Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
POI SI SCOPRE CHE ERA CATANIA, DOVE IL SINDACO E’ DI FRATELLI D’ITALIA
Quello che si è ritrovato davanti il big di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, è un vero e proprio capolavoro nel variegato mondo dei sistemi di raccolta differenziata dei Comuni italiani.
Il deputato che ha di fatto ha ereditato la guida di FdI da Giorgia Meloni mostra in un video sui social un bidone in cui riversare i rifiuti, in apparenza nulla di strano. Anzi, dai colori alle fessure, tutto pare in ordine: qua la cara, qua la plastica…
E poi la sorpresa, quando Donzelli inquadra la parte superiore del bidone, dove un buco svela l’amara verità: dentro c’è un solo contenitori in cui tutto confluisce, alla faccia della differenziata.
Dove è stato girato il video? Difficile stabilirlo, di sicuro non lo svela Donzelli che non geolocalizza il suo post.
Ma qualche elemento per capirlo ci sarebbe: quel bidone ha le stesse caratteristiche di quelli diffusi a Catania, dove proprio quel giorno, poco prima di Natale, era atteso il coordinatore di Fratelli d’Italia.
E probabilmente proprio perché si trattava della città etnea, Donzelli si è guardato bene dal rivelare quale fosse il Comune responsabile di quel colpo di genio.
Proprio in quella città l’ultima giunta catanese, commissariata lo scorso luglio e prossima alle elezioni, era guidata dal centrodestra. Sindaco? Salvo Pogliese, fresco eletto senatore per Fratelli d’Italia.
(da Open)
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Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
“BISOGNA TORNARE ALL’ASSALTO A CAPITOL HILL. LA LORO LEADERSHIP HA DATO AIUTO E CONFORTO A TRUMP, QUELLO REPUBBLICANO NON È PIÙ UN REGOLARE PARTITO POLITICO. È UN PARTITO DI ESTREMISMO E FANATISMO”
Per Jamie Raskin il «caos» dei ribelli di estrema destra che si oppongono
all’elezione di Kevin McCarthy si spiega solo ritornando al 6 gennaio 2021. Quel giorno il deputato democratico del Maryland, pur nella sofferenza per il suicidio del figlio avvenuto una settimana prima, andò al Campidoglio a fare il suo lavoro e certificare le elezioni del 2020, quando i rivoltosi pro-Trump assaltarono il Congresso. Anche ieri, pur avendo Raskin annunciato a Natale di avere il cancro, lo abbiamo incontrato — con la mascherina — nei corridoi.
Raskin, che rappresenta il Maryland e ha insegnato diritto costituzionale per 25 anni, è stato il membro della Commissione d’inchiesta sul 6 gennaio a enunciare a dicembre le raccomandazioni al dipartimento di Giustizia decise con gli 8 colleghi tra cui due repubblicani: incriminare Trump per incitamento all’insurrezione per aver offerto «aiuto e conforto» ai rivoltosi. Parole simili a quelle che usa per le colpe di McCarthy.
Quello che sta succedendo qui alla Camera è senza precedenti da 100 anni. Che cosa dobbiamo aspettarci da questo Congresso?
«Kevin McCarthy e la leadership repubblicana hanno dato aiuto e conforto a Donald Trump e all’insurrezione del 6 gennaio. Anche se McCarthy era turbato all’inizio, molto presto ha iniziato a coprire gli eventi del 6 gennaio. In sostanza, ha incoraggiato questa mentalità di rivolta e di insurrezione. La sedizione che ha abbracciato e incoraggiato adesso è venuta ad attaccare anche lui».
Questo mostra quanto sia complicato per la leadership repubblicana gestire la maggioranza. McCarthy sperava di fare pressione sui ribelli costringendoli al voto nell’Aula, ma non ha funzionato. E anche all’interno del gruppo parlamentare da cui viene la maggior parte dei ribelli (il Freedom Caucus) non c’è una linea comune.
«No. Quello repubblicano non è più un regolare partito politico. È un partito di estremismo e fanatismo. Questa è la lotta che si trovano a combattere oggi. È incredibile che questo fosse un tempo il partito di Abramo Lincoln. Lincoln si opponeva all’estremismo, al fanatismo, agli attacchi contro gli immigrati, al razzismo. E adesso il partito repubblicano è un calderone di tutto questo. I democratici sono il vero caucus della libertà, i repubblicani sono il partito del caos».
Trump ha chiesto (fino a ieri inascoltato) ai repubblicani di votare per McCarthy. Biden è andato in Kentucky insieme al leader repubblicano del Senato Mitch McConnell offrendo un’immagine bipartisan. Cosa indica questo in vista della corsa per la Casa Bianca nel 2004?
«Quali che siano le colpe o i limiti dei democratici, siamo un partito che governa per cercare di portare avanti il bene comune per la stragrande maggior parte delle persone. Tutto questo porta vantaggi politici al partito democratico ma non rende nessuno di noi più felice, perché è una cosa pericolosa per il Paese».
(da Il Corriere della Sera)
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Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
I SEGUACI DI TRUMP NON VOTANO IL REPUBBLICANO MCCARTHY, UNA FIGURA DI MERDA CHE RESTERA’ NELLA STORIA
Nulla di fatto. Dopo 10 votazioni la Camera Usa non ha ancora uno speaker rimanendo così paralizzata nelle sue funzioni.
Lo scrutinio record che non accadeva da 164 anni si è risolto con l’ennesima sconfitta di McCarthy: il repubblicano si è fermato a 200 voti come era successo nel nono round mentre i 20 ribelli hanno sostenuto candidati alternativi.
I dem sono rimasti saldi sul loro leader Hakim Jeffrey, che ha raccolto tutte le 212 preferenze.
Il decimo scrutinio ha segnato un record storico per la Camera. Il repubblicano Kevin McCarthy aveva perso anche il nono scrutinio, dopo 8 votazioni andate completamente a vuoto. Rispetto al tentativo precedente dove aveva ottenuto 201 voti, il 57enne si era fermato a quota 200, con i 20 ribelli trumpiani che hanno diviso i loro voti su altri due candidati.
Uno stallo che tiene la Camera Usa completamente paralizzata ma che fino a poche ore fa aveva visto il candidato repubblicano McCarthy intenzionato a non mollare: «Andrà tutto avanti così fino a quando non arriverà un accordo. Quando arriverà vincerò», ha detto dopo l’ennesimo buco nell’acqua.
Nell’ottava votazione invece il 57enne era stato bocciato rimanendo a quota 201, mentre il suo avversario Byron Donalds ha visto scendere il suo consenso da 20 a 17 voti. Responsabili dell’opera di ridimensionamento tre ribelli che hanno votato per altri candidati.§
Il Paese attende ancora per la nomina di una figura politica centrale, la terza carica più alta nel Paese, dopo il presidente e il vicepresidente la cui assenza comporterebbe gravi danni al normale andamento delle azioni politiche: senza speaker tutti i lavori della Camera, il principale corpo legislativo degli Stati Uniti, sono bloccati e i membri eletti non possono neanche prestare giuramento, insediarsi e quindi approvare leggi.
Al centro dello stallo la figura di McCarthy. Dopo le elezioni di midterm che hanno consegnato la Camera ai repubblicani, è sempre stato il 59enne il nome più papabile del partito per il ruolo di speaker.
Per vincere alla prima votazione sarebbero serviti 218 voti sui 435 deputati presenti. Considerando che 222 sono repubblicani, McCarthy avrebbe raggiunto la nomina già solo con l’appoggio del suo intero partito. Un gruppo di circa venti repubblicani però, accesi sostenitori di Donald Trump, hanno finora rifiutato di votare McCarthy non ritenendolo abbastanza conservatore, sostenendo in alternativa il nome di Byron Donalds. I 212 dem invece sono andati granitici sul loro nuovo leader, Hakim Jeffries.
(da agenzie)
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Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
PENOSO CHE CERTE CRITICHE VENGANO DA SOGGETTI DELLA DESTRA ASOCIALE CHE DALLE PEZZE AL CULO SONO PASSATI A RICCHI STIPENDI INGINOCCHIANDOSI AI POTERI FORTI
Valentina Fico, componente della VII sezione dell’Avvocatura dello Stato,
è l’ex moglie di Giuseppe Conte e la madre del figlio 16enne.
In un colloquio con il Corriere della Sera oggi difende il leader del Movimento 5 Stelle sulle vacanze a Cortina.
«È stato una notte sola al Grand Hotel. Ed era ospite», scrive su Whatsapp a Fabrizio Caccia. «Era la prima volta che andava a Cortina. Lì c’era già la compagna con la figlia e lui le ha raggiunte dopo Capodanno», aggiunge.
Anche perché, spiega Fico, Olivia Palladino è una manager alberghiera figlia di Cesare, king dell’Hotel Plaza: «Ma la compagna è miliardaria! Dove volete che passi le vacanze? In un ostello? E lui era ospite, non ha mica pagato». E la suite da 3 mila euro a notte?: «Sul sito del Savoia si scoprirà che non è vero. E poi la compagna ha degli hotel, le fanno prezzi speciali».
Per questo ora Conte «è amareggiato» secondo l’ex moglie: «Se lei avesse una donna ricca, abituata a fare la vita da ricca, non la raggiungerebbe forse a Capodanno dove sta? O le imporrebbe, in quanto capo dei 5 Stelle, di andare alla pensione Mariuccia? Altro sarebbe se Conte vivesse nel lusso sfrenato. Allora sì che potrebbe tacciarsi di incoerenza e ipocrisia».
La polemica sulle vacanze di Conte era nata sui social dopo la pubblicazione delle foto sulle vacanze a Cortina. «L’avvocato del popolo in parlamento, in privato il radical chic in hotel 5 stelle per 2.500 euro a notte», scrivevano all’epoca gli utenti.
(da agenzie)
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Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
PROTAGONISTA DI UN CALCIO IRRIPETIBILE E MAGICO
Se n’è andato il ragazzo con i riccioli neri che vinse lo scudetto impossibile con la Sampdoria. Si è arreso al nemico più subdolo e vigliacco, “quell’ospite indesiderato” che lo abitava da cinque anni. Contro di lui Gianluca Vialli aveva lottato con la fede ispirata dei forti. Un destino già scritto, adesso si può dirlo, l’unico avversario capace di metterlo al tappeto.
Gianluca Vialli è stato l’anima intelligente della squadra di Paolo Mantovani, il braccio armato del gemello Roberto Mancini, uniti i due Dioscuri da un sodalizio umano e calcistico irripetibile e magico.
Otto anni insieme, addosso la casacca blucerchiata, all’inseguimento di un sogno. Non c’erano segreti in quella squadra, soltanto il collante dell’amicizia, della complicità, dell’affetto e del rispetto. Un gruppo di ragazzi cresciuti spalla a spalla sotto il sole complice della Liguria e l’ala protettrice del presidente stesa sulla pelouse di Bogliasco dove un vecchio saggio, Vujadin Boskov, coltivava il benessere collettivo.
Vialli arrivò a Genova ancora ragazzo, appena ventenne, nell’estate del 1984. Mantovani lo scambiò con un altro idolo del popolo sampdoriano, quell’ Alviero Chiorri detto il Marziano che stava dilapidando un talento magnifico, inciampando in un piede sinistro degno del Mariolino nerazzurro. Paolo Mantovani lo pagò due miliardi e mezzo di vecchie lire, senza lesinare sul prezzo, all’amico Domenico Luzzara, il gentiluomo presidente della Cremonese che aveva affogato nel calcio il dolore per la morte del figlio prediletto, Attilio. L’affare data 1983, un anno prima dell’approdo a Genova di Gianluca. Contratto firmato dai due presidenti in estate nella villa presa in affitto da Mantovani a Cap d’Antibes in Costa Azzurra. Una stretta di mano e via.
La Cremonese era uno dei serbatoi della Juventus, se in riva al Po nasceva un talento, Boniperti se lo portava a Torino: era accaduto con Cabrini. Eppure Boniperti lo aveva scartato, il ragazzo tutto riccioli e muscoli: “I miei osservatori, Zoff, Parola, Vickpalek mi dicono che è bravo ma non è da Juve”, lo aveva liquidato il presidente bianconero parlando con Luzzara. Il presidente della Cremonese si ritenne libero e lo concesse alla Sampdoria. Mantovani lo lasciò un anno in prestito a Cremona. Una mattina dell’estate 1984 Boniperti venne svegliato dalla canonica telefonata dell’Avvocato Agnelli. “Allora, Vialli è nostro?”. Boniperti farfugliò qualcosa e si precipitò al telefono con Luzzara: “Voglio Vialli, ti do mezzo miliardo in più della Sampdoria!”. Troppo tardi. Uomo adamantino, Luzzara declinò l’offerta: “Ho dato la mia parola a Paolo. Mi dispiace”. Ultima fatica, convincere i genitori del ragazzo ad acconsentire al trasferimento a Genova. Mantovani provvide personalmente prendendo appuntamento con Giancarlo e Maria Teresa Vialli nella sontuosa casa di Cremona. Nel soggiorno fra altri pezzi d’arte – ricordo personale del 1986, prima con vocazione in azzurro di Gianluca – un Raffaello in miniatura. Per dire da quali lombi nascesse il ragazzo con i riccioli neri.
Per Vialli, come per Mancini, soffiato alla Juventus sul filo di lana due anni avanti (il primo grande colpo di Paolo Borea, il terzo astronauta di quella Sampdoria stellare) si spalanca l’orizzonte del mare di Genova. La villa di Quinto, le scorribande in moto d’acqua col gemello Mancini, le nottate ruggenti in giro per la Riviera (“Roberto era quello bello, io quello simpatico”) a caccia di ninfette, tallonati dalle telefonate furenti del mastino Boskov, che li voleva a letto (Gianluca indossava il pigiama d‘ordinanza della Sampdoria) entro le undici di sera.
Estate 1987. Berlusconi sta costruendo il grande Milan. Ha adocchiato quel ragazzo spensierato che segna gol da acrobata e fa sognare la Genova blucerchiata. Mantovani ha già vinto la sua prima coppa Italia (1985, con Bersellini in panca) ma vuole di più.
Senonché il Comune ha dato il via libera alla ricostruzione del glorioso Luigi Ferraris, demolito per fare posto al nuovo impianto formato da Vittorio Gregotti che ospiterà tre gare del Mondiale italiano del ’90. La Sampdoria deve convivere con un impianto demolito longitudinalmente per metà, poco più di ventimila i posti disponibili nello stadio-cantiere, Mantovani porta la Sampdoria a giocare a Cremona le gare di Coppa delle Coppe. La ragione si chiama Luzzara. E Vialli. Il presidente è scontento, medita di ridimensionare la squadra, a palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, i tanti tifosi genoani gongolano. L’assessore allo sport, Epifani, uno dei più feroci, commenta: “Ventimila posti per quelli là bastano”. Il Milan annusa l’aria e manda Galliani a Genova in avanscoperta. Mantovani sconfortato, cede. “Volete Vialli? Ve lo do.” La stampa nazionale esulta. Da mesi batte impietosa col ritornello dei “Gemelli del non gol”, bolla la Sampdoria come l’isola felice dove però la vittoria non è contemplata. Cita la breriana “macaia” (l’umidità appiccicosa portata dallo scirocco che infrollisce teste e gambe) come la causa della bella vita dei ragazzi di Boskov. Che ci fa Vialli ancora a Genova? E’ tempo che giochi e vinca per una Grande.
Il passaggio al Milan sembra cosa fatta. Mantovani si è rassegnato. Ma non ha fatto i conti con Gianluca. Vialli non ha ne vuol sapere di indossare la casacca rossonera. Non ha in simpatia Berlusconi, non gradisce la grandeur sbandierata dal Cavaliere, forse rammenta di aver tifato Inter nell’infanzia, chissà. Fatto sta che si presenta nell’ufficio di Mantovani e lo implora: “Presidente: Non mi venda al Milan”. Entrando, è piombato in ginocchio e strisciando in direzione della scrivania, a mani giunte, il sorriso impertinente stampato in faccia, salmodia la preghiera: “Presidente non mi venda, non mi venda al Milan”. Mantovani ha gli occhi colmi di lacrime, non sa cosa dire. Si alza e lo abbraccia. Chiama Galliani, gli rappresenta i dubbi del ragazzo. Galliani rilancia. “Dica a Vialli che veniamo a prenderlo a Genova con l’elicottero. Il presidente Berlusconi gli darà personalmente il benvenuto a Milanello”. Peggio che andar di notte. Vialli si irrigidisce: “In elicottero? Neanche per sogno. “Dica a Galliani che ho un appuntamento a Bogliasco col massaggiatore”. Mantovani si arrende. Chiama Galliani, spiega e si tira indietro. Vialli rimane alla Sampdoria.
Il miracolo dello scudetto comincia anche da lì, dal gran rifiuto di Vialli al Milan. Prosegue due anni dopo. Coppa delle Coppe, finale a Berna contro il Barcellona. Una Sampdoria decimata nei titolari perde 2-0 e sembra la fine del sogno. Ma i ragazzi di Boskov nello spogliatoio stringono un patto d’onore. “Nessuno di noi se ne va se prima non vinciamo qualcosa di importante”. La parola non viene nominata ma è implicita: lo scudetto. Tocca quindi a Vierchowod resistere alla corte della Juventus. I compagni in ritiro gli piombano in camera a notte fonda, lo minacciano: “Guai a te se accetti”. Lo zar non rinnega il giuramento. Rimane. Vialli è il più solerte e fantasioso nell’organizzare il consenso dello spogliatoio. E’ uno specialista nel progettare scherzi e beffe varie. Riempì di schiuma da barba le mutande di Souness, il granitico scozzese prelevato nell’84 dal Liverpool campione d’Europa. Si rischia la rissa, ma tutto finisce con una risata. Non si poteva litigare con lui. Troppo smart, troppo simpatico, troppo furbo. Una canaglia buona, affascinante, Gianluca. Un vero leader.
L’altra pietra miliare la colloca la Nazionale di Azeglio Vicini. I quattro blucerchiati convocati per Italia ‘90 (Vialli, Mancini, Pagliuca e Vierchowod) ridotti a far tappezzeria o quasi. Mancio relegato in tribuna. Lo Zar escluso nella sera della infausta semifinale con l’Argentina e Maradona strabiliò:”Dov’è l’Uomo Verde?”. Vialli dentro e fuori, additato dalla critica maliarda come il maggior responsabile della caduta azzurra, sacrificato alle notti magiche di Totò Schillaci. Da quel Mondiale i Gemelli tornano carichi come molle. “Gliela faremo vedere noi”, proclamano nel chiuso dello spogliatoio. La grande stagione dello scudetto germoglia sulla rabbia di Vialli e Mancini, la voglia di rivincita di Vierchowod e la volontà di regalare un sogno a papà Mantovani.
Il sogno tricolore si avvera e l’altro sogno, la vittoria in Europa sbuffa via nel cielo di Wembley. La malaugurata intervista gonfia di critiche di Vialli alla Gazzetta, un mese prima della finale col Barcellona, innesca la reazione a catena. Mantovani legge e chiame Boniperti: “Le interessa ancora Vialli?” il passaggio alla Juve del ragazzo con i riccioli neri matura da lì e lo scoramento della squadra – che ovviamente lo viene a sapere – produce quel quasi-gol: il tiro partorito dal destro sbilenco di Vialli, al cospetto dei trentamila tifosi sampdoriani raccolti nel tempio del football inglese, manda il pallone, un proiettile morbido e beffardo. ad accarezzare il palo della porta di Zubizzarreta e da lì è un attimo verso l’inferno del gol di Rambo Koeman, che regala la coppa al Barcellona. ”Per anni ho sognato quel pallone che volava girando, girando, girando su sé stesso, sembrava dovesse entrare e invece si perse sul fondo”, aveva confessato Gianluca. Un incubo cancellato, forse, dalla vittoria azzurra dell’Europeo, nell’abbraccio col gemello Mancini sul prato iconico di Wembley. L’immagine vecchia di appena un anno e mezzo. Vialli, sofferente, ma indomito e fiducioso. “Voglio sopravvivere ai miei genitori e portare all’altare le mie figlie”, il suo programma umano. Il progetto sportivo? Diventare il presidente della Sampdoria e chiamare il gemello Mancini sulla panchina di una Sampdoria tornata, perlomeno nello spirito bambino, all’epoca d’oro di Paolo Mantovani e dei suoi scapigliati ragazzi. Il destino lo ha sgambettato proprio in vista del traguardo e questa volta non ci sarà rivincita possibile. Corri di nuovo libero e leggero, Luca Vialli. Non sarai dimenticato. La terra ti sarà soffice e lieve perché sei stato un giusto.
(da Calciomercato)
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Gennaio 6th, 2023 Riccardo Fucile
GIANLUCA E’ MANCATO A 58 ANNI
Gianluca Vialli è morto all’età di 58 anni, dopo cinque anni dalla diagnosi
di un tumore al pancreas. Calciatore, allenatore, commentatore sportivo e dirigente sportivo, Vialli è stato una delle icone del calcio degli anni Ottanta e Novanta in Italia.
Con la Sampdoria ha fatto la storia, in coppia con Roberto Mancini – i due furono soprannominati i «gemelli del gol» – che tanti anni più tardi ha ritrovato in Nazionale: il Mancio come ct e lui come capo delegazione. Un ruolo che aveva lasciato il 14 dicembre, annunciando di aver bisogno di dover utilizzare tutte le energie psico-fisiche per affrontare la malattia. A dare la notizia il Secolo XIX.
La passione per il calcio e gli esordi
Ricci folti e fisico asciutto, l’adolescente di Cremona che fino a pochi anni prima aveva iniziato a dare calci al pallone nell’Oratorio di Cristo Re al Villaggio Po e poi nelle giovanili del Pizzighettone, nel 1978 a 16 anni viene acquistato dalla Cremonese, raggiunge la prima squadra e in tre stagioni mette a segno 23 gol in 103 partite.
Nel 1984 il ds della Sampdoria Borea convince il presidente Mantovani a portarlo a Genova, dove l’intuizione di mister Bersellini sulle potenzialità da attaccante puro apre nuovi orizzonti alla sua carriera. Ambidestro, veloce, forte fisicamente e dotato di buona tecnica, poco più che ventenne il talento di Cremona esordisce in Serie A e comincia a giocare in attacco in coppia con Mancini.
Alla fine della prima stagione la squadra genovese vince la prima Coppa Italia della sua storia con un gol di Vialli nella finale di ritorno. Un successo che porta Gianni Brera a coniare per l’atleta cremonese il soprannome di Stradivialli: secondo il giornalista, la sua arte calcistica aveva a che fare con l’armonia dei violini realizzati dal famoso concittadino Antonio Stradivari.
Il no alle grandi società e il sodalizio con Mancini
Corteggiato dalle grandi del calcio italiano come Milan e Juve, Vialli rifiuta le avances di Silvio Berlusconi e dell’avvocato Agnelli: «Nelle grandi squadre, sei soprattutto un numero in funzione dei risultati. E a me, in questo momento, interessa essere soprattutto una persona», dice. Una decisione che si rivela giusta: Vialli rimane a Genova e con Vujadin Boskov in panchina diventa uno dei centravanti più prolifici e completi della Serie A.
In otto campionati con la maglia blucerchiata gioca 213 partite e segna 85 gol, vince la Coppa delle Coppe del 1990, lo storico scudetto nel 1991, primo e unico della Sampdoria, tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana.
Nel 1986 è Enzo Bearzot, ct dell’Italia campione del mondo ’82, a farlo esordire in nazionale, ai Mondiali in Messico. Ma l’apice della sua carriera in maglia azzurra arriverà con Azeglio Vicini che lo aveva già lanciato nell’Under-21, finalista agli Europei di categoria del 1986 contro la Spagna: sotto la guida del tecnico romagnolo, Vialli agguanta la semifinale contro l’Urss a Euro ’88, quindi il terzo posto ai Campionati del Mondo di Italia 90.
Con lui l’amico della vita Mancini, un sodalizio sportivo che si rompe però nel 1992, quando Vialli cede alle avances della Juventus, e passa alla corte di Giovanni Trapattoni a fianco di campioni come Roberto Baggio. I due amici si ritroveranno professionalmente solo nel 2018, quando Vialli assumerà l’incarico di capo delegazione della Nazionale.
Alla Juve «il Michelangelo della Cappella Sistina»
In bianconero Vialli disputa quattro campionati, vincendo lo scudetto nel 1995, la Coppa dei Campioni l’anno successivo – che resta l’ultima conquistata dalla Juventus – e ancora una Coppa Intercontinentale, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
«È il Michelangelo della Cappella Sistina. Lo scultore che sa trasformarsi in pittore», dirà l’Avvocato Gianni Agnelli di lui, dopo aver paragonato i più grandi come Del Piero a Pinturicchio e Baggio a Raffaello.
Oltre la Manica, dal campo alla panchina
Nel 1996, all’apice del successo, Vialli cambia strada: saluta l’Italia e si trasferisce a Londra, sponda Chelsea. In Inghilterra, dopo due stagioni, passerà a sorpresa dal campo alla panchina, nell’inedita doppia veste di allenatore-giocatore dal febbraio 1998 alla stagione seguente.
Alla guida dei Blues rimane fino al 2000, conquistando cinque trofei in quattro anni. Nel 2001 passa poi al Watford di Elton John, viene licenziato dopo una sola stagione e non siederà mai più su una panchina come Mister.
La dirigenza e la passione per la tv
Dopo la carriera da giocatore e allenatore, Vialli diventa per anni una risorsa fondamentale per la Federazione, mettendo a disposizione tutta la sua esperienza e sfidando la malattia diagnosticatagli nel 2017. Nominato nel 2019 dalla Figc, insieme a Francesco Totti, ambasciatore italiano per il campionato d’Europa 2020, di lì a pochi mesi ritorna il suo ritorno in Nazionale, stavolta in vesti differenti.
Suo è l’incarico di capo-delegazione degli azzurri allenati dall’ex compagno Roberto Mancini: ufficialmente dirigente, ufficiosamente consigliere e supporto costante per l’amico fraterno.
Nell’estate del 2021 prende parte al campionato Europeo vinto dall’Italia, risultato che i giocatori e il ct hanno dichiarato di aver raggiunto anche grazie a Vialli, figura fondamentale nello spogliatoio ed esempio di vita per tutti.
In parallelo al ruolo di dirigente, diventa nel 2002 consulente per Sky Sport, di cui è poi anche commentatore tecnico e testimonial. Anni dopo, nel 2016 si lancia alla conduzione di un vero e proprio docu-reality Squadre da incubo con l’ex compagno Lorenzo Amoruso.
Il tumore al pancreas e il racconto libero della malattia
La battaglia contro il tumore al pancreas per Gianluca Vialli è durata cinque lunghi anni. Dalla diagnosi del 2017 non ha mai esitato a condividere con i tifosi la lotta quotidiana con la malattia, confidando spesso anche le paure più profonde.
«Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall’altra parte. Certo ho paura di morire. Però mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita», ha detto in un’intervista televisiva. «Sono stato un giocatore e un uomo forte ma anche fragile e penso che qualcuno possa essersi riconosciuto. Sono qui con i miei difetti, le paure e la voglia di far qualcosa di importante», ha raccontato lo scorso anno quando sfidando la malattia aveva accompagnato da capo delegazione la Nazionale di Mancini agli Europei.
Una sfida che Vialli è sempre stato consapevole di poter non vincere: «Io con il cancro non ci sto facendo una battaglia perché non credo che sarei in grado di vincerla, è un avversario molto più forte di me. È salito sul treno con me e io devo andare avanti, viaggiare a testa bassa, senza mollare mai», aveva detto, «sperando che un giorno questo ospite indesiderato si stanchi e mi lasci vivere serenamente ancora per tanti anni perché ci sono ancora molte cose che voglio fare».
L’annuncio
A metà dicembre, per la sopresa di molti, l’annuncio della sua assenza alle successive gare degli azzurri. Il campione aveva deciso di lasciare momentaneamente l’incarico da capo delegazione della Nazionale, non accompagnando Mancini e i suoi nei due match di qualificazione all’Europeo 2024 previsti a marzo 2023.
«Al termine di una lunga e difficoltosa trattativa con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Tra le righe il riferimento a condizioni particolarmente critiche: «L’obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia».
(da Open)
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