Destra di Popolo.net

UNA SCINTILLA DA CUSTODIRE

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL RADUNO DI MIGLIAIA DI UNIVERSITARI A PADOVA PER SALUTARE GIULIA: QUELLE LACRIME DI INSURREZIONE

No, non cambierà granché, neanche questa volta. Ma qualcosa forse sì. Si è visto nei tigì (in servizi troppo brevi) il raduno degli universitari di Padova — erano migliaia — per salutare Giulia. Quel grido collettivo, quelle lacrime di insurrezione avevano qualcosa di “prima volta”, come di una scintilla politica.
Per nessuna questione importante esiste, del resto, altra soluzione e altra strada, se non la trasformazione di un’esperienza collettiva in azione sociale e culturale, dunque in politica. Qualunque cosa voglia dire, questa parola, per i ventenni di oggi.
Solo pochi giorni fa un leghista, in Parlamento, definiva «una porcheria e una nefandezza» la proposta di introdurre nelle scuole, fino dalla materna, l’educazione sessuale e sentimentale. Oggi, di fronte a delitti come questo, quasi tutti ne parlano come di una necessità.
Ma quando la bolla mediatica si affloscerà (così funzionano i media, per rapida successione di bolle) si tornerà all’evidenza di un governo refrattario perfino all’uso del concetto di “genere” e dei suoi derivati: vedi Meloni che si fa incredibilmente chiamare “il presidente”.
Impossibile pretendere da un governo simile qualunque parola o atto che rimetta in discussione quel “così è sempre stato” che è la vera base di ogni pensiero conservatore.
Quelle ragazze e quei ragazzi in lacrime devono saperlo, che la loro forte emozione di questi giorni svanirà come rugiada al sole se non vorranno e sapranno sedimentarla.
Studiare, parlare, organizzarsi, non accontentarsi delle schermaglie sui social. Il privato è politico, si disse. Con i distinguo del caso e le mutazioni degli anni, bisogna dirlo ancora.
(da La Repubblica)

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BUFERA SU VALDITARA., IL COORDINATORE DEL SUO GRUPPO SULLA VIOLENZA DI GENERE HA SCRITTO UN LIBRO AMBIGUO SULLE DONNE: “IL DIAVOLO E’ ANCHE DONNA”

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

ALESSANDRO AMADORI E’ STATO MESSO DAL MINISTRO ALLA GUIDA DI UN POOL DI PSICOLOGI E GIURISTI

Già dopo gli stupri di Caivano e Palermo, il tema dell’educazione affettiva nelle scuole è saltato al centro dell’agenda del governo. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, poi, la questione della violenza idi genere ha rivelato ancora una volta la sua urgenza. È in questo solco che è stato ideato il piano “Educare alle relazioni“, che sarà presentato domani, mercoledì 22 novembre: un’ora di incontri a settimana, per tre mesi l’anno, con un totale di dodici sessioni. A coordinare il pool di psicologi e giuristi che ha elaborato il progetto in seno al ministero dell’Istruzione è stato chiamato Alessandro Amadori. Docente di Psicologia alla Cattolifca di Milano, con un compenso di 80 mila euro l’anno pagatogli dal ministero, Amadori fa parte dello stesso think tank del ministro Giuseppe Valditara, Lettera 150, e con lui ha anche pubblicato un libro dal titolo È l’Italia che vogliamo. Il manifesto della Lega per governare il Paese.
La Guerra dei sessi
La prefazione è firmata da Matteo Salvini. Ma non è questo il volume che il quotidiano Domani analizza per tracciare un quadro delle tesi di Amadori. Nel 2020, il professore ha scritto con una sua studentessa, Cinzia Corvaglia, un testo intitolato La Guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere. Con il libro del generale Vannacci, sottolinea Christian Raimo, condivide lo stesso servizio di self-publishing, «uno stile vagamente cospirazionista e l’insofferenza per il politicamente corretto». Per Amadori, infatti, il politicamente corretto corrisponderebbe con l’idea che la violenza di genere sia solo quella perpetrata dagli uomini. L’autore «derubrica la violenza di genere all’espressione della “cattiveria, rimandando la questione all’individualità e non considerandone il carattere sistemico». Nei diversi capitoli, Amadori alterna forme di cattiveria maschile a peculiarità della cattiveria femminile. Si legge: «Ma allora, parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è sì, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo».
«Il diavolo è anche donna»
A dimostrazione di ciò, nel capitolo intitolato «Il diavolo è anche donna», Amadori parte da un articolo pubblicato su un blog amatoriale, Soverato Web, a firma di Andrea Pirillo. Per Domani, si tratta di «uno sconosciuto che Amadori considera per lunghe pagine un maître à penser».
Tra le tesi riprese da Pirillo, «questo spiazzante ritratto, molto poco politically correct, del comportamento femminile, con provocatorio riferimento alla ricorrenza della festa della donna. Come a dire che ci sarebbe poco da festeggiare e da celebrare una presunta “differenza morale” della donna rispetto all’uomo, perché la prima si comporta spesso come, o persino peggio, del secondo».
Per Pirillo, ispiratore del capitolo di Amadori, le donne sono sempre state cattive, dalle figure bibliche fino a quelle attuali passate alla storia. Dopo aver scandagliato le analisi di tale Pirillo, Amadori si dice convinto che «i raptus omicidiari, sostanzialmente, non esistono in quanto tali, e che bisogna piuttosto iniziare a parlare di cattiveria, aggressività e consapevolezza».
«Gli uomini o sono carnefici o sono vittime»
Insomma, riassume Raimo, per Amadori «la violenza maschile, tra cui il femminicidio, va letto come cattiveria. La cattiveria è una categoria spirituale transtorica. Ed esiste una speculare, parimenti feroce, cattiveria femminile». Poi riporta letteralmente le parole del libro pubblicato 2020: «Eravamo partiti dalla cattiveria maschile, indagando in particolare il femminicidio, e strada facendo ci siamo accorti che questo crimine, nella sua inaccettabile brutalità, è in qualche modo il contraltare di una sostanziale fragilità psichica maschile […]. L’intensità con cui tanti maschi cercano, nelle pieghe della società post-moderna, la sottomissione al femminile, ci sembra davvero una conferma di questa tesi». Amadori mescola frasi di Freud a sentenze pescate su siti amatoriali, fino a dare questa spiegazione dei femminicidi: «Dietro la punta dell’iceberg dei femminicidi, sembra esserci il grande corpo dell’iceberg, costituito dal bisogno di sottomissione maschile. È come se gli uomini facessero davvero fatica ad avere un rapporto equilibrato con il femminile: o sono carnefici, o sono vittime».
La Ginarchia
E ancora: «C’è una piccola popolazione di donne che approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione e ne fa una vera e propria fonte di business». A questo punto, Amadori tira fuori dal cilindro il presunto movimento femminista radicale chiamato Ginarchia. Secondo l’autore, queste attiviste sarebbero animate dall’invidia del pene, «un concetto tanto provocatorio quanto controverso e, oggi, non politicamente corretto». Le donne cattive aderenti alla Ginarchia, tra le quali, secondo Amadori, si annoverano sadiche, umiliatrici e necrofile, «agiscono come delle amazzoni giustiziere che vendicano l’intero genere femminile attraverso una totale svalutazione del maschile e, a tendere, la sua riduzione in schiavitù. Con tanto di strumenti di contenimento sessuale e di castità forzata, uno dei cardini della rieducazione maschile nella prospettiva ginarchica, insieme al rovesciamento dei ruoli nel rapporto sessuale». Tra strap on e altre pratiche, la Guerra dei sessi imbocca una strada sempre più complottista: «La più nota teorizzatrice della Ginarchia è la scrittrice Aline D’Arbrant, il cui testo viene considerato dalle adepte come un vero e proprio libro sapienzale». Peccato che il libro di D’Arbrant, fa notare Raimo, non è altro che una specie di romanzo auto-pubblicato e con una diffusione risibile.
«30 mila adepti in Italia»
Fatto che non viene ritenuto importante da Amadori, che invece denota come «in Italia esistono realmente delle Ginarche e noi ne abbiamo conosciute di persona. Da loro promana un bisogno profondo di sopraffazione e di umiliazione del maschile come categoria […]. La Ginarchia si basa sulla superiorità femminile sul maschio e del conseguente diritto delle donne a spodestarlo e a porlo sotto il controllo femminile. Il tutto nella prospettiva di arrivare a instaurare un utopico governo mondiale delle donne, appunto una sorta di ideologia socio-politica. Molto di nicchia, ma con un certo numero di seguaci anche in Italia: la nostra stima è di 30 mila persone che, forse paradossalmente, sono in maggioranza uomini». Il libro, conclude Raimo, arriva a rasentare l’apocalittico, «ma non è facile selezionare citazioni significative, il complottismo sta proprio nell’assoluta mancanza di razionalità». Il pezzo di Domani si chiude con una domanda: «Fa fatica pensare come mettere insieme questo genere di considerazioni con il ruolo che il governo ha affidato ad Amadori. Di fronte alla violenza maschile, che ancora una volta il femminicidio Cecchettin conferma, come è possibile che sia stato scelto come consulente e coordinatore del progetto sull’educazione relazionale per le scuole Amadori?».
(da Open)

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DAVANTI ALL’ISOLA DI LAMPEDUSA UNA BAMBINA DI 2 ANNI È MORTA DOPO IL NAUFRAGIO DEL BARCHINO IN CUI VIAGGIAVA, INSIEME AD ALTRI 52 MIGRANTI

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

L’IMBARCAZIONE PROVENIVA DA SFAX, IN TUNISIA, DOVE LA MELONI AVEVA CELEBRATO L’ACCORDO PATACCA CON IL PRESIDENTE SAIED… E INTANTO, UN PESCHERECCIO CON A BORDO 400 DISPERATI È ATTRACCATO AL MOLO COMMERCIALE

Naufragio nelle acque davanti a Lampedusa: 43 migranti sono stati recuperati, sugli scogli di Capo Ponente, dalle motovedette della Capitaneria di porto; altri due giovani sono stati salvati da due pescatori lampedusani sulla costa di Muro Vecchio.
Una bambina di 2 anni è morta sull’unità di soccorso. La piccola è spirata mentre la motovedetta la stava portando, insieme agli altri superstiti, verso il porto. Ci sarebbero dei dispersi.
Erano 53, secondo quanto si apprende, a viaggiare sull’imbarcazione, un barchino di ferro partito da Sfax, in Tunisia, affondato intorno alle 14 al largo di Lampedusa. I migranti recuperati erano originari di Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea Bissau, Guinea Konakry e Mali.
Ad accorgersi dei migranti, che sembrava fossero stati abbandonati sulla costa da un barca che aveva poi ripreso il largo, sono stati tre funzionari e un ispettore della polizia. Così è stato stato lanciato l’allarme. Lo stesso hanno fatto, poco dopo, Salvatore e Giuseppe Del Volgo, i due pescatori che hanno salvato due ventenni ivoriani.
Un peschereccio con a bordo 400 migranti circa è attraccato al molo commerciale di Lampedusa dopo che nel pomeriggio è avvenuto un naufragio con otto dispersi e la morte di una bimba. Ad agganciarlo e scortarlo, garantendo la sicurezza di tutte le persone a bordo, sono state le unità di soccorso della Guardia costiera. Salgono così ad 11, per un totale di oltre 800 persone, gli sbarchi di oggi sulla maggiore delle isole Pelagie.
(da agenzie)

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LA GRUBER RISPONDE A MUSO DURO ALLA MELONI: “PERICOLOSO QUANDO UN PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ATTACCA SINGOLI GIORNALISTI”

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

LA MELONI CI RISPARMI LE SUE FOTO CON LE DONNE DI FAMIGLIA, E’ QUELLO CHE DICE E CHE NON FA CHE FA TESTO… CRITICARE UN PREMIER NON E’ UN DELITTO DI LESA MAESTA’, SI ABITUI ALLA DEMOCRAZIA

Otto e mezzo, puntata del 20 novembre. È la tragedia di Giulia Cecchettin a calamitare i discorsi degli ospiti della trasmissione. A un certo punto, la conduttrice Lilli Gruber parla della presidente del Consiglio come «un’espressione della cultura patriarcale».
Giorgia Meloni non ci sta e risponde alla giornalista con un post sui social: «Non so come facciano certe persone a trovare il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo. Ora la nuova bizzarra tesi sostenuta da Gruber è che io sarei espressione di una cultura patriarcale. Davvero senza parole».
E pubblica una foto in cui compare insieme ad altre tre donne della sua famiglia, la madre, la nonna e una bambina appena nata, probabilmente la figlia.
Passa poco tempo per la controreplica di Gruber. Che non smorza i toni, anzi: «Ritengo che sia sempre pericoloso, per il buon funzionamento democratico, quando una presidente del Consiglio attacca direttamente la stampa e singoli giornalisti. Per fortuna, il diritto al pensiero libero e critico è ancora ben tutelato dalla nostra Costituzione».
Introducendo la sua nota, la conduttrice in forza a La7 esorta la leader di Fratelli d’Italia a confrontarsi con i giornalisti: «Ringrazio Meloni per l’attacco che considero una prima dimostrazione della sua volontà di aprire un dialogo costruttivo con la stampa, un esercizio di democrazia al quale lei è poco abituata. Le porte di Otto e mezzo sono sempre aperte».
(da agenzie)

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DA “UCRAINA DERUBATA” A “MAFIA ITALIANA”: LA STAMPA ESTERA ATTACCA ARBITRO E UEFA

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

L’ITALIA QUALIFICATA GRAZIE A UN EVIDENTE RIGORE NEGATO VERGOGNOSAMENTE ALL’UCRAINA… QUELLA FRASE DEL PRESIDENTE UEFA CEFERIN: “TROPPO IMPORTANTE LA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA ALLE FINALI”

“Ucraina derubata”, “Mafia italiana”, “Il sogno di Ceferin si è avverato”. Sono solo alcuni dei titoli dei media stranieri che non hanno risparmiato forti critiche all’arbitro spagnolo Gil Manzano, colpevole di non aver fischiato, in pieno recupero, il fallo da rigore di Cristante su Mudryk che avrebbe permesso alla nazionale di Rebrov di qualificarsi direttamente a Euro 2024, condannando gli azzurri allo spettro dei play-off.
Se il ct dell’Ucraina Rebrov, da calciatore ex gemello del gol di Shevchenko ai tempi della Dinamo Kiev, è stato abbastanza composto nel fine gara (”il rigore c’era, ma il Var non ha ritenuto opportuno richiamare l’arbitro al video”), il giorno dopo i media internazionali sono andati giù pesante.
In Ucraina soprattutto ricordano le parole pronunciate lo scorso ottobre dal presidente della Uefa, Ceferin, che aveva definito ”troppo importante” la presenza della nostra Nazionale alla prossima competizione europea in Germania e di ”disastro” in caso di mancata qualificazione.
Per questo, dagli spalti della BayArena di Leverkusen, i tifosi gialloblù hanno esposto uno striscione con la scritta ‘Uefa Mafia’ prima dell’errore di Gil Manzano. ”Il sogno di Ceferin si è avverato”, incalza l’edizione online del quotidiano ucraino Sport.ua.
Le polemiche sul mancato penalty sono arrivate anche oltremanica, dove contemporaneamente l’Inghilterra ha protestato per un dubbio rigore concesso alla Macedonia del Nord nel match, inutili ai fini della qualificazione, terminato 1-1 a Skopje. ‘
‘Ucraina derubata’, è l’apertura del Daily Star, che aggiunge come Mudryk sia stato “abbattuto” da Cristante. Più moderato il Guardian che rimarca come l’Italia sia “sopravvissuta” al rigore non fischiato.
Anche il Telegraph e il Daily Mail non hanno dubbi: ”all’Ucraina viene negato un rigore in extremis”. E lo spagnolo Gil Manzano non viene risparmiato nemmeno in patria: la sua decisione viene definita un ”pasticcio”. Il dado ormai è tratto: i ragazzi di Rebrov si giocheranno tutto ai play-off, mentre Donnarumma e compagni si godono l’accesso diretto con un enorme sospiro di sollievo.
(da agenzie)

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IL CORAGGIO DELLE PAROLE NELLA RIBELLIONE DI ELENA: LA SORELLA DI GIULIA SI STA RIVELANDO UN’IMPLACABILE SENTINELLA

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

LA LUCIDITA’ DI UNA DONNA CHE STA FACENDO IMBESTIALE LA FECCIA REAZIONARIA E MASCHILISTA

Sta succedendo qualcosa di imprevedibile nella vicenda del femminicidio di Giulia Cecchettin, e cioè che sua sorella Elena si stia rivelando un’implacabile sentinella dell’informazione e del linguaggio. E non è un fatto scontato, visto che la cronaca è piena di familiari di vittime che negli anni sono stati spremuti, manipolati, strumentalizzati da politica e televisione.
Elena Cecchettin, nonostante le luci dei media addosso e un lutto tutto da elaborare, sta gestendo la comunicazione e le morbosità da cronaca nera in maniera coraggiosa e, per certi versi, rivoluzionaria.
Nella puntata di venerdì di Quarto Grado è intervenuta in collegamento mentre l’assassino Filippo Turetta era ancora ricercato. Gianluigi Nuzzi la stava intervistando, lei spiegava che aveva inviato dei messaggi su WhatsApp a Filippo e che erano arrivati a destinazione perché avevano la doppia spunta grigia.
Nuzzi, a cui non bastava la dichiarazione ma voleva del mangime più fresco da dare in pasto agli spettatori, le ha chiesto di mostrare il telefono alle telecamere. Lei ha esitato un secondo. E ha risposto con un secco: “No”. Un’azione apparentemente innocua, ma che rappresenta invece un esemplare gesto di ribellione alla cronaca morbosa quando rosicchia tutto quello che può dalle vittime, anche quelle secondarie.
Ospite di Paolo Del Debbio, poi, Elena ha fatto qualcosa di ancor meno prevedibile. Si trova davanti alla sua abitazione, sta per unirsi alla fiaccolata del paese dedicata a sua sorella. Del Debbio si sfrega le mani, convinto di trovarsi davanti il solito familiare con la bava alla bocca o con la lacrima telegenica. E invece Elena è compunta, impassibile. Guarda dritto nella telecamera e fa un discorso lucido, razionale.
Non cede all’emotività, non tira in ballo il suo dolore, quello della sorella. Decide di parlare il linguaggio del femminismo, di parlare della cultura dello stupro. Spiega che Turetta non è un mostro, “lui mostro non è, mostro è colui che esce dai canoni normali della nostra società, lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro”. È vero, sembrava un discorso imparato a memoria e forse lo era, ma questo è un indizio importante, e a suo favore: vuol dire che Elena ha capito quanto importante fosse il suo megafono in quel momento, e non ha voluto sprecare l’occasione di essere ascoltata da una platea così vasta.
Era a un bivio: fare del populismo invocando vendetta e forconi, riconducendo la vicenda solo a sé e al suo vissuto, o trasformarla in materia che riguarda tutte e tutti. Ha imboccato la seconda strada, preparando un discorso con fare chirurgico.
Ma Elena non si è fermata qui. Si è ribellata anche alla strumentalizzazione della politica. Quando l’immancabile Matteo Salvini, a proposito del femminicidio di Giulia, ha twittato: “Se colpevole nessuno sconto di pena e carcere a vita”, lei ha immediatamente replicato: “Il ministro dei Trasporti che dubita della colpevolezza di Filippo Turetta perché bianco e di buona famiglia. Anche questa è violenza, violenza di Stato”.
A quel punto, probabilmente stordito da una reazione inattesa, Salvini ha cercato di raddrizzare il tiro parlando di castrazione chimica e galera. Un giustizialismo da bar che nessun familiare di Giulia ha mai praticato, per giunta. Anche il padre di Elena e di Giulia, Gino Cecchettin, aveva infatti dichiarato: “Adesso penso a Giulia e alle tante Giulie che ci sono nel mondo. Non provo rancore o odio, non provo nulla. Non ho sentito i genitori di Filippo. Come ho detto, anche loro stanno vivendo un dramma”.
Tanta civiltà ha destabilizzato politica e platea al punto che ieri sono circolate voci becere e complottiste proprio su Elena. Sembra una battuta e invece è tutto serissimo: da alcuni – perfino dal consigliere regionale in Veneto, Stefano Valdegamberi – proprio la sorella della vittima è sospettata di essere un’adoratrice di Satana per via di una sua felpa che evocherebbe riti satanici. Peccato che quella felpa sia di un marchio noto, Thrasher, e che pure se Elena fosse davvero Belzebù con l’eye-liner, il femminicidio della sorella rimarrebbe il gesto di un uomo che non ha saputo accettare la fine di una relazione, la libertà di lei.
Quella libertà che Elena sta onorando con il coraggio e la dignità di una donna che per sua sorella non cerca il silenzio, ma il rumore delle parole scelte con cura.
(da Il Fatto Quotidiano)

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CONTRASTO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE: LA SEDICENTE DESTRA CHE PIANGE E NON FA NIENTE

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

L’APPROCCIO SOLO REPRESSIVO SENZA L’EDUCAZIONE

“Si finge di non vedere molto spesso quello che sta accadendo, perché il problema della violenza sulle donne è un problema che continua a essere estremamente presente nella nostra società, ma che tutti hanno il coraggio di denunciare, salvo quando i responsabili sono i clandestini o sono immigrati”. Era il 9 giugno 2022 e Giorgia Meloni era solo la leader di Fratelli d’Italia. Il riferimento era alle molestie verificatesi a Peschiera del Garda durante un raduno organizzato col passaparola su Tik Tok, al quale avevano partecipato molti ragazzi di origine africana. Il suo governo sarebbe arrivato tre mesi dopo. E, si sa, un conto è stare all’opposizione, un conto al governo. Per cui, quando si è trattato di mettere in piedi rapidamente un piano di contrasto alla violenza di genere, di concreto l’esecutivo non ha fatto nulla – se non, vedremo, un ddl non ancora in vigore – ma le belle parole si sono sprecate.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin si è portato dietro uno tsunami emotivo, che ha obbligato anche la maggioranza a intervenire. A partire proprio da colei che nel frattempo è diventata presidente del Consiglio: “È già stato approvato all’unanimità dalla Camera, e mercoledì prossimo sarà in aula al Senato – ha annunciato l’altro ieri Meloni –, il nostro disegno di legge per il rafforzamento delle misure di tutela delle donne in pericolo grazie a una maggiore prevenzione – ammonimento, braccialetto elettronico, distanza minima di avvicinamento – l’arresto anche in ‘flagranza differita’ e soprattutto attraverso tempi stringenti – 20 giorni – per valutazione da parte della magistratura del rischio e applicazione delle misure cautelari”.
Un ddl, che approda oggi in commissione e domani in aula (il Pd non presenterà emendamenti, ma ordini del giorno), che interviene sulle misure giudiziarie e non su quelle culturali. È passato un anno da quando la premier annunciava, il 22 novembre 2022: “C’è molto lavoro da fare e intendiamo portarlo avanti a 360 gradi, incentrando il nostro impegno su tre pilastri d’azione: prevenzione, protezione e certezza della pena”. Sul primo, non esiste nulla se non un eterno battibecco tra maggioranza e opposizione (su tutti, il leghista Sasso che il 26 ottobre ha attaccato la proposta 5S di reintrodurre l’educazione affettiva nelle scuole bollandola come “porcheria”) e proposte di legge nei cassetti.
Tra l’insediamento del governo e l’uccisione di Giulia Cecchettin, è avvenuto però un altro femminicidio che ha scosso il Paese: quello di Giulia Tramontano, ammazzata al settimo mese di gravidanza dal suo compagno, Alessandro Impagnatiello. In quell’occasione, Meloni aveva parlato di “grande sfida culturale”, auspicando un “accordo trasversale sulle nostre norme”. La premier non è stata l’unica a dire e ridire le stesse cose. Il vicepremier, Matteo Salvini, che l’altro giorno ha usato un “se” di troppo nel caso di Filippo Turetta – “se è stato lui”, salvo poi rimangiarselo –, ritiene che certezza della pena e castrazione chimica siano la soluzione a tutti i mali: “Penso a quel bastardo, che deve marcire in galera fino alla fine dei suoi giorni – il giudizio su Impagnatiello –. Il giudice per il momento non ravvisa crudeltà e premeditazione… A maggior ragione, approveremo una riforma della giustizia che in questo Paese serve come il pane”. E ancora, il 22 agosto: “Spero che le Commissioni parlamentari prendano in esame il prima possibile la proposta che la Lega ha copiato da altri Paesi europei e del mondo di sperimentare il blocco androgenico per chi stupra una donna o un bambino”. L’ultima perla è di ieri: “La famiglia deve fare la famiglia”.
Si ripete anche l’altro vicepremier, Antonio Tajani: “Basta con i femminicidi. Non sono sufficienti le norme in vigore” (16 agosto); “Questa vicenda deve farci riflettere sulla questione dei femminicidi. Ci siamo impegnati sia al governo che in Parlamento per avere delle norme che finalmente blocchino questa mattanza” (19 novembre).
Di “azione collegiale, confronto in Parlamento, collaborazione e condivisione” aveva parlato a giugno il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che domenica ha rincarato: “In Parlamento è in corso di esame il ddl che rafforza l’azione di prevenzione agendo su più fronti. In quella sede si possono valutare tutti quegli ulteriori interventi. Ma non basta. Occorre agire sul piano culturale ed educativo”.
Il 9 giugno era intervenuta anche la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, a proposito del testo che rafforza il Codice Rosso: “Il cuore di questo ddl è la prevenzione. Anche gli strumenti repressivi servono a interrompere il ciclo della violenza prima dell’irreparabile”. Ieri, in un’intervista alla Stampa, ha pronunciato nuovamente la parola “prevenzione”, mostrandosi disponibile a discutere con l’opposizione di una legge sull’affettività nelle scuole, ma peggiorando il vecchio stereotipo secondo cui i figli sono delle madri: “È fondamentale che le madri educhino i figli maschi ad avere rispetto delle donne e della loro libertà”. Nei prossimi giorni, il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, presenterà la sua proposta di educazione scolastica, progetto dedicato solo alle superiori e che vedrà la partecipazione di cantanti e influencer. Per tre mesi all’anno. “Prevenire la violenza di genere attraverso l’educazione: una questione culturale”, aveva annunciato il 28 settembre la ministra per l’Università, Anna Maria Bernini, che l’altroieri ha rimarcato: “Non è più un fatto penale: serve un rafforzamento della prevenzione, più che l’aspetto sanzionatorio”. Quasi non appartenesse a questo governo.
(da Il Fatto Quotidiano)

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L’EX SOCIAL MEDIA MANAGER DI VITTORIO SGARBI: “IL MINISTERO E’ UN COVO DI AFFARISTI, NON NE POTEVO PIU'”

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

DARIO DI CATERINO E’ COLUI CHE HA DENUNCIATO GLI AFFARI DI SGARBI

Il sottosegretario Vittorio Sgarbi aveva detto che conosceva il nome del “Corvo” che aveva fatto conoscere i suoi compensi per conferenze e presentazioni svolte durante l’incarico nel governo Meloni. Descrivendolo come «un tizio che collaborava con me ai tempi di Rinascimento e un bel giorno sparì, la madre raccontò che era in coma, invece era agli arresti domiciliari per truffa».
Oggi il Fatto Quotidiano e Report incontrano Dario Di Caterino, ex social media e manager del critico d’arte che ha rivelato le attività “parallele” di Sgarbi. Ha 45 anni, è pugliese e il rapporto professionale con il sottosegretario è cominciato nel febbraio 2022. Ovvero all’epoca della candidatura alle elezioni amministrative del movimento Io Apro, poi diventato Io Apro Rinascimento dopo la fusione con quello di Sgarbi
Di Caterino dice di essere pronto ad essere ascoltato dai pubblici ministeri. Gli incassi totali delle presentazioni di Sgarbi durante il periodo di governo ammontano a 300 mila euro. Mentre il sottosegretario è indagato a Roma per evasione fiscale.
L’Antitrust ha avviato un’istruttoria per conflitto d’interessi. Il social media manager racconta che ha inviato una lettera a Giorgia Meloni e a Gennaro Sangiuliano con tutti i dati.
«Non ne potevo più di vedere gli uffici dei ministeri ridotti a un covo di affaristi», dice. Aggiunge che la lettera che ha inviato «tanto anonima non era. C’è il dettaglio delle informazioni e c’è questa intervista a viso aperto». E quando Thomas Mackinson gli ricorda che Sgarbi lo definisce “Corvo”, risponde: «Strano. Fino a non molto tempo fa diceva di volermi assumere al ministero». E sull’accusa di furto di dati: «Ho scaricato le mail, ma le password me le avevano date loro».
Il contratto
Il social media manager dice di aver lavorato con Sgarbi per la candidatura a Bologna nelle liste di “Noi moderati”. Il rapporto è andato avanti fino al 25 settembre 2023.
«C’era un accordo con Sabrina Colle per ricevere una parte dei proventi maturati dalla gestione dei canali social di Vittorio tramite la sua società Hestia. Li ho richiesti più volte, mai ricevuti».
Mentre i pagamenti avvenivano in buste di contanti consegnate a mano: «Erano le direttive della Colle e di Nino Ippolito, il suo capo segreteria». Dice di aver visto effettuare sopralluoghi per le valutazioni. E riferisce episodi in cui Sgarbi ha fatto pressioni dirette su soprintendenti: «Non dovete notificare opere con meno di 70 anni».
Il tariffario e i gettoni
Poi parla del suo tariffario e dei gettoni di presenza. Per una conferenza non meno di 3.500 euro. Per uno spettacolo teatrale 5 mila. Una prefazione a un libro 4 mila. Un evento del 16 novembre 2022 a Pordenone ricevette un finanziamento da una multinazionale austriaca: 5 mila euro poi raddoppiati. Parla anche di una prefazione a un libro. E mostra un messaggio di Colle che risale al 19 luglio scorso: «Duemila euro schifosi per una presentazione di un sottosegretario. Ma che ti dice la testa». Infine, il licenziamento: «Per me sei fuori». Di Caterino spiega anche la vicenda degli arresti domiciliari: «Fui coinvolto in alcune vicende giudiziarie per le quali provavo un profondo malessere”. Sgarbi sapeva di una condanna a Perugia. Ma sua madre, forse per pudore, «disse che ero malato fino a gennaio 2023, quando ripresi a collaborare». Il patteggiamento risale ad aprile 2023: «Questo oggi mi fa più male, me lo sarei risparmiato».
Le multe
Infine c’è la storia delle multe. L’associazione Controcomunicazione ha ricevuto da Sgarbi trentamila euro per acquistare un’auto da dare in comodato d’uso al sottosegretario. Il contratto prevedeva che pagasse oneri di manutenzione e multe. Da giugno 2023 ne sono arrivate «7-8 al giorno». Oggi sono a quota 100 mila euro di cartelle. Una di queste parla di un eccesso di velocità: «Fiorenzuola d’Arda, Piacenza, 23 giugno, ore 00.04. Velocità rilevata: 192 km/h. Il termine è scaduto, i 700 euro sono raddoppiati.
(da Open)

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ELENA CECCHETTIN E LA SORELLA GIULIA: “LA SUA MORTE NON SARA’ INUTILE. LO STATO E’ COMPLICE PERCHE’ NON AIUTA LE DONNE”

Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

“SONO UNA STUDENTESSA, MI VOGLIO LAUREARE, MA NON LASCERO’ CADERE QUESTA COSA”

Elena Cecchettin vuole che quello che è successo alla sorella Giulia «non sia stato invano». E dice che «tutte le donne sanno che devono stare attente a qualcosa. Il pericolo spesso è più vicino di quanto pensiamo. L’assassino ce lo troviamo in casa più di quanto possa avvenire in strada. L’80% dei femminicidi avviene in famiglia, una percentuale spaventosa». Poi spiega perché secondo lei Filippo Turetta non è un mostro: «Quando avviene un femminicidio succede sempre un fenomeno. Da una parte si sminuisce parlando di “bravo ragazzo”. Cercando di dare la colpa alla donna. Oppure avviene l’opposto. Il colpevole è un mostro, un malato, una bestia. Ma così nessuno si prende la responsabilità». Perché invece «nessuno nasce mostro», spiega oggi in un’intervista a la Repubblica.
La cultura dello stupro
Al contrario: «Nella crescita di una persona conta l’educazione familiare, scolastica, quella data dalla società. Ci sono comportamenti malsani che vengono sdoganati. Si giustifica la gelosia, il controllo del telefono, si dice “è un po’ possessivo”. Invece questi comportamenti possono costituire un’escalation che porta a botte, stupri, femminicidi. La punta della piramide della cultura dello stupro».
A Rosario Di Raimondo Giulia Cecchettin dice che serve «educazione. A livello scolastico e familiare. Una presa di coscienza. Dire che va bene essere deboli, tristi, piangere, e che se veniamo lasciati non possiamo prenderci con la forza quello che vogliamo. Dobbiamo accettare i rifiuti e la libertà di uscire da una relazione». La 24enne aggiunge che questi sono Omicidi di Stato perché «lo Stato non fa abbastanza per intervenire. Non finanzia adeguatamente i percorsi formativi, l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole».
Omicidi di Stato
E ancora: «È complice perché non condanna apertamente questi episodi. Non rende sicure le donne». Cecchettin spiega anche perché ha attaccato sui social network il ministro Salvini: «Ha messo in dubbio che Turetta possa essere colpevole. Nessuno lo è finché non viene giudicato come tale, ma sappiamo tutti cosa è successo. In altri casi non si è espresso allo stesso modo, quando il presunto colpevole non era una persona bianca. Penso che la sua sia stata una mancanza di rispetto verso mia sorella, un’ambivalenza di cattivo gusto». Manda un messaggio alle donne: «Alla prima avvisaglia di una relazione tossica, meglio farsi forza e parlarne piuttosto che sottovalutare il pericolo. Meglio ferire l’orgoglio di un uomo che finire ammazzate».
Le relazioni tossiche
E poi agli uomini: «Siate persone migliori. Fate un esame di coscienza, pensate a quando avete mancato di rispetto a una donna, a quando avete ferito, umiliato». Mentre lei adesso non sa cosa cambia nella sua vita: «Devo capire. Sono una studentessa, mi voglio laureare. Non lascerò cadere questa cosa. Farò in modo che quello che è successo a Giulia non sia stato invano».
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