Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
“ELLY E’ L’ULTIMA SPERANZA DEL PD”
“In Italia ci sono 3 sinistre, così come ci sono 3 destre. E secondo me
farebbero bene a a marciare ognuna secondo il proprio gruppo di riferimento per poi unirsi al momento delle elezioni. Più questa sinistra triplice farà così, più si avvicina la possibilità di guadagnare forza. Allo stato attuale questo non c’è. Se non si uniranno avremo un ventennio di destra. D’altra parte, ci siamo già abituati ai ventenni di destra”.
Sono le parole pronunciate ai microfoni de L’Italia s’è desta (Radio Cusano Campus) dal sociologo e direttore della Scuola del Fatto Quotidiano, Domenico De Masi, che analizza la situazione odierna del centrosinistra italiana, spiegando: “C’è la sinistra che era quella del Pd fino a qualche mese fa e che guardava soprattutto alle classi medie. Classi medie che sono sempre più tartassate dall’economia neoliberista. E in questo non c’è niente di male, perché se non sono rappresentate a sinistra, vanno a finire a destra. Poi c’è la sinistra dei 5 Stelle, che con Conte ha scelto di occuparsi del proletariato e del sottoproletariato, cioè – continua – gli ultimi e gli umili come direbbe Papa Francesco. È il partito che ha fatto il decreto di dignità, ha varato il reddito di cittadinanza, si è occupato dei centri per l’impiego. E infine c’è la sinistra di gruppi più radicali, come quelli intorno a de Magistris e a vari intellettuali. Il vero problema di queste sinistre è quello di riconquistare coloro che hanno smesso di votare a sinistra perché non si sentono rappresentati”.
De Masi si sofferma poi sul precariato: “È un obiettivo preciso delle politiche economiche neoliberiste, che si basano proprio sulla creazione di una massa precaria perché questo comprime i salari e quindi aumenta i profitti. Del resto, il neoliberismo è stato pensato per aiutare la borghesia. La cosa che stupisce è che la Meloni, che per la sua cultura non dovrebbe essere neoliberista ma aderente a una politica economica statale, invece è totalmente neoliberista – sottolinea – almeno per le cose che ha fatto finora. Il precariato, al contrario, è come il fumo negli occhi per la sinistra e per fortuna i 5 Stelle se ne sono occupati in questi anni, al contrario di altri. Lo stesso Pd, che adesso si riavvicina a una visione di sinistra, inizialmente sul reddito di cittadinanza non è stato mica contento. D’altra parte, il reddito di inclusione che fecero i dem era una caricatura del reddito di cittadinanza“.
Il sociologo commenta anche le polemiche scatenate dall’intervento di Beppe Grillo alla manifestazione romana del M5s contro il precariato: “Veramente le critiche sono state in numero pari alle voci a favore. In Italia c’è uno schieramento di stampa e tv tutta conservatrice ed era prevedibilissimo che reagissero male. Io invece ho trovato l’uscita di Grillo molto originale e molto intelligente, perché qui il problema è instradare il dissenso verso forme di impegno civile – aggiunge – come ha cercato di dire il fondatore del M5s. Dobbiamo comunque abituarsi a un clima in cui i conservatori fanno il loro mestiere. Anche nel centrosinistra hanno protestato per la battuta di Grillo? Non c’è da meravigliarsi, il Pd è pieno di neoliberisti e di conservatori. Questo è il dramma della sinistra: non avendo una proposta di società alternativa a quella attuale, si ritrova con tutte queste contraddizioni interne”.
E su certa ritrosia di Giuseppe Conte nei confronti di Elly Schlein, osserva: “Conte guida un partito molto più compatto di quanto sia il Pd. E quindi il leader del M5s ha il giusto timore che poi nell’ambito del Pd prevalgano le forze contrarissime ai 5 Stelle. Una parte di queste forze è uscita dal Pd con Renzi e Calenda, un’altra parte è rimasta dentro il Pd – chiosa – e vede l’alleanza col M5s come fumo negli occhi. Quindi, la cautela di Conte è del tutto comprensibile. Allo stesso modo, è comprensibile la difficoltà in cui si trova Elly Schlein, che però è l’ultima speranza per il Pd. Se i dem non approfittano di questa occasione, è finita“.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LE OPERAZIONI SPERICOLATE DELL’IMPRENDITRICE SANTANCHE’ NELL’INCHIESTA DI REPORT
Un’inchiesta della trasmissione televisiva “Report” ha gettato luce
sulle azioni audaci dell’imprenditrice e attuale ministra del Turismo, Daniela Santanchè. La sua gestione delle aziende Visibilia e Ki Group, avvenuta negli anni recenti, ha portato al crollo in borsa di entrambe le società, causando il licenziamento di decine di dipendenti. Partiti politici come il PD, il Movimento 5 Stelle e l’Alleanza Verdi e Sinistra hanno chiesto che Santanchè renda conto di queste azioni in Parlamento e che la procura apra un’indagine.
La situazione descritta nell’inchiesta di “Report” è caratterizzata da fornitori non pagati, dipendenti licenziati che ancora attendono il pagamento del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e compensi esorbitanti garantiti agli amministratori. Inoltre, si sono verificate operazioni finanziarie strane con fondi stranieri che hanno causato danni ai piccoli azionisti delle stesse società.
Il caso Ki Group è stato analizzato nel dettaglio da “Report”. Si tratta di un’azienda specializzata nella commercializzazione di prodotti biologici, acquisita da Santanchè e dal suo ex compagno Canio Mazzaro intorno al 2011. Nel corso degli anni, Santanchè e Mazzaro hanno ricoperto più volte la carica di presidente del consiglio di amministrazione di Ki Group e della società madre Bioera, attribuendosi compensi che nel tempo sono arrivati a superare i 600.000 euro all’anno. Nel corso di nove anni, Daniela Santanchè ha guadagnato oltre due milioni e mezzo di euro solo in stipendi per le sue cariche sociali, mentre Mazzaro ha incassato sei milioni di euro. Inoltre, per anni Ki Group ha pagato l’affitto di un’auto di lusso e di una casa a Milano a Mazzaro, presentandoli come spese di rappresentanza.
Nel consiglio di amministrazione di Ki Group sono stati cooptati anche la sorella di Santanchè, Fiorella Garnero, la nipote Silvia Garnero e il figlio maggiore di Canio Mazzaro, Michele. In seguito a divergenze con la proprietà nel 2017, l’amministratore Dino Poggio ha abbandonato la Ki Group, e Santanchè ha preso personalmente il controllo dell’azienda. A partire dal 2018, Ki Group ha avuto enormi difficoltà nel pagare i propri fornitori, promettendo pagamenti che non sono mai arrivati a decine di aziende. Nel 2018, i debiti di Ki Group verso i fornitori hanno raggiunto oltre 8 milioni di euro, rappresentando quasi un quarto del fatturato dell’azienda. A partire dal 2019, la situazione di Ki Group è peggiorata ulteriormente. I bilanci dell’azienda sono stati ripetutamente respinti dalla società di revisione, e una seconda società, con lo stesso nome ma di tipo societario diverso (srl), è stata creata per prendere in carico le attività che generavano profitti, mentre Ki Group spa diventava “una scatola vuota”.
Nel frattempo, diverse piccole aziende in attesa di pagamento sono andate in crisi, come ad esempio Verde Bio, che ha chiuso l’attività e ha successivamente affittato il ramo d’azienda a Santanchè e al suo socio per soli 50.000 euro all’anno. Un’altra società coinvolta è Visibilia, di cui Santanchè è stata proprietaria insieme al suo attuale compagno, Dimitri Kurz, fino a ottobre dello scorso anno. Anche Visibilia ha affrontato gravi difficoltà finanziarie, non riuscendo a chiudere un bilancio positivo per anni. Nel 2017, l’azienda ha licenziato tutti i dipendenti dei propri giornali. Nel suo ultimo bilancio pubblico, è emerso un debito di 2,1 milioni di euro nei confronti della capogruppo Visibilia Concessionaria, a causa della mancata restituzione dei proventi pubblicitari dei giornali Novella 2000, Ciak, Visto, Pc Professionale, Ville e Giardini. Inoltre, Visibilia Concessionaria ha venduto spazi pubblicitari per circa 120.000 euro a Media Italia, una società del Gruppo Armando Testa, che si è aggiudicata la campagna di promozione del Ministero del Turismo, guidato proprio da Santanchè.
Tutti gli affari della Santanchè
La situazione finanziaria di Visibilia è diventata così critica che nel novembre dello scorso anno il tribunale di Milano ha richiesto il fallimento dell’azienda, sebbene questa decisione sia stata revocata in seguito al pagamento parziale dei debiti. Nel frattempo, Santanchè ha venduto le sue quote. Nel 2019, tuttavia, Visibilia aveva ottenuto un prestito di 3 milioni di euro da una società di investimento di Dubai chiamata Negma, in cambio di azioni. In una diffida inviata al giornale online Milanotoday a nome del fondo di Dubai, si è scoperto che l’avvocato Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato, ha apposto la sua firma. Curiosamente, La Russa aveva inviato una diffida allo stesso giornale qualche settimana prima a nome di Visibilia. Questo ha sollevato interrogativi sulla consulenza di La Russa sia per chi richiede soldi che per chi li presta, conducendo operazioni discutibili. Infatti, Negma ha effettuato operazioni di vendita delle azioni che hanno svalutato nel tempo l’azienda, causando danni ai piccoli azionisti. Un piccolo azionista di nome Giuseppe Zeno ha presentato una denuncia alla procura di Milano e alla Consob. Negma ha tratto profitto da queste operazioni, guadagnando 600.000 euro. Un meccanismo simile si è verificato anche con Ki Group. Nel corso di nove anni, il valore di Ki Group in borsa è passato da 35 milioni a soli 465.000 euro, mentre gli azionisti hanno versato 23 milioni di euro, di cui 9 milioni sono andati solo agli emolumenti di Santanchè e del suo ex compagno.
Le richieste di chiarimento e le indagini richieste dall’opposizione evidenziano la gravità delle accuse mosse contro l’imprenditrice e ministra Santanchè. Resta da vedere come si svilupperanno le inchieste e se Santanchè sarà chiamata a rispondere delle sue azioni in Parlamento e davanti alla giustizia.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
L’INDAGINE RIGUARDA VARI EPISODI DI CORRUZIONE ED E’ SCATURITA DA UN’INCHIESTA SUL TRAFFICO DI DROGA
L’ex direttore dell’Agenzia delle Dogane Marcello Minenna, attuale assessore all’ambiente della Regione Calabria ed ex assessore del Comune di Roma, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta della procura di Forlì e si trova al momento ai domiciliari.
In tutto sono stati 34 i provvedimenti cautelari. C’è anche l’ex parlamentare della Lega Gianluca Pini, non più in carica dal 2018, fra gli arrestati nell’inchiesta della procura di Forlì.
L’indagine ha portato all’arresto di esponenti del mondo imprenditoriale romagnolo e appartenenti alle istituzioni, “asserviti” secondo chi indaga “ad interessi economici estranei e contrastanti con il fine pubblico, la trasparenza e la legalità della pubblica amministrazione”.
L’operazione arriva dopo un’indagine antidroga avviata dalla Squadra Mobile della Questura di Forlì nel gennaio del 2020 nei confronti di un sodalizio straniero dedito al traffico di stupefacenti. Le indagini hanno permesso di confermare l’ipotesi di coinvolgimento nel traffico internazionale di droga di un imprenditore forlivese con precedenti penali operante nei settori dell’autotrasporto.
C’è anche un maxi appalto con l’Ausl Romagna per la fornitura di mascherine nell’inchiesta che ha portato alle misure cautelari. Secondo l’ipotesi accusatoria della procura di Forlì, l’ex leghista Pini avrebbe ottenuto un appalto milionario dall’Ausl Romagna per la fornitura di mascherine, nonostante non esistesse nessuna specifica attitudine aziendale, lucrando così anche sulla pandemia del 2020.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
SI INDAGA SUI “SERBATOI DI MANODOPERA”
Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, in
un’inchiesta del pm Paolo Storari, ha eseguito un sequestro preventivo d’urgenza per quasi 48 milioni di euro nei confronti di Esselunga in un’indagine con al centro una presunta “somministrazione illecita di manodopera”. È stata accertata, secondo l’accusa, “una complessa frode fiscale” col meccanismo dei “serbatoi di manodopera”.
La condotta “di Esselunga, di carattere fraudolento, dura da numerosi anni e ha comportato non solo il sistematico sfruttamento dei lavoratori ma anche ingentissimi danni all’erario”, scrive Storari nel decreto di sequestro. Sono indagati l’ex direttore finanziario del colosso dei supermercati, Stefano Ciolli, e Albino Rocca, attuale direttore finanziario. Ed Esselunga per la responsabilità amministrativa degli enti.
Stamani è stato eseguito “un decreto di sequestro preventivo d’urgenza” emesso dalla procura, guidata da Marcello Viola, nei confronti di Esselunga “per l’importo complessivo di 47.765.684,45 euro”. Le indagini, condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Milano “con la collaborazione del Settore contrasto illeciti dell’Agenzia delle Entrate”, hanno al centro il “fenomeno della somministrazione illecita di manodopera” e ricalcano il presunto ‘schema’ illegale accertato in numerose altre indagini del pm Storari su grandi gruppi della logistica e della distribuzione, come Dhl e Brt.
Per l’accusa anche nel caso Esselunga è stata accertata una presunta “frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo, da parte della beneficiaria finale del meccanismo illecito”, ossia Esselunga stessa. I pm parlano di “fatture per operazioni giuridicamente inesistenti” e di “stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, in violazione della normativa di settore, che ha portato all’emissione e al conseguente utilizzo di fatture inesistenti per un ammontare complessivo di oltre 221 milioni di euro, più Iva, superiore a 47 milioni di euro”.
Ricostruendo la “filiera della manodopera” è emerso, secondo i pm, che “i rapporti di lavoro con la società committente”, ossia Esselunga, “sono stati in taluni casi schermati da società filtro che a loro volta si sono avvalse di diverse società cooperative (società “serbatoio”), mentre in altri sono stati intrattenuti direttamente con quest’ultime che hanno sistematicamente omesso il versamento dell’Iva e, nella maggior parte dei casi, degli oneri di natura previdenziale e assistenziale”.
Sono in corso perquisizioni nei confronti “delle persone fisiche e giuridiche coinvolte a Milano, Novara e Bergamo e si sta procedendo alla notifica delle informazioni di garanzia, oltre che per le responsabilità personali in ordine ai reati di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, anche in tema di responsabilità amministrativa degli enti” a carico di Esselunga “in relazione agli illeciti penali commessi dai dirigenti della società”
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA, FORTE DELL’APPOGGIO DEL QUIRINALE, VA ALLO SCONTRO ANCHE CON SALVINI, GIORGETTI È STANCO DI NON POTER TRATTARE NOMINE DECISIVE A CAUSA DEL “NO MES”: SENZA LA RATIFICA, NON TOCCHIAMO PALLA
Tra Giorgia Meloni e Bruxelles, Giancarlo Giorgetti sceglie l’Europa. Anche a costo di sfidare la presidente del Consiglio e di aprire un a faglia nel cuore dell’esecutivo. Perché il ministro dell’Economia è convinto che la ratifica del Salva Stati imponga una scelta. […] ritiene che Roma debba decidere da che parte stare. È insomma un dovere che non si può eludere. Anche a costo di strappare con Palazzo Chigi.
C’è un’appendice che chiude il primo, pesante conflitto nel cuore dell’esecutivo. Succede nel tardo pomeriggio di ieri, durante una cerimonia della Guardia di Finanza in una caserma romana. Il titolare del Tesoro si ritrova faccia a faccia con Meloni. E diventa bersaglio. «Se non riesci a contenere i tuoi – è il senso dello sfogo della premier forniamo il destro agli scalmanati che vogliono far saltare tutto». I «suoi» sono i tecnici – a partire dal capo di gabinetto Stefano Varone – che hanno scritto la lettera in cui si sbilanciano sulla convenienza del Mes.
Gli altri, «gli scalmanati», sono i centristi azzurri e renziani – e alcuni leghisti che non la amano che remano contro la stabilità di Forza Italia, contro Antonio Tajani, in ultima istanza contro l’esecutivo. Non sono ragionamenti che scalfiscono Giorgetti. Il ministro, anzi, sceglie consapevolmente di tenere il punto sulla missiva. Lo fa conscio che un segnale di responsabiltà sarà gradito al Colle. E decide di farlo anche a rischio di far esplodere il conflitto. Difendendone in privato le ragioni.
Il punto di partenza del suo ragionamento è netto: il Salva Stati conviene all’Italia per almeno tre ragioni. La prima: mette in sicurezza un Paese dall’alto debito pubblico. La seconda: protegge i titoli di Stato. La terza: il trattato non presenta controindicazioni per l’Italia. E d’altra parte, pesano anche ragioni di pragmatismo politico. Il ministro dell’Economia è stufo di dover chiudere ogni riunione con gli omologhi europei ricevendo un quesito che ormai lo tormenta: «Quando approvate il Salva Stati?».
È stanco, soprattutto, di non poter trattare nomine decisive a causa del “no Mes”, lo scalpo sovranista agitato da Meloni e Matteo Salvini. Senza la ratifica, infatti, Roma rischia di non toccare palla nella corsa per guidare la Banca europea per gli investimenti, dove è in lizza Daniele Franco. Potrebbe perdere il posto nel board della Bce, nel caso in cui Fabio Panetta diventasse governatore di Bankitalia. E verrebbe esclusa anche dalla battaglia per il consiglio di vigilanza della Banca centrale europea, guidata dall’italiano Andrea Enria.
Senza sottovalutare neanche il peso degli screzi nella battaglia per la guida delle partecipate e della Guardia di Finanza, da cui Giorgetti è uscito sconfitto. […] La presidente del Consiglio sapeva della lettera del ministero dell’Economia, ma forse non conosceva […] forma e contenuti scelti dal Tesoro per promuovere il Mes. E non poteva prevedere la reazione della Lega, la scintilla che ha infiammato le contraddizioni sovraniste. Su esplicito ordine di Matteo Salvini, il Carroccio chiede in commissione di mettere ai voti la ratifica, per bocciarla.
I meloniani sbandano, si ritrovano di fronte due pessime alternative: dire no come il Carroccio, provocando un caso internazionale, oppure votare sì e spaccare la maggioranza. L’idea di Meloni è sempre quella di rimandare. Pensa che sia utile per trattare con Bruxelles le condizioni per il nuovo Patto di Stabilità. È l’eterna contraddizione della premier: vorrebbe bocciare il Salva Stati, ma preferisce non farlo per non affossare l’Italia sui mercati. Ne discuterà stamane con Salvini, Tajani e Giorgetti. Il segretario leghista, infuriato con il suo ministro, preme per bocciare il testo.
(da La Repubblica)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
ALL’EPOCA MENTRE UNO SPARAVA, RISCHIANDO DI FAR PERDERE UN OCCHIO ALLA DOCENTE, L’ALTRO RIDEVA FILMANDO LA SCENA PER POI POSTARLA SUI SOCIAL
Sono stati promossi i due alunni autori degli spari di pallini al volto
alla prof del rodigino, filmata e derisa sui social durante la lezione di Scienze. Entrambi (sui cinque minori coinvolti) non dovranno ripetere l’anno. Si tratta dei due ragazzi maggiormente coinvolti nell’episodio, colui che sparò i pallini alla docente rischiando di farle perdere un occhio, e il compagno che filmò il gesto per poi divulgarlo a mezzo social facendolo diventare virale.
Gli avvocati che rappresentano la professoressa Maria Cristina Finatti, ora assicurano che la docente è pronta a mandare una lettera al Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per quello che ritiene uno schiaffo morale dopo il danno subito.
«Quando avremo la conferma formale della promozione, come del fatto che, a quanto ci risulta, le sospensioni non sono mai state applicate, saremmo pronti ad aggiornare subito della situazione il ministro Valditara», assicurano gli avvocati Tosca Sambinello e Nicola Rubiero.
«Abbiamo sentito la professoressa Finatti e si è detta delusissima per le promozioni – spiega l’avvocato Tosca Sambinello – è rimasta inoltre mortificata del fatto che alla scuola di Abbiategrasso sia stato bocciato l’alunno che accoltellò una professoressa (accadde a fine maggio, ndr) mentre a Rovigo tutto è filato liscio come nulla fosse. Due pesi e due misure, ma i princìpi e i valori della scuola, si è chiesta la nostra cliente, non dovrebbero essere sempre gli stessi? ».
Nicola Bergamin, avvocato difensore del ragazzo che ha sparato i pallini, ricorda: «Fin dall’inizio abbiamo sottolineato che si trattava di un episodio circoscritto – afferma – il ragazzo ha avuto 9 in condotta e la media dell’8. Il suo impegno è stato confermato da tutti gli insegnanti: siamo soddisfatti per lui, non è stato facile, un singolo episodio rischiava di compromettere tutto».
Il provveditore: «Scelta determinata dal rendimento»
Sulla questione interviene anche Roberto Natale, provveditore scolastico per Padova e Rovigo. «Non so in maniera effettiva se i ragazzi siano stati bocciati o meno – premette – ma sono sicuro che, nel caso, la scelta sia dipesa dalla valutazione del loro rendimento ».
Gli spari al volto, esplosi con una pistola ad aria con pallini di plastica, avvennero l’11 ottobre per mano dei due alunni, mentre un terzo avrebbe portato l’arma giocattolo a scuola.
Tre mesi dopo la docente Finatti, l’8 gennaio, vedendo che non era stato preso alcun provvedimento dalla preside e non ricevendo scuse dagli alunni e dalle famiglie ha denunciato l’intera classe per lesioni personali, diffamazione a mezzo social e atti persecutori perché ritiene tutti «simbolicamente complici» di quanto fatto.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
GUERRA DI NERVI E DI SOSPETTI
Almeno l’hanno fatta rientrare da Parigi, questa volta. Sul Def infatti la maggioranza andò sotto mentre la premier stava varcando la porta del civico 10 di Downing Street per incontrare Rishi Sunak.
Ieri Giorgia Meloni non ha avuto nemmeno il tempo di metabolizzare “l’ottimo bilaterale” con Macron, e di sintonizzarsi sull’arrivo di Lula, che è stata raggiunta da un’ondata di problemi con la sua maggioranza. Nel volgere di poche ore, grane, preoccupazioni e fantasmi hanno bussato a Palazzo Chigi. La ratifica del Mes, i dubbi su Giancarlo Giorgetti e le rogne della Lega, la tenuta parlamentare di Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi e i segnali di Matteo Renzi. Per la prima volta in sette mesi i pianeti del governo e quelli della maggioranza appaiono disallineati.
Il ko in Senato sul dl “Lavoro” ha messo in luce il dilemma su cui Meloni da dieci giorni si interroga: reggerà Forza Italia senza il Cav.? Come sarà la navigazione, soprattutto a Palazzo Madama dove la capogruppo è Licia Ronzulli, del partito azzurro?
Le assenze di Dario Damiani e Claudio Lotito, tra superficialità e rivendicazioni politiche, raccontano il caos che tanto teme Meloni. Quello di ritrovarsi un alleato che sembra la pallina impazzita del flipper. Un partito non gestibile né guidabile con il neo presidente Antonio Tajani spesso all’estero per motivi di lavoro.
E’ lo scenario Zattera della Medusa: tutti contro tutti, senza disciplina. Il titolare della Farnesina lo chiama “incidente di percorso” e però è arrivato a pochi giorni dall’accorata lettera di Luca Ciriani, ministro meloniano per i Rapporti con il Parlamento, alla maggioranza in vista del tour de force estivo con sei decreti da convertire.
E invece, tac: ecco l’inciampo, protagonisti proprio gli azzurri. Di questa faccenda c’è poi un altro corno che ha fatto saltare la mosca al naso della premier: la mossa di Matteo Renzi. In Commissione Silvia Fregolent, fedelissima dell’ex premier di Rignano, ha votato contro la maggioranza. Senza fornire sponde che in passato Iv non ha lesinato al governo, forte del motto “noi facciamo una opposizione nel merito e non strumentale”. Questa volta non è andata così. E Renzi ha fatto arrivare a Palazzo Chigi un segnale inequivocabile: posso farvi ballare, ora che FI non ha un timone solido. Dinamica che Meloni ha ben chiara e tanto che a Palazzo Chigi da sempre le sentono ripetere che “non mi fido di Matteo”. Figurarsi ora. In questo clima di sospetti e paranoie ci si è messo anche il Mes. Sempre nella stessa giornata la presidente del Consiglio è andata su tutte le furie davanti al cortocircuito causato dalla relazione del capo di gabinetto del ministero dell’Economia Stefano Varone.
Hai voglia a ripetere, come spiegano nel governo, che “è una semplice risposta tecnica, non è una lettera che ha una decisione politica e che quella arriverà a tempo debito, dopo normali consultazioni nella maggioranza e in parlamento”.
I dubbi su Giancarlo Giorgetti hanno preso consistenza dalle parti di Palazzo Chigi, anche perché in fin dei conti una certa patina di draghismo accompagna da sempre il titolare di Via XX Settembre. Fatto sta che la vicenda non è stata presa sotto gamba da Meloni e ha mandato in commissione Esteri, dove è scoppiato il caso, il suo consigliere economico Renato Loiero e il ragioniere generale Biagio Mazzotta. Uno scollamento che ha attraversato anche la Lega riproponendo, in controluce, il dualismo tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, “il mai Mes” contro il pragmatismo del ministro dell’Economia, pressato dall’Europa. Su questo fronte la leader della destra italiana non può che troncare e sopire: dunque oggi il testo base sarà approvato in Commissione e poi si cercherà di fare in modo che il 30 giugno non approdi alla Camera.
Un voto contrario, nei giorni in cui sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo, sarebbe complicato da gestire. Dunque si farà di tutto per rinviare la pratica con una serie di escamotage legati al calendario parlamentare già di per sé molto ingolfato. Si potrebbe far partire l’iter e poi dare parere contrario al mandato al relatore. Oppure chiedere, qualora non ci fosse un parere favorevole ad un testo, il parere della giunta per il regolamento e prendere ulteriormente tempo.
La maggioranza in ordine sparso, le mosse di Renzi: troppi fantasmi si agitano sopra Palazzo Chigi al punto che in molti giurano di aver sentito dalla bocca di Meloni quel “io non sono ricattabile” che pronunciò all’inizio della legislatura nei confronti di Berlusconi. Un avviso ai naviganti che torna d’attualità in questo sabba.
(da il foglio)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
NON E’ ACCETTABILE CHE SI BLINDINO GLI OCCHI DAVANTI A DECINE DI MANCATI PAGAMENTI DA PARTE DELLA TITOLARFE DEL TURISMO
Questa volta non c’erano accenni a servizi deviati, strane
coincidenze fotografiche, testimonianze dal valore discutibile. No, questa volta a “Report” sono state indicate e documentate a carico di Daniela Santanchè e del suo compagno dal nome asburgico/aspirazionale una serie di condotte societarie semplicemente non accettabile per un ministro in carica.
Non serve essere moralisti, basta guardare i fatti. Ci sono attestazioni da cui si vede che le società prima guidate direttamente da Santanchè e poi affidate ad altre mani sono state condotte a vantaggio dei soci con trasferimenti di liquidità e a danno dei dipendenti, pagati in ritardo o non pagati, con versamenti previdenziali non pervenuti, e poi licenziati.
E con fornitori trattati alla stessa stregua. Mentre i risultati economici aziendali sono sempre stati non soddisfacenti, una costante, questa, dell’attività imprenditoriale di Santanchè da diversi anni a questa parte.
Quello del ministro del Turismo è un ruolo importante, certo, e siamo anche nei giorni più impegnativi nella preparazione della stagione estiva. Ma il ministro può essere sostituito, senza che le varie strutture che gestiscono il turismo in Italia ne vengano compromesse e la stagione, con ogni probabilità, toccherà numeri da record anche senza la spinta del ministro da cui è stata promossa la campagna “Open to Meraviglia”. Dovrebbe essere la stessa maggioranza a chiedere con decisione il passo indietro di un ministro dal quale viene un indiscutibile danno per la credibilità del suo ruolo e poi dell’intero governo. In passato ci sono state dimissioni ministeriali per il mancato pagamento dei contributi a una sola lavoratrice, non è accettabile che si blindino gli occhi davanti a decine di mancati pagamenti e a modi di operare che non hanno niente a che fare con l’etica imprenditoriale e con la stessa capacità di guidare un’azienda. Ci auguriamo che Santanchè possa chiarire la sua posizione. Ma non averlo ancora fatto è un segnale negativo. E non occorre essere moralisti per capire quando un ministro non è adatto a occupare un ruolo.
(da ilfoglio.it)
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Giugno 22nd, 2023 Riccardo Fucile
BASTA CEDERE LE ZONE IN DISCUSSIONE A PUTIN, CHE PROBLEMA C’E’ ?… “L’ODIO VISCERALE PER ZELENSKY” L’ULTIMA VERGOGNA
Nonostante il ricovero e la malattia Silvio Berlusconi ha continuato a lavorare fino all’ultimo. E dal San Raffaele ha lavorato a un appello per la pace tra Russia e Ucraina. Lo racconta oggi Il Fatto Quotidiano, che cita una fonte “anonima” ma “qualificata” che è stata vicina all’ex premier negli ultimi mesi. E c’è anche un appunto sotto forma di appello appena abbozzato.
Nel quale i protagonisti, ovvero Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, avrebbero dovuto rinunciare entrambi a qualcosa in nome del bene comune. Non solo: Berlusconi, sempre secondo il Fatto, era spaventato dal ruolo della Cina e dalla capacità di Pechino di sfruttare le debolezze dell’Occidente. Per questo appoggiava esplicitamente la missione del cardinale Matteo Zuppi a Kiev.
Ma soprattutto, nell’appello emergeva una richiesta esplicita a Zelensky. Quella di «far tacere le armi». E fermare la controffensiva che l’ex Cavaliere giudicava «dannosa e controproducente per il suo popolo». Secondo Berlusconi il presidente dell’Ucraina si sarebbe dovuto sedere a un tavolo con Putin e rinunciare alle repubbliche filorusse annesse da Mosca. Perché «l’Ucraina non può vincere la guerra».
Il quotidiano aggiunge che l’appello per la pace probabilmente era anche frutto dell’amicizia con Putin e da «un odio viscerale» nei confronti di Zelensky. E dice che Andrea Orsini, ghostwriter di Berlusconi, ne ha parlato pubblicamente in un’intervista a La Nuova Bussola. Berlusconi, ha detto Orsini, «era disperato all’idea che si potessero distruggere così tante vite umane nella guerra in Ucraina». Così «uno dei progetti che aveva in mente negli ultimi tempi era un appello per la pace abbastanza affine a quello del Santo Padre, di cui condivideva molto la sensibilità su questo tema».
Anche Michele Santoro ha raccontato durante il suo ultimo intervento in tv di aver avuto un colloquio privato con Berlusconi sulla guerra in Ucraina. L’ha datata prima del ricovero. E ha detto che si è parlato «degli orrori della guerra e dell’inadeguatezza dei leader politici a gestirla». Negli scorsi mesi questa posizione politica di Berlusconi era comunque emersa distintamente. Gli audio in cui criticava Giorgia Meloni proprio su Zelensky risalgono allo scorso febbraio. Secondo i retroscena all’epoca puntava anche al voto dei pacifisti. A settembre scoppia un altro caso. Stavolta nel mirino ci sono le parole dette in Veneto: Putin è stato obbligato ad invadere perché pressato dai comunisti. Subito dopo l’uscita a Porta a Porta. «Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze contro di noi ed i nostri confini, siamo arrivati a 16mila morti. Difendici perché se non lo fai tu non sappiamo dove potremo arrivare». Putin sarebbe stato «spinto dalla popolazione russa, dal suo partito e dai suoi ministri a inventarsi questa operazione speciale». Fino all’uscita del 18 ottobre scorso, quella dell’audio “rubato”. «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo Putin e Zelensky. Zelensky, poi… non posso dirlo».
(da agenzie)
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