Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
“NESSUNO MERITA LA SUFFICIENZA“
Tra i leader di partito e di coalizione che stanno gestendo l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica il peggiore di tutti a condurre le trattative è stato Matteo Salvini.
A dirlo all’AdnKronos è il direttore editoriale di Libero Vittorio Feltri secondo il quale, più in generale, “nessuno ha meritato la sufficienza” perché “non è che gli altri brillino”.
Feltri espone il suo punto di vista, evidenziando che il segretario della Lega “Salvini è stato il peggiore: lo dico io che pendo a destra e non certo a sinistra. Però le sue mosse sono quasi comiche. Mi dispiace dirlo ma è la verità”.
Non la manda a dire a nessuno, Feltri, che parlando degli altri esponenti politici, ha aggiunto: “Letta è inesistente, è come un portaombrelli. Chiunque passa di lì mette il suo ombrello e buonanotte. Conte si è dissolto da solo, poverino”.
Insomma, “nessuno ha meritato la sufficienza per usare un linguaggio scolastico e poi c’è qualcuno che si è segnalato per una particolare inabilità e pressappochismo. Complessivamente siamo di fronte a qualcosa che assomiglia ad una schifezza generale, questa è la verità. Si sapeva da sette anni che bisognava trovare un sostituto di Mattarella. Quindi in sette anni si poteva fare qualche riflessione. Invece – osserva Feltri – sono arrivati lì allo sbando e nessuno sa che cosa deve fare. Soprattutto, non riescono neanche a fare i conti per capire come sia possibile arrivare alla scelta di una persona che non sia ridicola. Non sono capaci neppure di giocare sotto il tavolo”.
Secondo Feltri, l’unico candidato possibile per il Colle fin dall’inizio della partita sarebbe dovuto essere Mario Draghi il quale, una volta diventato Presidente, avrebbe dovuto nominare un presidente del Consiglio “di sua fiducia. E’ chiaro – dice infatti – che la cosa che si doveva fare era prendere immediatamente Draghi e metterlo al Quirinale. Per il governo avrebbe scelto una persona di sua fiducia che sarebbe andata avanti nel segno della continuità con la sua politica.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
“LE CONDIZIONI IMPONGONO DI NON TIRARSI INDIETRO E SUPERANO LE PROSPETTIVE PERSONALI“
Ringrazia per la fiducia. E accetta il secondo incarico al Quirinale “per senso di responsabilità”.
È un discorso breve e asciutto quello che Sergio Mattarella pronuncia subito dopo la sua rielezione davanti ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, saliti al Colle per comunicargli l’esito della votazione del Parlamento
“Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati regionali – dice Mattarella in diretta streaming – per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili trascorsi per l’elezione della presidenza della Repubblica, nei giorni dell’emergenza che stiamo ancora attraversando, richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste considerazioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e devono prevalere su considerazioni e prospettive personali”.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
LA TEORICA DELLA SPALLATA E’ ANDATA A SCHIANTARSI
“Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato da Presidente della Repubblica. Non voglio crederci”. Già stamattina, non appena Salvini ha aperto al Mattarella bis, Giorgia Meloni si è fatta sentire.
“Sarei stupita se Mattarella accettasse la rielezione dopo aver fermamente e ripetutamente respinto questa ipotesi. Anche perché sappiamo tutti che il secondo mandato presidenziale non può diventare una prassi, forzando gli equilibri previsti dalla nostra Costituzione”, ha aggiunto.
Quando il bis si è concretizzato con il Capo dello Stato che si è “messo a disposizione”, ha riunito i grandi elettori del partito e poi ha annunciato: “Noi non lo voteremo, Fratelli d’Italia vota Carlo Nordio”, uno dei tre nomi della prima rosa del centrodestra.
Lanciando un durissimo attacco agli alleati: “Il centrodestra parlamentare non esiste più, credo debba avere rappresentanza. Bisogna rifondare il centrodestra daccapo per rispetto delle persone che vogliono cambiare, bisogna ripartire da capo e Fdi si assume questa responsabilità”, le sue parole.
Dalle sue parole è trapelata tutta la delusione per il comportamento di Salvini, che alla fine ha ceduto alla logica della maggioranza di governo evitando di continuare a forzare la mano su candidati di centrodestra: “Mi aspettavo atteggiamenti diversi da molte persone, mi aspettavo più coraggio e convinzione. Quello che mi fa impazzire è l’idea di rinunciare prima di cominciare. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, altri non ci hanno creduto”.
Meloni ha anche ricordato che “nell’ultima riunione del centrodestra l’unica cosa su cui eravamo tutti d’accordo era il no alla riconferma di Mattarella. Invece oggi scopro che le posizioni sono cambiate. Gli italiani giudicheranno, io non ho da giudicare nessuno. Posso rimanere delusa ma non dò giudizi”.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
LA SOLUZIONE PREFERITA ALL’ESTERO
Bingo. Ue, mercati, cancellerie straniere a cominciare dagli Usa hanno vinto la loro scommessa. La rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, la riconferma di Mario Draghi a capo del governo, la prosecuzione della legislatura è da sempre la soluzione preferita all’estero.
Cioè in quelle postazioni di comando dove l’Italia viene inquadrata come Stato importante, fondatore e irrinunciabile dell’Unione Europea, come partner strategico dell’Alleanza Atlantica e come paese debitore tra i più ‘inguaiati’ della zona euro, per un debito pubblico che, in rapporto al pil, superava di parecchio il 100 per cento già prima della pandemia e un’economia tutta da riformare. Lo status quo rassicura chi ci guarda da fuori, dove evidentemente non si aspettavano di più dal sistema politico italiano.
Ora la navigazione può continuare, con l’asse forte costruito da Draghi con Emmanuel Macron, sempre che vinca le presidenziali di aprile; con la messa a terra del Pnrr, anche se a giugno l’Ue potrebbe tagliarci le risorse ma solo perché l’economia va meglio delle previsioni; con la discussione sul futuro del Patto di stabilità, nella quale Draghi è protagonista della richiesta di rivedere le regole fiscali, insieme a Macron. Insomma, si può dire che continuerà la luna di miele che nell’ultimo anno l’Italia ha ben assaporato nei rapporti diplomatici con l’estero grazie a Draghi, personalità di peso internazionale indiscusso. Continuerà per un altro anno, fino alle elezioni nel 2023, poi si vedrà. Continuerà anche se i partiti hanno dimostrato che Draghi lo soffrono più che ‘amarlo’ e ora lo tollerano perché funzionale alla prosecuzione della legislatura.
Non è un caso che, nei mesi che hanno preceduto la settimana parlamentare italiana sull’ottovolante, quasi tutti gli spifferi arrivati dalle capitali estere e anche le dichiarazioni pubbliche di qualche commissario europeo hanno auspicato stabilità e continuità. Vale a dire: Draghi resti a Palazzo Chigi, si eviti di rompere il già precario equilibrio di governo che dovrà assicurare la prosecuzione del lavoro sul piano di ripresa e resilienza con l’uso dei fondi del Next Generation Eu (prossima tranche, a giugno).
Il commissario europeo al bilancio Johannes Hahn lo ha detto a chiare lettere in un’intervista a La Stampa: “Dal punto di vista della Commissione, abbiamo tutto l’interesse affinché la situazione continui così com’è oggi perché vorremmo che i soldi fossero ben spesi”.
Solo il Financial Times e le confessioni, in anonimato ma non smentite, di autorevoli fonti della Casa Bianca si sono sforzate di inquadrare anche la possibilità che Draghi venisse eletto alla presidenza della Repubblica. Con la considerazione di appendice: “Almeno lì durerebbe sette anni…”. Ma si tratta di voci rimaste in minoranza nel panorama internazionale.
Ha prevalso il ragionamento di corto raggio, all’estero e in Parlamento. Per una settimana i partiti hanno giocato a ‘battaglia Quirinale’ per poi tornare alla casella di partenza, dando conferma dei ‘sospetti’ europei sulla loro incapacità di eleggere nuovi punti di riferimento stabili.
Un anno di governo Draghi non è servito a far compiere passi in avanti al sistema politico, rimasto fermo dov’era.
Matteo Salvini continua a oscillare sull’eterno dilemma: governo o lotta, maggioranza o opposizione? Per un pelo il leader della Lega non si è ritrovato fuori da una rediviva maggioranza Ursula quando Forza Italia ha minacciato trattative autonome, dopo il ‘disastro Casellati’.
Per un attimo, non si è trovato fuori dalla ricostituzione in salsa tutta italiana della maggioranza europea che nel 2019 ha eletto Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue: Lega e sovranisti esclusi. Salvini è ancora in maggioranza al governo, insieme a Giorgetti chiede un incontro chiarificatore a Draghi, ma sono divagazioni per i media: la riconferma di Mattarella non è una vittoria per lui, lo ripaga solo dello sforzo di escludere Draghi dall’elezione quirinalizia. Questo sì.
Al di là di Salvini, è la marea montante di voti per Mattarella, ogni giorno di più e in perfetta autonomia dai leader, a confermare le previsioni europee. Sta nel tabellone dello scrutinio parlamentare la prova inconfutabile dell’incapacità di azione delle segreterie di partito, scavalcate da un’autogestione parlamentare tesa a conservare Mattarella al Quirinale e Draghi al governo al fine di conservare se stessa per un altro annetto fino a prossime elezioni. Motivazioni non proprio nobili, cucina decisamente di bassa politica.
È questo il sistema politico cui l’Europa è chiamata a rapportarsi quando deve avere a che fare con l’Italia. Certo, gli altri Stati non sono messi meglio. Anche i nordici, Olanda, Belgio e persino Germania, impiegano mesi a formare un governo, ormai da tempo, l’antico costume italico ha sfondato anche da loro. Ma non hanno dovuto chiamare il ‘papa straniero’ per farsi governare. Persino la Spagna, che è passata attraverso le maglie strette dell’austerity della troika, ha un politico al comando, il socialista Pedro Sanchez.
L’Italia si è affidata a Draghi. Ma la settimana appena passata conferma che nemmeno lui è in grado di domare l’istinto di auto-conservazione di un ‘ceto parlamentare’ consapevole di essere all’ultimo giro di boa, visto che nella prossima legislatura ci saranno ben 345 posti in meno tra Camera e Senato, per via della riforma approvata che riduce drasticamente il numero degli eletti. “Draghi è costretto a ritirare la propria candidatura”, scrive non a caso il tedesco Handelsblatt, mettendo nero su bianco la resa del premier il cui nome è sempre stato in campo, mai negato dal diretto interessato, mai ufficializzato però dai pochi che nei partiti lo sostenevano, a cominciare dal segretario del Pd Enrico Letta, in minoranza nella sua stessa coalizione e forse anche nel Pd.
È per questo che alla fine è lui, Draghi, a ‘sciogliere la riserva’. È il premier ad annunciare a Sergio Mattarella che c’è ancora bisogno di lui al Colle. L’ex governatore della Bce lo fa in mattinata, quando si reca al Quirinale per la cerimonia di giuramento del nuovo giudice costituzionale, Filippo Patroni Griffi. Premier e capo dello Stato parlano per mezz’ora per mettere da parte il piano A – Draghi al Colle – e attivare il piano B – Mattarella bis. Tutti ‘stesi’ dall’onda parlamentare che chiede lo status quo. Francamente, l’Ue non si aspettava di più. E aveva fatto bene.
(da Huffingtonpost)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
“LA LEGA DEVE CAMBIARE PELLE, OCCORRE DIVENTARE UN PARTITO LIBERALE E MODERATO ED ENTRARE NEL PPE“
Qualcuno l’ha chiamato il Papeete bis. Di certo la «mise» era più castigata e la location più formale, ma lo sconcerto dei colonnelli di Matteo Salvini, in primis Giancarlo Giorgetti, è rimasto lo stesso.
Il minsitro per lo Sviluppo Economico in questi giorni ha seguito in un cono d’ombra l’ipercinetico leader della Lega che produceva una figura quirinabile quasi al ritmo dei suoi tweet.
Ma a caduta nel baratro scongiurata, quando il bis-presidente Mattarella ha accettato di tornare al Colle, per la Lega è cominciata l’ora del riassetto. O della resa dei conti. Esterna e interna. Con tanto di titoli («Giorgetti verso le dimissioni») che per la seconda metà del pomeriggio hanno conquistato la home page dei quotidiani.
C’era pure la frase tra virgolette: «Per alcuni questa giornata porta al Quirinale, per me porta a casa» attribuita al titolare del Mise da alcuni suoi fedelissimi.
Poi i toni si sono attutiti, e la dichiarazione distensiva: «Abbiamo chiarito tutto. Non mi dimetterò. Va deciso un modo con cui affrontiamo un anno molto complicato con problemi molto seri dall’aumento dei prezzi dell’energia all’inflazione che arriverà. Quindi, il Governo deve essere compatto. Perché lavora benissimo ma di fronte ad un anno così è necessario quantomeno un nuovo codice comportamento tra gli alleati di maggioranza». Poi è comparso un incontro in agenda destinato a cambiare parecchie cose: Giorgetti e Salvini hanno chiesto un incontro al premier Draghi che si terrà lunedì.
L’inquietudine del ministro
Giorgetti, che non aveva preso parte ad alcuni degli ultimi consigli dei Ministri, alla domanda diretta «se avesse per caso pensato di dimettersi» non ha risposto né sì né tanto meno no: «Il mio addio al Governo? Forse è un’ipotesi, magari c’è da migliorare la squadra. Ho posto un tema serio», ma ha poi escluso la richiesta di un rimpasto.
Poi, dopo un incontro con il segretario della Lega Matteo Salvini, Giorgetti ha spiegato che «per affrontare questa nuova fase serve una messa a punto. Per non trasformare quest’anno in una lunghissima, dannosa campagna elettorale che non serve al Paese serve un cambio di codice di condotta tra gli alleati».
«L’anno prossimo», ha ricordato, «ci sono le elezioni amministrative, dei referendum abbastanza divisivi, che spero non blocchino l’attività del Parlamento e del governo. L’esecutivo lavora benissimo, ma un anno così richiede probabilmente quantomeno un codice di comportamento tra alleati».
Conclusione: «Al governo e alla maggioranza serve un nuovo metodo di lavoro che permetta di affrontare in modo costruttivo i dossier». E anche se non lo ha dichiarato Il sogno di Giorgetti «sarebbe una Lega che con il governo Draghi coglie l’occasione per cambiare pelle (l’ha già fatto più volte), entrare nel Ppe per diventare un partito liberale e moderato, il centro del centrodestra che lascia a Giorgia Meloni la destra».
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
È UN RIFERIMENTO AL SUO SEGRETARIO, MATTEO SALVINI, CHE TEME DI FINIRE TRITURATO DALLA MELONI?
“Sono felice che Mattarella abbia accettato con senso di responsabilità l’intenzione del Parlamento di indicarlo alla presidenza della Repubblica. Dimissioni? Per affrontare questa nuova fase serve una messa a punto: il Governo con la sua maggioranza adotti un nuovo tipo di metodo di lavoro che ci permetta di affrontare in maniera costruttiva i tanti dossier, anche divisivi, per non trasformare quest’anno in una lunghissima, dannosa campagna elettorale che non serve al paese”.
Così il ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti al termine di un incontro con il segretario delle Lega Salvini. I due hanno chiesto un incontro a Draghi.
Ci sarebbe una profonda amarezza personale dietro la ventilata possibilità di dimissioni dal governo da parte di Giancarlo Giorgetti. L’indiscrezione è parzialmente confermata dallo stesso numero due della Lega, capodelegazione del Carroccio nell’esecutivo di Mario Draghi, ministro dello Sviluppo economico nonché “draghiano di ferro”: “Per alcuni questa giornata porta al Quirinale, per me porta a casa”, ha detto ai giornalisti. Qualcuno gli chiede direttamente se si riferisce a sue possibili dimissioni: “È una ipotesi, magari c’è da migliorare la squadra…”.
Sono minuti di grande politica. Giorgetti è uomo di fiducia di Draghi, quindi è da escludere qualsiasi tensione con il premier. Viceversa, da mesi si parla di frizioni con Matteo Salvini nella gestione dei dossier di governo e, nell’ultima settimana, delle strategie per le candidatura del Quirinale.
Venerdì, quando è ufficializzata la candidatura di Elisabetta Casellati, Giorgetti aveva commentato sibillino: “Se fallisce che succede? Dovete chiederlo a Mario Draghi”. La candidatura della presidente del Senato, forzista, non è solo fallita. Si è schiantata contro i franchi tiratori del centrodestra.
E così quella battuta di Giorgetti sembra ora la quadratura del cerchio, visto che secondo i retroscenisti sarebbe stato proprio Draghi a rimettere a posto i cocci della maggioranza, obbligando i partiti incapaci di trovare un nome comune a ritornare sui propri passi e accettare l’umiliante opzione del Mattarella bis, ammissione di incapacità politiche palesi.
Secondo molti ora si apre il “Draghi bis”, con un rapporto se possibile rafforzato tra Quirinale e Palazzo Chigi. Ma Giorgetti, polemicamente, vorrebbe farla pagare al “fuoco amico che lo ha spesso messo sotto accusa”, spiegano fonti a lui vicine.
La Lega, certo, ma soprattutto qualche alleato. Altra possibile lettura: la consapevolezza che ora inizierà un periodo di “lacrime e sangue”, in cui Draghi di fatto avocherà ai ministri politici tutte le decisioni di peso, avallato da Colle, Bruxelles e mercati, per chiudere la partita del Pnrr a ogni costo. Un costo che la stessa Lega potrebbe pagare salatamente. E Giorgetti, il più draghiano del lotto, potrebbe diventare facilmente un capro espiatorio.
(da Dagospia)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
IL QUIRINALE È IL NUOVO PAPEETE PER L’EX TRUCE: NESSUNO CAPISCE LA SUA STRATEGIA LUNARE, E I COLONNELLI LEGHISTI SONO DISPERATI… GIORGETTI: “SE MATTEO MI CONVOCA PER UNA RIUNIONE VADO, PER IL RESTO MI SONO GIÀ TIRATO FUORI, COM’ È NOTO LA PENSO DIVERSAMENTE DA LUI”
La trottola impazzita Matteo Salvini ruota senza posa come i dervisci, perso in una personalissima estasi dell’ego. È sfuggito a qualsiasi controllo, lascia esausti alleati e avversari, si sottrae a ogni consiglio dei suoi.
Governatori e numeri due e tre si sono chiamati fuori dai giochi ben prima della giornata apocalittica del grande sconfitto. Pur conclusa col faccia a faccia col premier Draghi in un palazzo di Via Veneto e poi con il vertice a tre con Enrico Letta e Giuseppe Conte.
Ma tutto improvvisato, senza una strategia, una mossa concordata, fosse pure una fuga ma pianificata, raccontano peones e dirigenti in balia del capo. E allora è troppo facile sentirli sbottare col classico “sembra tornato quello del Papeete”
«Se Matteo mi convoca per una riunione vado, per il resto mi sono già tirato fuori, com’ è noto la penso diversamente da lui», racconta in queste ore agli amici il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Lui al Quirinale vedrebbe ancora bene l’amico bocconiano Mario Draghi.
Ma il numero uno del partito sembra stia facendo il possibile per mandare a rotoli tutto, governo incluso. In Transatlantico si aggirano irrequieti anche i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. La sortita di due giorni fa, quella visita tenuta nascosta a tutti a casa di Sabino Cassese l’hanno considerata un affronto personale. «Ma come? Cassese? Giusto lui che è stato nemico giurato dell’autonomia?»
Ieri, nella parabola dalla Casellati alla Belloni, il giorno della débacle. E della surreale conferenza stampa di Montecitorio.
A mezzogiorno, mentre a pochi metri la presidente del Senato viene accompagnata metaforicamente a “schiantarsi” nell’urna, il segretario tiene una lunare conferenza stampa sui diritti dei portatori di handicap.
L’ex ministra Erika Stefani alla sua destra, la neo leghista Laura Ravetto alla sinistra. Matteo ha le occhiaie, è nervoso, parla a scatti, viso un po’ gonfio, bianco. «Non dormo se non pochissimo», si giustifica lui. Ieri mattina alle 9 era di nuovo in conclave col resto del centrodestra. Inutilmente.
Lo si vede in centro, a piedi, sempre al telefono. «Non con noi però», dice sorridendo il senatore amico. Forse con l’altro Matteo. Ma perfino il non ostile Renzi di questi tempi giura di non capire più l’omonimo.
Nel partito c’è chi dice che sia tornato all’ombra del capo Luca Morisi «Ma se ci fosse almeno Luca al suo fianco non sbanderebbe come invece sta facendo», dice chi conosce bene uomini e Lega.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
SAREBBE STUFO DEGLI ATTACCHI DAI COLLEGHI DI PARTITO E DAGLI ALLEATI DI GOVERNO
Il capo delegazione della Lega al Governo Giancarlo Giorgetti “da diverso tempo” starebbe valutando le dimissioni da ministro, valutazione in corso anche in queste ore. Lo riferiscono fonti parlamentari della Lega, spiegando che a pesare sarebbe la mancata valorizzazione del lavoro svolto nel governo da parte del partito (“Viene silenziato tutto quello che fa”), e anche “gli attacchi da parte di alleati di governo”.
Stamattina il ministro dello Sviluppo aveva consegnato ai cronisti una frase sibillina sulla “svolta” in atto in quelle ore: “Per qualcuno porta al Colle, per me porta a casa”. Giorgetti via dal governo? “È una ipotesi, magari c’è da migliorare la squadra…”.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2022 Riccardo Fucile
LA DEBACLE POLITICA E MORALE DEL KINGMAKER DEL PAPEETE SALVINI
“Sul ponte sventola bandiera bianca”, come cantava Battiato.
Venerdì, dopo sei scrutini, una politica allo sbando che ha lasciato sciaguratamente il boccino in mano al kingmaker del Papeete aveva già bruciato nove candidature più o meno fantasma per il Quirinale: Pera, Moratti, Nordio, Riccardi, Tremonti, Frattini, Cassese, Massolo e, per ultima, la presidente del Senato, Casellati, immagine simbolo della debacle della coalizione di centrodestra.
Debacle morale prima ancora che politica, per il solo aver seriamente pensato di poter mandare al Colle “il tutore e la zia” della nipote di Mubarak.
Come nel gioco al massacro dei dieci piccoli indiani, tra la serata di venerdì e la mattina di oggi, sabato, sono saltate una dopo l’altra anche tutte le altre potenziali candidature (Draghi, Amato, Casini, Cartabia, Severino, Belloni), frutto di una trattativa ambigua e mai trasparente tra Salvini, Conte, Letta.
Una trattativa in cui Salvini e Conte hanno giocato più per tentare di salvare sé stessi e le loro barcollanti leadership che per trovare un nome su cui potessero convergere centrodestra e centrosinistra, o quantomeno la maggioranza che sostiene l’attuale governo, “senza vincitori né vinti” come auspicava Letta, il più accorto dei capi partito ma con una strategia prudente a tal punto da apparire immobile.
Un disastro destinato probabilmente a scombussolare gli attuali schieramenti politici e gli assetti interni ai singoli partiti.
Finito con la resa senza condizioni della politica che ora, sventolando bandiera bianca, va a pregare in ginocchio il povero Mattarella di ripensarci e di rimanere per altri sette anni al Quirinale.
Che poi, a ben vedere, è la soluzione migliore per l’Italia, quella che assicura la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi e la credibilità del nostro Paese in Europa e nel mondo, nonostante i fondatissimi timori costituzionali (così si rischia una deriva di tipo monarchico) che hanno finora spinto il Presidente uscente a fuggire il più lontano possibile.
(da Globalist)
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