Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
SARANNO GLI ARBITRI DELLA CORSA AL QUIRINALE, SONO LA NOSTRA MANO DE DIOS
Nel IX cerchio dell’Inferno parlamentare s’incontrano i “voltagabbana”, denominati anche “saltafossi”, che il popolo elegge con una certa casacca (per esempio quella dei Cinque stelle) e poi nel corso della carriera cambiano maglia come un Edin Džeko o un Hakan Çalhanoğlu.
Su di loro si abbatterà la punizione dei nuovi Regolamenti di Camera e Senato, che prevedono sostanziosi tagli alla paga dei “cani sciolti”: così impareranno a tradire la fiducia di chi ce li ha messi.
Ma ancora peggio dei “voltagabbana”, e addirittura più in basso nel girone infernale della politica, sono senza dubbio i “franchi tiratori”.
A differenza di quegli altri, questi vigliacchi non hanno nemmeno il coraggio di venire allo scoperto. Si mimetizzano, agiscono nella penombra, spuntano come guerriglieri dalla giungla.
Infidi perché potrebbero essere chiunque, compreso quel deputato o senatore che ti ha appena dato una pacca sulle spalle; sleali, in quanto smascherarli è tempo perso; irresponsabili, poiché se ne infischiano dei rispettivi leader; inoltre perfidi, beffardi, vendicativi. Personaggi squallidi, però protetti dalla Costituzione che tutti consideriamo la più bella del mondo.
All’articolo 83 prevede che l’elezione del presidente della Repubblica abbia luogo “per scrutinio segreto”. Col risultato che dalla quarta votazione in poi, quando basterà la maggioranza assoluta per eleggere il successore di Mattarella, ogni candidatura sarà esposta al fuoco dei francs-tireurs come li chiamano in Francia. Piaccia o meno, saranno i veri arbitri della corsa al Quirinale.
Prepariamoci dunque a riascoltare i soliti piagnistei, le manifestazioni di sdegno, le demonizzazioni di questi loschi figuri. Si ripetono ogni volta sempre uguali (dopo i “centouno” che nel 2013 fecero fuori Romano Prodi, dopo gli ottanta che nel 1992 accopparono Arnaldo Forlani, dopo i sessanta su cui nel 1971 inciampò Amintore Fanfani) e francamente hanno un po’ stancato.
Sarebbe ora semmai di cogliere certi altri aspetti più positivi, dei quali poco si parla. Intanto cambiamogli nome.
Chiamiamoli d’ora in avanti “liberi pensatori” che esercitano il diritto di scegliere con la propria testa, e già suona meglio.
Se tutti fossero costretti a comportarsi come desiderano i leader, tanto varrebbe dar retta a Berlusconi che quando era premier proponeva di far votare soltanto i capigruppo e mandare a casa 900 parlamentari, risparmiando tempo e denaro.
L’idea che, per onorare il mandato, i portavoce del popolo debbano intrupparsi come soldati può venire giusto a qualche grillino. Li mandiamo a rappresentarci, non a prendere ordini dal capetto di turno. Meglio un tot di anarchia che la tranquillità dei regimi. Abbasso i servi sciocchi e viva i “franchi tiratori”.
Ma c’è dell’altro. La loro minacciosa presenza sarà una spada di Damocle; terrà sulla corda i vari Conte, Letta, Salvini e Meloni; li costringerà a tendere l’orecchio verso la base parlamentare, a trattare con rispetto i cosiddetti “peones”, ad astenersi da inutili prepotenze per non venire smentiti nel voto segreto, con conseguente perdita di credibilità come boss. La scelta del nuovo presidente sarà meno “cosa loro”. Più partecipata e persuasiva.
Ulteriore vantaggio: se ci saranno nodi da sciogliere, questioni da affrontare, i nostri grandi strateghi dovranno provvedervi in anticipo senza rinvii.
Sulla durata del governo, per dirne una: spostare Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale rifiutando di chiarire chi prenderebbe il posto da premier significherebbe esporre Super Mario al fuoco concentrico dei “franchi tiratori”. I quali sono mossi da pulsioni poco encomiabili (salvare l’indennità da 12mila euro netti al mese e, trascinando la legislatura fino all’autunno, conquistarsi il diritto alla pensione); ma a modo loro quei sedicenti onorevoli tutelano un interesse generale, che consiste nel rispettare gli impegni con l’Europa e nell’incassare i miliardi del Recovery Fund.
Oltre a difendere la stabilità, i “liberi pensatori” possono toglierci le castagne dal fuoco. Meloni e Salvini non sanno come frenare la candidatura di Berlusconi, il quale li ricatta e pretende di correre a ogni costo? Niente paura, sguinzaglieranno frotte di “franchi tiratori” che, come gli sciacalli e le iene nella savana, possono svolgere una funzione ecologica fondamentale.
Altro esempio: Letta e Conte indicano per il Colle figure nobili ma del tutto inadatte al ruolo? Tranquilli, anche in questo caso ci sono i “liberi pensatori” pronti a scattare in azione.
Per queste malefatte li copriranno di insulti; le coscienze morali esprimeranno sdegno; i capi-partito daranno loro una caccia forsennata; magari studieranno qualche nuovo trucco per confiscare la libertà di voto.
Ma sono l’ultima risorsa di un sistema allo sbando, un dono della Provvidenza, la nostra “mano de Dios”. E non li ringrazieremo abbastanza del loro sporco lavoro.
(da Huffingtronpost)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
SOLO DEI FOLLI POSSONO INSISTERE SULLA SCUOLA IN PRESENZA CON IL LIVELLO DI CONTAGIO IN ITALIA
A quanto pare non basta l’allarme lanciato da presidi, sindacati e Regioni sul tema del rientro nelle scuole e dei rischi legati all’aumento dei contagi: ora arriva anche l’appello degli studenti stessi che devono ritornare in classe il 10 gennaio ma che a gran voce chiedono la didattica a distanza.
Un sondaggio lanciato il 5 gennaio dalla 17enne Martina Toma, rappresentante d’istituto del liceo linguistico Ettore Palumbo di Brindisi, ha raggiunto in pochissime ore molti colleghi in ogni parte d’Italia attraverso il passaparola e grazie alla rete dei Rappresentanti di istituto della community ScuolaZoo. Finora hanno risposto in 325mila, il 92% dei quali, circa 300mila, si è detto favorevole alla Dad.
“Un anno fa avremmo preferito tornare a scuola in presenza, ma siamo rimasti a casa per il bene comune”, spiega Martina alla redazione del Ilfattoquotidiano.it.
Per quanto riguarda i trasporti, spiega che “gli studenti degli istituti superiori di secondo grado sono in gran numero pendolari, e utilizzano i mezzi pubblici per raggiungere le sedi”.
Un tema di rilievo, dato che a causa dell’aumento dei contagi le aziende di trasporto locale e ferroviario hanno intenzione di tagliare treni e corse per mancanza di addetti. A fare paura è anche il rischio di “portare il Covid a casa”, continua Martina, perché significa “mettere a rischio i soggetti più fragili, e a repentaglio il lavoro dei genitori”. “Torniamo a scuola con preoccupazione e delusione: preoccupazione per noi stessi e delusione per non essere stati ascoltati. Anche i medici stanno suggerendo di chiudere le scuole perché sarà una carneficina: se non ascoltano i medici, non ascoltano i presidi, non ascoltano noi, su quali basi vengono prese le decisioni?“. “Non siamo stati ascoltati – conclude – nemmeno in una situazione di così grande rilievo, ma non abbiamo intenzione di rimanere in silenzio“.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
“DOVREMO CONVIVERE CON OMICRON“
Il professor Guido Rasi, immunologo ex Ema e consulente del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, in un’intervista rilasciata oggi a La Stampa fa il punto della situazione sulla pandemia e sulla risposta del governo. Partendo dall’obbligo vaccinale, che però non servirà per fermare la quarta ondata: «Per questa è tardi. L’obbligo nasce per Delta, che tuttora occupa l’80 per cento delle terapie intensive con persone che avrebbero dovuto vaccinarsi».
Mentre il professore non è convinto che Omicron porterà all’immunità di gregge, come ha pronosticato ieri Matteo Bassetti: «Con tante varianti è difficile parlare di immunità di gregge, certo chi si contagerà resterà immune per un determinato tempo. Detto questo, conviene vaccinarsi con tre dosi».
E poi? «Tra vaccinati e guariti andremo verso l’endemizzazione del virus fino alla prossima variante. Se Omicron rimanesse dominante la situazione si stabilizzerebbe, ma lo pensavamo anche per Delta».
Per Rasi i vaccini «sono spettacolari perché contrastano bene la malattia e in parte anche il contagio. Trattandosi di un virus aereo non è scontato. Non dimentichiamo che all’epoca ci saremmo accontentati del 50 per cento di efficacia, come per gli antinfluenzali».
E non è vero che “durano poco”: «La memoria immunologica dura a lungo e protegge dalla malattia. È la protezione dal contagio che diminuisce e va rinforzata spesso. Difficilmente si troverà un vaccino più efficiente per un virus respiratorio. Si potrebbe sperimentare con un vaccino spray seguito da uno a iniezione per unire l’immunizzazione locale a quella generale. O sperare che con tanti vaccinati il virus finisca ai margini». Riguardo i richiami ogni cinque mesi, infine, «dopo la terza dose servirà una riflessione molto seria alla luce delle varianti, del livello del contagio e della nostra immunità».
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
“MORTI EVITABILI SE SI VACCINASSERO“
«Nei prossimi 30 giorni, stando ai ritmi attuali, avremo 2.500 morti tra le persone non vaccinate contro il Covid. Per questo continuo a dire che non vaccinarsi è come andare in moto a folle velocità senza casco».
A dirlo è il professor Sergio Abrignani, immunologo dell’Università degli studi di Milano e membro del Cts, ai microfoni di Caffè della domenica di Maria Latella su Radio 24.
Il professor Abrignani osserva infatti che attualmente «nella popolazione over 50, per la quale domani scatterà l’obbligo vaccinale, ci sono oltre 2,2 milioni persone non vaccinate». E la loro mancata vaccinazione ha un impatto pesantissimo sulla pressione ospedaliera.
«I non vaccinati – spiega ancora il professor Abrignani – contribuiscono al 75 per cento dei ricoveri in terapia intensiva e al 60 per cento dei decessi per Covid». E guardando ai dati degli ultimi 10 giorni, il professor Abrignani osserva: «Abbiamo avuto una media di 160 morti al giorno, di cui 85 – 90 non vaccinati: sono morti che potevano essere evitate».
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’INFEZIONE DA COVID NON E’ UNA MOTIVAZIONE PER OTTENERE ESENZIONE MEDICA
Per il governo australiano l’infezione da Covid non è una motivazione sufficiente per ottenere l’esenzione medica e Novak Djokovic non ha fornito ulteriori prove evidenti di controindicazione al vaccino.
Il campione serbo non può dunque entrare nel Paese né prendere parte agli Australian Open, e indipendentemente dal giudizio del Tribunale chiamato ad esprimersi sull’annullamento del visto, è competenza del Governo la scelta di non far entrare in Australia Djokovic.
Alla vigilia dell’udienza di questa notte, è questa la posizione dell’esecutivo australiano, contenuta nella risposta che sarà portata in udienza.
A poche ore dall’udienza sulla validità o meno della certificazione anti covid del giocatore serbo per entrare in Australia e partecipare agli Australian Open, il tribunale di Melbourne ha pubblicato la risposta che il governo australiano porterà in aula, nella quale gli avvocati del governo australiano sottolineano il fatto che il campione serbo “non è vaccinato”
Come si legge al punto 64, non esistono garanzie di ingresso da parte di un non cittadino australiano nel Pese. Esistono infatti criteri per l’ingresso e ragioni per cui il visto può essere annullato o rifiutato: il Ministro dell’Interno ha il potere di verificare le prove e di cancellare il visto.
In conclusione, si legge nel documento, la domanda di Novak Djokovic deve essere rifiutata.
In un altro passo importante del documento il Governo ribadisce la propria facoltà di annullare il visto anche nel caso in cui il tribunale desse ragione a Djokovic e revocasse la prima cancellazione del visto. Questo perché “l’Australia, in quanto paese sovrano, mantiene la massima discrezionalità su chi lascia entrare nel suo Paese”.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
STOP A 550 CORSE
Sono 180 i treni regionali di Trenitalia, pari al 3% dell’offerta locale, che saranno cancellati a partire da domani per la riorganizzazione del servizio dovuta alla diffusione dei contagi Omicron, mentre complessivamente – tra cancellazioni e sostituzioni con autobus – saranno 550 le corse interessate, pari al 9% del trasporto regionale.
Lo spiega il gruppo Fs sottolineando che da domani Trenitalia riorganizzerà i collegamenti regionali e le Frecce, con cancellazioni pianificate, “quanto più possibile contenute nei numeri e, soprattutto, mirate alle fasce orarie di minore affluenza”.
Trenitalia assicura l’impegno ad affrontare l’aumento dei contagi da Covid-19 attraverso “azioni volte a contenere il loro inevitabile riflesso sulla regolarità dei servizi ferroviari, in ambito sia regionale sia nazionale”, aggiungendo che restano regolari al momento Intercity Giorno e Notte.
Per quanto riguarda il trasporto regionale i provvedimenti introdotti, assunti d’intesa con le singole Regioni committenti del servizio, comporteranno mediamente una diminuzione del 3% dell’offerta ordinaria. Perché, a fronte di una cancellazione media del 9% di corse ferroviarie, un’ampia parte di esse sarà sostituita da corse su strada con autobus. La riprogrammazione non riguarderà le fasce orarie pendolari e i collegamenti maggiormente utilizzati dagli studenti, che saranno salvaguardati, spiega in dettaglio la società.
Saranno cancellate o sostituite con autobus le corse che presentano un’alternativa con partenza ravvicinata. I passeggeri delle Frecce che hanno prenotato in questi giorni vengono informati dei cambiamenti in atto via sms e mail o direttamente dal personale di assistenza presente nelle stazioni.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL GIORNALISTA
In attesa di ascoltare finalmente, domani, la voce di Mario Draghi, poniamoci qualche domanda sull’indispensabile qualità dell’azione di governo. A maggior ragione di fronte al dilagare della quarta ondata del virus e a poche ore dalla contestata riapertura delle scuole. Non c’è dubbio che il buon senso (ce n’è ancora?) consiglierebbe, in uno stato di grave emergenza, di lasciare tra il Quirinale e Palazzo Chigi le cose come stanno. Un’opinione del tutto personale (già scritta sul Corriere all’inizio del semestre bianco).
E non c’è dubbio che dal momento in cui è emersa l’autorevole candidatura del premier alla presidenza della Repubblica, l’esecutivo si sia indebolito e la maggioranza di fatto lacerata. E andrà ricomposta (con quale perimetro?) alla luce dell’esito quanto mai incerto dell’elezione presidenziale. Le forze politiche sono inevitabilmente concentrate sulla scadenza elettorale del 2023, dalla quale dipende il loro peso specifico e persino, in qualche caso, la stessa esistenza. Ma il destino del Paese è assai più importante ed è legato a un’altra data.
Entro il 2026 andranno realizzati tutti gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Un Piano che non è praticamente già fatto, come qualcuno pensa, ma tutto ancora da completare. Non usiamo l’espressione «mettere a terra» i tanti vitali progetti per l’ammodernamento del Paese – da definire entro il 2023 – perché temiamo che qualcosa sia già stato «messo a terra» malamente. Nel senso di buttato via. Se falliremo, avremo perso l’ultima grande occasione per far ritornare l’Italia su un percorso di crescita stabile, in una dimensione economica e civile più giusta e inclusiva.
E saremo esposti alle estreme difficoltà di gestire un enorme debito con tassi crescenti e la progressiva fine degli acquisti della Banca centrale europea. Uno scenario da incubo che – se siamo seri e responsabili soprattutto verso i giovani – non va rimosso. Dunque, in un titolo: salvate il Pnrr! Salvatelo dalla ricerca del consenso per le elezioni del 2023. E per farlo occorre che nel 2022 ci sia un governo il più possibile forte, autorevole, e non un esecutivo di passaggio (una volta si sarebbe detto balneare) in grado solo di portare ordinatamente l’Italia al voto
Una sorta di minimo comune denominatore della politica. Nei giorni scorsi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, ha diffuso un documento ( Relazione sul monitoraggio dei provvedimenti attuativi del governo) che riassume l’attività legislativa dell’esecutivo dal 13 febbraio al 31 dicembre del 2021. E testimonia il grande lavoro svolto, largamente superiore a quello dei governi precedenti. Sono stati 357 i provvedimenti legislativi approvati per far fronte a una «doppia emergenza sanitaria ed economica».
Ma il dato più significativo è nella capacità di dare attuazione a ciò che si decide, che spesso resta sulla carta o vaga in una sorta di limbo amministrativo. Il governo Draghi ha una percentuale di adozione di provvedimenti attuativi del 57 per cento contro il 18,9 del Conte 2 e il 18,2 del Conte 1. In più ha abbattuto del 60 per cento (da 679 a 271) l’arretrato di decreti attuativi ereditato nel corso della legislatura. La governance del Pnrr è strettamente legata all’efficienza amministrativa. Molti dei 51 obiettivi già conseguiti ne sono la diretta conseguenza.
Ma molto dipende anche dalla credibilità personale in Europa del premier e, di conseguenza, del suo governo. E dall’approvazione di alcune riforme indispensabili per l’erogazione regolare dei fondi (esempio la disciplina della concorrenza e il codice degli appalti). È vero che il governo ha creato una struttura per la governance del Pnrr protetta da qualsiasi tentazione di spoils system . Un nuovo esecutivo non potrebbe cambiarne la composizione solo per ragioni politiche. Ma è altrettanto vero che sarà necessario, per assicurare la realizzazione dei progetti, fare ricorso ai «poteri sostitutivi», cioè commissariare se necessario gli enti attuatori, Regioni e Comuni.
E questo lo potrà fare solo un esecutivo autorevole, in grado di andare contro logiche crescenti di puro consenso territoriale e la resistenza della burocrazia, direttamente proporzionale alla debolezza governativa.
Nel frattempo, si moltiplicano le richieste di modifiche significative da parte delle Regioni. Il presidente della Sicilia, Nello Musumeci, ha già messo le mani avanti sull’incapacità della Regioni di rispettare programmi e tempi. Il suo collega presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, ha scritto al presidente del Consiglio chiedendo la revisione dei criteri stabiliti nel Pnrr per le opere strategiche.
Nel 2022 sarà possibile per ogni Paese beneficiario – ed è questo un aspetto finora trascurato dell’intera architettura del Next Generation Eu – correggere il tiro su alcuni progetti del Piano, cioè apportare integrazioni migliorative. Lo si potrà fare in una logica di grande responsabilità nazionale, con più attenzione al ritorno futuro degli investimenti.
Oppure con uno sguardo più rivolto ai vantaggi immediati, alle aspettative delle varie corporazioni, e ovviamente alle ormai vicine elezioni. Un po’ com’ è avvenuto con la legge di Bilancio di quest’ anno che Draghi, in veste di governatore della Banca d’Italia o di presidente della Bce, avrebbe certamente trovato motivo e occasione per criticare.
(dal Corriere della Sera)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
EFFETTO COVID, TANTI GETTANO LA SPUGNA E VANNO IN PENSIONE CREANDO UNA VORAGINE
Capita sempre più spesso e ovunque, in Lombardia o in Sicilia. Cerchi il medico di famiglia e non lo trovi: risponde la segreteria telefonica. Poi, ecco che pochi giorni dopo arriva la mail dall’azienda sanitaria.
Ti comunica che il tuo medico è andato in pensione e ti invita a sceglierne un altro. Potrebbe (e dovrebbe) essere normale routine di avvicendamento, ma non è così. Non da due anni a questa parte, non con una pandemia in corso. Perché adesso chi può scappa, cerca lo scivolo più veloce verso la pensione. E i sostituti non ci sono. È così da tempo, solo che ora la bomba è esplosa.
Dieci anni fa i medici di famiglia in Italia erano 46 mila. Lo scorso anno erano già scesi a poco più di 42 mila, uno ogni 1.400 abitanti circa, almeno tremila in meno di quanti dovrebbero essere: e la stima è anche sottodimensionata. Eppure – lo abbiamo imparato a spese di tutti, specie dall’inizio della pandemia – dovrebbero essere il primo presidio sanitario sul territorio, con una funzione di filtro tra i cittadini, gli specialisti e gli ospedali.
La loro distribuzione sul territorio nazionale riflette solo in parte la densità abitativa. Si va dagli appena 82 della Valle D’Aosta ai circa 6mila della Lombardia. Perché, come al solito, le differenze sono anche il frutto degli investimenti delle varie Regioni sulla medicina territoriale.
Per esempio: Puglia ed Emilia-Romagna hanno più o meno lo stesso numero di abitanti, ma nella prima i medici di base sono oltre 3.200, nella seconda si fermano a poco più di 2.900.
Ogni medico di famiglia potrebbe avere un massimo di 1.500 assistiti. Ma in virtù di vecchi accordi nazionali questo tetto può essere anche superato. E, ancora una volta, le difformità tra le regioni sono macroscopiche.
Se nella provincia di Bolzano un medico di famiglia ha mediamente 1.583 pazienti, un suo collega del Molise ne ha 1.037. Solo che ora c’è chi ne ha anche oltre duemila di assistiti, concentrazioni che sono dovute proprio alle carenze di medici di base.
Già fragile prima dell’emergenza sanitaria, adesso la medicina territoriale rischia l’implosione.
“Due anni di Covid 19 l’hanno devastata”, conferma Claudio Cricelli, presidente della Società di medicina generale. Ma cosa sta succedendo? Semplicemente sono tantissimi quelli che stanno gettando la spugna o si apprestano a farlo anche anticipando il pensionamento, che di norma avviene intorno ai 70 anni.
I dati che arrivano da Enpam, l’ente di previdenza dei medici, sono impietosi. Nel 2021 sono andati in pensione 3.061 medici di famiglia. Nel 2022 getteranno la spugna altri 3.257. Più di 6.300 in due anni (si veda l’infografica accanto, ndr), senza un ricambio in grado di colmare la voragine.
In 24 mesi ne perderà oltre 700 la Campania, 452 l’Emilia-Romagna, 622 il Lazio, 687 la Lombardia, 526 la Puglia, 661 la Sicilia, 465 il Veneto. In Calabria se ne andranno in 234, in Sardegna in 212, in Toscana appenderanno il camice in 437. Queste sono alcune delle regioni che pagheranno il prezzo più alto. Tutte, chi più chi meno, dovranno comunque fare i conti con una emorragia che appare ormai inarrestabile. E a questi numeri vanno aggiunti quelli relativi alla continuità assistenziale e alla pediatria. Sempre in due anni andranno in pensione infatti 678 guardie mediche e 749 pediatri di libera scelta.
“Per i soli medici di famiglia stimiamo entro il 2025 circa 18 mila uscite”, spiega Filippo Anelli, presidente della FnomceO, la federazione degli Ordini dei medici. “E parliamo di una previsione al ribasso”, aggiunge Anelli.
Ma perché, a cosa si deve questa fuga verso la pensione?
“I medici di famiglia sono sfiniti”, spiega Cricelli. “Per capire è necessario fare un confronto con il resto d’Europa. Dopo un mese dall’inizio della pandemia il servizio sanitario inglese aveva già stanziato risorse per rinforzare la medicina generale. In Italia invece abbiamo mantenuto gli stessi numeri. Lo Stato, grazie anche a fondi straordinari, ha investito sugli ospedali, sulle terapie intensive. Ma nulla sulla medicina di base, che ha affrontato la pandemia già molto indebolita dagli errori commessi dal servizio sanitario, attraverso le Regioni, nella programmazione e nella determinazione dei fabbisogni formativi”.
Per formare un medico di medicina generale, dopo la laurea, ci vogliono tre anni. “Ma le borse di studio messe a disposizione sono sempre state ampiamente insufficienti”, prosegue Cricelli. Così la pandemia ha travolto tutto. La stragrande maggioranza dei contagiati non è ospedalizzata e l’assistenza ricade sui medici di famiglia, il cui carico di lavoro, dice Cricelli, “è moltiplicato di quattro volte”.
Ormai è un problema strutturale. “Dicevamo da anni che si sarebbe presentato questo scenario, ma lo Stato è rimasto a guardare”, osserva il vice presidente di Enpam, Luigi Galvano. Il ministero della Salute e le Regioni hanno cercato (tardivamente) di correre ai ripari. Ma la formazione richiede tempo. E in ogni caso, secondo gli addetti ai lavori, non è certo un bel segnale il fatto che il concorso di medicina generale per l’accesso alle borse di studio per il 2021 sia slittato a quest’anno.
“Gli errori di programmazione hanno portato a una situazione drammatica”, dice Anelli. “Maliziosamente c’è chi dice che in realtà le Regioni vogliano virare su un nuovo modello di medicina territoriale meno costoso, tagliando 30mila medici. Io credo invece che tutto ciò sia il frutto di sciatteria. Oggi il livello di burn-out dei medici di famiglia è spaventoso: il carico è aumentato notevolmente soprattutto perché i pazienti Covid devono essere monitorati costantemente. E non dobbiamo dimenticare che ci sono anche gli altri assistiti: il 40% della popolazione italiana è affetta da patologie croniche”.
Tanti medici di famiglia sono entrati in servizio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta e oggi ci sono due grandi gruppi: gli anziani e i giovani, la mezza età (i 50enni) è ormai ampiamente sotto rappresentata. Chi può sceglie, con un’altra conseguenza. “A desertificarsi sono le periferie, le aree più remote”, aggiunge Anelli. “Perché chi entra adesso piuttosto che andare in una valle montana opta per la città”. Con buona pace del famoso diritto universale alle cure.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 9th, 2022 Riccardo Fucile
OBIETTIVO 800 VOTI
Nei palazzi del potere capitolino stanno girando in queste ore di inizio weekend le voci più disparate: da quella che vorrebbe Mario Draghi pronto ad annunciare nella conferenza stampa di lunedì prossimo le proprie “dimissioni” dalla corsa per il Quirinale a quella che vorrebbe l’ex ministro nonché maestro di sci Franco Frattini pronto a scendere in campo per la corsa al colle.
Niente di più falso: Silvio Berlusconi a tutto pensa fuorché alla possibilità di lanciare l’attuale Presidente aggiunto del Consiglio di Stato alla presidenza della Repubblica così come Mario Draghi non ha nessuna intenzione di ritirarsi dalla corsa per il Quirinale.
D’altra parte, come ribadiscono fonti di Palazzo Chigi, la conferenza stampa di lunedì prossimo servirà solamente a fare il punto sulla questione covid e a null’altro. Nemmeno una parola verrà spesa per altre questioni.
La conferenza servirà per riannodare i fili della maggioranza di governo e per rimettere Palazzo Chigi in sintonia con il paese ma la partita Quirinale resterà fuori dalla discussione.
Certo, rimane l’amarezza per la situazione attuale del governo e per il fatto che certi ministri e certi leader di partito non perdano ogni occasione possibile per prendere le distanze dalle decisioni prese di comune accordo.
L’ex presidente BCE è rammaricato soprattutto per le prese di posizione di Pd e Lega che ogni volta, in occasione dei CDM, rischiano di mettere turbolenze nella già tumultuosa compagine governativa.
Soprattutto perché super Mario pensava e soprattutto sperava che su questioni di vitale importanza per il paese come la battaglia al covid non ci sarebbero state distinzioni politiche di sorta. Ma così non è stato tanto che le ultime settimane del governo Draghi cominciano a somigliare tremendamente alle “bandierine” del Conte 2.
Per quanto riguarda invece la sua ascesa al Quirinale, da Palazzo Chigi ostentano tranquillità: da tempo c’è un patto ben preciso con l’attuale inquilino del Colle.
Patto che molto difficilmente potrà essere incrinato dai capricci odierni dei partiti che comunque non sono in grado di accordarsi su nessuna alternativa credibile.
Inoltre, l’impegno preso durante la conferenza stampa di Natale di non sciogliere il Parlamento in caso andasse al Colle ha reso la strada più semplice. Persino gli errori e gli svarioni compiuti da Palazzo Chigi nelle scorse settimane potrebbero favorire la sua ascesa per il Quirinale, perché dimostrano che non è più il super Mario di prima e quindi spaventa meno i partiti che ora cominciano a credere di poter essere in grado di controllarlo.
Quindi ora è un presidente più debole che sta bene ai partiti. Ora però manca l’accordo sul nuovo governo che dovrà portare a termine la legislatura, e di questo, oltre agli sherpa di Mario Draghi se ne stanno già occupando in prima persona personaggi del calibro di Letta (zio e nipote), Salvini, Renzi e Conte: c’è chi lavora ad un premier tecnico e chi preferirebbe un premier politico.
Intanto gli uomini di Mario Draghi hanno già fissato l’asticella per l’elezione al soglio quirinalizio: l’obiettivo è prendere più di 800 voti a partire dalla quarta o (più probabilmente) dalla quinta votazione. La cosa dipenderà soltanto da quando “nonno” Berlusconi deciderà di farsi da parte.
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