DRAGHI-MATTARELLA, L’IMMOBILISMO ITALIANO CHE PIACE A TUTTI: UE, USA E MERCATI
LA SOLUZIONE PREFERITA ALL’ESTERO
Bingo. Ue, mercati, cancellerie straniere a cominciare dagli Usa hanno vinto la loro scommessa. La rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, la riconferma di Mario Draghi a capo del governo, la prosecuzione della legislatura è da sempre la soluzione preferita all’estero.
Cioè in quelle postazioni di comando dove l’Italia viene inquadrata come Stato importante, fondatore e irrinunciabile dell’Unione Europea, come partner strategico dell’Alleanza Atlantica e come paese debitore tra i più ‘inguaiati’ della zona euro, per un debito pubblico che, in rapporto al pil, superava di parecchio il 100 per cento già prima della pandemia e un’economia tutta da riformare. Lo status quo rassicura chi ci guarda da fuori, dove evidentemente non si aspettavano di più dal sistema politico italiano.
Ora la navigazione può continuare, con l’asse forte costruito da Draghi con Emmanuel Macron, sempre che vinca le presidenziali di aprile; con la messa a terra del Pnrr, anche se a giugno l’Ue potrebbe tagliarci le risorse ma solo perché l’economia va meglio delle previsioni; con la discussione sul futuro del Patto di stabilità, nella quale Draghi è protagonista della richiesta di rivedere le regole fiscali, insieme a Macron. Insomma, si può dire che continuerà la luna di miele che nell’ultimo anno l’Italia ha ben assaporato nei rapporti diplomatici con l’estero grazie a Draghi, personalità di peso internazionale indiscusso. Continuerà per un altro anno, fino alle elezioni nel 2023, poi si vedrà. Continuerà anche se i partiti hanno dimostrato che Draghi lo soffrono più che ‘amarlo’ e ora lo tollerano perché funzionale alla prosecuzione della legislatura.
Non è un caso che, nei mesi che hanno preceduto la settimana parlamentare italiana sull’ottovolante, quasi tutti gli spifferi arrivati dalle capitali estere e anche le dichiarazioni pubbliche di qualche commissario europeo hanno auspicato stabilità e continuità. Vale a dire: Draghi resti a Palazzo Chigi, si eviti di rompere il già precario equilibrio di governo che dovrà assicurare la prosecuzione del lavoro sul piano di ripresa e resilienza con l’uso dei fondi del Next Generation Eu (prossima tranche, a giugno).
Il commissario europeo al bilancio Johannes Hahn lo ha detto a chiare lettere in un’intervista a La Stampa: “Dal punto di vista della Commissione, abbiamo tutto l’interesse affinché la situazione continui così com’è oggi perché vorremmo che i soldi fossero ben spesi”.
Solo il Financial Times e le confessioni, in anonimato ma non smentite, di autorevoli fonti della Casa Bianca si sono sforzate di inquadrare anche la possibilità che Draghi venisse eletto alla presidenza della Repubblica. Con la considerazione di appendice: “Almeno lì durerebbe sette anni…”. Ma si tratta di voci rimaste in minoranza nel panorama internazionale.
Ha prevalso il ragionamento di corto raggio, all’estero e in Parlamento. Per una settimana i partiti hanno giocato a ‘battaglia Quirinale’ per poi tornare alla casella di partenza, dando conferma dei ‘sospetti’ europei sulla loro incapacità di eleggere nuovi punti di riferimento stabili.
Un anno di governo Draghi non è servito a far compiere passi in avanti al sistema politico, rimasto fermo dov’era.
Matteo Salvini continua a oscillare sull’eterno dilemma: governo o lotta, maggioranza o opposizione? Per un pelo il leader della Lega non si è ritrovato fuori da una rediviva maggioranza Ursula quando Forza Italia ha minacciato trattative autonome, dopo il ‘disastro Casellati’.
Per un attimo, non si è trovato fuori dalla ricostituzione in salsa tutta italiana della maggioranza europea che nel 2019 ha eletto Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue: Lega e sovranisti esclusi. Salvini è ancora in maggioranza al governo, insieme a Giorgetti chiede un incontro chiarificatore a Draghi, ma sono divagazioni per i media: la riconferma di Mattarella non è una vittoria per lui, lo ripaga solo dello sforzo di escludere Draghi dall’elezione quirinalizia. Questo sì.
Al di là di Salvini, è la marea montante di voti per Mattarella, ogni giorno di più e in perfetta autonomia dai leader, a confermare le previsioni europee. Sta nel tabellone dello scrutinio parlamentare la prova inconfutabile dell’incapacità di azione delle segreterie di partito, scavalcate da un’autogestione parlamentare tesa a conservare Mattarella al Quirinale e Draghi al governo al fine di conservare se stessa per un altro annetto fino a prossime elezioni. Motivazioni non proprio nobili, cucina decisamente di bassa politica.
È questo il sistema politico cui l’Europa è chiamata a rapportarsi quando deve avere a che fare con l’Italia. Certo, gli altri Stati non sono messi meglio. Anche i nordici, Olanda, Belgio e persino Germania, impiegano mesi a formare un governo, ormai da tempo, l’antico costume italico ha sfondato anche da loro. Ma non hanno dovuto chiamare il ‘papa straniero’ per farsi governare. Persino la Spagna, che è passata attraverso le maglie strette dell’austerity della troika, ha un politico al comando, il socialista Pedro Sanchez.
L’Italia si è affidata a Draghi. Ma la settimana appena passata conferma che nemmeno lui è in grado di domare l’istinto di auto-conservazione di un ‘ceto parlamentare’ consapevole di essere all’ultimo giro di boa, visto che nella prossima legislatura ci saranno ben 345 posti in meno tra Camera e Senato, per via della riforma approvata che riduce drasticamente il numero degli eletti. “Draghi è costretto a ritirare la propria candidatura”, scrive non a caso il tedesco Handelsblatt, mettendo nero su bianco la resa del premier il cui nome è sempre stato in campo, mai negato dal diretto interessato, mai ufficializzato però dai pochi che nei partiti lo sostenevano, a cominciare dal segretario del Pd Enrico Letta, in minoranza nella sua stessa coalizione e forse anche nel Pd.
È per questo che alla fine è lui, Draghi, a ‘sciogliere la riserva’. È il premier ad annunciare a Sergio Mattarella che c’è ancora bisogno di lui al Colle. L’ex governatore della Bce lo fa in mattinata, quando si reca al Quirinale per la cerimonia di giuramento del nuovo giudice costituzionale, Filippo Patroni Griffi. Premier e capo dello Stato parlano per mezz’ora per mettere da parte il piano A – Draghi al Colle – e attivare il piano B – Mattarella bis. Tutti ‘stesi’ dall’onda parlamentare che chiede lo status quo. Francamente, l’Ue non si aspettava di più. E aveva fatto bene.
(da Huffingtonpost)
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