Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
MELONI E RENZI TOP, SALVINI E CONTE FLOP
Certo, possono servire per tirare una linea sullo stato di salute dei partiti, dopo un appuntamento importante. Oppure per misurare le capacità dei leader, all’inizio di quello che un lungo anno di campagna elettorale, verso le politiche. La realtà è che scrivere le pagelle dei pazzi sei giorni di scrutini, schede bianche, agguati, tradimenti che hanno portato alla rielezione di Mattarella è soprattutto molto divertente. Andiamo, allora.
GIUSEPPE CONTE 4
Nessuno ha davvero capito che partita si è giocato. Due, forse tre volte, ha flirtato con Matteo Salvini per provare a eleggere Frattini, Belloni o Casellati, in nome del fu asse gialloverde. In tutti i casi, il tentativo è fallito, con il solo risultato che i presunti alleati nel “campo progressista” Pd e Leu lo hanno via via guardato sempre più in cagnesco. Se l’obiettivo di Conte era quello di sfruttare l’occasione dell’elezione al Colle, per rompere l’alleanza di centrosinistra, non è chiaro con quale prospettiva politica futura l’abbia fatto. E poi c’è tutta la questione interna al Movimento. In più di un momento, Conte ha dimostrato di non avere il controllo dei suoi gruppi parlamentari. Alla fine delle votazioni, Luigi Di Maio (vedi sotto) ha aperto ufficialmente il processo interno al capo. Il mezzo punto in più è solo perché ha evitato la prospettiva da lui più temuta, quella della promozione al Colle di Mario Draghi. Ma francamente, per come oggi è la situazione dentro i 5 Stelle, sembra difficile pensare che la sua leadership possa durare ancora a lungo senza strappi traumatici.
ENRICO LETTA 6+
L’obiettivo del segretario del Pd è stato soprattutto quello di fare da “scudo umano” al premier Draghi. Il rischio di ritrovarsi alla fine della partita senza Draghi al Quirinale, ma nemmeno più a palazzo Chigi è stato l’assillo di Letta. Considerando che nel tritacarne dei nomi è finito persino quello della capa dei servizi segreti Elisabetta Belloni, aver fatto uscire vivo dal braciere di Montecitorio l’ex presidente della Bce , è stato sicuramente un successo. Altro punto a favore di Letta: siamo a uno dei pochi day after, dei momenti cruciali nella storia recente, in cui nessuno dei vari capicorrente del Pd invoca un congresso o le dimissioni del segretario. Per la prestazione di Letta va resuscitata la formidabile parodia d’annata che Corrado Guzzanti faceva di Romano Prodi: “Io sono come un semaforo, fermo tranquillo, governo la strada stando fermo”. E però va bene l’idea di guidare i processi dalle retrovie, ma che il segretario del principale partito della sinistra in Italia non abbia preso nessuna iniziativa politica ufficiale – in un crocevia così importante – fa una certa impressione. Ammesso di non considerare iniziativa politica, andare in tv da Fazio a dire che “la rielezione di Mattarella sarebbe il massimo”. Un po’ poco. Basti dire che nei sette scrutini che si sono susseguiti prima della fumata bianca, Letta ha sempre dato indicazione ai suoi di votare scheda bianca o astenersi. Per vincere le elezioni nel 2023, servirà molto di più
MARIO DRAGHI 5
Parliamoci chiaro, vista a posteriori, possiamo dire che l’ipotesi concreta che Mario Draghi varcasse il portone del Quirinale non è mai davvero esistita. Troppi, fuori e dentro il parlamento, quelli che “chiunque ma non Draghi”, ognuno con i propri motivi. Il premier però ci ha messo del suo, in almeno un paio d’occasioni. La prima è la conferenza stampa di fine anno del 22 dicembre 2021, quando ha detto e fatto trasparire troppo, circa le sue intenzioni di traslocare al Colle. Lì per lì era sembrata una prova di forza, invece si è rivelata una dimostrazione di debolezza. Stesso discorso per l’accelerazione che ha provato a imprimere per la sua elezione, il primo giorno di votazioni, il 24 gennaio. Palazzo Chigi ha lasciato trapelare che il presidente del Consiglio aveva incontrato il leader della Lega Salvini, uno dei principali ostacoli alla sua corsa. Con il passare delle ore si è capito che quel faccia a faccia era andato male, così come i contatti successivi del premier con Silvio Berlusconi. Lì, la candidatura di Draghi è tramontata definitivamente. Per paradosso, però, alla fine del tragitto, Draghi si trova rafforzato nel suo ruolo di capo del governo, perché dalla partita escono fortemente ridimensionate le sue spine nel fianco in questi mesi, Salvini e Conte. Difficilmente, nei prossimi mesi, i due siano nelle condizioni di imporre ultimatum. A questo punto, il potere di Super Mario è blindato fino al 2023. Dopo si vedrà.
LUIGI DI MAIO 6,5
Per lui vale lo stesso discorso di Letta sul tentativo, riuscito, di proteggere Draghi dalle intemperie. Il mezzo punto in più sta nel fatto che Di Maio ha recitato il ruolo, da una posizione di minoranza interna, almeno formalmente, dentro al proprio partito. E con questa manovra ha minato – consapevolmente e in maniera forse definitiva – la leadership di Giuseppe Conte nel Movimento 5 Stelle. Ora però, l’enfant prodige della politica italiana deve decidere cosa fare da grande. Nelle prossime settimane , Di Maio dovrà dire chiaramente se vuole riprendere la guida del Movimento e con quale programma politico. In questi mesi ha sfruttato a pieno la sua posizione di ministro degli Esteri, con la conseguente rete di contatti e relazioni. Ma l’incarico alla Farnesina non dura per sempre. E Conte ha sempre in mano, forse come ultima carta, la regola del divieto terzo mandato, che se applicata alla lettera stroncherebbe la carriera di Di Maio.
SILVIO BERLUSCONI 5,5
È il voto più controverso. Da un lato, ancora una volta l’ex Cavaliere è stato decisivo per sbloccare la situazione. Nella notte tra venerdì e sabato, infatti, la nota con cui, dal letto di ospedale del San Raffaele, ha in sostanza detto: “ora comando io” ha rimesso un po’ d’ordine, nel caos del centrodestra. E forse non è un caso che poche ore dopo, Matteo Salvini abbia compiuto il suo (ennesimo) dietrofront, rispetto al veto sulla rielezione di Mattarella. D’altra parte, però, non bisogna dimenticare che per molti giorni le trattative per il Quirinale sono state bloccate dall’ostinazione di Berlusconi nel portare avanti la sua candidatura. Se il suo nome non è stato bruciato nel falò dei franchi tiratori, è solo perché, all’ultimo momento, qualcuna delle figure più sagge del suo entourage (aka Gianni Letta) è riuscito a farlo ragionare. Ma, dopo il ritiro, Berlusconi non ha comunque avanzato nessuna altra proposta, oscillando tra Casini e Tajani, fino allo scellerato endorsement per la Casellati. Quando ha dato il suo placet al Mattarella bis, la pallina stava ormai scendendo sul piano inclinato.
GIORGIA MELONI 7
Portare alla terza votazione in solitaria il nome di Guido Crosetto – uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, ma figura apprezzata trasversalmente – è stata la vera mossa del cavallo di questa elezione. Crosetto ha raccolto 114 voti, quasi 50 in più rispetto ai grandi elettori di Fdi. In quel momento, Salvini ha capito di essere finito in un vicolo cieco, mentre Giorgia Meloni ha giocato una scommessa win-win. Fin dall’inizio, Meloni sapeva di non poter avere un ruolo decisivo nell’elezione del presidente della Repubblica. Con quella mossa però è riuscita nel suo intento: costringere Salvini a legarsi mani e piedi a una prova dei numeri nel centrodestra, sul nome di Casellati. Una volta che quella candidatura è naufragata, la presidente di Fratelli d’Italia ha lasciato il cerino in mano al segretario della Lega. Mentre lei si accreditava come unica vera figura coerente nel panorama della destra italiana, il Capitano ha iniziato ad annaspare. Alla fine il risultato è andato forse oltre le sue aspettative visto che, come spieghiamo sotto, il ruolo di Salvini come leader del centrodestra si è disintegrato. E allora perché solo un sette men0? Perché, anche in questo caso, l’esito resta sospeso. “Ora il centrodestra va rifondato da zero”, ha detto Meloni. Ma toccherà a lei chiarire che ruolo vuole interpretare: essere il nuovo leader di tutte le forze conservatrici, oppure fare la Marine Le Pen italiana, una catalizzatrice di consensi, ma con poche o nulle possibilità di governare il Paese.
MATTEO SALVINI 4
Non è proprio il Papeete. Ma solo perché siamo a fine gennaio e gli ombrelloni sono ancora chiusi. “Ci dice una cosa la mattina e ne fa un’altra la sera”, confessava sconsolato un alto dirigente del Pd qualche sera fa. Ricostruire le mosse di Matteo Salvini negli ultimi giorni è quasi impossibile, oltre che impietoso: facciamo un tavolo di tutta la maggioranza; no anzi, ci eleggiamo un presidente solo con il centrodestra; parlo con Draghi, ma vado anche a trovare Cassese; ho incontrato avvocati e giuristi, ma intanto tratto con Conte; voglio una donna, ma parlo con l’ambasciatore Massolo. Alla fine, il rumore che rimane è il botto fragoroso dell’unica proposta che il leader della Lega si è intestato, quella della presidente del Senato Casellati. Così, Salvini è rimasto a metà del guado, né sovranista, né governativo. La sola attenuante che si può concedere a Salvini è quella di essere stato imbrigliato per giorni dalla candidatura di Berlusconi. Ma forse meglio così, chissà quante altre ne avrebbe combinate. Per sua fortuna, gli esponenti della Lega si auto-definiscono “leninisti”, evocando la fedeltà al capo e alla sua linea, altrimenti ci sarebbero tutte le condizioni per chiedere le dimissioni del segretario. E però stavolta, non basterà nemmeno l’annunciato ritorno di Luca Morisi nella squadra della comunicazione di Salvini a rivitalizzare la figura del Capitano.
MATTEO RENZI 7
Qui siamo costretti a rifugiarsi nella definizione più banale: è antipatico; ha posizioni spesso discutibili; porta i giochi tattici all’esasperazione; però la politica la sa fare. L’ex premier era conscio di non poter dare le carte, ma poteva decidere a quale tavolo sedersi. Contro tutti i pronostici della viglia, Renzi ha scelto di rifiutare le sirene del centrodestra. E nel segno di un reciproco “scordiamoci il passato”, ha giocato di sponda con Enrico Letta, per fare muro sulle candidature proposte da Salvini e Conte di Casellati, Frattini, Belloni. Difficilmente, senza l’aiuto di Renzi, il segretario del Pd avrebbe avuto l’appoggio compatto nelle sue scelte di tutto il partito, che ricordiamo è ancora zeppo di parlamentari ex renziani (se questo sia un bene per Letta, lo lasciamo decidere a voi). Rimanendo riva del fiume, Renzi ha anche osservato incrinarsi l’alleanza fra i dem e il Movimento 5 Stelle, che ha sempre visto come fumo negli occhi. Pure per lui, però, questo è l’ultimo giro di giostra, prima che le prossime elezioni politiche cambino gli equilibri in parlamento. Vedremo quale sarà la sua strategia d’ora in poi, tenendo in mente che Renzi è stato sempre più bravo a distruggere che a costruire.
PREMIO DELLA CRITICA: PIERFERDINANDO CASINI.
Ha rischiato di diventare lo Steven Bradbury di quest’elezione (se non sapete di cosa sto parlando, cercate su Youtube). Tante volte in questi giorni, la sua candidatura è stata affossata e tante volte è tornata in piedi. È arrivato in finale, ma ha capito che non poteva vincere e si è sfilato un attimo prima dell’ultima conta. La candidatura di Pierfedinando Casini – ex democristiano, poi big del Pdl di Berlusconi, poi montiano, poi eletto nelle fila del Pd, etc, etc… – è quella che ha fatto capire che stavolta i leader di partito non tenevano in mano il Joystick del videogioco. Se ci fosse un premio di consolazione, domani Casini sarebbe scelto come presidente del Senato al posto dell’impallinata Casellati
E IL VINCITORE È… L’ESERCITO DEI PEONES
Per quattro anni so stati insultati, presi in giro, dipinti come macchiette. Nel momento più importante della legislatura, i circa 900 parlamentari (togliamo dal conto dei 1009, quelli che pesano qualcosa) si sono presi la loro rivincita. Hanno affossato candidature nel segreto dell’urna e altre nemmeno le hanno fatte arrivare al voto. Scrutinio dopo scrutinio, hanno alimentato la cascata di voti per Matterella, tanto che a un certo punto nei palazzi si temeva che il presidente venisse riconfermato “a sua insaputa”. Alla fine i leader di partito si sono dovuti piegare.
La morale della storia, sta tutta in un aneddoto personale che ora vi possiamo svelare. La sera di giovedì 27 gennaio, alla fine del quinto scrutinio, rimango a chiacchierare con alcuni colleghi giornalisti. Ci si avvicina il peone ignoto, incarnato nelle fattezze di un parlamentare di centrodestra. “Voi di che corrente siete?”, ci chiede. Nemmeno facciamo in tempo a rispondere, il peone continua: “Vabbè, siete Contiani, Dimaiani?”. Ci ha scambiato per parlamentari del Movimento 5 Stelle. “No ma noi…”. Il peone prosegue: “Tanto stiamo tutti nella stessa barca, qui con il taglio (fa il gesto della forbice con le mani) non rientra nessuno, dobbiamo trovare il modo di fare un altro anno pieno”. Si blocca, forse capisce che ha equivocato: “Un anno pieno, di riforme intendo, ma comunque che sia pieno”.
Ci salutiamo, senza chiarire l’equivoco.
(da Fanpage)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
I VOTI AI PROTAGONISTI DELLA CORSA AL COLLE
Draghi 4
Ha perso il biglietto della lotteria, convinto di non dover fare altro che presentarsi allo sportello per incassarlo. La malcelata brama di Quirinale esibita nel discorso di fine anno lo ha indebolito sia sul piano del governo, che nella partita per il Colle. Un peccato di ingenuità quasi inspiegabile: a cui si aggiunge l’aver tacitamente avallato la folle teoria Giorgettiana del “convoglio” di governo (guidato dal Quirinale): il semipresidenzialismo del Marchese (banchiere) del Grillo. Un orrore per qualsiasi costituzionalista. Credito formativo.
Mattarella 9
Ha potuto essere eletto, a furor di popolo, perché da vecchia volpe della politica ha esibito la sua noncuranza per la carica che stava lasciando. Non era una finta: solo non desiderare davvero il Colle, gli ha reso possibile essere desiderato per il Colle. Un miracolo di seduzione collettiva su tre livelli: consenso dell’opinione pubblica, consenso delle elites avvedute della politica (esistono ancora), consenso nell’assemblea dei mille. Fotogramma cult: la vignetta di Osho in cui Sergio ha una faccia strana e la battuta recita: “Questi me fanno perde tre mesi di caparra per la casa”.
Casellati 3
Errori di matita rossa e blu, come se piovesse. Troppo trucco, troppa ansia, troppa presunzione, troppi sms a deputati e senatori, troppo ottimismo, troppa boria con i leader, troppi soldi per le finestre della sua villa in Veneto (a spese del Senato), troppi voli di Stato, troppi contenziosi per i terreni del marito, troppo grave la mano sul fuoco stesa per dire: “Ruby è la nipote di Mubarak”.
Messaggino cult: “Sono 80 voti sopra, sostienimi anche tu”. Ne ha presi 70 di meno. Una cosa buona l’ha fatta. Ci ha permesso di apprezzare il valore etico e civile del cecchinaggio dei franchi tiratori.
Peones 9
Tutti a sputare sui peones, ma i parlamentari zombies, per una formidabile eterogenesi dei fini, sono quelli che scrutinio dopo scrutinio, hanno tenuto vivo Mattarella. Per salvare la poltrona, si dirà. Ma chissenefrega. Di solito dovrebbero essere gli eserciti, che i generali. Da noi è accaduto esattamente il contrario.
Salvini 4
Una partita perfetta: se fosse stato un videogioco. Una comunicazione brillante, se fosse stato uno YouTuber. Un disastro, visto che si trattava di Quirinarie, ovvero di un ibrido a metà strada fra l’esperienza spirituale, Squid game e un conclave. Ritorna ai bei tempi del Papeete. Rimandato a settembre.
Renzi Sv.
Sembrava uno di quegli studenti impreparati che interrogati su ciò che non sanno cercano di parlare sempre dell’argomento a piacere (l’unico che conoscono). Voleva Casini, e per tenere viva la speranza di eleggerlo ha impallinato la bella figura della Belloni, dopo uno show da Mentana, con sparate demagogiche sui servizi segreti: forse proprio perché Elisabetta è il tipo di diplomatica rigorosa che – al contrario di certi spioni veri che frequentava lui – non avrebbe mai accettato un invito in autogrill da uno sconosciuto.
Amato 9
La vecchia volpe è riuscito a non entrare nel tritacarne del tototonomi e si è insediato della Corte Costituzionale, mentre il vento della vanagloria travolgeva tutti gli altri. Chi si contenta gode.
Letta 7.5
Non è il tipo di giocatore che in campo fa sognare il pubblico con i numeri da giocoliere, ma il centrosinistra non aveva i voti per eleggere un presidente, ha giocato con il catenaccio all’Italiana, si è esposto per Mattarella, e lo ha portato a casa. Forse avrebbe preferito Draghi, ma non ha confuso desiderio e realtà. Visti i tempi non è poco.
Conte 7
Dovendo amministrare una confederazione di tribù rissose è riuscito a fare una bella giocata sulla Belloni. Malgrado i giornali del coro si esercitino nello sport di parlar male di lui, e di dipingerlo come un partner infedele o sprovveduto, non ha mai votato in modo difforme dai suoi alleati. Ha portato quelli che volevano l’impeachment per Mattarella a votare Mattarella. Dovrebbero dargli il Nobel. Invece gli tirano le pietre.
Gentiloni 7.5
Pochi lo sanno, ma l’idea della Belloni, ex capo di gabinetto quando era ministro, è sua. La scintilla di “Er Moviola”.
Di Maio 5
L’attacco a Conte sulle Quirinarie pare un pretesto per tornare alla guida del movimento. Legittimo. Ma forse serviva un po’ di stile. Quando guidava lui Mattarella lo volevano mandare in carcere.
“Il gruppo Di Matteo”.
Tutti pensavano che questa variegata pattuglia di Grillini votasse Maddalena, e poi di Matteo, per contarsi e poi mettersi all’asta. Non lo hanno fatto, sostenendolo fino all’ultimo. Ottusi, forse, ma coerenti.
Fratoianni 7.5
Mentre tutto il centrosinistra si nascondeva nelle fumisterie delle schede bianche, Sinistra Italiana – in ogni scrutinio tranne l’ultimo – ha sostenuto la bella bandiera di Luigi Manconi: un presidente non vedente che ci avrebbe visto meglio degli altri.
Casini, 6,5
È riuscito a non farsi bruciare (e non è poco). È riuscito a non parlare per mesi (e non è poco). La foto da giovane con versetto di orgoglio democristiano sembrava un grido di battaglia. Invece era il congedo del gladiatore. Essendo sostenuto da Renzi come per il referendum 2016, era tecnicamente impossibile vincere.
Meloni, 7,5
Non dava lei le carte, ma ha giocato una sorprendente partita da outsider. Il massimo dell’appartenenza con il voto su Crosetto in cui raddoppia i grandi elettori. Il massimo della disappartenenza quando ha proposto una diplomatica di area dem per sparigliare. Ha costretto il povero Salvini a inseguirla: è evidente che Matteo se la sogna la notte.
La Rosa di centrodestra
Quando hanno dovuto fare casting, nel centrodestra, hanno messo insieme – con rispetto parlamento – pizza e fichi. Al cospetto di Pera e della Moratti le candidature di Michetti e Bernardo sembravano al livello da premio Nobel.
Mastella, 10
Lo studente fuori corso dell’Università di Montecitorio, pur non essendo grande elettore, come certi anziani che riprendono gli studi, non perdeva una lezione dei corsi, ed era sempre in due posti: a Montecitorio o a Maratona Mentana. Sarà difficile tornare a fare il sindaco di Benevento. Insegnante di sostegno.
Speranza, S.V.
Per una settimana andava ai vertici di coalizione, e poteva parlare di tutto tranne che di Covid. Deve essere per questo che non ha detto nulla. Esame da privatista.
Segni 10
Il centrodestra aveva tra le sui fila il nome di un conservatore elefante, colto, perbene, non appariscente, perfetto come garante della Costituzione. Se lo avessero lanciato sarebbe stato molto difficile per il centrosinistra dire di no. Deve essere stato proprio per questo che Salvini e compagni non hanno mai pensato a lui, neanche per sbaglio.
(da TPI)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
CONTINUA A RACCONTARE UN BIPOLARISMO FARLOCCO CHE IN EUROPA NON ESISTE
Giorgia Meloni? Credere, obbedire e…mentire. Ovvero, la politica come eterna presa in giro.
C’è un’affermazione nella lunghissima intervista che il Corriere della Sera ha fatto oggi alla leader di Fratelli Italia, che dimostra quanto la cifra stilistica della destra populista sia la pervicace costruzione di verità parallele da dare in pasto ai proprio adepti. E peggio, agli italiani. Il modello è (e continua ad essere) quello di una setta di duri e puri che credono senza discutere a ogni parola d’ordine del capo di turno.
Ecco la frase in questione. Testuale. “In tutte le grandi democrazie – scandisce la Meloni – c’è un partito conservatore e uno progressista, in cui ci sono esponenti che vanno da un estremo all’altro dello schieramento. Quello che negli altri Paesi non esiste è un centro trasformista, che può formarsi col proporzionale, spregiudicato e pronto a stare ovunque dove si governa…”.
Ecco, dopo aver letto e riletto questa affermazione ci sono solo due opzioni da poter prendere in considerazione.
O la Meloni crede davvero a quello che dice, e allora dovrebbe fare un bel ripassone dei sistemi politici europei, oppure la sua malafede propagandistica raggiunge vette inarrivabili.
Certo, si può ben capire il terrore di Giorgia Meloni di fronte alla concretissima possibilità che, finalmente, il sistema democratico italiano possa mettere un qualche argine alle ali estreme con lo strumento di una legge proporzionale, capace di toglierle il potere di ricatto che il bipolarismo le ha immeritatamente consegnato.
La paura è legittima. Ma la menzogna no. E che Giorgia Meloni abbia il terrore, di fronte all’ipotesi lanciata su queste pagine da Mattia Feltri, è evidente: “Si usi questo ultimo anno di legislatura per ritornare a una legge elettorale proporzionale, intanto per immunizzarsi dagli effetti più tragici che comici della sventatissima riduzione dei parlamentari, col rischio di consegnare a uno schieramento una maggioranza tale che da solo possa modificarsi la Costituzione, e poi per consentire – come in Germania – coalizioni di governo ibride, oltre le nostalgie da Muro di Berlino di progressisti e conservatori: da una parte chi sta nelle istituzioni, dall’altra i saltimbanchi del populismo e del sovranismo”.
Se la paura di Giorgia è quella del saltimbanco che rischia di venire cacciato dal salotto buono delle istituzioni, questo non può però giustificare le sue menzogne. Affermare che in tutte le democrazie ci sono due partiti, conservatore e progressista, schierati l’un contro l’altro armati è semplicemente una cosa non vera.
Anzi, in realtà è vero l’esatto contrario: non esiste nessuna democrazia con un sistema del genere. Perché anche nei paesi a tradizione bipartitica in realtà i partiti non sono affatto due: basti pensare ai liberali inglesi o alla fiammata populista del Brexit Party. E perché in tutte le altre grandi democrazie occidentali il sistema democratico funziona proprio all’opposto di come racconta la Meloni.
La Germania, democrazia stabilissima dai governi ancora più stabili, conta quattro partiti “istituzionali” più due ali estreme. Ah, nota a margine, lì i conservatori della Meloni proprio non toccano palla.
La Francia? Beh, da sempre in Francia ci sono due destre distinte, distanti e avversarie, quella gollista e quella populista della dinastia Le Pen. L’elenco dei paesi potrebbe essere infinito: in Austria la destra moderata governa insieme ai Verdi dopo aver lasciato la destra estrema all’opposizione. Per dire.
E allora proprio non si capisce di cosa parli la Meloni quando se la prende con un fantomatico “centro trasformista”. O meglio, si capisce benissimo. La Meloni si scaglia contro la complessità del mondo e della politica.
E contro ogni opzione di destra moderata, di stampo gollista, di buona destra, che si svincoli, come succede in tutto il mondo, dal ricatto dell’estremismo, che si liberi dalla catene di un’alleanza di ferro che è inevitabile solo nella sua testa e, soprattutto, nei suoi interessi di bottega.
La Meloni inventa un bipolarismo globale e obbligatorio perché sa benissimo che senza questa costruzione mentale il suo potere di ricatto finisce in un batter d’ali. Da qui le sue menzogne, sintomo evidente di debolezza. E di paura. Tanta.
(da Huffingtonpost)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
FUOCHI ARTIFICIALI NEL M5S
“E’ vigliacco mettere oggi sul banco degli imputati l’ultimo arrivato che al netto di idee diverse su alcune questioni considero persona perbene e leale”.
Così Alessandro Di Battista, in un lungo post su Facebook, difende il leader del Movimento, Giuseppe Conte. Il Movimento 5Stelle “soltanto 4 anni fa (anche se sembra passata un’era geologica) arrivò al governo parlando di “GOVERNO DEL CAMBIAMENTO” e di “TERZA REPUBBLICA”. Parole del Ministro Di Maio”. Oggi “dico che da anni è necessaria una riflessione politica all’interno del Movimento”.
Così Di Battista entra a gamba tesa nella dialettica interna del suo ex partito, che vede uno scontro in atto abbastanza evidente fra Conte e Di Maio, reso ancora più aspro dalla settimana che ha portato alla rielezione di Mattarella.
Non è un caso che a stretto giro arrivano le parole di ringraziamento dell’attuale capo 5 Stelle: “Le parole di Di Battista mi fanno molto piacere, lo stimo”. E contestualmente attacca Di Maio: “Luigi Di Maio ha chiesto un chiarimento nel Movimento? L’ho detto prima io, a dire il vero. Lui ha risposto a me, quindi il chiarimento ci sarà senz’altro. Di Maio, in particolare, avrà la possibilità di chiarire il suo operato e la sua agenda, se era condivisa o meno tranquillamente”.
Anche su Mattarella l’ex grillino dice la sua: “Oggi quei cittadini che hanno creduto nella partecipazione e nel cambiamento si ritrovano un democristiano (non è un insulto è una constatazione) Presidente della Repubblica per la seconda volta. Io non ho nulla di personale contro Mattarella ma ritengo pericolosa per la democrazia la rielezione dello stesso Presidente della Repubblica. Lo sostenevamo tutti quanti quando venne rieletto Napolitano. Oggi lo sostengo solo io”.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
PRANZO CON LA FAMIGLIA E NUOVO TRASLOCO
“Se serve ci sono, anche se avevo altri piani”. Con queste parole il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha risposto affermativamente alla richiesta dei partiti di accettare un secondo mandato al Quirinale.
Per il Capo dello Stato, dunque, un cambio di prospettiva e di vita, dopo che più volte aveva detto di non voler restare al Colle.
Nel suo primo giorno dopo la rielezione, Mattarella ha fatto un sopralluogo alla casa che aveva preso in affitto al Pinciano, l’elegante quartiere romano vicino a Villa Borgese, in compagnia della figlia. Poi un pranzo domenicale con la sua famiglia.
Il presidente deve dunque rivedere i suoi piani, dopo l’inaspettato ritorno al Quirinale. In questi giorni aveva fatto arrivare da Palermo i mobili nell’appartamento preso in affitto.
Che fare ora? Mantenere la casa personale accanto a quella della figlia e andare al Quirinale tutte le mattine o restare altri sette anni nell’appartamento del palazzo presidenziale?
Secondo alcune indiscrezioni, potrebbe anche decidere di tenere comunque la casa per viverci almeno alcuni giorni la settimana.
Oggi intorno a mezzogiorno Mattarella è giunto nella casa al Pinciano, accolto da un applauso di una decina di persone che si trovavano lì. Secondo quanto riporta l’Ansa, un furgoncino, presumibilmente del Quirinale, si è fermato davanti all’appartamento e alcuni addetti al trasloco hanno caricato dei pacchi. Lo stesso furgoncino è poi giunto al Quirinale entrando da un ingresso secondario del palazzo.
Prima di rientrare, Mattarella si è fermato a salutare un bambino del quartiere che gli ha regalato un suo disegno con la bandiera tricolore. Il presidente ha preso il disegno, ha dato un buffetto sulla guancia al piccolo, poi ha salutato alcune persone ed i cronisti sul posto, è salito sulla sua automobile ed è andato via.
L’anticipo per l’appartamento è già stato versato, eppure dopo la rielezione, l’alloggio di Mattarella (tre finestre e un balconcino) potrebbe già tornare in affitto.
(da TPI)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
COSTANO 3.000 EURO AL GIORNO E I CONTI SONO IN PROFONDO ROSSO… MA I SOVRANISTI UNTORI NE CHIEDONO IL LICENZIAMENTO
La Francia sta attraversando la fase più critica della quarta ondata di Covid dovuta alla variante Omicron: i contagi viaggiano attorno al mezzo milione al giorno, mentre i ricoveri nei reparti ordinari sono di nuovo sopra le 30 mila unità ed ancora non si intravede la fine.
“Le persone che non sono vaccinate contro il coronavirus e che vengono ricoverate dovrebbero pagare per le cure che ricevono in ospedale”. Lo sostiene il direttore sanitario degli Ospedali di Parigi, Martin Hirsch, convinto che chi rifiuta il vaccino non dovrebbe essere ‘coperto’ dall’assistenza pubblica.
Al sistema sanitario nazionale francese i pazienti Covid-19 che finiscono in terapia intensiva costano circa tremila euro al giorno e in genere il loro ricovero dura da una settimana a 10 giorni.
Hirsch ha spiegato di aver sollevato la questione perché i costi sanitari stanno esplodendo e il comportamento irresponsabile di alcuni non dovrebbe mettere a repentaglio la disponibilità delle cure per tutti gli altri.
Ma la proposta non è stata ben accolta, con diversi medici che l’hanno respinta, politici di estrema destra che hanno chiesto il suo licenziamento e il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha detto di non essere d’accordo.
Anche su Twitter è apparso un hashtag diventato di tendenza in Francia nel quale si chiede il suo licenziamento.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
LE TRIBOLAZIONI DEL GIORNALISTA MICROFONATO DALLE 9 DI MATTINA ALL’UNA DI NOTTE
Noi, che stiamo belli comodi alla scrivania e ogni tanto ci alziamo per deambulare, rifocillarci ed espletare i bisogni fisiologici, ignoriamo le tribolazioni del maratoneta notista politico, diuturnamente assiso dentro uno studio televisivo per la diretta del Quirinale, microfonato alle 9 di mattina e smicrofonato all’una di notte, sottratto per sei giorni all’affetto dei suoi cari per spiegare alla nazione i sottili equilibri, le strategie e i retroscena delle elezioni del presidente della Repubblica.
L’esperto analista ha passato 144 ore in diretta, semi-digiuno e con le piaghe da decubito sulle terga, a disquisire, ragionare, rivelare, analizzare, calcolare, considerare, ma soprattutto a ribadire il Postulato Primo dell’analista da maratona tv: il prossimo Capo dello Stato sarà Mario Draghi.
Qualunque manifestazione della realtà non ha fatto che convincerlo vieppiù dell’unica cosa certa, del centro di gravità permanente nel caos italiano: o Draghi o morte (o Tajani, che fa lo stesso).
Chino sul cellulare, costantemente sollecitato da lanci di agenzia e soffiate da “fonti altissime e attendibili” (che poi sono quasi sempre messaggini di quarte file, WhatsApp di Gasparri, tweet di Marattin, vocali di Luciano Nobili), l’analista-podista ha dimostrato il polso che ha del Paese.
I parlamentari si sono sanificati le mani con l’Amuchina meno spesso di quanto Cazzullo-Mieli-Franco-De Angelis-Cerasa-Sala-Di Bella, dalla sedie di La7, Rai 3, Sky Tg24, hanno fatto convergere gli eventi dentro l’imbuto della “soluzione Draghi”, che poi era la permuta della Costituzione della Repubblica italiana con quella del Ducato di Città della Pieve, in ciò aiutati (sviati) dai geni che abbiamo per leader politici, arruolati dai poveri inviati per biascicare davanti alle telecamere che siccome le “rose” di papabili includevano personaggi sempre più improbabili, l’ipotesi Draghi era tutt’altro che tramontata, e anzi l’apparente retrocessione del Migliore era la conferma che di lì a poche ore Fico avrebbe letto il suo nome almeno per 505 volte.
Salvini lancia candidature ridicole? Vuol dire che Giorgetti sta lavorando per Draghi. Draghi ha telefonato a Casini? Allora si sta virando su Draghi. In 400 si sono astenuti? Non vogliono bruciare Draghi. Un sacco di schede bianche? È il grido di dolore dei parlamentari per Draghi. Conte, Salvini e Meloni candidano una donna? Allora è praticamente fatta per Draghi. Votano in massa per Mattarella? È un messaggio in codice per dire “Draghi”. In sei giorni nessuno dei lungometristi ci ha spiegato perché, se il Parlamento voleva Draghi, non ha votato Draghi.
La notte di venerdì, un refolo di principio di realtà è spirato nelle redazioni (la Belloni aveva per un attimo allertato l’attenzione mitografica dei fondisti, col suo casale nelle campagne toscane e i tre pastori alsaziani): Renzi, fan di Draghi (almeno finché Draghi non si è auto-candidato, facendogli venire il sospetto che in Italia esista uno più vanitoso ed egocentrato di lui), si aggirava randagio in piazza Monte Citorio per collegarsi con le maratone e informare la nazione che il capo dei Servizi non poteva diventare Capo dello Stato, e che Draghi, il nostro “Maradona” e “fuoriclasse”, poteva anche “andare al Quirinale, ma attraverso un percorso politico, non un concorso a premi”. Ahia.
L’esperto della diretta è sempre un po’ fuori sync: convinto che tutto ciò che è reale è razionale purché non si distacchi dalle sue certezze – così come era convinto che al referendum di Renzi avrebbe vinto il Sì (pena la procedura fallimentare per l’Italia), che il M5S non avrebbe preso 11 milioni di voti, che Meloni non avrebbe sorpassato Salvini, che Conte non avrebbe mai ottenuto i soldi del Pnrr, che il Pd aveva un candidato illustre per il Quirinale (a parte Draghi) – ieri ha preso atto del Mattarella bis e ha ripiegato sul “ticket Mattarella-Draghi”, che comunque è una mezza vittoria. Coi segni del cuscino sui capelli, stropicciato dalla brandina abborracciata dalle produzioni nei sottoscala per farlo tornare tonico e lucido l’indomani, il maratoneta analista politico ci ha spiegato come va il mondo. A esso tutta la nostra solidarietà.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
“NON SI FA POLITICA DETTANDO LA LINEA SUI SOCIAL”
“Non so se questa coalizione è finita. E’ finita l’illusione di governarla dettando la linea politica sui social e confrontandosi più con i follower che con dirigenti e parlamentari”.
Lo afferma la ministra per il Sud, Mara Carfagna, commentando il giudizio tranchant della presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, secondo la quale dopo la partita del Quirinale il centrodestra va ricostruito dalle fondamenta.
“In questi giorni – dice Carfagna – abbiamo vissuto l’esito della gara per la leadership fra Salvini e Meloni. Una competizione che disintegra il centrodestra”, afferma.
Con questa fase politica che si è chiusa con la rielezione di Mattarella “l’era del populismo è finita” e per i centrodestra “è stata una prova di maturità’ fallita” non essere riusciti a presentare un candidato d’area che potesse competere.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2022 Riccardo Fucile
“TEMEVO NON VOLESSE PIU’ ESSERE IL NOSTRO PRESIDENTE“
“Caro Presidente Mattarella, sono molto felice di questa sua decisione, perché credevo non volesse più essere il nostro Presidente ed ero molto dispiaciuto di questo. Adesso sono io a farle i complimenti, anche da parte del mio fratellino Andrea”.
Mattia Piccoli, il dodicenne di Concordia Sagittaria nominato da Mattarella Alfiere della Repubblica lo scorso dicembre per l’aiuto dato al padre 40enne colpito precocemente dall’Alzheimer, si congratula con il neo ri-eletto Capo dello Stato.
Una lettera – riportata dal Corriere Veneto – nella quale il giovanissimo ha espresso la sua soddisfazione per la conferma al Quirinale: “Sono molto contento perché per altri sette anni avremo la sua guida sicura e rassicurante. Vorrei che tra le tantissime cose da sistemare potesse pensare anche alle persone ammalate giovani di Alzheimer, come il mio caro papà, e alle famiglie sempre in mezzo alla tempesta come la mia”.
“Aiutavo mio papà a fare quelle cose che da solo non poteva più fare”, ha raccontato Mattia Piccoli il giorno della premiazione. “Quando lui faceva la doccia lo aiutavo gli dicevo: prima gli slip, poi i pantaloni, lo aiutavo con i lacci per le scarpe. E il mio fratellino lo stesso, quando non potevo io c’era lui. Adesso è troppo piccolo per ricevere questo premio ma spero che un giorno lo avrà anche lui”.
L’intera famiglia (papà Paolo, mamma Michela, Mattia e il fratellino Andrea) sono i protagonisti della storia biografica “Un tempo Piccolo”.
“Mattia ha conosciuto il papà quando non era ancora malato e ad un certo punto è diventato il genitore di suo padre. Queste sono cose che non dovrebbero mai succedere”, ha raccontato Michela.
Oggi Paolo si trova in una RSA mentre lei lavora a tempo pieno come impiegata. “Questo premio lo dedico a mio papà – ancora Mattia – per me è un’emozione molto bella e credo di essermelo anche meritato, ma anche se questo premio lo hanno dato a me credo che valga per tutta la mia famiglia”.
(da agenzie)
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