalani, il parroco di Vicofaro in provincia di Pistoia famoso per aver dato accoglienza ai migranti all’interno della sua chiesa e della sua parrocchia.
Matteo Salvini lo ha attaccato sui suoi canali social: «L’ospite del prete toscano che canta “Bella Ciao” in chiesa, adora i clandestini e vorrebbe accogliere tutta l’Africa in Italia? Spacciava e usava il confessionale come nascondiglio! Bel modello di “integrazione”, proprio un bell’ambientino, complimenti».
Quindi, direte voi, il migrante che è stato coinvolto nell’operazione di pubblica sicurezza, nascondeva l’eroina che spacciava all’interno del confessionale di don Biancalani? Strada sbagliata.
Oltre al fatto che bastava leggere gli articoli realizzati dalla stampa locale — al di là dei titoli troppo semplicistici — per capire che le cose erano andate diversamente, Giornalettismo ha contattato don Massimo Biancalani che ha spiegato la circostanza.
«La questione riguarda un ragazzino che non è da tanto che è da noi: era stato accolto prima da una cooperativa pistoiese. È stato fermato con dosi di eroina. Con le forze dell’ordine, a cui è stato detto che il ragazzo era ospite nella nostra chiesa, c’è stata subito collaborazione. Mi hanno mostrato una chiave e io l’ho identificata con quella del confessionale che noi cercavamo da diverso tempo. La chiave era stata sottratta tempo fa e all’interno del confessionale c’erano delle cianfrusaglie».
Non droga, ma cianfrusaglie: «Gli altri ragazzi mi hanno poi raccontato che aveva chiuso quella porta a chiave perchè lì aveva conservato un cellulare e un vecchio modello di tablet. Io stesso ho accompagnato sul luogo gli inquirenti. C’erano vestiti, camicie, un sacchetto di plastica strappucchiato».
La vicenda, dunque, è stata come al solito amplificata e don Massimo Biancalani lo ha evidenziato: «La polizia e i carabinieri ci ringraziano perchè stiamo dando un punto di riferimento a gente che altrimenti starebbe in strada. Per me rimangono tutte persone. I politici dovrebbero darci strumenti in più per capire cosa c’è alla base della scelta di spaccio dei ragazzi come questi».
Il sacerdote ha anche risposto a Matteo Salvini sui social network, ricordandogli che a Vicofaro non c’è nessun modello di accoglienza, ma soltanto un modo per dare riparo a migranti che, anche a causa dei decreti Salvini, non avrebbero un luogo in cui stare.
Insieme ai suoi legali, il sacerdote sta valutando querele sia nei confronti di Matteo Salvini, sia nei confronti delle persone che hanno condiviso la storia in maniera distorta, sia nei confronti della candidata governatrice della Toscana della Lega Susanna Ceccardi.
(da “Giornalettismo”)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
FORSE QUALCUNO DOVREBBE SPIEGARGLI CHE I SOLDI PER RICOSTRUIRE IL PONTE SONO DELLO STATO, NON LI HA MESSI LUI PER FARSI SELFIE CON I SUOI COMPAGNI DI MERENDE SOVRANISTI SUL LUOGO DI UNA TRAGEDIA…DECENNI DI INCURIE DI TANTI GOVERNI, COMPRESI QUELLI A LUI CARI, CHE NON HANNO FATTO I CONTROLLI CHE ANDAVANO FATTI
In questi giorni, si è parlato tanto di strumentalizzazione del Ponte Morandi. Come direbbero i familiari delle vittime del crollo del 14 agosto 2018, infatti, ogni occasione è buona per fare una inaugurazione che riguardi il viadotto sul Polcevera: i piloni, il tratto di asfalto, la prima macchina che vi transita su.
Il tutto seguito da inevitabili passerelle, con photo opportunity e giornalisti al seguito. Molto criticato anche Matteo Salvini per la sua capatina di ieri proprio in cima al ponte (con tanto di gaffe sui pannelli a metano). Oggi, però, Giovanni Toti spiega al mondo intero che non è così.
Per il presidente della regione Liguria, infatti, a strumentalizzare il Ponte Morandi sono quelli del Pd — udite udite — che non ci vanno. Lo ha scritto sui suoi canali social:
«Noi continueremo — ha aggiunto — a mostrare al mondo intero il modello Genova. Anche a una classe politica che non ha il coraggio di scegliere e che ai fatti preferisce sempre le polemiche. Ma i liguri e gli italiani lo sanno e non si faranno strumentalizzare. Rassegnatevi!».
Insomma, secondo il presidente della Liguria non sbaglia chi va continuamente a scattare le foto sul Ponte Morandi, ma quelli che non ci vanno, perchè preferiscono criticare quelli che ci vanno.
Un pensiero che si aggroviglia su se stesso fino a trasformarsi in un tweet.
Una risposta che sembra anche peggiore di eventuali polemiche sulle passerelle. Ricordiamoci sempre che il Ponte Morandi prima di essere simbolo di rilancio è stato momento di lutto e di dolore.
Una macchia che non può essere cancellata nemmeno da un’opera avveniristica.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
NEL M5S ERA AL SECONDO MANDATO E NON PIU’ RICANDIDABILE… SCOMMETTIAMO CHE AVRA’ UN POSTO SICURO NELLE LISTE DELLA LEGA ALLE PROSSIME POLITICHE?
Il 20 giugno scorso Alessandra Riccardi “festeggiava” l’arresto dell’ex sindaca di Cinisello Balsamo applaudendo il MoVimento 5 Stelle.
Oggi la senatrice eletta in Lombardia passa alla Lega e riceve il plauso di Matteo Salvini. Riccardi fa parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere ed è componente della commissione Finanze di Palazzo Madama e aveva votato per salvare il Capitano a maggio. “Siamo molto contenti di accoglierla a casa nostra — dicono Salvini e Romeo — siamo certi che faremo un percorso insieme per dare soluzioni e risposte agli italiani in questo momento particolarmente faticoso”.
“Sono arrivata a questa scelta dopo averci riflettuto a lungo, non è stato semplice — dice Riccardi – “il mio disagio in particolare è cresciuto negli ultimi mesi ed è legato al fatto che non si si sia realizzato, neppure in minima parte, quel confronto parlamentare anche con l’opposizione per riforme importanti e ancora più necessarie in un periodo difficile come questo”.
Riccardi era al secondo mandato con i grillini.
Con l’annuncio di Alessandra Riccardi, dall’inizio della legislatura sono tredici i senatori pentastellati ad aver traslocato.
Nell’elenco figurano tra gli altri i nomi di Paola Nugnes e di Elena Fattori e quelli di Ugo Grassi, Francesco Urraro e Stefano Lucidi. Questi ultimi all’inizio dello scorso dicembre lasciarono le 5 stelle per i banchi della Lega.
Gelsomina Vono, a fine settembre era passata invece a Italia Viva. Al Misto si e’ trasferito anche Gianluigi Paragone, il 2020 era appena iniziato, dove e’ stato raggiunto a stretto giro da Luigi Di Marzio prima e da Lello Ciampolillo poi.
Anche due lutti hanno segnato il gruppo. Il 22 novembre è mancato Franco Ortolani (al suo posto è subentrato Sandro Ruotolo, ma al Misto) e il 17 marzo è scomparsa Vittoria Bogo Deledda.
Con la decisione di Alessandra Riccardi, dunque, il Movimento 5 stelle conta ora 95 senatori a Palazzo Madama. Resta il partito con il maggior numero di rappresentanti, ma la maggioranza si riduce e scende a quota 160, quindi un senatore in meno rispetto alla maggioranza assoluta che al Senato è fissata a 161.
Stando ai numeri ufficiali dei gruppi che al Senato sostengono il governo, oltre ai 95 di M5S, fanno parte della maggioranza 35 senatori del Partito democratico, 17 di Italia viva, 5 di Liberi e uguali, 2 di Maie e 6 delle Autonomie. A questi, a seconda delle votazioni, si potrebbero aggiungere o meno alcuni ex 5 stelle che in diverse occasioni hanno sostenuto il governo puntellando la maggioranza.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LE FOTO SONO PURE STATE PUBBLICATE SUI SOCIAL… CI VOGLIONO I CAMPI DI RIEDUCAZIONE, ALTRO CHE PENTIMENTI POSTUMI
Sabato sera, nella discoteca Kursaal di Lignano Sabbiadoro, c’era un tavolo con la targhetta prenotazioni “Centro stupri”.
Il responsabile dei tavoli privati non ha evidentemente trovato inopportuno lasciare che dei ragazzi prenotassero un tavolo con quel nome. Anzi, qualcuno lo ha scritto ben evidente col pennarello nero.
Ma chi sono i geni che hanno prenotato con quel nome?
Alcuni ragazzi di Udine e dintorni (San Daniele) tutti ampiamente maggiorenni che non si sono limitati a quest’unica simpatica goliardata. Hanno postato varie storie in discoteca in cui mostrano fieri la targhetta “Centro stupri” e coinvolto nel gioco anche alcune amiche che non hanno esitato a posare divertite col segnaposto.
Qualche giorno prima alcuni di loro si erano presentati in un ristorante a San Daniele (di proprietà dei genitori di uno dei ragazzi) con delle t-shirt tutte uguali con la scritta “Centro stupri” e i loro nomi/soprannomi sul retro della maglietta. (uno con la scritta “L’occhio del negro”)
Naturalmente immortalando la scena e pubblicando il tutto. Alcune foto sono finite sui loro social, in una di queste uno di loro posava con tanto di frusta e una ball bag (il bavaglio/palla del bondage) in bocca.
Un’immagine è stata postata anche su twitter, dove alcune ragazze hanno protestato per la scritta, per poi ricevere le seguenti risposte: “Certe signorine dovrebbero prendere solo i c…i in bocca e stare zitte”.
Lo scrive Alberto, uno di loro, su twitter il 30 maggio. E anche “La parte divertente è proprio lo stupro, vuoi metter quanto è divertente, ah e la parola NEGRO è molto raffinata e ricorda i bei periodi”, “Siete dei poveri comunisti”.
Un altro di loro, Gianluca, sempre rispondendo alle critiche, scrive: “Non sapete cos’è la nobiltà d’animo, non sapete cos’è la democrazia…”. Matteo: “Comunisti di merda”.
Ho contattato uno di loro, Giacomo, che col padre accanto mi ha detto: “Mi scuso a nome di tutti per le cose scritte e pubblicate, mi vergogno estremamente per l’accaduto, ho fatto una scemenza. Grave, non voglio giustificarmi e mi dissocio da alcune frasi che non ho scritto io. Non ho valutato le conseguenze e il potere dei social”.
Suo padre non concede sconti: “L’ho saputo domenica sera da un amico di famiglia che mi ha avvisato e mio figlio sa cosa gli ho detto, hanno fatto una cazzata enorme, ingiustificabile. Non so come in quella discoteca qualcuno possa aver accettato quella prenotazione, ma questo non li discolpa. Non sono un genitore che si tira indietro, però ognuno di loro deve parlare per sè e prendersi le sue responsabilità , Giacomo lo sta facendo”.
E in effetti Giacomo sembra sinceramente dispiaciuto: “Qualsiasi cosa dica sembrano frasi di circostanza, ma davvero sono profondamente dispiaciuto, è una cazzata troppo grande. Tra l’altro siamo stati sfortunati perchè la maglietta “L’uomo del negro” era “l’uomo del Negroni”, ha sbagliato lo stampatore”. Dico a Giacomo che se qualcuno dei suoi amici vuole replicare può chiamarmi, ma nessuno mi chiama.
Resta però una domanda: al Kursaal, chi gestisce i tavoli scrive col pennarello qualunque nome gli venga dato in prenotazione? Lo chiedo al proprietario del Kursaal Riccardo Badolato: “Guardi, io anche altri locali, qualcosa può sfuggire. Io penso sempre che tutti i dipendenti abbiano la testa, ma chi ha preso quella prenotazione e l’ha scritta col pennarello c’è stato, mi rendo conto. Posso solo dire che in una seconda fase della serata si è cambiata la targhetta col cognome di chi ha prenotato”.
Ma sei io al Kursaal prenoto a nome “W Hitler”? “Guardi mi viene da ridere, questa è una discoteca in cui si sono sposate anche le persone, cosa vuole che le dica, qualcuno ogni tanto fa delle cretinate assurde, ma siamo qui da 30 anni, per fortuna siamo ben altro. Tirerò le orecchie a chi ha sbagliato!”.
(da TPI)
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Giugno 23rd, 2020 Riccardo Fucile
SE E’ AI DOMICILIARI E’ PERCHE UN MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA GLI HA CONSENTITO DI SCONTARE UNA CONDANNA A CASA, E LI’ DOVEVA RESTARE FINO A CHE NON AVEVA IL PERMESSO DI USCIRE
Non è terrorizzato. Non è rincoglionito. Non è lo smemorato di Collegno. Si possono scrivere tante cose sull’arresto di Emilio Fede per “evasione” dai domiciliari, non che sia un povero vip “costretto a camminare con il bastone” (come dice lui) perseguitato da una giustizia arcigna e vendicativa.
È caricaturale l’immagine del “terrorizzato” perchè non capisce che si trova formalmente in carcere, e che in questa condizione non si va a cena a Napoli per festeggiare un compleanno.
Lo stesso Fede dice che il capitano che ha eseguito l’arresto con lui è stato “cortesissimo”. E forse bisogna ricordarsi cosa accadde quando Mediaset licenziò Emilio Fede, e lui per tutta risposta si barricò nel suo ufficio di direttore: dovettero intervenire gli uomini della security perchè altrimenti non se ne andava.
Non va compianto, non va commiserato, non è vittima di nessuna terribile vendetta: ricordo che nel carcere dove ogni tanto faccio volontariato ci sono ragazzi tornati in cella per un ritardo di venti minuti nella firma obbligata in commissariato.
Nessuno si straccia le vesti per loro.
Se Fede è ai domiciliari è perchè un magistrato di sorveglianza gli ha consentito di scontare una condanna a casa.
Quindi felicitatevi per questo privilegio che ha ottenuto, non compiangetelo per una ingiustizia che non ha subìto.
(da TPI)
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