Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
LETTA: “CHIUDIAMOCI IN UNA STANZA FINO A QUANDO NON ESCE UN NOME CONDIVISO“
Nordio, Moratti e Pera non sono piaciuti a Letta, Conte e Speranza. Mentre si rischia lo stallo con il centrodestra (compatto), il leader del Pd tende una mano allo schieramento di Salvini
«Prendiamo atto della terna formulata dal centrodestra che appare un passo in avanti, utile al dialogo. Pur rispettando le legittime scelte del centrodestra, non riteniamo che su quei nomi possa svilupparsi quella larga condivisione in questo momento necessario». Queste le parole di Letta, Conte e Speranza subito dopo il vertice di centrosinistra.
«Riconfermiamo la nostra volontà di giungere ad una soluzione condivisa su un nome super partes e per questo non contrapponiamo una nostra rosa di nomi», hanno aggiunto.
Dunque nessuna rosa di nomi ma un no secco al centrodestra. Ora si rischia lo scontro. «La proposta che facciamo è quella di chiuderci dentro una stanza. Buttiamo via le chiavi, pane e acqua, fino a quando arriviamo a una soluzione. Domani è il giorno chiave», ha aggiunto subito dopo Letta parlando ai cronisti e aggiungendo che non hanno voluto «la guerra delle due rose».
Il centrodestra compatto, poco dopo le 16, infatti, aveva messo sul piatto i nomi di Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera. Una rosa delle “spine”, secondo molti visto che, in questa fase, con almeno un altro scrutinio che andrà a vuoto, si rischia davvero di “bruciarli”.
Non è un caso, infatti, che Matteo Salvini, nel presentare le tre preferenze del centrodestra, non abbia citato Elisabetta Casellati che «ha in sé la dignità di essere una possibile scelta» e che è stata volutamente tenuta fuori dalla rosa perché una delle più alte cariche istituzionali.
Le quotazioni della presidente del Senato, dunque, salgono ancora anche perché, spiegano fonti parlamentari, il centrodestra già alla quarta votazione, in assenza di un accordo, potrebbe puntare tutto su Casellati, sperando anche nell’appoggio di una parte di M5s, del Pd e del gruppo Misto.
Draghi, invece, non è in nessuna delle rose: sarà il candidato d’emergenza da sfoderare nel caso in cui non si arrivi ad alcun accordo o è definitivamente tramontato?
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
TRA REAZIONARI, AMICI DI VERDINI, CONDANNATI DALLA CORTE DEI CONTI E ALTA FINANZA, ORA PROVERA’ LA SPALLATA: IL CENTRO TRAUMATOLOGICO IN PREALLARME
Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio. Ma non (per ora) Elisabetta Casellati. Matteo Salvini ha fatto i tre nomi del centrodestra per la presidenza della Repubblica: candidati che ha definito “non di bandiera”, ma che di fatto sono molto legati alla forze politiche e difficilmente potranno raccogliere il consenso al di fuori dei banchi di Fi, Lega e Fdi.
“Nessuno di loro ha una tessera di partito ma hanno ricoperto ruoli importanti”, ha detto Salvini nel corso della conferenza stampa di presentazione. A contare, in questo momento di stallo politico, è la prima mossa: il centrodestra ha fatto il gesto, il centrosinistra ha risposto dicendo che non contrapporrà un’altra rosa e ha rilanciato chiedendo un incontro.
Molto probabilmente l’accordo non sarà raggiunto su nessuno di questi nomi. A mancare, rispetto alle indiscrezioni della vigilia, è il nome della presidente del Senato Casellati e secondo alcuni è una strada voluta proprio per non “bruciarla”
Il primo nome fatto dagli alleati è quello di Marcello Pera. Classe 1943, è stato senatore Fi e Popolo delle Libertà dal 1996 al 2013 e ha ricoperto l’incarico di presidente del Senato nella XIV legislatura.
Come ricordato da Fabrizio d’Esposito su il Fatto quotidiano a dicembre scorso, Pera è un “teorico liberale dell’impunità berlusconiana e poi clericale di destra di marca ratzingeriana”. Proprio negli ultimi anni si è schierato contro il pontificato di papa Francesco, a fianco di monsignori e cardinali che successivamente si sono rivelati fieramente No vax (dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò a Raiymond Leo Burke).
E, scriveva sempre d’Esposito, proprio Pera ha definito il pontificato di Bergoglio “un oltraggio alla ragione“. Ed è arrivato fino ad evocare uno scisma: “Bergoglio sostituisce alla cattolicità un umanesimo secolare. Di questo passo, possiamo arrivare allo scisma. Vedo la Conferenza episcopale Americana piuttosto vivace e presto potrebbero svegliarsi altre, penso ad esempio a quella della Polonia”.
Da tempo Denis Verdini, hanno raccontato i giornali in questi mesi, aveva rilanciato il nome di Pera nella sua rosa personale di nomi ideali per il centrodestra.
Letizia Moratti, classe 1949, è attualmente assessora al Welfare e vicepresidente della Regione Lombardia. E’ stata presidente della Rai (1994-1996) nel primo governo Berlusconi e poi durante il governo Dini. Ha ricoperto il ruolo di ministra dell’Istruzione (2001-2006), dove fu la protagonista di anni di forti contestazioni per gli interventi in favore della scuola privata.
Eletta sindaca di Milano nel 2006, non fu poi riconfermata dopo il primo mandato quando venne sconfitta da Giuliano Pisapia. E’ stata presidente del CdA di Ubi Banca dal 2019 al 2020. Nel suo curriculum, è stato già ricordato in questi giorni, c’è anche una condanna della Corte dei conti lombarda arrivata nel 2009, poi confermata dalla Cassazione nel 2019: Moratti, insieme ad alcuni consulenti e dirigenti, fu condannata a pagare 360mila euro danno erariale per la vicenda delle cosiddette “consulenze d’oro”.
Si trattava di “illeciti conferimenti di incarichi dirigenziali” a sei persone e per “non consentite nomine di addetti all’Ufficio Stampa comunale” per altre sei. Le sentenze furono impugnate sia dalla Procura regionale della Lombardia, sia dagli amministratori pubblici che avevano chiesto di essere assolti.
La sentenza d’Appello è arrivata il 22 dicembre del 2016 : la Corte dei Conti centrale ha condannato Moratti e gli ex assessori a pagare oltre un milione di euro, circa 591 mila euro solo per l’ex prima cittadina.
Carlo Nordio, classe 1947, è un ex magistrato. E’ stato procuratore aggiunto di Venezia, dove ha seguito tra le altre cose l’inchiesta sul Mose. Nella sua carriera ha indagato sulle cooperative rosse ai tempi di Mani pulite e poi sulle Brigate rosse.
A fine dicembre 2018 è diventato membro del CdA della Fondazione Luigi Einaudi. Nei giorni scorsi è stata Giorgia Meloni la prima ad avanzare la sua candidatura: “Domine non sum dignus. Signore, non sono degno”, aveva replicato Nordio. “Sono ovviamente lusingato che sia stato fatto il mio nome”. Ma anche aggiunto di essere “portatore di cultura giuridica. Se parliamo di politica, invece, solo sul piano teorico. Lo sanno tutti che non ho fatto neanche il consigliere comunale“. A piacere a destra molti dei suoi interventi. Ad esempio, dopo gli attentati di Parigi del 2015, propose di vietare il velo a Venezia per prevenire atti di terrorismo.
Quest’estate ha inoltre sottoscritto i referendum della Giustizia voluti dal centrodestra e, dopo l’attacco alla sede della Cgil, si è schierato contro lo scioglimento di Forza Nuova. A giugno scorso invece, audito in Senato per parlare del ddl Zan contro l’omotransfobia, ribadì un argomento caro ai difensori della cosiddetta “famiglia tradizionale”: ovvero disse che la pedofilia è “un orientamento sessuale”.
La frase controversa (e falsa) che fece discutere fu: “Se una persona dicesse ‘io i pedofili li metterei tutti al muro’, sarebbe incriminabile in base al ddl Zan, perché la pedofilia è un orientamento sessuale. È un orientamento perverso, ma noi sappiamo che non c’è nulla di più volatile della concezione del sesso che noi abbiamo”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
“LA VERA ALTERNATIVA SAREBBE RICCARDI, UN SOCIALDEMOCRATICO CHE HA DEDICATO LA SUA VITA AI POVERI“
Domenico De Masi, tra i sociologi del lavoro più accreditati in Italia e professore emerito alla Sapienza, non ha dubbi: se i tecnici o i politici candidati al Quirinale sono Mario Draghi o Pier Ferdinando Casini poco cambia. “Si tratta di profili fotocopia: tutti neoliberisti. L’unica vera alternativa potrebbe essere Andrea Riccardi, il fondatore della comunità Sant’Egidio, vero socialdemocratico”.
Professore come stanno gestendo la partita sul Quirinale i partiti?
“La stanno gestendo nell’unico modo in cui si può gestire. Essendo partiti, e dunque esprimendo una parte di opinioni, ognuno porta un’idea diversa. Dunque ognuno difende la sua idea che si concretizza in un nome diverso da quello proposto dagli altri. Quando si elegge un presidente della Repubblica dovrebbe essere eletto a maggioranza ma siccome in questo caso la maggioranza non c’è abbiamo una situazione di stallo. E dire che pure quando c’era si arrivò a 23 votazioni”.
Ma non solo i leader sono divisi anche all’interno dei partiti ci sono spaccature profonde.
“Questo perché i candidati sono tutti uguali. L’unico che si distingue è Riccardi. Gli altri profili sono tutti uguali, fotocopia l’uno dell’altro. Lo stesso Draghi è fotocopia di Giuliano Amato: sono tutti neoliberisti che si trovavano sul Britannia a discutere di privatizzazioni. Sono fungibili tra loro dunque non c’è un motivo per cui uno possa dire scegliamo questo e non l’altro”.
Si tratta di una crisi di leadership?
“Semplicemente non c’è varietà di pensiero. Tutti i pensieri convergono verso il neoliberismo. Non c’è più da battagliare perché sono tutti uguali. Andando al Colle farebbero tutti la stessa cosa. Con qualche sfumatura diversa ma la sostanza non cambierebbe”.
Si può parlare allora di crisi della democrazia?
Siamo all’iper democrazia. La democrazia fa emergere la realtà e la realtà è che tutti la pensano allo stesso modo. La crisi è nei media: siete voi nel pallone, non sapete che fare e che dire, costretti a ripetere sempre le stesse cose”.
Si parla di Draghi ma anche di Elisabetta Belloni a Palazzo Chigi, altro tecnico. C’è un commissariamento della politica?
“Ma no. Sono tutti uguali. Se i tecnici e i politici sono neoliberisti uno vale l’altro. Si equivalgono. Ma dove stanno i tecnici? Da dieci mesi non hanno fatto niente. Meno sicuramente del Governo precedente. Naturalmente sono trattati meglio dai giornali. Ho parlato con il direttore del Sole 24 Ore in un dibattito. E questi diceva che in Italia sta andando tutto in modo meraviglioso. Ma in che modo? Il deficit è alle stelle, lo spread è aumentato e abbiamo un milione di poveri in più. Dov’è che le cose vanno meglio? L’unica differenza, insisto, sarebbe tra Draghi e gli altri da una parte e Riccardi dall’altra. Tra i neoliberisti da una parte e un socialdemocratico dall’altra. In Italia il problema vero è l’aumento della povertà e uno che si è occupato di poveri per tutta la vita, che ha creato Sant’Egidio, è il candidato ideale. Se vincono candidati alla Draghi aumenteranno i ricchi, se vincesse Riccardi diminuirebbero i poveri”.
Dai giornali esteri, vedi il Financial Times, è arrivato un endorsement netto a Draghi.
“Scrivono tutti per conto di Draghi. È il gioco di una politica mediocre”.
Eppure il Ft come il Wall street journal temono che se Draghi andasse al Colle collasserebbe il Governo.
“Ma no, non collassa. Draghi dal Colle non lo permetterebbe. Se venisse siglato un accordo di Governo e se nell’esecutivo entrassero leader politici o persone di loro fiducia il Governo non cadrebbe. E non è detto che non finirà così. Oggi è tutto un peana a Draghi. Dal Foglio a Repubblica al Corriere: i poteri forti sono tutti con Draghi. E se non fosse Draghi ma Amato o Casini sarebbe uguale. L’unica differenza è tra un neoliberista e uno socialdemocratico, tra uno che ha alle spalle Mediobanca e la Fiat e un altro che ha dietro le forze popolari”.
A proporre Riccardi è stato il M5S.
“Se i pentastellati difenderanno fino in fondo Riccardi sarò con loro se voteranno Draghi o uno come lui faranno la fine di tutti gli altri partiti”.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
LA STOCCATA A SALVINI
“Alla fine faranno il nome di Draghi e tutti convergeranno su di lui”. Parola di Umberto Bossi.
E chi sarà il prossimo presidente del Consiglio? “Potrebbe spuntarla Giorgetti”, ha detto ancora il Senatur. “Lui è sempre riservato, sempre un passo indietro. Ci sono invece dei momenti in cui bisogna farsi avanti e prendere dei rischi. Questo è uno di quei momenti” aggiunge Bossi parlando ancora di Giorgetti.
Bossi sottolinea che “Giorgetti è cugino di Ponzellini ed è molto amico da anni di Draghi. Ponzellini è un generoso. Ricordo che è sempre stato disponibile per le emergenze e le questioni sociali”.
“Alla fine, ma solo alla fine, faranno il nome di Draghi…” ribadisce poi Bossi tra un selfie e l’altro.
Per il Quirinale, aveva detto anche ieri Bossi a margine della prima votazione, “ci sono ancora tanti nomi spendibili” e Mario Draghi “è una delle carte, ma semmai uscirà più in là”.
Il senatur sembra dubbioso sull’opzione Pier Ferdinando Casini, perché “probabilmente non riesce”.
Come sta giocando questa partita Matteo Salvini? “Non rispondo”, taglia corto il fondatore della Lega.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
USCITO DI SCENA BERLUSCONI ORA LA RESA DEI CONTI TRA IL DUO TAJANI-RONZULLI E IL TRIO CARFAGNA-BRUNETTA-GELMINI
Un’esplosione in piena regola, solo momentaneamente congelata dall’elezione del Presidente della Repubblica. Forza Italia, dopo la rinuncia del Cav alla candidatura che di fatto – salvo sorprese – è letta come la sua uscita dalla scena politica, vive con travaglio non solo la votazione per il Quirinale.
Le nubi che si addensano all’orizzonte riguardano infatti il futuro stesso del partito. Molti parlamentari si sentono di fronte a un bivio: o cambiare casacca, abbracciando altre formazioni – al centro Coraggio Italia e Italia viva, e a destra, la Lega e Fratelli d’Italia – o essere leali se non al Cav almeno al suo progetto.
A oggi è impensabile pensare che vari dirigenti, da Licia Ronzulli ad Alessandro Cattaneo, possano lasciare la nave. Stessa posizione della presidente dei senatori, Anna Maria Bernini, e dell’ex ministro Maurizio Gasparri, così come il senatore, ex amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. Una pattuglia di inflessibili fedelissimi.
Altri probabilmente resteranno allineati alla leadership, ma sulla base di valutazioni politiche. Fatto sta che la rinuncia al Colle di Silvio Berlusconi ha sortito l’effetto di un Big Bang. Nulla sarà più come prima: è una certezza che si consolida col passare delle ore. Anche perché il leader è stanco e alle prese con problemi di salute, confermati dal nuovo controllo al San Raffaele di Milano dove l’ex premier passerà anche questa notte. –
«Non è il momento di parlare di queste cose», spiega un deputato forzista a Tag43. Ammettendo, però, «che dopo bisognerà capire cosa fare». Una frase generica che apre tutti gli scenari: Forza Italia rischia di non sopravvivere al fallito assalto di Berlusconi al Quirinale. «Si ragionerà su tutto», si ribadisce. Su alleanze e ovviamente destini personali. Quindi anche sull’organizzazione interna, sulla guida azzurra. Chissà se davvero ci sarà il passaggio di testimone, tante volte annunciato ma mai attuato. Ne sanno qualcosa Angelino Alfano e Giovanni Toti, per dirne due.
Il duo Ronzulli-Tajani nel mirino
I malumori sono tutti rivolti nei confronti di Antonio Tajani, attuale coordinatore del partito, ed emanazione del leader, tanto che lo avrebbe addirittura inserito nella rosa dei quirinabili. Un gesto di riconoscenza per la totale fedeltà nei suoi confronti. Tuttavia, lo scenario è altamente improbabile, per non dire impossibile: Tajani dovrebbe fronteggiare i franchi tiratori pure in Forza Italia, dove conta più di qualche avversario. La prima fiammata era arrivata nei mesi scorsi, in concomitanza dell’elezione del capogruppo alla Camera. Alla fine l’ha spuntata Paolo Barelli, fedelissimo di Tajani, sconfiggendo l’ala governativa, che aveva puntato su Sestino Giacomoni con la benedizione delle ministra Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Il bis è atteso dopo l’elezione del Presidente della Repubblica.
Le mire di Coraggio Italia sugli Azzurri e la tentazione di grande centro
Insomma, il duo Ronzulli-Tajani ha attirato le critiche dei grandi elettori azzurri. «La partita è stata gestita male, fin dall’inizio», è la sintesi consegnata a Tag43. Ovviamente nessuno si sogna di muovere una critica a Berlusconi. Resta un intoccabile per tutti: «Il presidente ha combattuto come un leone, con la sua solita tempra, compiendo un gesto generoso con la rinuncia», è il mantra.
Ma al netto delle frasi di circostanza, si scorge all’orizzonte la preoccupazione per il futuro del partito e di chi ne fa parte.
«Diciamo che gli ingressi dei senatori Saverio De Bonis e Silvia Vono (che hanno aderito a Forza Italia pochi giorni fa, ndr) potrebbero essere gli ultimi in entrata», osserva un esponente di Coraggio Italia, il partito della coppia Toti-Brugnaro, spettatore interessato alla vicenda interna agli azzurri.
La previsione è che i movimenti potrebbero esserci in uscita. Il naturale punto di approdo potrebbe essere proprio il neonato partito di Ci. O comunque si potrebbe ragionare sulla base di un’alleanza larga al centro.
«È tutto troppo prematuro», ribadisce un’altra fonte che si lascia sfuggire un sibillino, «dobbiamo capire se ci sarà una riforma della legge elettorale, come si dice, in senso proporzionale». Così si tornerebbe al punto di partenza: la spaccatura tra moderati, attratti dalle sirene del grande centro, e la tentazione di proseguire con la tradizionale alleanza di centrodestra, con Lega e Fratelli d’Italia.
(da Tag43)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
TIFO INCIVILE DI CIALTRONI TRANSALPINI A FAVORE DEL LORO TENNISTA, MA MATTEO NON HA MOLLATO MAI
“Non vi sento, non vi sento”, urlato più volte, sempre più forte, al pubblico degli Australian Open: si toglie diversi sassolini dalle scarpe, Matteo Berrettini, dopo aver battuto Gael Monfils ed essere ufficialmente entrato nella leggenda del tennis italiano come unico azzurro in semifinale a Melbourne.
Bersagliato di fischi e “buu” per tutta la gara, Berrettini è riuscito a prevalere di fronte a un pubblico ostile, tanto maleducato che l’arbitro è stato costretto a interrompere il match per richiamarlo e farlo allontanare.
Anche nel corso dell’intervista post match, qualcuno dagli spalti di Melbourne gli ha urlato degli insulti incomprensibili, che hanno provocato la reazione del resto del pubblico
Berrettini ha zittito tutti con il suo urlo liberatorio al termine di un match tiratissimo. Il 25enne romano, numero 7 del mondo e del seeding, ha sconfitto il 35enne francese Gael Monfils, numero 20 del ranking Atp e 17 del tabellone, con il punteggio di 6-4, 6-4, 3-6, 3-6, 6-2 dopo tre ore e 49 minuti.
Berrettini affronterà in semifinale il 35enne spagnolo Rafael Nadal, numero 5 del mondo e sesta testa di serie. Negli ultimi quattro Slam Berrettini ha perso solo tre partite contro Novak Djokovic. La semifinale con Nadal sarà la rivincita della semifinale agli US Open del 2019, vinta dallo spagnolo in tre set e unico precedente tra i due.
(da Open)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
PRIMO TENNISTA ITALIANO NELLA STORIA
Epico. Eroico. Leggendario. Scegliete voi le definizioni. Matteo Berrettini ha appena compiuto un’impresa straordinaria superando il francese Gael Monfils al quinto set di un match infinito. 3 set a 2, questo il punteggio finale che consegna Berrettini alle semifinali degli Australian Open, dove troverà Rafa Nadal, e lo proietta sempre di più nella storia del tennis italiano.
Dopo aver vinto il primo set da fenomeno (6-4) e il secondo di talento e forza mentale, Berrettini ha subito il prepotente ritorno di Monfils, che si è aggiudicato il terzo e il quarto parziale.
Quando sembrava non aver più benzina, Berrettini ha tirato fuori energie che neanche sapeva di avere, conquistando subito due break nel quinto, portando a casa il match più importante della sua carriera dopo la semifinale vinta con Hurcacz a Wimbledon nel luglio scorso.
Forse più ancora di quella, per il livello espresso
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
NESSUNO PUO’ OBBLIGARLO A SOPPORTARE LE CONDIZIONI DI UN SEQUESTRATORE DI PERSONE
Il premier Mario Draghi tratta per il Quirinale. Ma fa sapere che al governo non resterà ad ogni costo: «Lo farò solo se potrò lavorare per raggiungere gli obiettivi». Ma la trattativa più difficile è quella per il governo che verrà.
Perché per mandare Draghi al Colle il centrodestra vuole un esecutivo con i leader tra i ministri. E l’ex presidente della Banca Centrale Europea non vuole (e nemmeno può) dare queste garanzie. Intanto Matteo Salvini è tentato dalla prova di forza. E propone il nome del presidente del Consiglio di Stato ed ex ministro Franco Frattini. Così, mentre la prima giornata di voto per il Colle si chiude con 672 schede bianche, la partita si fa sempre più incerta.
«Cosa volete che faccia?», ha detto ieri Draghi durante gli incontri con i leader dei partiti. Ma ha anche aggiunto altro, specificando che non ha intenzione di rimanere al governo ad ogni costo: «Lo farò se avrò la possibilità di lavorare per raggiungere gli obiettivi prefissati».
Un Whatever it takes rivolto però alla politica e non ai mercati: SuperMario è deciso, quello del Quirinale costituirà un punto di svolta. Se va al Quirinale, non vuole mettersi con il bilancino a far nascere un governo che accontenti i leader di partito per poi rimanere immobile fino alla fine della legislatura. Se rimane a Palazzo Chigi, d’ora in poi più decisioni e meno trattative infinite con i capidelegazione.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2022 Riccardo Fucile
“SERVE UN CANDIDATO EUROPEISTA E ATLANTISTA“
Inizieranno alle 15 le votazioni in Parlamento per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. L’orario è stato confermato al primo pomeriggio per permettere ai grandi elettori di partecipare in mattinata ai funerali del deputato di Forza Italia Vincenzo Fasano, deceduto la sera del 23 gennaio, domani invece si voterà a partire dalle 11. Dopo una prima giornata all’insegna delle schede bianche, oggi continuano i movimenti politici per trattare sul nome. Il centrodestra ha fatto sapere che nel pomeriggio presenterà una rosa di candidati: secondo quanto si apprende, sono in corso in queste ore contatti tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani con gli altri della coalizione.Alle 10 è iniziato l’incontro del segretario della Lega Matteo Salvini con i gruppi parlamentari e i delegati regionali del suo partito, durato all’incirca un’ora e conclusosi con una standing ovation per Umberto Bossi. Salvini ha ringraziato pubblicamente l’ex leader della Lega Nord, che per partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica è arrivato da Varese in macchina.
La Lega ha dichiarato che non sono in corso trattative con Mario Draghi, che in questi giorni è a colloquio con i partiti: il segretario leghista ha fatto il nome del presidente del Consiglio di Stato ed ex ministro Franco Frattini come nome di coalizione.
Ma la situazione non sembra essere delle più favorevoli per lui: il candidato del centrodestra ha una posizione russofila, e questo potrebbe danneggiare la sua corsa in un momento in cui la crisi in Ucraina impone un’attenzione particolare al tema. Intanto, Fratelli d’Italia ribadisce di voler, a prescindere da tutto, tornare alle urne per rifare il governo. Il capogruppo del partito al Senato, Luca Cirinai, ha detto di avere votato nel primo giorno «scheda bianca come da indicazione del gruppo», in attesa di «capire quale equilibrio politico si sta costruendo».
Il no di Letta e Renzi a Frattini
Alla proposta di Frattini arriva il no di Enrico Letta e Matteo Renzi: il profilo non è ben visto né da Italia viva né dal Partito democratico, come si apprende da fonti da entrambe le parti. L’opinione condivisa è che in una fase delicata per la crisi Ucraina serva un profilo di presidente della Repubblica «europeista e atlantista» – aggettivi con cui si era definito Draghi durante il suo discorso di insediamento alle Camere.
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