Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
LA GAFFE DI GASPARRI SULLA GUERRA DI CRIMEA E LE DATE SBAGLIATE
Ergendosi in tutto il suo carisma nell’aula del Senato, Maurizio
Gasparri ha preso la parola con un incedere degno di Marcantonio: «Non ho certo la presunzione di dare lezioni di storia come altri…»
Dopo una breve pausa per lasciarci il tempo di compatire questi «altri», ha aggiunto: «Ma qualche libro è bene leggerlo, ogni tanto». E lui, modestamente, li lesse.
I problemi sono iniziati appena ha esposto il risultato delle sue letture. Tema prescelto: la guerra di Crimea contro l’impero russo. Gasparri ha detto che fu combattuta dal regno di Piemonte tra il 1861 e il 1863 quando l’Italia ancora non esisteva, con ciò riuscendo nell’impresa di inanellare tre sfondoni in una sola frase.
Il regno piemontese si chiamava di Sardegna, la guerra di Crimea fu combattuta nel decennio precedente, e tra il 1861 e il 1863 l’Italia era già nata.
Persino il senatore latinista Lotito, seduto accanto all’oratore, dopo avere annuito vigorosamente ai primi accenni di Crimea, sentendolo sciorinare date a casaccio si è guardato intorno smarrito in cerca di un Bignami. Bisogna riconoscere che Gasparri ha poi saputo spiegare la ragione che spinse Cavour a partecipare a una guerra in cui non aveva niente da guadagnare, se non il fondamentale ingresso nel salotto buono d’Europa.
Quindi qualche libro lo ha letto davvero. È che ha voluto esagerare, esponendosi così agli sberleffi di Calenda, la cui maggiore autorevolezza deriva dal fatto incontestabile che con Cavour ha in comune ben due lettere del cognome.
(da Il Corriere della Sera)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
LA SPARTIZIONE DELLE POLTRONE CREA MALUMORI
La conferma di Ernesto Maria Ruffini all’Agenzia delle Entrate e di Alessandra Dal Verme al Demanio e la sostituzione di Marcello Minenna alle Dogane sono solo l’antipasto di un piatto più ricco di nomine che arriverà da qui alle prossime settimane: nel 2023 scadono 67 incarichi nelle partecipate pubbliche, il governo dovrà far eleggere 10 componenti laici del Csm e scegliere i vertici della Corte dei Conti.
Per non parlare della Rai dove è attesa una norma per rimuovere l’amministratore delegato Carlo Fuortes. Ma che sia il “machete” evocato da Guido Crosetto o il bisturi che sembra prevalere nelle stanze di governo, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si prepara ad affrontare la nuova tornata di nomine con una maggioranza che chiede un maggior coinvolgimento: un tavolo per spartirsi ogni singola posizione tra ministeri e partecipate.
In queste ore, infatti, in Lega e Forza Italia sta emergendo un certo nervosismo nei confronti della volontà della premier di decidere da sola su tutto e di non coinvolgere la maggioranza sulle posizioni di comando. In primis c’è quindi una questione di metodo: Lega e FI vorrebbero una sorta di cabina di regia che decida come dividersi le principali nomine. Insomma la lottizzazione: il presidente a me, l’amministratore delegato a te e così via. Stesso discorso per i membri laici del Consiglio superiore della magistratura che saranno eletti da martedì prossimo in Parlamento. Il primo episodio che ha fatto infuriare gli alleati, soprattutto la Lega, è stata la decisione di sostituire il commissario alla ricostruzione Giovanni Legnini con il meloniano Guido Castelli: non tanto per la nomina in sé (Castelli è molto stimato trasversalmente) ma perché nessuno era stato avvertito.
Poi c’è anche una questione di merito, perché le prime tre nomine dello spoils system meloniano non sono andate giù ai vertici di Lega e all’ala dura, ronzulliana, di Forza Italia: Ruffini all’Agenzia delle Entrate è stato considerato intoccabile perché protetto dal Quirinale, mentre in molti malignano sulla parentela tra Dal Verme e il commissario Europeo all’Economia Paolo Gentiloni (è la cognata). “Ruffini è un renziano di ferro dice un dirigente di peso di Forza Italia la conferma di Dal Verme è evidentemente un modo per tenere buoni rapporti con Gentiloni a Bruxelles nel momento in cui il governo sta rinegoziando il Pnrr”. Insomma, il senso è che da ora in poi Meloni dovrà coinvolgere e concedere qualcosa a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. E il primo scoglio è proprio la decisione su Alessandro Rivera, direttore Generale del Tesoro, che Meloni vuole allontanare nonostante le resistenze del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Le due conferme pesanti del Consiglio dei ministri di martedì hanno creato malumori anche in Fratelli d’Italia, dice un parlamentare di maggioranza.
Per tutto il giorno, infatti, nelle chat di governo giravano le dichiarazioni di Meloni del 4 giugno scorso in cui commentava così le parole di Ruffini secondo cui in Italia ci sono “19 milioni di evasori perché hanno almeno una cartella esattoriale”: “Dipingere gli italiani come un popolo di evasori è inaccettabile – spiegava la leader di Fratelli d’Italia – Il direttore Ruffini invece di straparlare di evasione dovrebbe avanzare proposte per un fisco più equo e più sostenibile”. Due giorni fa, lo ha confermato al vertice dell’Agenzia delle Entrate. Quello delle partecipate e dei vertici dei ministeri, però, non è l’unica partita che si sta giocando. Ieri alle 14 alla Camera, su proposta del presidente Lorenzo Fontana, si sono riuniti i capigruppo di maggioranza per trovare la quadra sui membri laici del Csm e sulle presidenze delle commissioni Bicamerali ancora ferme (su tutte la Vigilanza Rai e l’Antimafia). Ma, al netto delle difficoltà tecniche di rappresentanza dei gruppi (alcuni rischiano di non essere rappresentati causa il taglio dei parlamentari) manca l’accordo politico: Fratelli d’Italia avrà l’antimafia e vuole fare la voce grossa anche sul Csm (prendendone 5). A gestire il dossier a Palazzo Chigi è il sottosegretario Alfredo Mantovano. Lega e Forza Italia però non ci stanno. A questo punto è probabile che le prime votazioni vadano a vuoto.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE CINESE CREDE ORMAI CHE MOSCA USCIRÀ DAL PANTANO UCRAINO RIDOTTA A “UNA POTENZA MINORE”
È possibile un riavvicinamento a sorpresa tra la Cina marxista-
leninista di Xi Jinping e l’Occidente? Non sembrerebbe, a giudicare dalla videoconferenza di fine anno del leader cinese con Vladimir Putin, nella quale ha detto di essere pronto ad alzare il livello della collaborazione strategica con la Russia.
Ma poi Xi ha fatto diverse mosse interessanti che lasciano pensare a un tentativo di recuperare una relazione utile da un punto di vista politico (oltre che commerciale) con Stati Uniti ed Europa.
Anzitutto, ha promosso a ministro degli Esteri l’ambasciatore Qin Gang, 56 anni, chiamandolo dalla sede diplomatica di Washington. Qin in questi anni tesi e drammatici ha cercato di mantenere aperto il dialogo con gli americani, anche con gesti simbolici: il 28 dicembre, prima di partire per assumere il nuovo incarico di ministro, sua eccellenza è andato a vedere una partita di basket Nba degli Washington Wizards e si è esibito in alcuni tiri a canestro (dimostrando una discreta mano, a giudicare dal filmato che ha subito orgogliosamente postato su Twitter).
Sempre su Twitter, dove ha una presenza assidua e oltre 270 mila follower, Qin Gang ha selezionato per il pubblico americano una frase pronunciata da Xi nel discorso di Capodanno ai cinesi: «La nostra nazione è legata al mondo».
Infine, il nuovo ministro ha scritto un commento di saluto sul Washington Post nel quale ha ricordato che «il futuro del pianeta dipende da una relazione stabile tra Stati Uniti e Cina» e ha assicurato di aver vissuto momenti umanamente indimenticabili tra la gente americana. Gli analisti osservano che il ministro Qin Gang sta lavorando sodo per preparare la strada a un viaggio di Xi Jinping negli Stati Uniti: data ipotizzata novembre, quando a San Francisco Joe Biden ospiterà il summit annuale dell’Apec (Asia-Pacific economic cooperation).
Certo, Qin Gang è un diplomatico di professione, la sua missione è tenere i contatti, parlare amabilmente e con tono basso. Ma negli ultimi tre anni il Ministero degli Esteri di Pechino era stato impegnato in una guerriglia con l’Occidente (e in particolare con gli americani). Da qualche settimana si notano segnali di conciliazione. Forse non è un caso che con l’arrivo del nuovo ministro a Pechino sia stato spostato da portavoce degli Esteri il duro Zhao Lijian, che si era distinto come «capobranco dei lupi guerrieri» pronti ad ululare contro gli avversari.
Il Financial Times ha lavorato per diverse settimane a un servizio sul possibile nuovo atteggiamento di Pechino in politica estera. Titolo: «Il piano di Xi per reimpostare l’economia e riconquistare amicizie».
È evidente che gli abbracci con Putin, il fallimento della linea Covid Zero, l’autoisolamento cinese negli ultimi anni hanno danneggiato l’immagine e l’economia della seconda potenza del mondo. Xi avrebbe dunque deciso di aggiustare la rotta. Fonti cinesi hanno confidato al giornale britannico che a Pechino si sono convinti che «Putin è pazzo» e che la sua Russia uscirà dal pantano ucraino ridotta a «una potenza minore».
Meglio dunque non seguirla nel suo avventurismo e cercare di riallacciare una relazione positiva con gli occidentali. Le fonti mandarine sostengono che nel famigerato incontro tra Putin e Xi il 4 febbraio 2022 a Pechino, lo zar avrebbe nascosto le carte, sostenendo che Mosca «non poteva escludere alcuna misura nel caso che i separatisti ucraini avessero attaccato il territorio russo». In realtà, Putin aveva già pianificato l’aggressione a Kiev per il 24 febbraio. Di qui la sfiducia dei diplomatici cinesi, che si sono sentiti giocati.
Per l’errore di valutazione avrebbe pagato Le Yucheng, viceministro degli Esteri, massimo esperto dei rapporti con la Russia e considerato un candidato alla nomina a ministro. A giugno sua eccellenza Le è stato invece silurato: degradato di due posizioni nella gerarchia mandarina ed esiliato come vicedirettore dell’amministrazione della radiotv.
Bastano le dichiarazioni di Qin Gang e le confidenze di fonti anonime a credere che Xi Jinping stia preparando un riavvicinamento con l’Occidente? Ci ha sorpreso (non proprio positivamente) con l’abbandono improvviso del Covid Zero e la riapertura dei viaggi internazionali. Potrebbe tentare l’esperimento anche con Stati Uniti ed europei. A novembre ha accolto con molta cordialità il cancelliere tedesco Olaf Scholz; a dicembre il presidente europeo Charles Michel. Ora si appresta a ricevere il francese Emmanuel Macron e la signora Giorgia Meloni.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
È SOLO L’ULTIMO DEI FUNAMBOLISMI DEL GOVERNO VISTI IN QUESTI MESI, CON SPARATE SEGUITE DA CLAMOROSE MARCE INDIETRO
Prendiamo la posizione del governo sul Mes, che è quella di ratificare la riforma del Trattato annunciando di volere un’altra riforma. “Cade ancora più in basso la credibilità dell’Italia con un premier che, artefice e vittima di se stesso, volteggia come un acrobata sul suo circo: vota su di un Trattato ma dice che ne vuole un altro, niente male per il leader di un paese (che è stato) fondatore”. Sono parole di Giulio Tremonti, di due anni fa, rivolte all’allora premier Giuseppe Conte, ma che calzano alla perfezione sulla Giorgia Meloni di oggi.
L’ex ministro dell’Economia all’epoca si scagliava contro l’ipotesi di votare la riforma del Meccanismo europeo di Stabilità, descritta in un’intervista a Libero come un “mostro di Frankenstein” che sarebbe servito per commissariare l’Italia: “Quando ci sarà, e se ci sarà, la ripresa nel resto d’Europa, emergerà fatale e consueta la criticità del caso Italia. Il segnale partirà proprio dall’interno del Mes”.
Quindi lotta dura contro la riforma del Mes: è in gioco la sovranità dell’Italia! Nel giro di un paio d’anni, anche grazie a quelle posizioni in linea con il pensiero di Giorgia Meloni, Tremonti è stato eletto alla Camera con FdI ed è diventato presidente della commissione Affari europei, il ruolo perfetto per portare avanti quelle battaglie.
E invece ora Tremonti, intervistato dal Sole 24 Ore, spiega perché sia giusto approvare il nuovo Mes pur auspicando una riforma più sostanziale della sua funzione: “Giorgia Meloni ha detto in sostanza che non vede alternative al voto italiano sul Mes, e che però intende ridiscuterne la funzione. Sono totalmente d’accordo con lei”, dice Tremonti. Si tratta, in sostanza, di ratificare la decisione presa da Conte, con gli stessi argomenti usati da Conte, descritto per questa sua posizione “artefice e vittima di se stesso, volteggia come un acrobata sul suo circo”.
Tremonti è uno dei vari funamboli del circo Meloni che in questi mesi si sono dati molto da fare per sgonfiare assurde polemiche che loro stessi avevano creato. La riforma del Mes è solo una delle tante: definita in lungo e in largo dalla premier come “un cappio al collo” contro cui fare “opposizione totale”, diventa una questione “secondaria” quando arriva il momento di opporsi davvero. Una polemica ridicola, che è esistita solo in Italia – unico paese dell’Eurozona a non avere ancora ratificato il Trattato – viene ribaltata con una capriola dai suoi stessi artefici.
Prima c’è stata la questione del Pos, che ha tenuto banco per mesi, presentata come una delle novità della legge di Bilancio: la possibilità, per gli esercenti, di rifiutare pagamenti elettronici sotto i 60 euro. Una battaglia di libertà, quella di togliere la libertà ai consumatori sulla scelta del metodo di pagamento, perché le commissioni sono troppo alte e insostenibili.
Quando la Banca d’Italia solleva qualche obiezione, dicendo che il costo di una misura del genere è rappresentato da un aumento dell’evasione, la reazione del governo è decisa: “Bankitalia è partecipata da banche private”, dice il sottosegretario di Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari, e pertanto si esprime contro il contante e a favore della “moneta privata del circuito bancario”.
A seguire importanti e fondamentali disquisizioni della premier, nel format “Gli appunti di Giorgia”, sul denaro contante che è “l’unica moneta a corso legale” mentre “la moneta elettronica è una moneta privata gestita dalle banche”. Pertanto non si indietreggia. Poco dopo, come a breve accadrà con il Mes, il governo si rende conto che non può entrare in conflitto con la Commissione europea su un impegno che era stato preso nell’ambito del Pnrr e fa un’altra acrobazia: cancella la norma.
Il Pos resta obbligatorio, ma al suo posto il governo inserisce un “tavolo” con le banche – quelle “banche private” che starebbero dietro alla Banca d’Italia – per convincerle, su base volontaria, a ridurre le commissioni sotto ai 30 euro (non più 60 euro). Non c’è nemmeno il credito d’imposta per gli esercenti che era stato introdotto dal governo Draghi: anche le commissioni che erano insostenibili diventano un tema “secondario”.
Stessa parabola sulle accise. La premier e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con ottime e condivisibili ragioni, decidono di sospendere lo sconto sulle accise perché da un lato il prezzo dei carburanti sta scendendo e dall’altro è un sussidio molto costoso e iniquo. Quando il prezzo dei carburanti aumenta, evidentemente per effetto della decisione del governo, i ministri dello stesso governo si scagliano contro la “speculazione” dei privati, convocano la Guardia di Finanza e annunciano controlli a tappeto e sanzioni dure contro i furbetti.
Finisce con un’altra acrobazia: gli stessi ministri che due giorni prima se la prendevano con gli “speculatori” ora spiegano che non c’è alcuna speculazione, che il prezzo finale è aumentato meno dell’aumento delle accise. Quindi il rischio è che la GdF, che su mandato del governo aveva il compito di scovare gli “speculatori”, ora irrompa nel Cdm: il Circo dei ministri, per dirla à la Tremonti.
(da Il Foglio)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
TROVATO UN ACCORDO IN EXTREMIS
È stata rimandata di cinque ore la direzione nazionale del Partito
democratico, prevista inizialmente a mezzogiorno di oggi, 11 gennaio. C’era da dirimere la questione delle modalità di voto per eleggere il successore di Enrico Letta. Esprimere la preferenza per il segretario fisicamente, andando nei circoli, o consentire anche il voto da remoto? Alla fine, poco prima delle 19, gli staff dei candidati alla segreteria hanno fatto trapelare che un accordo è stato raggiunto. Si tratta di una soluzione ibrida, per cui il voto online sarà consentito solo nei seguenti casi: elettori impossibilitati a raggiungere il seggio per la lontananza, residenti all’estero, anziani e persone con disabilità.
Dunque, il criterio che ha permesso l’intesa è stato quello di estendere il diritto di voto a quelle persone che altrimenti, per motivi logistici o di salute, non si sarebbero espresse nell’urna.
Le regole, però, sono tutt’altro che definite: i dirigenti del partito vogliono scongiurare che i cosiddetti simpatizzanti dell’ultima ora possano, facilitati dal voto online, intervenire nella consultazione con il solo scopo di alterarne l’esito.
Le norme saranno decise dalla Commissione nazionale per il congresso. Organo che sarà eletto durante la direzione in corso al Nazareno. Il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore della campagna di Bonaccini, è stato tra i primi a commentare l’accordo: «Il buonsenso prevale, il Pd è come una grande famiglia, quando ci sono le sfide più importanti si ritrova. Ci si confronta, si discute anche animatamente, ma questa è la differenza rispetto agli altri partiti.
«Nei partiti personali decide una persona per tutti, quando vuoi stare in una grande comunità democratica si discute – ha aggiunto Alfieri -. Ci si impiega un po’ di più, ma a quello non vogliamo rinunciare. Le regole del gioco sono importanti, non si scherza. Anche sull’online ci vuole una piattaforma sicura, ci vuole lo Spid. Prendiamoci qualche minuto in più, ma facciamo le cose per bene». La candidata alla segreteria Elly Schlein, negli scorsi giorni, aveva fatto pressione affinché ai tradizionali gazebo si affiancasse la possibilità per gli elettori del partito di esprimere la propria preferenza online. Contrari gli altri contendenti, a partire da Stefano Bonaccini. La sua alleata nella corsa alla segreteria, Pina Picierno, aveva dichiarato: «Un partito che non ha radicamento sul territorio, che non ha circoli dove i militanti si ritrovano e discutono e non fa le feste dell’Unità, ma che vota online c’è già, ma non è il nostro. Noi vogliamo partecipazione e coinvolgimento dei nostri iscritti e dei nostri elettori: ma che sia reale, non virtuale».
La data delle primarie e il regolamento approvato in direzione
A differenza di quanto ipotizzato nelle scorse settimane, per distanziare il voto per la segreteria da quello delle regionali in Lazio e Lombardia, la direzione ha posticipato la consultazione degli elettori Dem al 26 febbraio. I dirigenti del partito hanno approvato la relazione sul regolamento del congresso con 1 voto contrario e 9 astenuti. Paola De Micheli, una dei candidati alla segreteria, non ha partecipato al voto, in dissenso verso quanto ormai era già stato deciso: «Anche se capisco la questione del digitale, ritengo che quello che c’è scritto nel regolamento allarghi troppo l’utilizzo di uno strumento che invece deve essere deciso dai nostri iscritti». Si sono detti soddisfatti, invece, gli altri contendenti: «È molto importante che la direzione abbia confermato che il voto delle primarie sarà in presenza ai gazebo – ha scritto lo staff di Bonaccini -. Siamo un partito solido e radicato, una comunità, non una piattaforma virtuale. Sono previste altre e piuttosto limitate possibilità di voto per venire incontro alle giuste esigenze di chi avrebbe evidenti difficoltà a raggiungere i gazebo».
Dal comitato per Schlein, poi, è arrivato questo commento: «L’accordo in direzione è una vittoria per il Pd. Rompere il muro della partecipazione con primarie online è importante per definire il profilo di un partito unito, moderno e inclusivo». Gianni Cuperlo aveva già annunciato che si sarebbe rimesso alle decisioni del partito. Ad ogni modo, cosa prevede esattamente il regolamento approvato in direzione? «Le operazioni di voto si svolgono presso i seggi ubicati nelle sedi fisiche individuate dalle Commissioni provinciali ai sensi del presente Regolamento, secondo modalità tali da garantire la massima partecipazione e la segretezza del voto. È ammessa la possibilità che le operazioni di voto si svolgano attraverso la piattaforma online per le seguenti categorie di elettori: persone residenti e/o domiciliate all’estero; persone impossibilitate a recarsi ai seggi per condizioni di disabilità, malattia o altri impedimenti definiti dalla Commissione nazionale per il congresso, che autocertifichino tali condizioni; persone residenti in località la cui distanza dai seggi renda particolarmente difficoltoso l’esercizio del voto, sulla base di criteri determinati dalla Commissione nazionale per il congresso».
«Le elettrici e gli elettori che, ricorrendo le condizioni di cui al comma 4, intendano esercitare il proprio diritto di voto attraverso la piattaforma online, sono tenuti a per-registrarsi entro il 12 febbraio 2023 sull’apposita piattaforma, compilando il modulo con i dati richiesti e fornendo un documento di riconoscimento, ovvero attraverso lo Spid. Il voto sulla piattaforma online si effettua per i cittadini residenti in Italia con il riconoscimento attraverso lo Spid, e per i residenti e/o domiciliati all’estero attraverso modalità e meccanismi individuati dalla Commissione nazionale per il congresso che garantiscano analoga certezza dell’identità dei votanti. Gli iscritti al Partito democratico, in regola con il tesseramento, non sono tenuti al versamento del contributo di due euro, e sono automaticamente iscritti all’Albo delle elettrici e degli elettori. L’elettore esprime il suo voto esprimendo la sua preferenza tra i candidati sulla piattaforma online ovvero tracciando un unico segno sulla lista di candidati all’Assemblea nazionale».
Al termine della direzione, fonti del Nazareno rendono noto che il segretario del Pd Enrico Letta è «molto soddisfatto e confortato dall’esito voto in direzione. Il migliore punto di caduta possibile date le condizioni».
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DELL’IMPRENDITRICE CHIAMATA A CONDURRE DUE SERATE A FIANCO DI AMADEUS
Chiara Ferragni devolverà il guadagno che riceverà da co-conduttrice della serata inaugurale e di quella finale del Festival di Sanremo alla rete nazionale antiviolenza D.I.RE.
Ad annunciarlo è stata la stessa influencer nel corso di una conferenza a Palazzo Parigi, a Milano, che ha tenuto indossando una maglia con la scritta «Girls supporting Girls». Ferragni è da sempre in prima linea nella sensibilizzazione dei propri fan sui grandi temi della contemporaneità. Tra questi, anche il tema della violenza sulle donne e le discriminazioni di genere. «La violenza fisica è più facile da riconoscere, per me è più importante parlare di violenza psicologica, di cui io sono stessa sono stata vittima», ha detto spiegando i motivi della sua scelta. «Ci sono atteggiamenti da non sopportare, che vanno riconosciuti per dire “non me lo merito”», ha aggiunto specificando che dal palco dell’Ariston parlerà di questo e di come «è difficile uscire da queste situazioni se le normalizziamo». Infine, ha concluso sottolineando che ha accettato di essere co conduttrice per sensibilizzare il pubblico italiano su questi temi.
Nei mesi scorsi l’influencer aveva condiviso un video rivolgendosi a tutte coloro che hanno subito abusi e maltrattamenti dai propri compagni, sul luogo di lavoro, o per il solo fatto di essere donne. «Non giustifichiamo mai chi cerca di metterci dei limiti, chi cerca di sminuirci quotidianamente, di non farci sentire abbastanza, chi non vuole veramente la nostra libertà ma ci vuole tenere in gabbia, e fidiamoci delle persone che ci vogliono proteggere e vogliono vederci libere e felici, perché sono quelle le persone alle quali dobbiamo stare accanto», aveva dichiarato. Chiara Ferragni sarà la co-conduttrice accanto ad Amadeus della prima e dell’ultima serata del Festival, che si terrà dal 7 all’11 febbraio 2023.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA SUA FOTO CON LE MEDAGLIE AL PROCESSO PER DIFFAMAZIONE AGGRAVATA
Nell’agosto scorso la nuotatrice Linda Cerruti venne inondata di
commenti sessisti per una foto su Instagram in cui celebrava le sue vittorie. La campionessa decise di denunciare chi l’aveva insultata.
Oggi la polizia fa sapere di aver identificato e segnalato all’autorità giudiziaria dodici persone per il reato di diffamazione a mezzo internet. Le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Savona hanno permesso di identificare 12 utenti della rete, ritenuti autori dei commenti diffamatori più condivisi.
Tra questi un impiegato romano, cinquantenne; un operaio veneto; due pensionati residenti in Lombardia; un dipendente pubblico quarantenne, residente in Friuli Venezia Giulia ed un trentenne, residente in Sardegna. Sei internauti sono stati destinatari di una perquisizione informatica delegata dalla procura della Repubblica di Savona.
Gli altri sei sono stati convocati presso i Centri Operativi della propria città e dovranno rispondere del reato di diffamazione aggravata.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
IL MISSIONARIO LAICO AVEVA 59 ANNI
Il missionario laico Biagio Conte è morto alle 7 di questa mattina, a Palermo. L’«Angelo dei poveri» – questo era il suo soprannome – aveva 59 anni. Afflitto da una grave forma di cancro al colon, le sue condizioni avevano di recente subìto un progressivo peggioramento.
Ciononostante negli ultimi giorni aveva voluto partecipare alla santa messa, dal suo lettino, accompagnato dal medico e dalle persone a lui più vicine. Ultimamente si erano susseguite le visite presso la sua abitazione in via Decollati. Dove si erano recati anche il Governatore siciliano Renato Schifani e il sindaco Roberto Lagalla. Il suo lascito principale consiste nella Missione di speranza e carità, da lui fondata trent’anni fa, che oggi assiste quotidianamente centinaia di bisognosi grazie all’operato dei missionari, con nove comunità create a Palermo e in provincia.
Biografia
Biagio Conte negli anni aveva attirato l’attenzione pubblica con i suoi digiuni di protesta contro la povertà e in favore dei più bisognosi. In una delle azioni più recenti, risalenti all’agosto 2021, si ritirò in una grotta su una delle montagne che circondano il capoluogo siciliano per protestare contro la società, sorda alle richieste di aiuto degli ultimi.
Figlio di imprenditori edili, nato a Palermo ma trasferito in Svizzera all’età di 3 anni per frequentare un collegio di suore, tornò nella sua terra natale a 9 anni. Lì venne inserito nel collegio di San Martino delle Scale. Abbandonò la scuola a 16 anni per lavorare nell’impresa di famiglia, ma una profonda crisi spirituale nel 1983 lo portò ad allontanarsi da casa per trasferirsi a Firenze. Tre anni dopo, decise di abbracciare la strada dell’eremitaggio, ritirandosi dapprima nelle montagne dell’entroterra siciliano.
Il pellegrinaggio ad Assisi
E successivamente intraprendendo un viaggio interamente a piedi in direzione Assisi. Un percorso che lo fece sparire dai radar della famiglia, costringendo i parenti a rivolgersi alla popolare trasmissione Rai Chi l’ha visto?. In quel contesto rispose in diretta informando del suo cammino. Terminato il quale, aveva intenzione di raggiungere l’Africa come missionario. Fu dissuaso dallo stato di miseria in cui ritrovò la sua città al ritorno. Iniziò ad assistere i senzatetto della stazione di Palermo Centrale, battendosi per loro anche attraverso diverse proteste. Per merito di un digiuno, in particolare, riuscì a ottenere l’utilizzo di alcuni locali in via Archirafi: lì nel 1993 fondò la sua Missione di Speranza e Carità.
La Missione
Nata con l’obiettivo non solo di accogliere gli ultimi, ma anche di aiutarli attivamente a rimettersi in piedi e a ritrovare uno spazio in società, attraverso la coltivazione di orti, l’impegno nella formazione, la creazione di laboratori artigianali di falegnameria, sartoria, edilizia, tipografia, cucina e artistici, e persino un piccolo panificio realizzato all’interno.
Non essendo previsto un termine preciso di permanenza in comunità, l’accoglienza viene normalmente garantita fino a quando chi è accolto non riesce a trovare una sistemazione abitativa. Biagio Conte ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita ritirato in preghiera nei locali di via Decollati, diventati meta di pellegrinaggio per chi ha conosciuto il missionario o lo ha aiutato nella missione della sua vita.
(da Open)
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Gennaio 12th, 2023 Riccardo Fucile
LA PREMIER PROVERA’ A SPOSTARE L’ATTENZIONE SULL’IMMIGRAZIONE E STA PROGRAMMANDO UN VIAGGIO IN LIBIA COME ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA
Sulla carta, sembra un gol a porta vuota. La destra è avanti in
Lombardia, il centrosinistra frantumato dove più poteva vincere, cioè nel Lazio. Eppure, a trenta giorni esatti dalle Regionali, Giorgia Meloni è in difficoltà.
In queste ultime ore, Lega e Forza Italia pianificano come tornare alla carica per chiedere nuovamente un decreto sulle accise. Lo faranno nelle prossime ore, convinte che il prezzo dei carburanti resterà inchiodato in alto. Non vogliono pagare un amaro prezzo elettorale. Ufficialmente, la premier nega ripensamenti. E anzi difende la linea. Ma sottotraccia, nell’esecutivo è in corso una riflessione per preparare l’eventuale piano B: utilizzare l’extragettito dell’Iva derivato dall’aumento del costo della benzina per ritoccare proprio le accise.
È un percorso, l’esito ancora incerto. Di sicuro c’è che Silvio Berlusconi ha dato ordine ai suoi uomini di insistere in questa battaglia. Altrettanto sicuro è che Matteo Salvini pressa riservatamente il Tesoro per individuare nuove risorse e tamponare il problema.
Meloni, che ha sfidato i partner e compattato il consiglio dei ministri sulla sua posizione, non può e non vuole cedere, non nell’immediato. E anzi, prepara il rilancio: intende spostare l’attenzione dal caro benzina all’immigrazione.
Approverà presto un decreto su sicurezza, migranti e femminicidio. E pianifica sempre per gennaio un viaggio in almeno uno dei Paesi del Nord Africa, prima del Consiglio europeo del 9-10 febbraio. Probabilmente la Libia, da cui continuano le partenze verso l’Europa.
Ma in queste ore non si parla d’altro che di benzina. È la madre di tutte le battaglie, l’angoscia inconfessata della destra, lo scalpo che serve a Palazzo Chigi per dimostrare chi comanda. Meloni ritiene che la gestione del messaggio del governo sul nodo delle accise sia stato confuso, disordinato, tardivo. Vuole ribaltarlo. Ci mette la faccia (anche se inciampa sul programma elettorale dimenticando le sue stesse promesse). Sceglie la strada della diretta social con gli “appunti di Giorgia” – negli ultimi cinquanta giorni ha tenuto una conferenza stampa, quella obbligata di fine anno – e contesta una presunta distorsione mediatica della vicenda dei rincari. La denuncia dell’assedio come strategia. Che non riesce però a sedare il malcontento degli alleati, terrorizzati dalle percentuali delle regionali.
Non è in discussione l’esito, salvo cataclismi: i sondaggi riservati in mano a destra e sinistra indicano in una forbice attorno al 15 per cento il distacco in Lombardia, di 10 punti nel Lazio (a causa della scelta dei 5S di correre da soli).
Meloni non crede che a pagare nelle urne saranno i suoi Fratelli d’Italia – anzi, il partito continua a crescere – semmai azzurri e leghisti. Ma l’effetto sarebbe comunque destabilizzante: Attilio Fontana si ritroverà a guidare una giunta in cui FdI godrà probabilmente di più seggi della somma dei partner
Ecco perché Berlusconi, sondaggi alla mano e irritato per l’atteggiamento dei suoi ministri, spinge per riaprire la sfida sul gasolio. E produce un primo risultato: il titolare dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin non esclude «ogni misura necessaria qualora emergesse la necessità di intervenire tempestivamente».
Lascia aperta la porta a una clamorosa svolta, precisando che altrimenti un intervento strutturale potrebbe concretizzarsi nella riforma fiscale di febbraio. In realtà, non si è mai fermata l’istruttoria dei tecnici del Tesoro per valutare come eventualmente contenere il peso delle accise. E dunque l’idea di valutare l’extragettito dell’Iva come contributo alla causa.
L’unico problema sono i tempi: le prime somme si potranno tirare a fine mese, ma a quel punto le elezioni sarebbero troppo riavvicinate. In questa direzione, sia pure tra le righe, sembra andare a sera un post della premier. Che prima reagisce alle critiche dell’opposizione, poi però aggiunge: «Se hai maggiori entrare dall’aumento dei prezzi del carburante le utilizzi per abbassare le tasse. Ma noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente».
L’ultima decisione è comunque politica. E spetta a Meloni, che dopo il video di ieri non può certo contraddirsi in tempi troppo stretti. Semmai, lavora a cambiare le priorità dell’agenda pubblica. E punta sui migranti. L’idea è alzare al massimo l’asticella in vista del Consiglio Ue di febbraio. In previsione di quell’appuntamento, riunisce a Palazzo Chigi i due vicepremier, il ministro dell’Interno e i Servizi. Chiede conto della moltiplicazione delle partenze, intende comprenderne le ragioni. Dà il via libera a organizzare missioni di Tajani e Piantedosi in Turchia, Tunisia e Libia. E si prepara a puntare tutto sul piano Mattei per l’Africa, per ottenere maggiori fondi continentali. Ne ha discusso anche con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ma c’è dell’altro. La premier potrebbe lanciare un segnale molto presto, volando nelle prossime settimane in Libia.
(da La Repubblica)
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