Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ATTACCHI AI GIUDICI, LE ESTERNAZIONI FUORI CONTROLLO, IL CASO GESTITO MALE DEL GENERALE, LA TENSIONE CON LE FORZE ARMATE
Adesso che la polemica su Roberto Vannacci è tornata a turbinare per via della nomina del generale a capo di stato maggiore delle forze operative terrestri, più di uno nei corridoi del ministero della Difesa – domandandosi se non era meglio, allora, lasciarlo all’istituto geografico a Firenze – ricorda che con alcune forze armate il ministro Guido Crosetto non ha un rapporto particolarmente felice. Anzitutto con l’esercito, appunto. Anche prima del caso del generale che si fece bestseller (e che ora per questo ha sul capo un’inchiesta disciplinare). Come sa bene chi ha assistito alla Festa del 4 maggio, in piazza del Popolo a Roma, per il 162esimo anniversario dalla nascita della forza armata.
Per l’occasione si erano scomodati tutti: almeno quattro ex ministri della Difesa, l’arcivescovo, i generali, i tenenti colonnelli, le medaglie al valore, i rappresentanti della politica, le madrine della bandiera di guerra, militari in servizio e in quiescenza, le associazioni professionali, i labari, gli studenti, gli insegnanti, le famiglie. Il ministro Crosetto no. «Saluto e ringrazio per la loro presenza i sottosegretari Isabella Rauti e Matteo Perego di Cremnago», elencava il capo di stato maggiore dell’esercito Pietro Serino, mostrando al microfono un’invidiabile capacità di sottotesto: «A loro chiedo di estendere i sentimenti di riconoscenza mia e di tutti gli uomini e donne delle forze armate al ministro della Difesa Guido Crosetto. La sua vicinanza ci è ben nota, ed è testimoniata nelle decisioni che assume ogni giorno, ieri, come oggi, come domani». Parole che suonavano irresistibilmente comiche, dato che le chiacchiere di corridoio di “radio difesa” dicono che quel giorno il ministro, assente, fosse persino a Roma, ma indispettito dal mancato invito alla cerimonia di Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato e suo amico: malignità che si riportano perché testimoniano quale grado di serenità avvolga i rapporti e le circostanze di quell’assenza, del resto in sé insolita e grave.
Un’assenza tanto fuori dagli schemi che persino all’Ansa non risulta: ben due lanci d’agenzia riportano infatti le parole di Crosetto in occasione dell’anniversario, specificando che il ministro «partecipa alle celebrazioni dove si svolge la cerimonia militare in piazza del Popolo a Roma». Ecco, magari partecipava in spiritu. Oppure era confuso tra la folla, in incognito: sul palco delle autorità non c’era. Era stato invece in quella piazza a fine marzo, quando si era trattato di portare, per la festa dei cent’anni dell’Aeronautica, la premier Giorgia Meloni a salire ai comandi di un F35, salutata da un tappeto di bambini sventolanti piccoli tricolore, modello balilla o Perón.
Per la festa dell’Esercito, invece, al posto di Crosetto c’era proprio Ignazio La Russa, presidente del Senato ma quasi redivivo ministro, gioiosissimo per l’occasione di parlare perché mai la seconda carica dello Stato parla, in una cerimonia del genere: «Questa cosa mi riempie di emozione, anche perché so cosa sia veramente l’occasione in cui si festeggia l’esercito». Lo sa veramente, lui. Patriota, commilitone, ministro: quel giorno La Russa ha anche conferito tre onorificenze. E certo non è il migliore amico del ministro, anzi: i rapporti fra i due non hanno mai brillato per calore. Almeno sin dagli inizi di Fratelli d’Italia, creatura della quale sono cofondatori, le zuffe non sono mai finite: troppo diverse le impostazioni, così come le provenienze.
In quei giorni di maggio Crosetto era alle prese coi postumi del concertone di piazza San Giovanni, dove era stato attaccato dal fisico Carlo Rovelli che aveva criticato i «piazzisti di armi», e soprattutto era alle prese con l’intricata partita di nomine che lo vedeva, per la guida delle Fiamme gialle, alleato del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nel tentativo poi fallito di far fuori Andrea de Gennaro, sponsorizzato da Alfredo Mantovano (e da Meloni stessa) su consiglio anche di Luciano Violante. Quasi nulla ancora di pubblico era accaduto, nessuna delle uscite che, dall’estate ad oggi, fino al riaccendersi del caso Vannacci, hanno portato il ministro in prima pagina, secondo una parabola di attacco a penne spiegate e retromarcia mesta che, come dinamica, resta identica pur nel mutare dell’argomento e dell’oggetto.
Già lì chi l’aveva visto all’opera, in precedenza, alla Difesa non nascondeva la delusione nei confronti di quello che, pur essendo stato un eccellente sottosegretario, si rivelava a sorpresa per certi versi «unfit» come ministro. Anzitutto per una tendenza quasi compulsiva a intervenire in continuazione, alla Carlo Calenda, rompendo una consuetudine e una ratio che vuole il ministro della Difesa silente e dolente portatore di affari complessi e pesanti. Ma zitto e muto, appunto. Crosetto invece ha cominciato la sua attività a fine 2022 dando della «massaia» alla presidente della Bce Cristine Lagarde, definita anche «miglior alleata della Russia», in un affastellarsi di critiche che hanno bordeggiato l’incidente diplomatico. Resosi conto di essere ormai ministro, per di più della Difesa e non del Mef, Crosetto ha quasi smesso con l’economia, ma ogni tanto si dedica alla giustizia.
In ultimo, con l’intervista al Corriere della Sera in cui ha evocato un complotto dei magistrati, «un’opposizione di tipo giudiziario che possa destabilizzare», accendendo così una miccia che nessun annacquamento successivo ha avuto il potere di spegnere del tutto. Del resto, l’attacco ai magistrati da parte di Crosetto è arrivato alla vigilia di un’altra stranezza: il giorno dopo l’intervista, nel pre-Consiglio dei ministri, un moderato come il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano ha avanzato la proposta di test «di verifica» per le toghe, nel momento in cui si parlava delle pagelle sull’operato dei magistrati contenute nel decreto legislativo della riforma Cartabia presentato dal guardasigilli Carlo Nordio. La somma non ha fatto il totale, nel senso che essendo alta la polemica governo-magistrati, Meloni ha preferito soprassedere su ulteriori misure legislative che potessero essere lette come un attacco alle toghe.
Resta però il sospetto che nel parlare Crosetto abbia voluto saltare sull’ondata anti-giudici che si è alzata nel governo dacché ha scoperto che i suoi provvedimenti possono rivelarsi inapplicabili nella realtà, come è accaduto più volte con il decreto cosiddetto Cutro, disapplicato dai giudici perché valutato in contrasto (fra l’altro) con la normativa europea. Ecco così che, in servizio permanente per la causa, Crosetto è intervenuto a evocare complotti. Un eccesso di parole che continua anche nel caso Vannacci, un affaire mediatico cui il ministro ha contribuito non poco, prima facendo intendere di volergli togliere le stellette, poi ricevendolo da solo e senza divisa (il generale è sotto inchiesta anche per questo), prima incoraggiando l’Esercito a prendere provvedimenti e poi affermando che lui non avrebbe preso provvedimenti, fino all’ultima designazione alla quale ha dedicato varie precisazioni, via social, di domenica.
Un’onnipresenza mediatica che non fa pendant con la presenza quotidiana nella gestione delle forze armate e del personale, né con una sua proiezione internazionale: ha definito inutile la presenza in Libano, ma ha aumentato il numero dei militari dedicati all’operazione Strade sicure (ormai sono oltre 4,8 mila, contro i 4,2 mila impegnati in missioni all’estero). La sua fortuna è che continua a stare simpatico a tutti.
(da L’Espresso)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
OBIETTIVO DEI SOVRANISTI E’ AUMENTARE LA FORBICE TRA RICCHI E POVERI
Mentre il governo ha bloccato la proposta di salario minimo presentata dalle opposizioni sale la voglia di tornare a una qualche forma di gabbie salariali in nome del diverso costo della vita su base territoriale.
Ci aveva già provato il Ministro Valditara, con la sua proposta, subito cassata tra le proteste, di stipendi differenziati per gli insegnati a seconda del luogo in cui insegnano (ma a prescindere dalle differenze nel carico di lavoro richiesto dall’operare, ad esempio, in contesti più o meno difficili, o dal costo in termini di denaro e tempo richiesti dal pendolarismo).
Maggiore successo ha avuto l’ordine del giorno della Lega approvato ieri con il parere favorevole del governo, inteso a impegnare lo stesso esecutivo a «valutare l’opportunità di prevedere con apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione del pubblico impiego” proponendo «una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività».
La giustificazione di questa richiesta starebbe nel fatto che lo stipendio unico nazionale potrebbe «comportare diseguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo». Ma la questione è stata posta anche riguardo sia al reddito minimo per i poveri sia al salario minimo legale che, se uniforme in tutto il paese, garantirebbe una capacità di acquisto differenziata a seconda se guadagnato a Napoli o a Milano.
Non c’è dubbio che il costo della vita per quanto riguarda i beni di mercato (abitazione e alimentazione innanzitutto) è molto differenziato su base territoriale, ma in modo molto più complesso e articolato di quanto non suggerisca una distinzione in base alle grandi ripartizioni territoriali. Lo documenta bene il lavoro fatto dai ricercatori dell’ISTAT per valutare l’incidenza della povertà assoluta basandosi sul costo di un paniere di beni essenziali. Le variazioni di costo si danno, appunto, non solo e tanto tra ripartizioni, ma tra regioni e tra comuni di diversa ampiezza all’interno di ciascuna regione. Quindi, se si volesse definire una quota variabile di stipendio sulla base del luogo di attività occorrerebbe un lavoro molto di dettaglio, perché, ad esempio il costo della vita a Meda è diverso che a Crema e in entrambi i casi è diverso da Milano, benché tutti e tre questi comuni si trovino in Lombardia. Va, inoltre, osservato che le variazioni intra-regionali sulla base dell’ampiezza del comune sono maggiori al Nord, dove in media il costo della vita è più alto, che nelle altre ripartizioni.
Alla luce di questi dati, verrebbe da chiedersi, nel caso dei salari, perché considerare per una eventuale differenziazione, il luogo di attività e non di residenza, visto che lavorare a Milano abitando a Meda, anche al netto del costo del trasporto, ha costi inferiori (sicuramente per l’abitazione) che non lavorare e abitare a Milano.
Ma c’è una questione che ogni discussione sulla necessità di tener conto del diverso costo della vita non dovrebbe ignorare e andrebbe preliminarmente affrontata: la differenziazione, meglio le disuguaglianze, nella disponibilità di beni pubblici: servizi sanitari accessibili ed efficienti, servizi per l’infanzia, scuole a tempo pieno, servizi domiciliari per le persone non autosufficienti, servizi di assistenza sociale, trasporti pubblici efficienti, reti viarie adeguate, sicurezza. Queste diseguaglianze sono in larga parte, anche se non del tutto, simmetriche a quelle nel costo della vita, tra regioni e tra macro-aree, ma anche all’interno della stessa regione, consentendo gradi di soddisfacimento dei bisogni e qualità della vita, a parità di reddito e caratteristiche individuali e familiari anche molto differenti. Si pensi solo alla lontananza dai servizi e talvolta alle difficoltà, o tempi lunghi, di trasporto che sperimentano coloro che vivono nelle aree interne per rispondere alle proprie esigenze di lavoro, salute, educazione. Fino a quando non verrà garantita a tutti, ovunque risiedano, una disponibilità di beni pubblici omogenea per quantità e qualità, ogni discorso sulla diversità del costo della vita e proposta di correggerla diversificando i salari (ma anche il reddito minimo) rimane non solo parziale, ma ulteriormente distorsivo.
(da La Stampa)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
LA CATENA ALDI: “GIUSTO RICONOSCIMENTO DI FRONTE ALL’INFLAZIONE”… IN ITALIA INVECE ABBIAMO UNA MAREA DI “PRENDITORI” SENZA “IM” DAVANTI E UN GOVERNO COMPLICE
Allontanatosi per i dipendenti italiani, dopo lo stop in Parlamento al progetto deciso dalla maggioranza, il salario minimo è realtà pochi chilometri più a nord. Per lo meno per una parte dei lavoratori. In Svizzera infatti dal prossimo 1° gennaio la catena di supermercati Aldi offrirà ai propri dipendenti un compenso minimo di 4.700 franchi al mese (per 13 mesi): l’equivalente di circa 5mila euro. Una decisione giustificata, ha detto il direttore generale della catena Jérôme Meyer, da un lato dall’aumento del costo della vita (+1%) nel Paese, dall’altro dall’impegno «eccezionale» dei collaboratori, che nel 2024 riceveranno anche premi e buoni acquisto. In Svizzera non è previsto un salario minimo a livello federale, ma diversi Cantoni o singoli Comuni lo hanno adottato: tra questi anche le città di Zurigo, Basilea e Ginevra e il Canton Ticino dove, ricorda la Repubblica, l’opposizione della Lega locale non è andata a buon fine: lì il compenso s’attesta oggi a 20,25 franchi l’ora, l’equivalente di 21,4 euro.
(da Open)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
GOVERNO TRA PROPAGANDA E REALTÀ: IL PAESE CORRE VERSO UNA NUOVA CRISI
“L’Italia cresce più delle altre grandi economie europee”: così diceva Giorgia Meloni il 31 luglio scorso. Ancora ieri la presidente del Consiglio si è detta “fiera” del lavoro del governo sul fronte economico e sociale. Ma le cifre reali parlano invece di numerosi dati negativi – talvolta causati dalle politiche di Meloni & C., talaltra indipendenti da loro – e di promesse disattese. Ecco la fotografia dello stato reale del Paese.
Inflazione “Effetto ottico” sulla frenata del carovita
A novembre, secondo le stime preliminari Istat, il carovita è sceso allo 0,8%, minimo da marzo 2021: merito “di altre azioni concomitanti come quelle che il governo ha realizzato con il carrello tricolore”, spiegava Adolfo Urso, ministro delle Imprese. Ma il calo annuo è solo un effetto statistico dovuto al fatto che a novembre 2022 era al record dell’11,8%, top da marzo 1984. E il rialzo degli alimentari (+0,7% mensile) attesta il fallimento del “carrello tricolore”.
Occupazione Il rimbalzo si è già esaurito
A ottobre l’occupazione ha toccato il record storico, il 61,8%, quasi mezzo milione di posti in più in un anno: “Avanti così, cresce l’Italia”, diceva Adolfo Urso. Il mercato del lavoro cresce, ma la congiuntura internazionale in frenata e la fine dell’impulso dell’edilizia rischiano di farlo calare. Intanto il tasso di disoccupazione sale al 7,8% (+0,1%), anche per effetto del calo degli inattivi, quella giovanile al 24,7% (+1,5%), molto lontani dalla media Ue. L’Italia tra gli ultimi ultima in Europa per tasso di occupazione e ultima per occupazione femminile: lavora una donna su due (51,1%), nella Ue il 64,9%.
Reddito Continua a calare, l’Italia è ultima nell’Ocse
Il reddito reale pro-capite delle famiglie nell’area Ocse nel secondo trimestre 2023 è aumentato per il quarto trimestre consecutivo, ma in Italia è diminuito dello 0,3%. Inoltre, sempre secondo l’Ocse, dal 2007 l’Italia è il Paese che ha perso maggiormente potere d’acquisto dopo la Grecia: fatto 100 il dato 2007, oggi il nostro Paese è a 98,05.
Salario minimo Roma resta l’unica che ne è priva nel G7
Nonostante i salari troppo bassi, diminuiti del 2,9% in termini reali tra il 1990 e il 2020 e crollati di un ulteriore 15% tra il 2020 e il 2023 per l’inflazione, l’Italia rimane uno dei pochissimi Paesi Ue senza un salario minimo legale, l’unico privo nel G7. Sono 3,65 milioni i lavoratori con paghe inferiori a 9 euro l’ora, ma il governo ha bocciato la proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo.
Asili nido La promessa è stata tradita
Il videomessaggio di Giorgia Meloni all’evento “La maternità (non) è un’impresa” del 7 novembre: “Nessuno più di questo governo crede nell’investimento sulla natalità per invertire il trend demografico”. Poi il 27 novembre emerge che dalla revisione del Pnrr decisa dal governo saltano oltre 100 mila posti per gli asili nido su 250 mila previsti (inizialmente erano 264.480). Con 530 milioni nazionali se ne recupereranno meno di 20 mila: il taglio effettivo supera gli 80 mila posti. Alla faccia delle 44.669 dimissioni di madri che nel 2022 non sono riuscite a conciliare lavoro e figli (+17,1% sull’anno prima).
Poveri È record specialmente al Sud
A Milano la richiesta di aiuti alimentari segna +12% negli ultimi 18 mesi, a Roma +34% nel 2023, dopo il +27% del 2022. La povertà assoluta in Italia tocca il 9,4% della popolazione: solo 15 anni fa era al 3%. I poveri assoluti sono 5,6 milioni da 1,8 milioni di tre lustri fa. Il fenomeno colpisce soprattutto il Sud dove tocca una famiglia su 10.
Evasione Ben 14 i condoni varati in appena 13 mesi
“Noi condoni non ne facciamo”, sosteneva Giorgia Meloni il 31 marzo. Ma con gli ultimi di novembre, i condoni varati dal suo governo in 13 mesi sono 14. Erano 12 quelli previsti dalla manovra dell’anno scorso, poi se ne sono aggiunti altri due. E ora (lo leggete di fianco) il governo allunga le scadenze per pagare la rottamazione quater delle cartelle.
Extraprofitti banche hanno vinto le lobby
Una “misura di equità sociale”, aveva definito la tassa sugli extraprofitti delle banche il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini lo scorso 7 agosto, presentandola alla stampa. Avrebbe dovuto fruttare 3 miliardi e 248 milioni: poi però le lobby sono riuscite a farla rendere facoltativa e non l’ha pagata nessuno, nemmeno Mps e Mcc che sono dello Stato.
Sanità I tagli alle pensioni rafforzano il fuggi fuggi
Da anni i medici e gli infermieri fuggono dalla sanità pubblica: stipendi più bassi dei privati, poche prospettive. Meglio la pensione o l’emigrazione, valutata dal 40% dei medici. Nel 2021 sono andati in quiescenza anzitempo 2.700 medici, nel 2022 4.000, quest’anno si viaggiava verso i 5.000. Poi la manovra in discussione ha previsto taglio per 2,7 miliardi per gli assegni di 31.500 dipendenti pubblici tra il 2024 e il 2032 con un taglio delle pensioni fino a 26 mila euro l’anno. Si rischia la fuga di 6 mila medici e dirigenti sanitari del Ssn. Ora il governo promette di cambiare la legge: ma allora perché scatenare il panico?
Pnrr Si incassa, ma poi non si sa spender
Il 28 novembre Giorgia Meloni festeggiava l’incasso della quarta rata del Pnrr, altri 16,5 miliardi che portavano il totale a 102: “L’Ue conferma il nostro impegno”. Ma l’altroieri l’Ufficio parlamentare di bilancio ha inchiodato il governo: sui fondi Pnrr spesi solo 28,1 miliardi, il 14,7% del totale e solo il 7,4% della cifra prevista per il 2023.
Superbonus Così lo stop frena l’economi
Il 17 settembre 2022, a pochi giorni dal voto, Giorgia Meloni prometteva: “Siamo pronti a tutelare i diritti del Superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie: sempre dalla parte delle imprese e dei cittadini onesti”. Poi a febbraio è arrivata la doccia gelata: il governo ha di fatto bloccato la misura e adesso non la prorogherà. Secondo gli ultimi dati sono 36 mila i cantieri del 110% a rischio che colpiscono imprese, lavoratori e clienti. Lo stop, secondo il Cresme, frenerà gli investimenti nel 2023 (-0,6%) e nel 2024 (-8,5%), con pesanti effetti sull’occupazione e la crescita economica.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
SI TEME PER LA VITA DELL’OPPOSITORE DEL REGIME DEL CREMLINO
L’oppositore numero uno del presidente russo Vladimir Putin, Alexey Navalny, risulta ”scomparso da tre giorni”. La sua portavoce, Kira Yarmysh, afferma di ”non sapere dove si trovi” e spiega che ai suoi avvocati ”è stato rifiutato l’ingresso in carcere da tre giorni”. E questo dopo che Navalny ”la scorsa settimana ha avuto un grave incidente di salute”.
“La vita di Navalny è in grave pericolo”, ha detto il team della sua Fondazione anticorruzione. Secondo alcune fonti, l’avvocato russo avrebbe avuto un collasso all’interno della sua cella.
Oggi gli avvocati di Navalny si sono recati nella colonia penale IK-6 dove è attualmente detenuto e nella colonia a regime speciale IK-7. “Ovunque è stato detto loro di aspettare – spiega Yarmysh a ‘Meduza’ – Il fatto che non riusciamo a trovare Alexey è particolarmente preoccupante perché la settimana scorsa si è ammalato nella sua cella: ha avuto vertigini e si è sdraiato sul pavimento. Il personale della colonia ha fatto una flebo ad Alexey”, aggiunge.
Il timore di Yarmysh è che Navalny sia ”svenuto dalla fame”. E questo perché ”non gli viene dato da mangiare, è tenuto in una cella senza ventilazione e il tempo per passeggiare è stato ridotto al minimo”.
Oggi ”ormai è il terzo giorno che non sappiamo dove sia. Prima di allora, c’erano state sue lettere almeno occasionalmente, anche se censurate, ma per tutta la settimana non ci sono state lettere”.
Le news arrivano mentre cartelloni stradali sono apparsi in tutta la Russia con gli auguri per le feste del nuovo anno apparentemente innocui con un QR Code che rimanda al sito web “Russia senza Putin”, con un messaggio politico in vista delle elezioni presidenziali del prossimo marzo e voto per chiunque non sia Vladimir Putin. I sostenitori di Navalny hanno reso nota la loro strategia mentre le autorità hanno già iniziato a rimuovere i cartelloni.
“Qualsiasi elezione, anche la più falsa, rappresenta un momento di dubbio. La gente pensa a chi è al potere e perché lo è”, spiega il gruppo di oppositori che intendono così “rispondere a questi dubbi offrendo strumenti” per smascherare il processo di voto che in Russia è privo di significato. Sarà poi possibile scaricare e stampare volantini anti Putin, adesivi e poster.
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
CROLLA DI 15 POSIZIONI NELLA CLASSIFICA DELLE PERFORMANCE CLIMATICHE: “INADEGUATA CONTRO L’EMERGENZA”
Dal 29esimo posto al 44esimo. Così l’Italia crolla nella classifica delle performance climatiche tra i principali Paesi del Pianeta. Il nostro Paese ha perso ben 15 posizioni, soprattutto a causa di una politica climatica nazionale risultata essere inadeguata ad affrontare l’emergenza del cambiamento climatico. È questa la fotografia che emerge dal rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute, realizzato con Legambiente per l’Italia e presentato oggi 8 dicembre alla Cop28, in corso a Dubai. Poco più in là, al 51esimo posto c’è la Cina – rimasta stabile rispetto alle precedenti classifiche – che è considerata la principale responsabile delle emissioni globali. Scalata negativa, invece, anche per gli Stati Uniti che perdono 5 posizioni attestandosi il 57esimo posto. Scendendo, spiccano i nomi dei Paesi principalmente esportatori e utilizzatori di combustibili fossili, come gli Emirati Arabi Uniti al 65esimo posto (che stanno ospitando la Cop28 a Dubai), l’Iran al 66esimo e l’Arabia Saudita al 67esimo
Podio vuoto
Sono in tutto 63 i Paesi che il rapporto analizza, oltre all’Unione Europea nel suo complesso. Insieme, d’altronde, sono responsabili del 90% delle emissioni globali. Rilevante è anche come le prime tre posizioni in classifica siano rimaste vuote. Il motivo? «Nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5 gradi», si legge nel report. Al quarto posto, quindi in cima alla classifica, c’è la Danimarca che si è contraddistinta per la riduzione significativa delle emissioni climalteranti e per lo sviluppo delle rinnovabili. A seguire vi sono Estonia e Filippine.
Così l’Italia peggiora
Il nostro Paese non brilla e, anzi, sembra peggiorare. «L’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40,3% rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal Pnrr», spiega Legambiente. «Nonostante il boom delle rinnovabili, la corsa contro il tempo continua. Entro il 2030 le emissioni globali vanno quasi dimezzate, grazie soprattutto alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Alla Cop28 pertanto è cruciale raggiungere un accordo ambizioso che preveda di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica ed avviare da subito il phasing-out delle fossili», prosegue l’associazione, secondo la quale solo con una drastica riduzione dell’utilizzo di carbone, gas e petrolio si può sperare di mantenere vivo l’obiettivo di contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia di 1,5 gradi.
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
OGNI GIORNO HANNO RICEVUTO UN NUOVO INCARICO 2,5 PERSONE
Sono 392 le nomine passate dai Consigli dei ministri, altre 610 poltrone sono state assegnate per il rinnovo dei vertici delle partecipate pubbliche: è il gran galà delle nomine 2023, in cui l’unico invitato è il centrodestra
I politici devono vincere le elezioni per governare. Ai nominati, invece, basta trovarsi nel posto giusto con l’esecutivo in carica giusto. Si dirà che è il merito a guidare le scelte sulle poltrone da riempire. Lungi dal mettere in discussione la bravura dei nominati, tra le designazioni fatte nel 2023 ne emergono alcune che hanno caratteristiche singolari: un cognome di peso, una candidatura sfortunata, una simpatia personale o politica. Tra le pieghe delle nomine si può scorgere la Comédie humaine del potere italiano. E al gran galà delle investiture, quest’anno, l’unico invitato è stato il centrodestra. Nei primi 410 giorni del governo, dal 22 ottobre al 2022 al 6 dicembre 2023, sotto l’egida di Giorgia Meloni sono state effettuate 1024 nomine dirette o indirette. Includendo lo spostamento di prefetti, le promozione di militari e l’affidamento di compiti diplomatici per il personale della Farnesina, ogni 24 ore, sono state investite di un nuovo ruolo circa 2,5 persone. Durante i Consigli dei ministri, dal primo al sessantunesimo, 392 nomi sono stati designati per i posti più disparati nelle maglie della burocrazia, degli enti pubblici e delle partecipate. A questi, si aggiungono 22 nomine passate per i rami del Parlamento, mentre 610 nomine rientrano nel grande capitolo delle società partecipate dal ministero dell’Economia. Sono 105 quelle i cui organi sono scaduti nel 2023, 19 a controllo diretto e 86 a controllo indiretto, per un totale di 94 consigli di amministrazione e 48 collegi sindacali rinnovati. Nel 2024, poi, occorrerà rinnovare gli organi in scadenza di un’altra trentina di società: un’infornata continua nel fuoco del settore pubblico che, in Italia, nessuna privatizzazione riuscirà mai a spegnere.
Nelle riunioni a Palazzo Chigi
I 61 comunicati pubblicati dopo ogni Consiglio dei ministri restituiscono la fotografia delle emanazioni secondarie del potere politico. Al valzer di prefetti, ordito dal capo del Viminale Matteo Piantedosi, hanno partecipato 104 invitati, tra nomine e spostamenti. Gli altri 288 cognomi che appaiono nei verbali di Palazzo Chigi, invece, afferiscono al movimento di diplomatici e a nomine di ogni genere: come personale ministeriale, nuovi gradi per le forze armate e per le forze dell’ordine, ma anche incarichi in istituzioni come la Banca d’Italia, l’Agenzia delle entrate, o nelle task force emergenziali. Seppure i posti da coprire possano sembrare tanti, i nomi da schierare, evidentemente, non sono abbastanza. Il primo dicembre, a meno di due mesi dal proprio insediamento, si verifica già un “doppio salto” di nomina. Claudio Galzerano, per cui il Consiglio dei ministri aveva deliberato la nomina a dirigente generale di pubblica sicurezza il 22 novembre, dieci giorni più tardi è stato chiamato da Piantedosi a ricoprire le funzioni di direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere. Ancora, ci sono le posizioni affidate a parlamentari di fiducia, come quella di commissario straordinario del governo per la ricostruzione dei territori colpiti, nel 2016, dal terremoto del Centro Italia: dal 12 gennaio, su proposta di Meloni, il ruolo è stato dato al senatore Guido Castelli, di Fratelli d’Italia.
Per il primo vero scivolone dell’esecutivo bisogna scorrere i verbali delle riunioni fino al 19 gennaio. Matteo Salvini conferisce l’incarico di direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali a Roberto Carpaneto. Quattro Consigli dei ministri più tardi, il manager rinuncerà alla nomina: lui dirà «per motivi strettamente personali», la stampa parlerà di un potenziale conflitto di interessi. Il 9 marzo, un altro “doppio salto”: Bruno Frattasi, che nel secondo Consiglio dei ministri era stato nominato prefetto di Roma, viene collocato fuori ruolo affinché possa diventare il nuovo direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Comunque, dalla rassegna dei comunicati saltano fuori anche alcune curiosità. Il nominato con il cognome più lungo, ad esempio: Antonio Tajani ha voluto come capo della missione diplomatica ad Hanoi, in Vietnam, tale Marco Cirillo Baldassarre Maria della Seta Ferrari Corbelli Greco Sommi. Ironia della nomina? Il suo predecessore, al contrario, mostra le generalità più comuni possibili: Antonio Alessandro. Il 20 aprile, poi, il primo dei grandi ripescati della politica. Il più volte ministro – l’ultima nel governo Draghi – Renato Brunetta viene nominato, su proposta di Meloni, presidente del Cnel. L’organo che, qualche mese più tardi, verrà coinvolto nella battaglia parlamentare sul salario minimo, bocciando la proposta delle opposizioni.
Guido Crosetto ha caldeggiato un paio di quei “doppi salti” che risaltano cercando i cognomi più ripetuti nelle nomine. Su sua proposta, Pietro Covino è stato promosso al grado di ammiraglio ispettore capo del corpo di commissariato militare marittimo, nel Consiglio dei ministri del 19 gennaio. Qualche mese più tardi, il 23 maggio, Covino riceverà l’incarico di presidente della cassa di previdenza delle forze armate. Stessa considerazione la ottiene la professoressa Fiammetta Salmoni. Nominata consigliera di amministrazione di Enel in primavera, nella lista presentata dal ministero dell’Economia, il 27 novembre sarà investita da Crosetto del ruolo di direttore generale dell’Agenzia industrie difesa. Poi ci sono le nomine che hanno raggiunto un’ampia diffusione mediatica. Il 27 giugno, per non affidare a Stefano Bonaccini il compito di commissario straordinario alla ricostruzione post alluvione in Emilia-Romagna, è riconvocato dalla classe politica il generale Francesco Paolo Figliuolo, che già era subentrato due anni prima a Domenico Arcuri come commissario per l’emergenza Coronavirus. Nello stesso Consiglio dei ministri, il numero 41, Fabio Panetta è individuato come successore di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia.
Il 7 settembre, invece, si tiene il Consiglio dei ministri con il numero più alto di investiture: su proposta di Meloni infatti è deliberata la nomina al Cnel di 48 rappresentanti delle categorie produttive. In questa riunione di Palazzo Chigi, altri due “doppi salti”: Grazia Mirabile e Roberto Di Legami, proposti da Piantedosi come dirigenti generali di pubblica sicurezza a fine giugno, prendono servizio presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Il 27 settembre, come successo per Salmoni, riceve un secondo incarico anche Marcello Sala. Inserito nel consiglio di amministrazione di Leonardo con la lista del ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti lo propone come direttore generale del neonato dipartimento dell’Economia: sarà l’uomo delle privatizzazioni, a lui il compito di coadiuvare il Tesoro nelle valutazioni di cedibilità di diverse partecipazioni dello Stato. L’obiettivo di Giorgetti? Raggiungere quei 20 miliardi di privatizzazioni promessi in più anni.
La potenza economica delle società del Mef e i ripescati della politica
Secondo uno studio del centro studi Comar, i 403 consiglieri e i 207 sindaci delle società controllate direttamente o indirettamente dal ministero dell’Economia, i cui consigli di amministrazione sono scaduti nel 2023, dovranno gestire un fatturato complessivo di 189,9 miliardi di euro. Dagli ultimi bilanci, gli utili risultano essere pari a 10,6 miliardi. Ma ciò che rende davvero plastica la rilevanza di queste aziende è la forza lavoro di cui dispongono: considerando soltanto Enel e Poste italiane, ad esempio, il numero di dipendenti è pari a 187.702. Il ministero dell’Economia, insieme alle partecipate di secondo livello, tra cui primeggia Cassa depositi e prestiti, esercita un ruolo economicamente e numericamente preponderante nella gestione delle società pubbliche. Nel 2023, sono stati investiti dei ruoli di membri dei consigli di amministrazione o dei collegi dei sindaci – tralasciando le società di secondo livello – 50 persone nelle società quotate, sei nelle società con strumenti finanziari quotati e 64 nelle società non quotate del Mef. Gli altri ministeri, le Regioni, i Comuni e altri enti pubblici intermedi hanno partecipazioni indubbiamente più piccole. Ma è una ragnatela di potere dove ogni casella può essere utile alla politica. E ai politici che hanno smesso di ricoprire cariche elettive. Il 2023, dopo che il taglio dei parlamentari ha portato a una riduzione dei seggi nella XIX legislatura, ha visto particolarmente attivi Lega e Forza Italia.
Prendendo ad esempio la Sogin, che si occupa di gestione dei rifiuti radioattivi, nel consiglio di amministrazione nominato ad agosto fa il suo ingresso Fiammetta Modena. L’ex senatrice umbra era stata candidata dagli azzurri in un collegio considerato perdente. E infatti, il 25 settembre 2022, ha mancato il bis a Palazzo Madama. A inizio 2023, Modena aveva ottenuto comunque già un altro posto, sempre di nomina politica: il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto l’ha assunta come capo segreteria. Sempre nel consiglio di amministrazione della Sogin, trova spazio Jacopo Vignati, segretario provinciale della Lega a Pavia, vicino al vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio. Il ricollocamento degli ex della politica nelle partecipate prevede un lungo elenco che coinvolge un po’ tutti, anche gli ex ministri del governo Draghi: Roberto Cingolani è nominato amministratore delegato di Leonardo. Nel consiglio di amministrazione della stessa società, tra le più ambite, ci finisce anche Trifone Altieri, ex deputato della Lega con un passato in Forza Italia. Anche Fratelli d’Italia ha uno dei suoi in Leonardo: tra i consiglieri della società, dal 2023, c’è Francesco Macrì, già capogruppo meloniano nel Consiglio comunale di Arezzo.
Fratelli d’Italia vanta anche come presidente dell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato Paolo Perrone, ex sindaco di Lecce, e nel consiglio di amministrazione la dirigente di FdI Stella Mele. Anche la Lega ha il suo consigliere nella zecca, l’ex senatore Stefano Corti. Un altro ex di Palazzo Madama, sempre iscritto al Carroccio, è Paolo Arrigoni: mancato l’appuntamento con il terzo mandato, è chiamato al vertice della Gse, Gestore servizi energetici. Nel consiglio di amministrazione, Arrigoni siede con una sua vecchia collega, la senatrice non rieletta di Forza Italia, Roberta Toffanin. Ancora, c’è l’ex sottosegretario azzurro all’editoria Giuseppe Moles, nominato amministratore delegato della controllata di Gse, Acquirente Unico. Nel colleggio sindacale della società, come presidente, è cooptato l’ex deputato leghista Tullio Patassini. La lista degli ex politici che oggi guidano le partecipate vede, poi, Antonio Zennaro – Lega – consigliere di amministrazione di Consap. La presidenza del consiglio della stessa società è affidata al quattro volte deputato azzurro Sestino Giacomoni. Ancora, presidente del consiglio di amministrazione di Sogesid è Roberto Mantovanelli, leghista della prima ora che ambiva al ruolo di vicesindaco di Verona, prima della débâcle del centrodestra contro Damiano Tommasi. Un’altra leghista, Francesca Brianza, ha rimesso il mandato da consigliera comunale a Varese per presiedere la partecipata Equitalia Giustizia, posseduta al 100% dal Mef di Giorgetti
Sport, cultura e salute
Oltre alle grandi partecipate del ministero dell’Economia, ci sono altre società a partecipazione pubblica che hanno raggiunto le cronache – e le polemiche – per le designazioni fatte dalla maggioranza. Molte di queste hanno a che fare con la cultura e lo sport. Caso emblematico è la Rai, dove Carlo Fuortes ha lasciato anzitempo il ruolo di amministratore delegato. Un passaggio molto ruvido e che vede avvicendarsi al suo posto Roberto Sergio, considerato in quota Fratelli d’Italia. Poi c’è stata la modifica del processo di nomina e della composizione della dirigenza del Centro sperimentale di cinematografia. Il consiglio di amministrazione, in disaccordo con l’intervento dell’esecutivo Meloni, ha rassegnato le dimissioni. Il fulcro della protesta è stata l’espropriazione al consiglio di amministrazione del potere di nomina del comitato scientifico che, passato da cinque a sei membri. Dalla scorsa estate, le designazioni sono attribuite direttamente ai ministeri della Cultura, dell’Università, dell’Istruzione e dell’Economia. La maggioranza nomina, la scorsa estate, ha nominato i sette membri del nuovo consiglio di amministrazione, presieduto da Sergio Castellitto.
C’è stato un gran parlare anche per le nomine ai vertici delle società che afferiscono al mondo dello sport. Beniamino Quntieri è stato scelto come presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto per il credito sportivo, ma è su Sport e salute che si è consumato uno scontro politico. Alla fine, il ministro per lo Sport Andrea Abodi ha ottenuto la nomina di presidente del consiglio di amministrazione per Marco Mezzaroma e quella di amministratore delegato per Diego Nepi Molineris. Per le opposizioni, la nomina di Mezzaroma è avvenuta «in conflitto di interessi»: l’accusa rivolta all’imprenditore romano è di essere cognato di Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e numero uno della Lazio, con cui ha anche diviso l’esperienza a capo della Salernitana. Infine, altre questioni di parentela sono state sollevate per la sostituzione dei vertici dell’Istituto superiore di sanità. Alla guida dell’ente, sostituendo Silvio Brusaferro, è subentrato il professore ordinario di Chirurgia generale all’Università Cattolica, Rocco Bellantone. L’uomo proposto dal ministro della Salute Orazio Schillaci risulta essere cugino di Giovanbattista Fazzolari. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, tra le persone più vicine a Meloni, ha derubricato così la vicenda: «Io e Bellantone siamo parenti di quinto grado da parte di madre. Questa è la parentela che c’è tra noi. Certo, lo conosco bene e lo stimo, come in molti in ambito accademico, scientifico e politico».
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
LE IMMAGINI VERGOGNOSE DEI DETENUTI DI GAZA SOTTO IL CONTROLLO DI ISRAELE
In rete circolano alcuni filmati in cui decine di uomini, inginocchiati e in mutande, indossano delle bende sugli occhi mentre sarebbero sotto il controllo dell’esercito israeliano.
Le circostanze e le date esatte delle detenzioni non sono chiare, ma l’identità di alcuni detenuti è stata confermata da colleghi o familiari a testate straniere come la Bbc e la Cnn.
Sia le Forze di Difesa Israeliane (IDF) che Hamas sono intervenuti sulle immagini, definite da molti decisamente inopportune e forti.
Il portavoce dell’IDF Jonathan Conricus ha dichiarato alla CNN che gli uomini ritratti erano «membri di Hamas e sospetti». Ha detto che erano «senza vestiti per assicurarsi che non trasportassero esplosivi
Izzat al-Rishq, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha invece accusato Israele di «sequestrare, perquisire in modo invasivo e spogliare» quello che lui definisce «un gruppo di civili palestinesi sfollati».
L’ha definito un «crimine riprovevole» e ha esortato le organizzazioni per i diritti umani a intervenire. E a tal proposito Euro-Med Monitor ha ricevuto segnalazioni che le forze israeliane hanno lanciato campagne di arresti casuali e arbitrarie «contro gli sfollati, tra cui medici, accademici, giornalisti e uomini anziani».
La CNN ha geo-localizzato alcune delle immagini a Beit Lahia, a nord di Gaza City. Secondo quanto ha aggiunto la Bbc alcuni degli uomini ripresi nei video sono stati rilasciati.
La denuncia di Al-Araby Al Jadeed: «Arrestato un nostro corrispondente»
In una dichiarazione la testata Al-Araby Al-Jadeed ha affermato che uno dei suoi corrispondenti e diversi membri della sua famiglia erano tra le persone detenute nelle immagini. Ha riferito che Diaa Al-Kahlout è stato arrestato dalle truppe israeliane sotto la minaccia delle armi e costretto a lasciare la figlia disabile, prima di essere presumibilmente spogliato e picchiato. «Oggi, giovedì, l’esercito di occupazione israeliano ha arrestato il giornalista e direttore dell’ufficio “The New Arab” a Gaza, il nostro collega Diaa Al-Kahlot, in Market Street a Beit Lahia, insieme a un gruppo di suoi fratelli, parenti e altri civili», riportano sul sito della testata.
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2023 Riccardo Fucile
“INQUIETANTE CHE IO SIA STATO IDENTIFICATO, LO RIFAREI”… “SI SONO MESSI A RIDERE PURE GLI AGENTI”
«Trovo un po’ inquietante che io sia stato identificato, non può non venirmi il dubbio che siamo alla soglia di uno stato parafascista», ha detto all’agenzia Ansa Marco Vizzardelli, 65 anni, giornalista, l’uomo che ieri, durante prima de La Scala ha urlato «Viva l’Italia antifascista!», creando scompiglio durante la lunga e tradizionale serata.
Vizzardelli è stato identificato dalla Digos. L’identificazione «non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata», ha precisato la polizia di Stato.
Ieri a preoccupare non è stato il malessere del tenore Michele Pertusi (Filippo II nell’opera), che nonostante l’avvertimento dato al pubblico prima dell’ultimo atto dal sovrintendente Dominique Meyer ha poi performato egregiamente, strappando lunghi applausi al Teatro. Ma ha fatto mormorare proprio lui, Vizzardelli che, subito dopo l’inno di Mameli ha urlato la frase diventando così virale sui social.
«Non sono un pericoloso comunista, al massimo un liberale di sinistra – ha dichiarato all’Ansa l’uomo – ma non reggo due cose: qualsiasi vago profumo di fascismo e qualsiasi forma di razzismo. E ieri avevo davanti due rappresentanti dello Stato come Salvini e La Russa che su entrambi questi fronti mi lasciano molto perplesso».
«Si sono messi a ridere pure gli agenti»
«Me lo sono sentito dentro. Direi che lo rifarei, senza dubbio», ha poi dichiarato l’uomo a La Presse. «Durante il primo atto sono stato avvicinato da un agente in borghese. Era buio, mi sono girato e sono trasalito un attimo, mi ha detto di stare tranquillo. Finito il primo atto, mi ha chiesto le generalità tirando fuori il distintivo. Io ho detto: “Scusi, ma perché? E me ne sono andato”. Sono arrivati in quattro durante l’intervallo: “Siamo della Digos e vorremmo le sue generalità”. E io: mi sembra un po´strano. Loro mi hanno risposto: purtroppo, se gliele chiediamo, è tenuto a darcele. Io l’ho buttata in ridere e ho detto: se avessi detto viva l’Italia fascista giustamente mi avreste legato e portato via. A questo punto si sono messi a ridere e poi hanno detto: siamo perfettamente d’accordo con lei, ma abbiamo dovuto chiederle le generalità. Ed è finita lì, ma intanto era successo».
(da agenzie)
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