Destra di Popolo.net

CORRADO AUGIAS SPIEGA IL SUO ADDIO A VIALE MAZZINI: “IL GOVERNO STA DEMOLENDO LA RAI”

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

“SONO VECCHIO E VORREI CONTINAURE A LAVORARE CON PERSONE AMICHE IN UN AMBIENTE CORDIALE”

Corrado Augias ha annunciato ieri 6 novembre il suo addio alla Rai e il suo approdo a La7. Sulla tv di Urbano Cairo condurrà La Torre di Babele da lunedì 4 dicembre. Il programma in prima serata avrà un ospite in ogni puntata. Oggi, in un articolo su Repubblica, il giornalista e scrittore spiega la sua scelta partendo dal racconto della Rai di Fabiano Fabiani: «Quando sono entrato in azienda (1° luglio 1960, per concorso) la Rai era un feudo democristiano. Ettore Bernabei, poco dopo, divenne il dominus, la Dc era il suo partito, Amintore Fanfani il referente. L’atmosfera politica era angusta ma il livello culturale faceva della Rai una delle migliori televisioni europee».
Il pluralismo e la lottizzazione
Poi racconta del trasferimento del controllo dell’azienda dal governo al Parlamento nel 1975 e del pluralismo garantito attraverso «una forma scientifica di lottizzazione», con la prima rete ai democristiani, la seconda ai socialisti e la terza ai comunisti. E spiega che ad ogni cambio di maggioranza in Rai sono arrivati «nuovi fedeli. Tutti accomunati dallo stesso desiderio: occupare un incarico di un certo prestigio, avere uno stipendio migliore». Nel 2022, con il governo Meloni, secondo Augias «gli obiettivi sono diventati più numerosi». Perché «si è aggiunta la voglia di raccontare daccapo la storia. Finora ne abbiamo avuto solo qualche accenno anche perché non è che abbondino, da quella parte, quelli in grado di farlo. Temo di sapere che di qui a qualche mese questo impulso crescerà di forza, se le cose resteranno come oggi sono».
Un governo approssimativo e incompetente
Secondo Augias un governo «approssimativo e incompetente» ha prodotto «il massimo di efficienza nella progressiva distruzione della Radiotelevisione italiana. Ho visto negli ultimi mesi dilettantismo, scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là. Sono materie (non le sole, del resto) in cui la competenza deve prevalere sulla fedeltà». Questo, dice, lo ha spinto fuori dalla Rai «senza bisogno che qualcuno mi chiedesse di accomodarmi. Se fossi stato più giovane sarei rimasto cercando, se possibile, di riequilibrare un po’ la deriva. Però sono vecchio e vorrei continuare a lavorare, fin quando avrò sufficiente consenso, con persone amiche in un ambiente cordiale. Resta questa brutta storia, avevano annunciato di voler demolire la Rai dei comunisti; stanno semplicemente demolendo la Rai».
(da Open)

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TUTTE LE BUGIE DEL “SOTTOSEGRETARIO A GETTONE” SGARBI

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

BREVE RACCOLTA DELLE BUGIE A RAFFICA

Raccolta breve e parziale delle bugie a raffica del “sottosegretario a gettone” Sgarbi Vittorio.
– Sgarbi brandisce a casaccio pareri dell’Antritrust e dell’Anticorruzione. Esempio: nella relazione dell’Agcm relativa allo scorso giugno, i pareri da lui citati non c’entrano nulla, perché si riferiscono solo alle cariche in fondazioni ed enti culturali e al giornalismo.
– Sgarbi, prima dell’inchiesta del Fatto, non aveva mai segnalato le attività che gli garantiscono ingenti entrate.
– Sgarbi dice di avere un ottimo rapporto con il ministro Sangiuliano, che però rivela di stare bene quando non lo vede. Come tutte le persone sane di mente, peraltro.
– Sgarbi gattona sugli specchi anche sui rimborsi. Prima nega di averli mai chiesti perché viaggia con il suo autista, poi dice che erano legittimi. Oppure, come per il rimborso per la trasferta di Messina, li annulla subito dopo l’inchiesta del Fatto. A conferma di quanto fossero regolari.
– Sgarbi non dà spiegazioni convincenti sulle società del capo segreteria e della compagna che fatturano al suo posto, nonché sui 54 mila euro di “regalie” arrivati dal principe Pallavicino.
– Sgarbi dice di non fare expertise (incompatibile con la legge Frattini), ma il Fatto ha documentato che il 22 luglio era impegnato in casa di un privato a farne una per 1.500 euro, cui non è mai seguita fattura.
– Sgarbi dice di essere “tranquillo”, perché il conflitto di interessi va dimostrato con un atto che abbia prodotto un vantaggio patrimoniale a lui e un danno allo Stato. Quella però è la parte della legge che riguarda il conflitto: il suo problema è la compatibilità (“non può svolgere attività professionale gratuita o a pagamento”). O non ci arriva o fa il furbo (Ma nel suo caso, visto il suo stato e quel che ne rimane, potrebbero essere anche entrambe).
– Sgarbi dice che non fa attività di impresa, ma di diritto d’autore. Questa però andrebbe fatturata direttamente, per stare sotto l’ombrello costituzionale art. 21 che supera la Frattini. Lui invece la fa tramite le due società di cui sopra, mai dichiarate all’Agcm.
– Sgarbi dice che non viene pagato con soldi pubblici. Il Fatto ha dimostrato che non solo lo pagano direttamente anche i comuni, ma spesso avviene con fondi sovra-comunitari (sempre pubblici).
Il “nullatenente” (quando perde le querele) Sgarbi dichiara di guadagnare 4.500 euro al mese. No: sono 8.700, di cui 4.500 di stipendio base e il resto di diaria.
– Sgarbi dice di non chiedere rimborsi: lo fa il suo staff, che lo segue nelle missioni e che spesso riceve pure contestazioni per irregolarità.
– Sgarbi dice che ha abbandonato alle tre di notte il suo autista perché aveva mangiato e bevuto troppo. Com’è umano lei!
– Sgarbi dice che la figlia della colf portata nel suo staff al ministero non è figlia della sua colf, ma di quella della compagna. Peccato che lui e Sabrina Colle vivano insieme.
– Sgarbi dice che Stefano Passigli lo ha chiamato dicendogli che è tutto a posto. Macché: è stato Sgarbi ad averlo chiamato e invitato in tv, senza ovviamente dirgli delle due società che fatturano al suo posto, dando all’attività di conferenziere la struttura e la forma giuridica dell’impresa (che non ha mai dichiarato).
– Sgarbi, non avendo argomenti, cerca di delegittimare l’autore dell’inchiesta Thomas Mackinson, inventando accuse di sana pianta. Non solo: intervistato (si fa per dire) dall’amico (suo) Porro, Sgarbi ha diffamato “L’Infetto Quotidiano”, dileggiato Travaglio e il sottoscritto, storpiato i cognomi come fanno i bambini scemi all’asilo (“Scarsi”, “Macintosh”). Sgarbi ha poi sostenuto che chi lo attacca lo fa per invidia. Ed era pure serio. Come dargli torto: tutti, in effetti, vorrebbero quel suo fisico decaduto e decadente da sollevatore morto di coriandoli ipotetici. Daje Vitto’!
(da Il fatto Quotidiano)

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BACCHETTONI IN PUBBLICO, STUPRATORI IN PRIVATO, SCANDALO IN GRAN BRETAGNA: UN MEMBRO DEL PARTITO DEI CONSERVATORI È ACCUSATO DI AVER COMPIUTO UNA SERIE DI STUPRI

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

A DENUNCIARE IL CASO È STATO L’EX PRESIDENTE DEL PARTITO SIR JAKE BERRY, CHE HA CONDANNATO L’INSABBIAMENTO DELLE VIOLENZE DA PARTE DEI “TORIES”

Nuovo scandalo sessuale fra i conservatori del premier britannico Rishi Sunak: un deputato del partito di maggioranza, di cui non viene rivelato il nome, è stato accusato di aver compiuto una serie di stupri. A farsi avanti per denunciare il caso era stato Sir Jake Berry, ex presidente dei Tory e tuttora membro della Camera dei Comuni, che in una lettera inviata alla polizia aveva puntato il dito contro una “mancata azione” disciplinare interna al partito tale da consentire all’esponente sotto accusa di restare impunito.
Nel documento, pubblicato dal domenicale Mail on Sunday, si fa riferimento anche a una vera e propria operazione di copertura della condotta del deputato: Sir Jake sostiene infatti di aver scoperto le spese sostenute dal partito per curare in una clinica privata una delle sue vittime. Dichiarazioni di una gravità estrema che hanno spinto il premier Sunak a intervenire. Se ha definito “molto gravi” le accuse nei confronti del deputato ha però difeso dalle critiche gli organismi di controllo interno dei conservatori.
Il primo ministro non ha voluto ulteriormente commentare in quanto ci potrebbe già essere in corso un’indagine di polizia. Si tratta dell’ennesimo scandalo sessuale che vede protagonista il partito di maggioranza. La baronessa Warsi, membro della Camera dei Lord per i Tory, ha affermato che persiste un “problema” nella gestione delle accuse di cattiva condotta sessuale e di bullismo, arrivando a dire che “c’è del marcio” nel partito di governo.
(da agenzie)

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NETANYAHU TREMA: ASSEDIATO DALLA PIAZZA, SI TRINCERA NEL FORTINO, MA GLI ISRAELIANI LO VOGLIONO CACCIARE

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

IL PREMIER DELLO STATO EBRAICO SI COCCOLA GLI ESTREMISTI DI DESTRA, CHE NON VOGLIONO FARE CONCESSIONI ALL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE… MA I PARENTI DELLE VITTIME DEL POGROM DEL 7 OTTOBRE PROTESTANO CONTRO IL GOVERNO E CHIEDONO LE DIMISSIONI

Le tende sono tornate e questa volta a far tremare Benjamin Netanyahu non è la rimostranza economica della classe media. È questione di vita, di chi la rischia e di chi vuole che gli amati non la perdano.
Le tende sono tornate, questa volta sul marmo bianco del piazzale davanti al museo di Tel Aviv, lo spazio più ampio dove allestire un dolore permanente — è stata soprannominata piazza dei Dispersi — per dimostrare a colpo d’occhio «quanti siamo» ai vertici politici e militari riuniti al dodicesimo piano della Kirya, poco lontano.
Per far capire che qui non ci sono solo i famigliari degli ostaggi. Nel 2011 migliaia di israeliani si erano trasferiti sotto le jacarande su viale Rothschild perché a casa non tornavano più i conti. Adesso si tratta di chiedere conto: al primo ministro che più di tutti è rimasto al potere nella Storia del Paese, quasi sedici anni in totale, quattordici consecutivi dal 2009, con un’interruzione di 563 giorni.
Una settimana dopo essere stato costretto a cancellare il messaggio via social media in cui addossava ai generali e all’intelligence tutta la responsabilità dei massacri perpetrati dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, Netanyahu è tornato alle stesse tattiche prendendosela con i riservisti e il loro rifiuto di presentarsi in caserma durante i 10 mesi di proteste contro il piano giustizia anti-democratico portato avanti dal governo. Sarebbero stati questi annunci di «diserzione» a convincere Yahia Sinwar, il capo fondamentalista nella Striscia, della debolezza di Israele, a spingerlo a ordinare l’invasione.
Ancora una volta è toccato a Benny Gantz, che ha lasciato l’opposizione per partecipare al consiglio di guerra ristretto, rintuzzare gli attacchi del premier: «Rifiutare le proprie responsabilità mentre stiamo combattendo danneggia il Paese». Metà degli israeliani, secondo i sondaggi, lo vorrebbe già al posto di Bibi.
Che si tiene stretto gli ultrà messianici portati da lui per la prima volta al potere. Gli garantiscono la tenuta della coalizione, deve accettarne i veti: Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale, gli ha impedito di cacciare Amichai Eliyahu, suo collega di partito, dopo l’uscita sull’atomica a Gaza.
In più le frasi riportate dai giornali israeliani e attribuite a «una fonte di alto profilo» — quindi Netanyahu o un consigliere autorizzato da lui a parlare — riflettono i piani già espressi da Bezalel Smotrich e Ben-Gvir, capi dei coloni: il conflitto contro Hamas non può portare a un ritorno dell’Autorità di Abu Mazen nella Striscia, a una riunificazione politica dei territori palestinesi, a una riapertura dei negoziati di pace verso uno Stato. In pieno contrasto con gli obiettivi e la strategia degli americani per il dopo Hamas.
Se Netanyahu resta il Bibi di sempre, gli oppositori stanno preparando altre contestazioni. I creatori del gruppo Fratelli e Sorelle in armi […] sono convinti che i nuovi leader del movimento debbano essere i parenti delle 1.400 persone ammazzate nei villaggi e nei kibbutz attorno a Gaza. «Hanno l’autorità morale per pretendere che se ne vada — dicono al quotidiano Haaretz — e le masse li seguiranno». Lo slogan non sarà più: «Ti devi dimettere». Ma: «Cacciatelo adesso»
(da Il Corriere della Sera)

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IL PNRR S’E’ PERSO PER STRADA MILLE PROGETTI PER 250 MILIONI DI EURO

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

PIANO DI RIPRESA E RESILIENZA: SPARITI INTERVENTI PRESENTI A GIUGNO

Un migliaio di progetti del Pnrr che, nell’aggiornamento del database di governo tra giugno e settembre paiono scomparsi dai radar. Li ha elencati la fondazione Openpolis che effettua un monitoraggio attento e capillare sul set di informazioni relative al Piano di ripresa e resilienza. La fondazione ieri ha pubblicato l’ultimo aggiornamento, partendo dal dataset presentato a settembre dal governo. Ebbene, nel confrontare i dati precedenti, aggiornati a giugno, con questi ultimi, a Openpolis si sono accorti di una differenza che definiscono “singolare” e che dal ministero di Raffaele Fitto definiscono invece normale adeguamento di banche dati.
I progetti sono di fatto aumentati, complici i bandi pubblici e le selezioni, ma al contempo 1.228 interventi non esistono più nella nuova base dati. “Come se fossero stati stralciati – scrivono – o comunque in qualche modo esclusi dal Pnrr”. Di questi, 213 interventi (su 1.228) sono in realtà riconducibili a progetti ancora esistenti nella base dati (ma identificati diversamente per variazioni di testo, importi o misura di appartenenza). Degli altri mille, che valgono 250 milioni sul totale di 120 miliardi assegnati a 220 mila progetti, non si sa. Sono anche distribuiti geograficamente: la regione che registrerebbe di conseguenza una maggiore perdita di risorse Pnrr è la Puglia con 62 milioni, seguita da Piemonte con 24,28 milioni, Lombardia (-22,37) e Veneto (-18,72). Una delle ipotesi di Openpolis è che le istituzioni possano trovare o aver già trovato altre fonti da cui trarre le risorse necessarie una volta accortesi, anche su sollecitazione del governo, di non poter rispettare le scadenze temporali del Pnrr o le sue regole stringenti come, a titolo d’esempio, il “non arrecare danno significativo”. Si tratta della stessa ricerca di fondi alternativi che varrà qualora Bruxelles approvasse la rimodulazione dei progetti dal Pnrr proposta da Fitto.
Dalla Regione Puglia ci spiegano ad esempio che non sanno cosa sia successo alla banca dati, ma che sono preoccupazioni sul possibile definanziamento di progetti prevalentemente in capo ai Comuni, come il Parco della rinascita ex Fibronit di Bari, le ciclovie turistiche o il trasferimento sul Fsc quota nazionale del progetto Dri Italia per la decarbonizzazione del processo di produzione dell’acciaio a Taranto (ex Ilva).
Conclude Openpolis: “Anche se occorre ribadire che si tratta di ipotesi, i criteri europei, considerati rigidi, potrebbero aver portato alcuni soggetti attuatori a rinunciare alle risorse Pnrr per finanziare i propri progetti con fonti alternative meno vincolanti. Se la difficoltà di rispettare un cronoprogramma così serrato è almeno in parte comprensibile, fa quantomeno riflettere la numerosità – ammessa dallo stesso governo – di progetti che solo perché ideati prima del Pnrr non rispettano i criteri ambientali europei. E la possibilità effettiva di portarli comunque a termine con risorse meno vincolate al rispetto dell’ambiente”.
(da ilfattoquotidiano.it)

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L’ACCORDO SUI MIGRANTI CON L’ALBANIA È UN ULTERIORE SGARBO A BRUXELLES: GIORGIA MELONI NON HA AVVISATO PER TEMPO LA COMMISSIONE EUROPEA DELL’INTESA SUL TRASFERIMENTO DEI PROFUGHI SALVATI IN MARE

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

LA REAZIONE È STATA DI FREDDEZZA E SCONCERTO, TANTO CHE È ARRIVATO SUBITO UN AVVERTIMENTO A “RISPETTARE IL DIRITTO COMUNITARIO E INTERNAZIONALE”,,, L’ALBANIA NON È UNO STATO MEMBRO DELL’UE E LE RASSICURAZIONI DELLA SORA GIORGIA NON BASTANO

Un accordo negoziato con Tirana all’insaputa di Bruxelles. Tanto che ieri la Commissione europea è caduta dalle nuvole e ha subito fatto sapere a Roma di voler esaminare l’intesa nel dettaglio per verificare l’eventuale incompatibilità con il diritto Ue e con quello internazionale. Il protocollo firmato con l’Albania, per trasferire sul suo territorio i migranti salvati in mare, rappresenta uno schema totalmente inedito nel panorama europeo. Per questo i punti interrogativi sono moltissimi.
Secondo quanto risulta a «La Stampa», il governo avrebbe avvisato l’esecutivo europeo soltanto nel primissimo pomeriggio di ieri. «Tra poche ore annunceremo questo accordo con l’Albania». Una mossa a sorpresa che certo non ha fatto piacere a Palazzo Berlaymont, visto che la gestione delle politiche d’asilo dovrebbe essere frutto di una gestione coordinata.
Ma soprattutto perché ci sono regole comuni e non è affatto detto che un progetto di questo tipo le rispetti. La Commissione, inoltre, è convinta di avere la necessaria “expertise” giuridica per supportare gli Stati membri ed evitare l’adozione di norme in contrasto con il diritto europeo. Avrebbe potuto “accompagnare” l’Italia in questo percorso e affrontare insieme gli ostacoli. Ma il governo Meloni ha deciso di fare tutto da solo, con il rischio di andare a sbattere
«Non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate» conferma un portavoce dell’esecutivo Ue. «Sappiamo che questo accordo operativo deve essere ancora tradotto in legge e ulteriormente implementato», ma proprio per questo da Bruxelles arriva un avvertimento: «È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e quello internazionale».
A oggi, infatti, non c’è alcuna certezza in tal senso. Proprio ieri, durante il briefing di mezzogiorno, la Commissione aveva risposto a una domanda sul cosiddetto «modello Ruanda», ribadendo che «la nostra posizione è chiara: le leggi sull’asilo dell’Ue che sono attualmente in vigore si applicano solo alle domande presentate sul territorio di uno Stato membro, ma non al di fuori di esso».
Da un punto di vista teorico, dunque, l’accordo con l’Albania – che come noto non è uno Stato membro dell’Unione – sembrerebbe in netto contrasto con questa filosofia. Il governo ha però spiegato alla Commissione europea che il modello alla base dell’intesa con Tirana non ha nulla a che vedere con quello applicato dal Regno Unito in Ruanda perché l’Italia si assumerà la responsabilità giuridica dei migranti che verranno fatti sbarcare nei centri situati sul territorio albanese perché questi ricadranno sotto la sua giurisdizione. Non è però ancora chiaro sotto quale forma . E poi ci sono tutti gli aspetti pratici relativi alla gestione dei centri.
Il governo avrebbe assicurato alla Commissione che, al termine dell’esame della domanda d’asilo, i migranti che hanno diritto alla protezione internazionale non resteranno in Albania, ma verranno trasferiti sul territorio italiano. In caso di non accoglimento della richiesta, sarebbe poi l’Italia a doversi fare carico dei rimpatri nei Paesi d’origine. Con una grande incognita: che fine faranno quelli provenienti da Stati con i quali non esistono accordi di riammissione? Non potranno certo essere detenuti a vita nei centri in Albania e probabilmente finirebbero per essere trasferiti anche loro in Italia.
(da agenzie)

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L’ACCORDO STROMBAZZATO CHE MELONI HA STRETTO CON L’ALBANIA SULLA PELLE DEI NAUFRAGHI È UNA CONFESSIONE DI IMPOTENZA

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

I FLUSSI MIGRATORI NON SARANNO FERMATI NÉ RIDOTTI. I RIMPATRI DEGLI IRREGOLARI, COMUNQUE A CARICO DELL’ITALIA, NON AUMENTERANNO… IL FLUSSO VERSO I CONFINI DELLA UE CONTINUERÀ IMMUTATO. ABBIAMO FATTO UNA FURBATA, PERFETTAMENTE IN LINEA CON LO STILE DELLA NOSTRA PREMIER

L’accordo molto strombazzato che Meloni ha stretto con l’Albania sulla pelle dei naufraghi è in realtà una amara confessione di impotenza. L’intesa, come la stessa premier ha dichiarato, nasce ad agosto. In quei giorni la Francia aveva deciso di presidiare i valichi con l’Italia. E la Germania aveva sospeso il protocollo per l’accoglimento di una quota dei profughi sbarcati sulle nostre coste, irritata dal rifiuto italiano di riprendere i clandestini che avevamo lasciato partire Oltralpe.
L’incapacità del governo nel gestire il flusso dei migranti aveva trasformato l’Italia in una propaggine della Libia o della Tunisia: una tappa, relativamente agevole, nel lungo viaggio dal Sud del mondo verso le città francesi, tedesche o olandesi. L’irritazione, legittima, dei partner europei era al massimo. […] Meloni […] ha accettato il salvagente offerto dall’albanese Edi Rama, che a sua volta ha un disperato bisogno di sostegno per ottenere l’apertura dei negoziati di adesione alla Ue.
Ma il trasferimento dei naufraghi salvati dalle motovedette italiane sull’altra sponda dell’Adriatico è solo un furbo gioco delle tre carte che non modifica i termini del problema e che non ridurrà l’afflusso dei migranti verso le città del Nord Europa. I centri di accoglienza che l’Italia finanzierà e gestirà sul territorio albanese, infatti, difficilmente saranno più efficienti di quelli presenti in Sicilia. I flussi migratori non saranno fermati né ridotti. I rimpatri degli irregolari, comunque a carico dell’Italia, non aumenteranno
La nostra inettitudine nel trattenere, o anche solo identificare, gli irregolari resterà esattamente la stessa. Meloni ha solo parzialmente trasferito in Albania i fallimenti del suo governo. A meno che le autorità di Tirana non si facciano carico di fermare i migranti illegali che lasceranno i campi di accoglienza italiani, il flusso verso i confini della Ue continuerà immutato […] Se questo è lo «straordinario risultato» di cui si vanta la destra italiana, c’è da dubitare che sarà apprezzato da croati, sloveni e austriaci che vedranno aumentare la pressione alle proprie frontiere.
Abbiamo fatto una furbata, perfettamente in linea con lo stile della nostra premier. Quale sarà il Paese di primo approdo dei naufraghi salvati dalle navi italiane e trasportato nei centri di accoglienza italiani in Albania? Potrà l’Italia rifiutarsi di riprenderli quando verranno fermati in Germania, in Francia, in Austria o in Slovenia?
Giorgia Meloni è convinta di essersi sbarazzata di qualche decina di migliaia di disperati che non sapeva come gestire. Ma, a meno di trasformare i nuovi centri delocalizzati in veri e propri campi di concentramento in violazione di ogni diritto umanitario, come avrebbe voluto fare il governo britannico con l’Uganda, la toppa albanese non riuscirà a coprire il buco italiano.
Né a nascondere agli occhi dell’Europa il fallimento di un governo che ha vinto le elezioni promettendo di fermare gli sbarchi, ma che è riuscito solo ad esportare un problema che non sa e non vuole risolvere.
(da agenzie)

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L’ACCORDO PER IL TRATTENIMENTO DEI MIGRANTI IN ALBANIA RISCHIA DI FARE PIÙ DANNI CHE ALTRO

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

BASTERÀ UN RICORSO E UNA PRONUNCIA DI UN TRIBUNALE ITALIANO PER BLOCCARE TUTTO… QUANDO SI SALE SU UNA NAVE ITALIANA, SI SALE SUL TERRITORIO ITALIANO E PORTARE I MIGRANTI IN UN ALTRO STATO POTREBBE TRADURSI IN RESPINGIMENTO…. LA GESTIONE DEI RICORSI E DEL PERSONALE, PORTERANNO COSTI ULTERIORI”… LE COMPETENZE DEI GIUDICI, L’IDENTIFICAZIONE, IL TRATTENIMENTO: TUTTE LE “FALLE” DELL’INTESA

Sbarchi selettivi, respingimenti in un Paese terzo, trattenimenti arbitrari, garanzie e diritti negati. L’accordo bilaterale con l’Albania appare come una mostruosità giuridica che viola norme italiane e convenzioni internazionali facendo perno su una sorta di extraterritorialità di fatto non prevista da nessuna legge. Un accordo che, tanto per cominciare, dovrebbe essere ratificato dal Parlamento. Fermo restando che diritto internazionale e Costituzione restano sovraordinati.
A farne le spese sarebbero i migranti salvati da motovedette della Guardia costiera o della Finanza, navi militari italiane a cui potrà essere ordinato di sbarcare direttamente nel porto albanese di Shengjin. Non quelli soccorsi dalle Ong che il Viminale continuerà a spedire nei porti italiani più lontani possibile.
I più a rischio saranno i migranti soccorsi dai mezzi italiani sulla rotta turca o in arrivo dalla Libia sulle coste ioniche. Facile immaginare che essendo le zone più vicine all’altra costa dell’Adriatico saranno quelle le navi a cui verrà dato l’ordine di dirigere verso l’Albania. Senza passare dall’Italia, senza alcuna preventiva identificazione. Una forma di respingimento – secondo i giudici che si occupano di immigrazione – visto che l’Albania è un Paese terzo ( per altro non europeo) e che qualsiasi forma di extraterritorialità non è prevista da alcuna normativa. In altre parole, perché l’Italia possa esercitare la sua giurisdizione lì, l’Albania dovrebbe cedere un pezzo del suo territorio.
Chi potrà finire in Albani
Solo uomini e maggiorenni. Bambini, donne e persone con vulnerabilità non saranno fatti scendere su suolo albanese, rimarranno sulle navi italiane che li porteranno comunque in Italia. Ritorna dunque il concetto di sbarco selettivo, concepito un anno fa dal ministro Piantedosi in occasione di un soccorso della Ong tedesca Humanity 1 e subito bocciato dai giudici.
La selezione verrà fatta direttamente a bordo. Indipendentemente dalla loro nazionalità, gli uomini potranno essere portati in Albania e lì, in un centro realizzato e gestito dall’Italia, potranno chiedere asilo. Ma il solo fatto che questo trattamento venga riservato agli uomini maggiorenni rende evidente che l’Italia non intende garantire loro i diritti previsti per tutti i richiedenti asilo.
L’idea del governo, ovviamente, è quella di trattenere nel centro che verrà realizzato a spese dell’Italia, controllato da forze dell’ordine italiane e gestito non si sa bene da chi, i richiedenti asilo. Ma il trattenimento deve essere disposto da un questore italiano […] e confermato da un giudice italiano entro 48 ore. Ma quale giudice e sulla base di cosa dovrebbe valutare il trattenimento dei migranti? La deroga alla competenza non è prevista da alcuna norma e la giurisdizione degli Stati è regolata dalle convenzioni internazionali, appunto sovraordinate al diritto nazionale.
La decisione spetta ad una commissione territoriale italiana, dopo l’audizione del migrante. Ma quale e dove? Il progetto prevede il trasferimento di una commissione in territorio albanese? E il diritto alla difesa e l’eventuale ricorso al giudice italiano contro un eventuale diniego come potrebbe mai essere garantito?
(da La Repubblica)

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L’EX CANCELLIERE DELLA CORTE DELL’AJA: “NETANYAHU TRATTATO MEGLIO DI PUTIN, HA COMMESSO CRIMINI DI GUERRA”

Novembre 7th, 2023 Riccardo Fucile

SILVANA ARBIA: “E’ VERGOGNOSO IL SILENZIO DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE”

“È vergognoso il silenzio della comunità internazionale”. Silvana Arbia è stata la procuratrice del tribunale internazionale del Ruanda ed ex cancelliere della Corte penale internazionale dell’Aja. “Tutti dovrebbero chiedere un immediato cessate il fuoco”.
Quanto sta accadendo in questi giorni ha rilevanza per la Cpi?
Sicuramente, ci sono dei crimini da investigare. Bisogna iniziare ora. La Cpi ha giurisdizione sui crimini commessi nei Territori palestinesi e su tutti i crimini commessi dai palestinesi in Israele. La Palestina è parte della Cpi dal momento in cui l’Assemblea generale dell’Onu ha riconosciuto la condizione di Stato.
Ma Israele non ha ratificato la Statuto di Roma, quindi non riconosce la Cpi?
§I Territori palestinesi sono garantiti dalla giurisdizione della Cpi, perché ne è Stato membro. Quindi i crimini commessi a Gaza dagli israeliani sono perseguibili. Come lo sono quelli perpetrati da Hamas il 7 ottobre. I palestinesi non hanno struttura giuridica adeguata per processarli. Invece, per principio di complementarità, potrebbe anche essere una corte israeliana a giudicare e punire i propri cittadini.
La consuetudine israeliana è quella di non processare i propri militari.
In quel caso la Cpi interviene: lo Stato deve mostrare la vera volontà di punire i crimini.
Per le azioni su Gaza bisogna separare le responsabilità politiche del governo Netanyahu da quelle militari?
La responsabilità del crimine è personale. Chi ha l’autorità, chi ordina e ha l’effettivo controllo è responsabile.
Quindi ci possiamo aspettare che, come è stato fatto per Putin, venga aperto un procedimento contro Netanyahu?
Per l’Ucraina abbiamo visto una grande mobilitazione, non vedo le stesse intenzioni per raccogliere informazioni e prove sui crimini commessi a Gaza. La raccolta di testimonianze e informazioni è un passaggio molto importante. Questo conflitto non ha la stessa portata, come se mancasse la determinazione che gli Stati hanno avuto sull’Ucraina. Lo scontro armato c’è e anche i crimini contro l’umanità, perché ci sono gli attacchi sistematici. Tutto questo è evidente.
La mancata spinta della comunità internazionale può indebolire un futuro procedimento?
Sono processi complicati, perché i crimini sono complicati. È fondamentale raccogliere le prove il più fretta possibile, per preservare quello che può essere testimonianza, documentazione e garantire protezione ai testimoni.
I 10 mila morti di Gaza, di cui quasi 4 mila bambini, sono un indicatore sufficiente di crimini di guerra?
Ci sono tre principi alla base del diritto internazionale per riconoscere i crimini di guerra in un’azione militare: distinzione tra obiettivi militari e non, precauzione e proporzione. I numeri ci indicano se si sono perseguiti questi principi o meno. Non sappiamo se i morti siano civili o militari, ma un numero così alto già pone il sospetto che ci siano molti civili. Inoltre l’alto numeri di bambini non può essere giustificato dalla necessità di colpire un target militare: va, infatti, applicato il principio di proporzione.
Gli attacchi a ospedali, ambulanze e strutture Onu, sono anch’essi crimini?
Sì, sono crimini di guerra, ma per noi giuristi è importante che tutto questo venga accertato. Per questo serve raccogliere le prove. In più c’è la condizione per la quale spetta a chi attacca dimostrare che l’ospedale, la scuola o la moschea non ha più adibito all’uso dichiarato, trasformandosi così in un target legittimo.
L’assedio, il taglio dei rifornimenti di acqua, cibo e medicinali sono crimini perseguibili?
Lì siamo forse al di là del crimine di guerra. Se si lasciano i civili nelle condizioni di non poter sopravvivere siamo oltre.
È imputabile al governo israeliano?
Come ho già detto, le responsabilità sono personali: sarà il capo del governo o il ministro incaricato. Ci sono già le dichiarazioni delle parti in conflitto. È una loro volontà dichiarata, lo rivendicano.
Oltre ai singoli vertici di Israele e Hamas ci sono altri che hanno responsabilità?
Certo, chi supporta le parti per esempio. Chi fornisce le armi è complice. Hezbollah può essere complice, come gli Stati Uniti possono esserlo. Tutto dipende dal loro ruolo. Ma anche solo l’incoraggiamento può essere perseguito. Anche il voto all’Onu è da mettere in conto. Se nelle motivazioni del giudizio contrario o l’astensione c’è una spiegazione sostanziata, bene. Diversamente anche quel voto contro o astensione che sia è un incitamento al conflitto.
§I leader israeliani ripetono che la guerra contro Hamas è una reazione, c’è una base di diritto internazionale?
C’è la difesa. La difesa però deve sempre essere proporzionata. Secondo il diritto internazionale bisognerebbe agire attraverso l’Onu.
(da Il Fatto Quotidiano)

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