Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
“I NOMI CHE MI ARRIVARONO ERANO QUESTI: MAGNI TINO E AURORA FLORIDIA, RAFFAELA PAITA, SILVIA FREGOLENT, MARCO LOMBARDO E MATTEO RENZI, IVAN SCALFAROTTO, DANIELA SBROLLINI, CROATTI, PATUANELLI, LOREFICE E…”
La lista di coloro che avevano votato per eleggere La Russa? “Ce l’ho
ancora, saranno stati una decina di nomi. Mi scappò solo il nome di Patuanelli e non fu corretto, o tutti o nessuno, infatti poi con lui facemmo pace la sera stessa”.
A raccontarlo, ospite di Rai Radio1, a Un Giorno da Pecora, è la giornalista del Corriere della Sera Monica Guerzoni, che oggi è stata ospite di Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. Oggi ci può dire quali erano i nomi di quella lista?
“Li dico ma con una premessa: era una delle tante liste che giravano, non c’è niente di vero e di ufficiale – ha precisato la giornalista -, e i nomi che mi arrivarono erano questi: Magni Tino e Aurora Floridia di AVS, Raffaela Paita, Silvia Fregolent, Marco Lombardo e Matteo Renzi, Ivan Scalfarotto, Daniela Sbrollini, Croatti, Patuanelli, Lorefice, Pirro”
(da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
VITTORIO FELTRI IN DIFESA DELL’IMPRENDITRICE DIGITALE: “DOVREMMO AMMIRARLA. INVECE VIENE PRESA DI MIRA PERCHÉ L’ITALIA È UN PAESE PROVINCIALE, MALATO DI MORALISMO, ADOPERATO SOLO PER TRAVESTIRE LE PROPRIE PERSONALI FRUSTRAZIONI. LE DONNE CI HANNO DIMOSTRATO AMPIAMENTE DI NON AVERE BISOGNO DI ESSERE FIGLIE DI, MOGLI DI…”
Oggi è di Chiara Ferragni che vorrei parlarvi in quanto la notizia relativa alla clamorosa crescita delle sue società e del suo marchio, oltre che dei brand di cui ella è testimonial, crescita ascrivibile allo scorso anno, mi ha spinto a compiere alcune riflessioni su questa giovane tanto amata quanto odiata, o forse più odiata che amata.
Del resto, anche l’odio che viene nutrito nei nostri confronti può divenire redditizio, perfino più dell’amore, ammesso che si sia in grado di metterlo a frutto. E si dia il caso che Ferragni abbia una vocazione naturale a trasformare in oro qualsiasi oggetto tocchi, le basta un autoscatto improvvisato per macinare centinaia di migliaia di euro.
L’unica cosa che possiamo fare è ammirarla per questo, dal momento che non ruba, non uccide, non froda nessuno per produrre tonnellate di denari. Invece, poiché l’Italia è un Paese provinciale e l’italiano, anche quello di città, è tendenzialmente un paesano, dalla mente chiusa e dall’occhio torvo, più attento a cosa fa il prossimo piuttosto che concentrato sui propri obiettivi (il più delle volte inesistenti), allora Chiara Ferragni viene costantemente presa di mira da donne e pure da uomini, le prime infastidite dalla circostanza che una ragazza, senza un uomo alle spalle e senza bisogno di patrocinio, abbia messo in piedi un impero; i secondi infastiditi dal fatto che una donna possa essere di gran lunga più in gamba di loro.
Nei giorni in cui Ferragni, lo scorso febbraio, condusse il Festival di Sanremo, in particolare in occasione del suo monologo, che era una lettera alla se stessa di ieri, ovvero alla se stessa bambina, l’imprenditrice fu passata al setaccio, o meglio al tritacarne, perché sarebbe stata ingobbita, o troppo magra, o troppo denudata, o troppo volgare, o troppo banale. Ora aveva la cellulite, ora era troppo ossuta, ora non aveva culo, ora non aveva tette. Io, personalmente, quella sera, su quel palco, ho visto una ragazza timida, con la postura tipica dei timidi, che se ne stava come ripiegata su se stessa proprio a causa di insicurezze che neppure il successo è riuscito a demolire o a cancellare.
Ho rivisto persino me stesso in lei. Ho provato tenerezza. Intanto Chiara, nonostante tutti i difetti che ci impegniamo a notare e a fare notare, difetti inesistenti o irrilevanti, qualsiasi cosa compia, in qualsiasi avventura si butti, qualsiasi indumento indossi, in qualsiasi posa si faccia immortalare, contribuisce a sollevare il Pil, ovvero a creare ricchezza.
Essendo per noi prioritario imbastire dibattiti di lana caprina riguardanti il fatto che Chiara abbia pubblicato su Instagram una foto in mutande, qualcosa che – così si dice – una madre non dovrebbe fare.
Siamo malati di perbenismo e moralismo, che adoperiamo soltanto per travestire le nostre personali frustrazioni. Ciò che ci fa rabbia di Chiara Ferragni non è la foto delle sue chiappe, bensì che sia una donna realizzata, libera, indipendente, autonoma, felice, capace di fottersene delle critiche altrui poiché si è messa da sola nella posizione di fregarsene altamente.
Ci fa rabbia che questa biondina di provincia il cui sorriso ha campeggiato a Times Square, nel cuore di New York, sia più sveglia di noi. Più che un profilo social, ella dovrebbe essere ritenuta un esempio da seguire: si è inventata un mestiere, raggiungendo un successo planetario.
Davanti a questi risultati forse sarebbe opportuno smetterla di farne un caso, e una rovente polemica, ogni volta che Ferragni posta una fotografia in intimo, rimproverandole di essere una svergognata e addirittura accusandola di essere una cattiva madre, come se la capacità genitoriale si misurasse da certe sciocchezze.
Insomma, ora che le donne ci hanno dimostrato ampiamente di non avere bisogno di essere figlie di, mogli di, sorelle di, nipoti di, per rivestire ruoli apicali nel pubblico e nel privato, di essere “di potere”, e per “potere” non intendo riferirmi al peso specifico economico o alla influenza, ma all’abilità di rendersi autonomamente felici, ovvero di realizzare se stesse in totale libertà e in ogni ambito, forse è giunta l’occasione di finirla di giudicarle con tanta intransigenza e con tanto rigore.
Vittorio Feltri
(da Libero)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
LO PSICHIATRA VITTORINO ANDREOLI: “LA SOCIETÀ DEVE INSEGNARE AD AFFRONTARE LE EMOZIONI. LA VITA VIENE PERCEPITA COME UNA SERIE DI MOMENTI DISTANZIATI L’UNO DALL’ALTRO. NON SI VA OLTRE QUELLO CHE INTERESSA OGGI O IL FINE SETTIMANA O, AL MASSIMO, LE VACANZE. NON C’È IL FUTURO, C’È UN EMPIRISMO ESISTENZIALE CHE È TOTALMENTE AMORALE”
Si ama con la stessa superficialità con cui si acquista un oggetto su
Amazon. Si osserva il cadavere della fidanzata (e pure del futuro figlio) appena uccisa con lo stesso fastidio di chi ha un problema al rubinetto e cerca su Google il tutorial per ripararlo. È una generazione sempre meno evoluta, sempre più vicina alle specie animali quella che si sta affacciando alla vita matura, secondo Vittorino Andreoli, 83 anni, psichiatra, lucido indagatore della mente umana.
«La morte ha perduto ogni dimensione del mistero, della sacralità, del punto interrogativo. È diventata banale è diventata un mezzo per sbarazzarsi di un ostacolo».
Un meccanismo da videogiochi.
Esatto. I videogiochi spesso si fondano sulla quantità di eliminazioni di immagini umane. Però ci sono anche degli altri elementi da prendere in considerazione. Il tempo, per esempio. Come in un videogioco, la vita viene percepita come una serie di momenti distanziati l’uno dall’altro. Non si va oltre quello che interessa oggi o il fine settimana o, al massimo, le vacanze. Non c’è il futuro, c’è un empirismo esistenziale che è totalmente amorale. Non prova alcun senso di colpa, ha solo eliminato un problema.».
Sta disegnando il ritratto di una generazione che vive senza futuro, senza sentimenti, senza credere a nulla, nemmeno all’amore.
«Si è persa completamente la percezione dell’amore. L’amore che noi definiamo come una relazione che aiuta a vivere è un’acquisizione nell’evoluzione delle specie, fa sentire il bisogno dell’altro ed è una prerogativa del genere umano. Tutto questo non c’è più, è scomparsa la cosa più straordinaria, la relazione d’amore in cui uno vuole fare tutto per l’altro, che prova piacere nel generare piacere nell’altro. Adesso, invece, è un’esperienza che non ha la dimensione del tempo ma quella del consumo. È un rito che si brucia in modo estremamente rapido, basta che si dica “mi sono fatto quella”».
È un rito che prevede che la donna sia di proprietà dell’uomo. Purtroppo, nemmeno nelle nuove generazioni si è riusciti a superare questa distorsione che non ha nulla a che vedere con l’amore.
«Non è avvenuto perché la donna è evoluta in questi 20-30 anni, ha fatto passi straordinari dal punto di vista affettivo, del ruolo sociale e del pensiero. L’uomo, invece, non è andato avanti. Avevo un’amica meravigliosa, Ida Magli. Mi diceva: “Vittorino, se il movimento femminista resta staccato dall’uomo non si riuscirà mai a raggiungere la parità anche dei sentimenti”. Oggi abbiamo da una parte le donne che possono dire: adesso è finita. Dall’altra ci sono questi omuncoli che non sanno stare senza le donne e non sanno affrontare le difficoltà dei rapporti».
Da che cosa dipende questa incapacità?
«Viviamo in una società che, attraverso gli strumenti digitali, ha sviluppato le facoltà intellettive di capire, di informarsi, ma non ha fatto alcun passo avanti nella capacità di gestire gli affetti».
«Gli manca completamente la relazione dell’amore. Lo considera un consumo». «O una bambola di gomma che ha un meccanismo che non funziona più e la vuole sostituire con un’altra. Stiamo regredendo allo stato istintuale, a quelle che sono le pulsioni come nelle specie animali. Stiamo lottando per costruire robot sempre più sofisticati in realtà stiamo diventando noi stessi dei robot perdendo poco alla volta le caratteristiche psichiche che ci differenziano dalle altre specie.».
Che cosa si può fare per impedirlo?
«Bisogna fare presto e cambiare completamente i principi dell’educazione. Bisogna insegnare ad affrontare le emozioni a spiegare che non siamo un “io” ma siamo un “noi”, la parte di una relazione, perché abbiamo sempre bisogno dell’altro».
(da la Stampa)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
GRAN PARTE DI CHI VIVE IN STRADA VIVE A ROMA (22 MILA), POI MILANO E NAPOLI… PER LA MAGGIOR PARTE SI TRATTA DI ITALIANI DI MEZZA ETÀ “VITTIME” DELLA CRISI ECONOMICA O DI UN DIVORZIO. NEL 2022 IN ITALIA NE SONO MORTI 393
Nel Paese i senzatetto sono quasi 100mila. L’Istat a fine 2021 ne ha censiti 96.197. Sono perlopiù uomini (67%), italiani (62%) e con un’età media di 41 anni. Impietoso il confronto con il resto della popolazione: in media si muore a 84 anni, le persone senza dimora a circa 47.
Le cause? Le condizioni di salute precarie (37%). Il 23% del totale in Italia vive a Roma (22mila). Milano ne conta 8.541, Napoli 6.601 (con la quota di donne più elevata), Torino 4.444.
È una strage invisibile solo per chi si gira dall’altra parte. I morti l’anno scorso sono stati 393. Più di uno al giorno. I corpi (e le croci) disseminati per strada, sui marciapiedi, sulle panchine, tra i cartoni-giaciglio sono visibili ed esposti.
Secondo l’osservatorio della Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) “le morti sono raddoppiate”. È il bilancio più pesante degli ultimi 3 anni: l’incremento è del 55% rispetto al 2021 e dell’83% rispetto al 2020.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
È STATO ARRESTATO UN TENENTE COLONNELLO, “CHE ERA IN UNO STATO DI EBBREZZA”: ORA È NELLE MANI DEI MERCENARI. PER QUANTO ANCORA IL MINISTRO DELLA DIFESA, SHOIGU, E PUTIN, POTRANNO FARE FINTA DI NIENTE?
L’episodio può essere un incidente, o più probabilmente la
dimostrazione plastica di scene da guerra civile ormai frequenti nel fronte russo. E non solo a Belgorod. Quello che stiamo per raccontare è avvenuto vicino al villaggio di Semiyhiria, non lontano da Bakhmut. E siamo in grado di ricostruirlo con una certa precisione, grazie anche a due testimonianze dirette.
Il 17 maggio truppe dell’esercito regolare russo hanno sparato contro i militari del Gruppo Wagner: la cosa è stata denunciata dallo stesso Evgheny Prigozhin, in un documento ufficiale che è ora finito sui tavoli della Difesa e dell’Alto comando (i nemici giurati di Prigozhin).
Nel documento Prigozhin scrive che il 17 maggio i suoi combattenti hanno notato «gruppi del Ministero della Difesa che minavano le strade» alle spalle della posizione del Gruppo Wagner. Più tardi quel giorno i mercenari hanno scoperto mine anticarro e proiettili di artiglieria «installati in versione controllata e portati nelle posizioni del Ministero della Difesa». Qui la situazione è degenerata.
Secondo il report, i mercenari stavano cominciando a liberare la strada, ma «verso le 15.40 è stato aperto contro di loro un fuoco di artiglieria leggera dalle postazioni del Ministero della Difesa».
Uno dei mezzi di Wagner, un “Ural”, è stato danneggiato e reso inutilizzabile, ma non ci sono stati feriti. I mercenari «hanno adottato misure di ritorsione per sventare l’aggressione e arrestare personale militare del Ministero della Difesa russo. Il capo di questo gruppo è un ufficiale del Ministero della Difesa russo, comandante di una brigata di fucilieri motorizzati, tenente colonnello, che era in uno stato di ebbrezza».
La storia non termina qui. L’uomo, arrestato, ha parlato in un video – non si sa ovviamente con quale grado di libertà concessagli. Un graduato russo, detenuto e filmato da altri russi, registra un video stile-prigioniero di guerra. La realtà supera ormai ogni immaginazione: russi mettono alla sbarra altri russi. Prigozhin ha anche riferito che c’è in corso un’indagine sui fatti, ma molti dettagli non possono ancora essere resi pubblici.
Certo è che il comandante dell’unità russa che ha sparato contro i russi di Wagner è finito, purtroppo per lui, nelle loro mani. Si tratta di un tenente colonnello del ministero della Difesa russo, che ha dato l’ordine di sparare. Si chiama Roman Venevitin, ha affermato di averlo fatto «per ostilità personale [verso Wagner]». Nel video […] ammette di aver disarmato il gruppo di risposta rapida della brigata Wagner, poi ha dato l’ordine di sparare sull’Ural. Alla domanda su come considera adesso le sue azioni, il tenente colonnello ha fatto una lunga pausa, quindi ha risposto: «Colpevole». Ha poi dichiarato che nell’unità che ha sparato c’erano «dieci-dodici uomini».
Un uomo con questo nome esiste effettivamente, ha verificato il collettivo d’inchiesta “Sirena”, nei database militari russi disponibili: Roman Gennadyevich Venevitin, 45 anni, presta servizio presso il Ministero della Difesa, prima ha lavorato presso l’agenzia di sicurezza Sparta nella regione di Nizhny Novgorod. Il tenente colonnello è nato a Kazan, ha studiato alla Combined Arms Academy delle forze armate, nel 2013 gli è stata revocata la patente di guida per guida in stato di ebbrezza. […] trattandosi […] di un dirigente della Difesa, la cosa interroga direttamente il ministro. Shoigu fino a questo momento ha taciuto, ma è ovviamente gravissimo se la ricostruzione dei wagneriani dovesse rivelarsi corretta
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
TRA SPECULAZIONI E DIVIETI DI FATTO
Una spiaggia su due in Italia è in mano ai privati. E’ questo il dato che emerge incrociando i numeri del Demanio marittimo e di Legambiente, che ogni anno pubblica il dossier spiagge. Quindi, chi vuole fare un bagno senza pagare ha comunque la metà delle coste balneabili italiane a disposizione? La risposta è assolutamente no.
Perché andando a vedere nel dettaglio dove si trovano queste spiagge libere, si scopre che spesso sono accanto alla foce dei fiumi, in zone vicino ad aree industriali dismesse ma mai bonificate, oppure in aree difficili da raggiungere. Un mare negato, quindi, per chi non vuole o non può spendere soldi per farsi un bagno decente.
La metà è in mani private
Secondo i dati del demanio su 3.346 chilometri di spiagge accessibili ne sono affidati ai privati il 42 per cento tra lidi e campeggi, ai quali occorre aggiungere secondo Legambiente un altro 8 per cento di privatizzazione sotto altre forme. In alcune zone del Paese praticamente tutta la costa è privata: a Napoli, a esempio, su 27 chilometri di costa, l’accesso libero e gratuito al mare è consentito su appena 200 metri. E comunque gli spazi liberi si trovano nei posti più antropizzati e dove il mare è si balneabile ma in un contesto molto edificato: come la rotonda di via Diaz, Largo Nazario Sauro vicino a Castel dell’Ovo, oppure le zona accanto Bagnoli.
Ma anche in altre aree del Paese se si va a vedere dove si trovano le spiagge libere, si scoprono brutte sorprese: ad esempio nel nuovo piano della costa di Jesolo, che ha comunque oltre il 68 per cento di costa privatizzata, tra le spiagge libere c’è quella vicino alla foce del fiume: “E qui spesso il mare è più torbido, per la presenza di fango”, dice Gabriele Nanni che sta curando il nuovo report sulla spiagge per Legambiente.
Le spiagge libere sono sacrificate
A Lignano Sabbiadoro, dove si registra l’83 per cento di spiagge in concessione, quella libera è accanto alla foce del fiume Tagliavento. Scendendo a Sud a Marina di Massa risulta libera la spiaggia dove c’è la foce del fiume Lavello. Fino a Palermo, dove Mondello e Addaura sono quasi del tutto privatizzate, mentre resta libera la spiaggia di Romagnolo che però è in un tratto di mare non balneabile.
Secondo i dati Legambiente il record di costa data in concessione si registra a Gaetto, San Mauro Pascoli e Rimini in Emilia Romagna con percentuali oltre il 90 per cento; in Liguria a Laigueglia, Alassio e Diano Marina con percentuali oltre l’80 per cento; in Toscana a Pietrasanta, Camaiore, Montignoso con punte che sfiorano il 100 per cento di costa data ai privati; nel Lazio a Sperlonga con il 63 per cento di spiagge date in concessione.
Ma c’è un altro elemento che sta riducendo i chilometri di spiaggia libera, e qui non c’entrano le concessioni balneari comunque sempre in costante aumento e mai in flessione. Dal 1970 al 2020 sono scomparsi 40 milioni di metri quadrati di spiaggia: significa, conti alla mano, una spazio pari alle 13 mila licenze attuali dati ai privati.
(da agenzie)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL 60% DELLE SPESE DEL PIANO SONO DETRAZIONI PER I PRIVATI
Una cosa va detta subito a scanso di equivoci. Il governo Meloni e il
ministro Raffaele Fitto si sono ritrovati in mano una cartaccia: il Piano nazionale di ripresa e resilienza è in ritardo dal minuto uno e probabilmente non poteva essere altrimenti, dato lo stato comatoso della Pubblica amministrazione e la metrica estranea (quella Ue delle milestone e dei target qualitativo-quantitativi) in cui deve essere realizzato un Piano disperso in mille rivoli. Ora l’idea, in teoria razionale, sarebbe levare di mezzo i progetti che non hanno speranza di essere finiti in tempo e magari finanziare interventi di più rapida attuazione. Peccato che nessuno abbia idea di quali siano, che non siano state avviate discussioni preliminari con la Commissione (e dire che la scadenza è il 31 agosto) e che il governo non abbia neanche pensato di coinvolgere il Parlamento.
Senza trasparenza alcuna, insomma, quattro o cinque persone e relativi staff stanno di fatto pensando di “appaltare” la parte del Pnrr ricalibrata alle imprese coinvolte in progetti in ambito energetico (RePowerEu) e della manifattura sostenibile (Industria 5.0). Il motivo è semplice: il Pnrr a livello di spesa finora è stato soprattutto sgravi fiscali per i privati. Questi i dati ufficiali (gli ultimi) della Corte dei Conti: “A fine 2022 la spesa sostenuta ammontava, in base ai dati ReGiS, a circa 24,5 miliardi. Tenendo in considerazione anche il progresso dei primi mesi del 2023, l’avanzamento complessivo sale di ulteriori 1,2 miliardi, a 25,7 miliardi, sulla scia dell’elevata domanda registrata nelle misure dell’Ecobonus-Sismabonus (8,7 miliardi) e dei crediti d’imposta Transizione 4.0 (6,7 miliardi)”
In sostanza, al 30 aprile due sole misure di sgravio fiscale rappresentavano il 60% del Piano di ripresa: l’unica cosa che ha funzionato, “tirando” più fondi del previsto, mentre l’attuazione di altri progetto dal rilevante peso economico (politiche attive del lavoro, alta velocità, Italia a 1 giga e Italia 5 G, biometano, etc) veniva spostata agli anni prossimi.
Se l’importante è spendere, la soluzione è semplice. “Il principale capitolo in cui saranno indirizzate le prime risorse è proprio questo piano Transizione 5.0”, diceva il ministro delle Imprese (et pour cause) Adolfo Urso già a marzo: parliamo di “risorse significative da capitoli di spesa di progetti considerati non esattamente in linea con gli obiettivi del Pnrr su progetti realizzabili nei tempi dovuti al 2026”.
E cos’è transizione, o meglio Industria 5.0? Un piano Ue che, detto in brussellese, punta su “ricerca e innovazione come fattori abilitanti per la transizione verso un’industria europea sostenibile, incentrata sull’uomo e resiliente”. In pratica sono sgravi per investimenti privati indirizzati in particolare a tre settori: Mobilità, trasporti, automotive; Aerospazio e difesa; Elettronica. Sia detto en passant, è anche la richiesta di Confindustria: “La nostra proposta è di destinare buona parte delle risorse che rimarrebbero ‘scoperte’ verso incentivi all’investimento per le imprese”, ha messo a verbale Carlo Bonomi un mese fa.
Ammesso e non concesso che la Commissione dia il via libera, è una buona idea? Mica tanto: il Pnrr, riforme a parte, doveva servire a rilanciare in Italia gli investimenti pubblici (materiali e immateriali) con l’obiettivo prioritario della “riduzione dei divari territoriali”. È il motivo per cui il 40% dei fondi dovrebbe finire al Sud. Si usa il condizionale perché degli sgravi fiscali ai privati il Mezzogiorno raccoglie le briciole: estenderne la portata nel Pnrr significa dirottare la spesa verso Nord.
Per convincersene, basta tornare a un apposito box inserito dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica. Lì si scopre che i fondi di Transizione 4.0 (6,7 miliardi) finora sono andati soprattutto alle imprese del Settentrione (65% circa), mentre il Sud è fermo poco sopra il 20%: si tratta di soldi dedicati agli investimenti in beni strumentali materiali 4.0 (5,4 miliardi), formazione 4.0 (617 milioni), ricerca, sviluppo e innovazione (560 milioni) e beni strumentali immateriali sia innovativi (software) che tradizionali (90 milioni). Il Pnrr dedica alla “Transizione 4.0” quasi 13 miliardi e mezzo (circa tre dei quali per sgravi già esistenti), ma l’incentivo sta funzionando male sia a livello territoriale che di bersagli (era pensato per la manifattura, che però pesa solo per il 55% dei crediti d’imposta maturati). Finanziare ora l’erede “Industria 5.0” con nuove “significative risorse” può certo correggere il difetto di mira, cioè privilegiare l’industria in senso stretto, ma aggravare ancor più la disfunzionalità territoriale.
Il discorso non cambia di molto guardando all’Ecobonus (che poi è il Superbonus) e al Sismabonus, a cui il Pnrr dedica quasi 14 miliardi. Non ci sono dati specifici sugli sgravi interni del Pnrr, ma il rendiconto totale del Superbonus al 30 aprile (dati Enea) assegna al Mezzogiorno il 30% circa dei 74,5 miliardi di investimenti ammessi a detrazione: una percentuale che peggiora se si isolano gli ultimi mesi, cioè da quando è bloccata la cessione del credito, decisione che ha reso lo sgravio disponibile di fatto solo per chi ha capacità fiscale (redditi alti o più che alti). Riassumendo, aumentare gli sgravi per il settore privato nel Pnrr significa non solo rinunciare a finanziare beni pubblici, ma anche usare soldi che dovevano attenuare i divari territoriali per ampliarli.
Il Mezzogiorno, peraltro, non rischia di vedersi danneggiare dal Piano di ripresa solo per questo, come correttamente rileva la Relazione sull’attuazione presentata dal governo la scorsa settimana: è vero che al Sud sono destinati il 40% dei fondi di Pnrr e Fondo complementare (87 miliardi fino al 30 giugno 2026 all’ingrosso), ma il rischio è mancare “l’effettiva attuazione degli interventi” in modo che si finisca per “non garantire la riduzione dei divari territoriali”.
Le defaillance amministrative centrali e locali in questo senso sono più di un sospetto: com’è noto dei Fondi di coesione Ue del ciclo 2014-2020 destinati al Mezzogiorno si era riusciti a spendere a fine 2022, cioè in otto anni, solo il 34%, pari a 43 miliardi totali. Ora, oltre ad avviare i progetti del ciclo 2021-2027, si dovrebbe spendere il doppio in tre anni. Il rischio della fregatura è altissimo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL CORRIERE DELLA SERA
La «sostituzione etnica» è l’incubo che turba il sottobosco razzista e xenofobo dell’Occidente: i bianchi sono destinati a diventare una minoranza, minacciata, nei loro stessi Paesi, da orde di immigrati. L’ultimo in ordine di tempo a rilanciare lo spettro è stato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida il 18 aprile scorso. Parlando all’assemblea della Cisal (Confederazione sindacati autonomi dei lavoratori) Lollobrigida ha detto: «Dobbiamo pensare anche all’Italia di dopodomani. Vanno incentivate le nascite. Non possiamo arrenderci al tema della sostituzione etnica».
Pochi giorni dopo il ministro ha spiegato di essere stato frainteso e di non conoscere le teorie del complotto che da anni fioriscono negli ambienti dell’estrema destra. A dire il vero ne parla anche il sito della presidenza del Consiglio, richiamando il cosiddetto «piano Kalergi». Vale la pena riportare integralmente il testo: «La teoria del complotto del piano Kalergi è la credenza secondo la quale esiste un piano d’incentivazione dell’immigrazione africana e asiatica verso l’Europa al fine di rimpiazzarne le popolazioni. Prende il nome dal filosofo austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972), cui viene attribuita la paternità di tale piano; la teoria trova credito soprattutto in ambienti di estrema destra (nazionalisti, sovranisti e separatisti)».
«Il piano Kalergi» è una manipolazione
In realtà Kalergi predicava la necessità di allargare l’identità dei singoli Stati per dar vita ad una comunità europea. Ma non fece mai alcun riferimento al pericolo che le «nazioni dei bianchi» potessero essere «inquinate» dai migranti. Il suo pensiero fu travisato fra gli anni 90 e 2000 in particolare da Gerd Honsik, autore neonazista austriaco che nel 2009 fu condannato a cinque anni di reclusione per aver negato l’Olocausto. Nel suo libro, «Addio Europa», attribuì a Kalergi l’idea che l’uomo di città, cosmopolita e frutto della mescolanza delle etnie, fosse più propenso all’unione fra i diversi Stati e quindi da preferire all’abitante delle campagne, dal sangue più puro, ma meno disponibile all’integrazione. Da questa manipolazione è nato il famigerato «piano Kalergi».
I sostenitori del complotto contro i bianchi
In passato anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno usato spesso l’espressione «sostituzione etnica». Nel 2011 lo scrittore francese Renaud Camus ha rilanciato il teorema nel suo libro «Le Grand Remplacement», affascinando il fondatore del Front National, Jean-Marie Le Pen. La figlia Marine, invece ritiene che la massiccia immigrazione non sia alimentata da un complotto, ma, più pragmaticamente, dalle imprese europee che cercano manodopera a basso costo. Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen, ha lasciato il Front National, adottando in pieno le tesi di Camus, così come il suo nuovo leader, Éric Zemmour, candidato per il partito di estrema destra «Reconquete» alle presidenziali del 2022. L’idea «dell’uomo bianco minacciato da orde di stranieri» viene evocata in Olanda dal «Partito per la libertà», guidato da Geert Wilders; in Austria troviamo Herbert Kickl, a capo dell’FPÖ, autore dello slogan: «Il sangue deve essere viennese, quello straniero non va bene per nessuno». In Europa oggi il più convinto e rumoroso sostenitore della «sostituzione etnica» è il presidente dell’Ungheria Viktor Orbán. Ma l’ondata più massiccia di intolleranza xenofoba è partita dall’altra parte dell’Atlantico nel 2014, ed ha accompagnato l’ascesa di Donald Trump.
L’ondata che parte dagli Usa
Il libro di Federico Leoni, «Fascisti d’America» (Paesi Edizioni), descrive con precisione il mondo dell’Alt-Right, la «destra alternativa» americana. Sono decine di formazioni, alcune diventate note in tutto il mondo per aver partecipato all’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, come i «Proud Boys» o gli «Oath Keepers». Un groviglio di ideologie accomunate da una convinzione: «É in atto una cospirazione delle élite (finanzieri, politici, grandi industriali, intellettuali) per schiavizzare le masse, instaurando un Nuovo Ordine Mondiale».
Le malattie esportate dagli europei
Nel 1492, l’anno in cui Cristoforo Colombo scoprì il nuovo Mondo, nell’intero continente americano (Nord, Centro e Sud) vivevano 75 milioni di persone, in Europa 60. Nell’attuale Messico c’era Tenochtitlan: 250 mila abitanti, quando Londra e Roma in quello stesso periodo ne avevano 50 mila, mentre Madrid non arrivava a 5 mila. Facciamo un salto di cinque secoli: nel 1990 si stimava che gli immigrati irregolari negli Stati Uniti fossero 3,5 milioni. Nel 2014 la cifra era salita a 11 milioni, con circa cinque milioni di messicani. E’ in questo periodo che la propaganda del sovranismo estremo diffonde sulle piattaforme web il virus della xenofobia: i migranti rubano il lavoro, sono dei criminali, portano nuove malattie. Nella realtà americana non ci sono statistiche serie a sostegno di questi fenomeni. La ricerca storica, invece, ha dimostrato come i bianchi venuti dall’Europa, con le loro barche cariche di mucche, capre, maiali, polli e cavalli portarono nel Nuovo continente malattie sconosciute: vaiolo, morbillo, difterite, tracoma, peste bubbonica, malaria, febbre gialla, scarlattina e altro ancora. Tra il 1500 e il 1800 morirono circa 50 milioni di indigeni, privi com’erano di difese immunitarie, lasciando le loro terre non solo ai conquistadores armati, ma anche ai «pacifici» migranti in arrivo dalla Germania, Inghilterra, Irlanda
L’era della rimozione forzata e della schiavitù
Sempre tra il 1500 e il 1800, 2,5 milioni di europei sbarcarono nelle Americhe, trascinando con la forza quasi 12 milioni di africani. La civiltà europea ha prodotto l’era della schiavitù, che ha segnato la nascita e la crescita degli Stati Uniti, passando poi dalla piena sottomissione dei «black people» alla segregazione, fino alle scorie del «razzismo sistematico» che intossicano ancora oggi la società americana.
È utile ricordare che invece fu proprio un presidente bianco,Andrew Jackson, considerato dalla storica Jill Lepore «il primo populista alla Casa Bianca», a promulgare nel 1829 «l’Indian removal Act», ordinando la rimozione forzata dei nativi americani. La legge, approvata di misura dal Congresso, portò al trasferimento di circa 47 mila uomini, donne e bambini delle «cinque tribù civilizzate»: Cherokee, Chickasaw, Chocktaw, Creek e Seminole che fino a quel momento vivevano in Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Tennessee. Furono tutti deportati nelle terre del «Selvaggio West»
L’esercito sloggia i nativi
I Cherookee, stanziati in Georgia, cercarono di resistere, appellandosi anche alla Corte Suprema con questa dichiarazione: «Ci chiedete di andarcene, ma noi non siamo stranieri. Noi siamo gli abitanti originari dell’America». I giudici si pronunciarono a loro favore. Ma Jackson ignorò la sentenza e, minacciando l’uso della forza, convinse una parte del gruppo dirigente della tribù a firmare l’accordo di trasferimento in Oklahoma. Accettarono di andarsene solo 2 mila Cherookee. Gli altri 16 mila furono sloggiati dall’esercito, con un viaggio a tappe forzate, in cui morirono circa 4 mila persone. Chi viaggia nel Sud degli Stati Uniti può ritrovare ancora oggi tracce del «Trail of Tears», il sentiero delle lacrime, percorso da tutti i nativi cacciati dalle loro terre. Il vuoto fu presto colmato dai bianchi, a partire dai cercatori d’oro, visto che nel 1828, giusto un anno prima dell’Indian Removal Act, in Georgia era stato scoperto un giacimento del più prezioso dei metalli.
«Esistono uomini destinati a diventare schiavi?»
Ed ora eccoci qui, a quasi due secoli di distanza dalla «rimozione etnica» voluta da Jackson, alle prese con teorie che pretendono di rimuovere la Storia. Negli Stati Uniti e in Europa l’ideologia del «suprematismo bianco» continua a fomentare l’ostilità verso gli immigrati e ad inquinare pericolosamente il dibattito pubblico. Senza neppure porsi la domanda che è alla base del nostro ordine mondiale e che, nel 1504, il re Ferdinando di Spagna, committente insieme alla consorte Isabella della missione di Cristoforo Colombo, aveva girato a un gruppo di filosofi e di giuristi: «Le espropriazioni compiute dagli europei nel Nuovo continente e la riduzione in schiavitù dei nativi americani sono compatibili con la legge umana e quella divina?».
I saggi dell’epoca conclusero che «in natura esistono uomini meno capaci, destinati a diventare schiavi». Nel 2023 l’eco di quella risposta non si è ancora spenta
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 5th, 2023 Riccardo Fucile
“IL GOVERNATORE NON HA TROVATO IL CORAGGIO DI INCONTRARCI”
A Belgorod continuano i combattimenti tra volontari russi anti-Putin e
forze di Mosca. I filo-ucraini, riporta la Bbc, avrebbero catturato alcuni soldati russi nella regione al confine con l’Ucraina.
Nel pomeriggio di oggi – domenica 4 giugno – il governatore dell’Oblast, Vyacheslav Gladkov, citato dalla Tass ha affermato che «Gruppi di sabotaggio e ricognizione» si erano infiltrati. «I combattimenti sono in corso a Novaya Tavolzhanka. Spero saranno eliminati», aveva scritto sui social Gladkov chiedendo, inoltre, ai cittadini della regione di evacuare le zone colpite dai bombardamenti, che si sono intensificati negli ultimi giorni.
«Chiedo che gli abitanti delle località bombardate, in particolare quelli del distretto di Shebekino, seguano le indicazioni delle autorità e lascino temporaneamente le loro residenze», è l’appello del governatore che sottolinea come due donne siano morte in seguito ai bombardamenti di ieri, sabato 3 giugno.
Un incontro tra i sabotatori e il governatore?
Il governatore di Belgordod non si sarebbe presentato all’incontro con i partigiani filo-ucraini che avevano chiesto un colloquio con Vyacheslav Gladkov, proponendo uno «scambio di due prigionieri per pochi minuti di conversazione».
«Il governatore non ha trovato il coraggio di incontrarci», hanno detto i militanti anti-Putin, che consegneranno – riporta l’emittente inglese – i loro prigionieri all’Ucraina.
La «Legione Libertà della Russia» aveva annunciato di voler incontrare Gladkov su Telegram, sottolineando come oggi, domenica 4 giugno, « è una grande festa ortodossa, il giorno della Trinità. E noi, rappresentanti dell’Rdk (il Corpo dei Volontari russi, ndr) e della Legione, ci offriamo di scambiare due prigionieri per pochi minuti di conversazione con lei (Gladkov, ndr) in chiesa». L’obiettivo dei partigiani, che a detta loro si sarebbero presentati all’incontro «disarmati», è lo scambio di due uomini imprigionati come «gesto di buona volontà», «solo per l’opportunità – avevano spiegato – di parlare con lei del destino della Russia, dell’inutile guerra sanguinosa che viene condotta da un anno e mezzo e che ora si sta svolgendo sul territorio della sua regione di Belgorod».
Quindi, prosegue il messaggio, «oggi alle 17.00 avete l’opportunità di chiacchierare senza armi e di portare a casa due cittadini russi, soldati comuni, che lei e la sua leadership politica avete mandato in questo massacro. Ci vediamo lì!», hanno concluso. Tempestiva è stata la risposta del governatore che con un messaggio su Telegram ha fatto sapere che avrebbe acconsentito ai colloqui solo dopo un’azione che dimostrasse che i soldati fossero ancora vivi.
In mattinata, i volontari di Mosca filo-ucraini sono entrati nel distretto di Shebekino. Ad annunciarlo è stato lo stesso gruppo «Legione Libertà della Russia». «In arrivo! Il gruppo d’assalto avanzato della Legione e della Rdk (il Corpo dei Volontari russi, ndr) sta entrano nella periferia di Shebekino. ‘L’ Per la Russia! Per la libertà!’», si legge nel messaggio. Sull’ingresso dei militanti anti-Putin, nella città della Russia sudoccidentale si è espresso anche Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, secondo il quale «gli eventi di Shebekino dovrebbero essere visti come il futuro della Russia. Nell’esempio di una piccola città osserviamo la fine dell’era della stabilità di Putin e la sentenza per vent’anni di parodia da parte di una mano forte, una mano che ruba», si legge sul profilo Twitter del funzionario. «I russi – sottolinea – dovrebbero dare un’occhiata più da vicino… Caos, mancanza di governo (funzionari in fuga), bombardamento totale dei quartieri residenziali da parte dell’esercito russo, saccheggio di massa aggressivo, estorsione di denaro per l’evacuazione, violenza di ogni tipo, illegalità delle bande criminali, impotenza… E, cosa più importante, una totale ignoranza delle informazioni. Dopotutto, ciò che non è stato mostrato in televisione non esiste, giusto?», conclude Podolyak.
(da agenzie)
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