Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
SENZA L’OK DELL’ITALIA, INFATTI, LE BANCHE DI TUTTA L’AREA EURO NON POTRANNO BENEFICIARE DEL “PARACADUTE” DA UTILIZZARE IN CASO DI GRAVI DIFFICOLTÀ FINANZIARIE
Un nuovo stop che rischia di paralizzare l’intera Eurozona rendendo più vulnerabili le banche europee. Sono queste le conseguenze dell’ennesima bocciatura che l’Italia ha decretato sul Mes. Ma cosa succede concretamente se l’Italia non ratifica le modifiche al trattato?
La prima conseguenza è politica. Per entrare in vigore le modifiche devono essere recepite da tutti i 20 Paesi dell’area euro. L’Italia è l’unica a non averlo fatto. In questo modo crea un problema a tutti gli altri, come aveva chiarito già a giugno il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe.
“Rispetto assolutamente e posso capire il punto di vista del governo italiano se dice che non vuole accedere”, aveva detto a giugno. “Ma la ratifica consentirà che il maggior potere del Mes sia messo a disposizione di altri Paesi, che potrebbero invece decidere di volersene avvalere nel futuro. Mi auguro che questo potrà essere considerato all’interno del dibattito in corso in Italia”.
Il risultato pratico è che i Paesi in caso di difficoltà non potranno avvalersi del Fondo Salva Stati nella sua versione “emendata”. In particolare, le banche dei Paesi non potrebbero beneficiare del cosiddetto backstop del Fondo di risoluzione unica, una sorta di paracadute del paracadute da utilizzare in caso di gravi difficoltà finanziarie.
Qui c’è una scadenza pratica, come ricordato dal segretario del Mes Pierre Gramegna in primavera. A fine dicembre 2023 scade il periodo transitorio durante il quale il Fondo di Risoluzione Unica (che di default è alimentato dai contributi delle banche europee) è stato anche sostenuto attraverso linee dei credito dei Paesi stessi.
Una sorta di contribuzione supplementare per “puntellare” il Fondo in attesa della definitiva entrata in vigore del backstop previsto con la riforma del Mes. Con la nuova bocciatura i Paesi avranno quindi due strade, prolungare questo periodo transitorio o lasciare potenzialmente “senza paracadute” le banche europee.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
“UN MINISTRO DELL’ECONOMIA SBUGIARDATO DA QUEST’AULA, SBEFFEGGIATO DAL SUO LEADER E DAL SUO PARTITO, UN MINISTRO CHE FIRMA QUALCOSA CHE NON DOVEVA FIRMARE, CHE È ANDATO ALL’ECOFIN A DIRE CHE AVREMMO RATIFICATO IL MES PERCHÉ IL PARLAMENTO SI SAREBBE MOSSO E LO AVREBBE FATTO”
‘La crisi politica di questo governo non sta nei numeri ma nelle sue politiche. Sul patto di stabilità, il ricatto del governo sul Mes si è svelato ieri”. Lo dice nell’area della camera Enzo Amendola del partito democratico durante l’esame del mes. Amendola ha svolto un intervento durissimo nei confronti del governo. “Siete uniti dal potere, ma il potere per il potere non fa una politica. Un governo che sull’Europa non fa una scelta Uniti univoca non è un governo”, ha concluso.
“Colleghi di Fdi vi sfido a parlare di interesse nazionale. Il ricatto di dire ‘non ratificheremo il Mes perché facciamo il Patto di Stabilità’ si è svelato ieri. Quando si va in un negoziato in Europa non si urla prima nelle Camere ‘l’Italia tradita, svenduta, l’orgoglio italiano’ e poi si vanno a firmare compromessi al ribasso rispetto alla proposta della commissione e si viene a dire che l’interesse nazionale è difeso”.
L’ex ministro Enzo Amendola (Pd), ha parlato nell’aula della Camera, in dichiarazione di voto sul Mes. “Mi aspettavo una cosa semplice dalla Meloni” che aveva detto “faremo la chiusura del compromesso sul patto di stabilità e ratificheremo il Mes. Ero ingenuo. Allora vuol dire che il compromesso sul patto di stabilità non vi è piaciuto perché se oggi non si ratifica il Mes voi ci state dicendo che il patto firmato ieri non vale, è contro l’Italia”, ha aggiunto Amendola che in protesta con la maggioranza si è dimesso dall’incarico di relatore dei due ddl di ratifica.
“Questo è un passaggio delicato, perché è chiarificatore della natura di un governo. Voi siete uniti dal potere ma il potere per il potere non fa una politica. Un governo che si presenta senza politica estera in Europa non è un governo. E un governo che non ha una posizione unita sulle scelte in Europa, non è un governo che con orgoglio rivendica il suo ruolo”.
“Non parlateci di ‘Italia svenduta, Italia tradita, Italia in ginocchio’, perché l’Italia che in Europa va a testa alta è quella che si comporta di conseguenza”.
“Un ministro come quello dell’Economia, sbugiardato da quest’aula, sbeffeggiato dal suo leader di partito e dal suo partito, è un ministro degli Affari economici che firma qualcosa che non doveva firmare come qualcuno ha detto, quello che all’Ecofin ha detto ‘noi ratificheremo il Mes’, un ministro come quello che abbiamo, dinanzi a questo voto dovrebbe trarre le conseguenze perché si può essere realisti, difensori dell’interesse nazionale ma la parola in Europa è una, non è una qui e una in Europa. Se si dice ‘no’ si dice ‘no’ qui come in Europa”.
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
“NON E’ IL COMPORTAMENTO DI UN PAESE SERIO”
Il centrodestra ha bocciato la ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che da mesi veniva rinviata di volta in volta dalla maggioranza. Alla fine il testo è arrivato all’Aula, e la maggioranza si è spaccata: Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro la ratifica, come anche il Movimento 5 stelle, mentre Forza Italia e Noi moderati si sono astenuti, allo stesso modo di Alleanza Verdi-Sinistra. Hanno votato a favore Pd, Azione, Italia viva e +Europa. Luigi Marattin, deputato di Iv, ha commentato quanto successo rispondendo alle domande di Fanpage.it
Deputato, prima di oggi si aspettava che una bocciatura sarebbe effettivamente arrivata, o pensava che alla fine il centrodestra avrebbe approvato la ratifica?
La maggioranza aveva sempre dichiarato che prima avrebbero voluto chiudere accordo su Psc, e poi avrebbero ratificato il Mes. L’accordo sul Patto è stato chiuso ieri sera, e social e agenzie sono state invase da messaggi di festeggiamenti della maggioranza, in particolare la Lega, che rivendicavano la vittoria italiana. E poi stamattina hanno bocciato il Mes. Io non aggiungo altro. Mi dica lei se questo le pare il comportamento di un Paese serio.
L’astensione di Forza Italia è un segno di spaccatura nella maggioranza?
La maggioranza si è spaccata non sulla ratifica di un accordo di amicizia con un’isola caraibica, ma su un aspetto cruciale dell’integrazione economica europea (cioè la riforma di un meccanismo di condivisione del rischio bancario). Onestamente non vedo come si possa dire che esiste ancora un governo in grado di basarsi su una maggioranza politica solida.
Per l’Italia è una figuraccia internazionale?
Sicuramente una figuraccia. Vedremo gli effetti sui rapporti con gli altri Paesi membri della Ue e, soprattutto, coi mercati. Che ogni anno ci prestano 500 miliardi per mandare avanti la nostra baracca.
Il ministero dell’Economia aveva fatto dichiarazioni chiare sul Mes, e come lei ha sottolineato il centrodestra in Aula le ha sostanzialmente smentite. Giorgetti dovrebbe “trarre le conclusioni” e dare le dimissioni come ha suggerito il Pd?
Ieri il Mef ha spiegato (e scritto) chiaramente in commissione Bilancio che dalla ratifica del Mes non sarebbero derivate nessun tipo di conseguenze (presenti o future, certe o potenziali) sui conti pubblici. E oggi la maggioranza ha approvato un parere in cui diceva l’esatto contrario. Tant’è che il governo si è rimesso all’aula della Commissione. Se non è una sfiducia questa, non so cos’altro avrebbero dovuto fare allora.
Il ministro dell’Economia Giorgetti dovrebbe dimettersi?
Su questo concordo con quanto detto da Enzo Amendola [deputato Pd, ndr] in Aula: dovrebbe fare una seria riflessione in merito.
Chiaramente non è l’ultima volta che si parla di riforma del Mes. Secondo lei cosa succederà, nei prossimi mesi, sia a livello parlamentare che di comunicazione?
Questo lo deve chiedere alla maggioranza. Che in queste ore sta festeggiando come se avessero vinto i mondiali di calcio. Sicuramente sul lato della comunicazione questa brutta vicenda conferma che ormai la politica, in Italia, è solo la brutta copia di una campagna pubblicitaria di quint’ordine
(da Fanpage)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
PER PROTESTA, LA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA NON PARTECIPERÀ ALLA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO DELLA MELONI
Si è riunita oggi la Giunta esecutiva della Fnsi con la Consulta dei presidenti e segretari delle Associazioni regionali di Stampa per organizzare la mobilitazione, che dovrà arrivare allo sciopero generale, contro l’emendamento Costa, norma che si prefigge di censurare la stampa e limitare il diritto dei cittadini a conoscere le notizie.
Giovedì 28 dicembre la Federazione nazionale della Stampa, come annunciato, non parteciperà alla conferenza stampa di fine anno della premier, espressione di una maggioranza che vuole stringere il bavaglio intorno all’informazione. Lo annuncia un comunicato della Federazione. Quel giorno, invece, la Fnsi promuoverà una protesta simbolica che coinvolgerà i presidenti e i segretari delle Associazioni regionali, i cronisti e giornalisti tutti.
A seguire, il 3 gennaio prossimo sarà convocata la Conferenza dei Comitati di redazione per stabilire la scansione delle azioni che dovranno portare allo sciopero generale, uno sciopero contro la censura di Stato e per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione. La protesta di Fnsi e Associazioni regionali di Stampa proseguirà fino allo sciopero generale con l’organizzazione di presidi davanti alle prefetture italiane. In queste azioni sarà importante essere affiancati dalla società civile e dalle organizzazioni che si battono per la carta costituzionale e la democrazia.
DAL MEDICO DEL BOSS AL MORANDI LE NOTIZIE CHE NON AVREMMO LETTO
La gestione dei vertici di Autostrade svelata dopo il crollo del ponte Morandi con le sue quarantatré vittime. Lo schianto della funivia del Mottarone. E poi decine di femminicidi, come quelli di Giulia Cecchettin e di Giulia Tramontano. L’arresto dei complici di Matteo Messina Denaro. È lungo l’elenco delle vicende di cronaca giudiziaria che i giornali non avrebbero potuto e non potranno raccontare se dovesse entrare in vigore l’emendamento «bavaglio» del centrista Enrico Costa.
Senza più alcun tipo di trasparenza sui motivi per cui dei magistrati chiedono e un giudice decide di privare un cittadino della cosa più importante che ha: la libertà personale. A maggior ragione, in una fase in cui le indagini sono in corso.
Il testo, che ha superato il vaglio della Camera, modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale, laddove – con la riforma Orlando del 2017 divenuta legge due anni dopo con la firma di Alfonso Bonafede – vietava «la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari, fatta eccezione per l’ordinanza» cautelare.
Nell’emendamento, invece, «il divieto di pubblicazione integrale o per estratto» si allarga anche al «testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare». Quindi nei 6, 12, 18 mesi… successivi all’esecuzione del provvedimento.
In una situazione in cui, peraltro, grazie alla riforma Cartabia, la valutazione dell’interesse pubblico del sequestro dell’azienda che gestisce il «Cpr della vergogna» di Milano così come l’arresto ai domiciliari di moglie e suocera del parlamentare Aboubakar Soumahoro (accusate di spendere in alberghi e borse griffate i soldi destinati ai migranti delle loro cooperative) è demandata al capo di ciascuna procura e, in genere, a un suo sterile comunicato. Che non a caso l’ex reggente di Milano, Riccardo Targetti, nei mesi scorsi ha definito «la velina del regime».
Dopo l’arresto dell’ex capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, latitante per trent’anni, non avremmo potuto sapere come un medico massone, protagonista della vita politica di Trapani, lo abbia curato e coperto per così tanto tempo. Come lo abbiano aiutato le tante donne della sua vita. Basti pensare alle misure cautelari antimafia che coinvolgono decine di persone e ricostruiscono sistemi complessi in centinaia o migliaia di pagine.
Senza leggerle, un cronista dovrà raccontare le operazioni affidandosi alla ricostruzione di una parte (l’accusa) o dell’altra (la difesa) senza capire quali siano gli indizi, le testimonianze, le intercettazioni, i sequestri e il ragionamento in base al quale un giudice terzo abbia deciso di firmare quella misura.
Nessun giornale avrebbe potuto riportare le intercettazioni per cui, nell’inchiesta «Morandi bis», dopo il crollo del ponte, è finito ai domiciliari l’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci accusato di attentato alla sicurezza dei trasporti e frode nelle pubbliche forniture.
Di fatto la prima ordinanza che ha permesso di raccontare come l’azione dei manager del gruppo sarebbe stata guidata dall’esigenza di «massimizzare i profitti minimizzando i costi» e «nascondendo» i problemi quando si manifestavano con crolli o altri inconvenienti. Nessun giornale lo avrebbe potuto raccontare fino a oggi. Fino all’apertura dell’udienza preliminare.
Se dovesse passare questo emendamento, nessun giudice illuminato sarà più disponibile a mettere a disposizione le sue ordinanze. Ma le notizie circoleranno ancora, magari sotto banco, in un sistema più «opaco» e che rischia di tutelare meno gli stessi indagati. Nonostante l’interesse dei cittadini. Come dice Costa: «È una questione di civiltà».
Ve lo ricordate Andrea Bonafede, la faccia pulita di Matteo Messina Denaro? Ecco, se la legge appena approvata dalla Camera fosse stata già in vigore lo scorso gennaio, al momento del suo arresto, di lui e della sua vita da “alias” del più grande ricercato al mondo non avreste potuto sapere quasi nulla. Se non qualche informazione di riporto.
E ancora: ve le ricordate le botte alla caserma dei carabinieri Levante, a Piacenza? I carabinieri che umiliavano e derubavano gli spacciatori. E quelle alla questura di Verona? Non avreste potuto vedere una sola di quelle immagini.
Leggere una intercettazione. Conoscere la faccia brutta dello stato. E ancora: l’assalto alla Cgil, il tradimento dell’ufficiale Walter Biot, che aveva svenduto i nostri segreti ai russi. Per non parlare della cronaca nera: dell’omicidio di Giulia Cecchettin conosceremmo quasi nulla
Ecco, come avrete potuto notare in tutti questi casi — ma ce ne sarebbero migliaia da citare, ogni giorno quattro, cinque storie cruciali — non c’è nemmeno l’ombra di uno «sputtanamento mediatico» per riportare le parole dell’onorevole Enrico Costa, che sarebbe alla base della legge che vuole chiudere la cronaca giudiziaria nel nostro Paese. Ma soltanto storie di fatti la cui conoscenza ha permesso agli italiani di farsi un’idea precisa di cose importanti, di aprire dibattiti, di essere informati e dunque formati a un pensiero critico e indipendente.
Eppure se fosse stata in vigore la legge Costa avrebbe colpito anche tutte queste storie, condannando gli italiani a non sapere e i giornalisti a violare la legge per fare il proprio mestiere. Cioè informare. Tra gli esempi non ci sono, volutamente, casi di arresti di colletti bianchi.
(da La Stampa)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
SI DIEDE DA FARE ANCHE SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO, CHE SOSPENDEVA I PROCESSI, FINO AL MANTENIMENTO DELLA CARICA ELETTIVA, CONTRO IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO (CHE ERA SILVIO BERLUSCONI) E CONTRO I MINISTRI
Il guardiano della rivoluzione, contro la magistratura manettara e i giornalisti arruolati, che in combutta con le Procure si ostinano a dare notizia, carte alla mano, degli arresti. È il paladino della presunzione d’innocenza, il difensore del cittadino inerme, alla mercé della macchina tritatutto della giustizia. Oppure, per i detrattori, la versione giudiziaria di Superciuk, il super eroe al contrario del fumetto Alan Ford, che ruba ai poveri per regalare il silenzio, che è d’oro, ai potenti.
È lui, Enrico Costa, l’autore dell’emendamento che vieta di pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare, e, giù per i rami, pure le intercettazioni, fino all’udienza preliminare. Che può arrivare, colpa della giustizia lenta, sei, dodici, e perfino diciotto mesi dopo.
Nato a Cuneo 54 anni fa, entra in politica con il Pli, poi va con il Polo delle libertà, versione Unione di centro. Confluisce in Forza Italia, lo nominano capogruppo Pdl in commissione Giustizia, e lì diventa relatore del «lodo Alfano» che blocca i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato, poi abrogato dalla Corte costituzionale.
Ma si dà da fare anche sul legittimo impedimento, che sospendeva i processi, fino al mantenimento della carica elettiva, contro il presidente del Consiglio, che era Silvio Berlusconi, e contro i ministri. Viceministro e poi ministro nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, molla tutto e torna nel centrodestra, ma non in Forza Italia, perché Berlusconi gli chiude le porte.
E quindi eccolo in Noi con l’Italia, con Maurizio Lupi. Poi torna ancora con il Cavaliere, fino al 2020, quando ridiventa deputato con Azione di Carlo Calenda, recuperato dopo la sconfitta nell’uninominale. Costa ha una sua visione. «La magistratura — racconta su X — da anni cerca di condizionare il Parlamento e l’iter delle leggi, con dichiarazioni, proteste, interviste, scioperi. Cosa accadrebbe a parti inverse se fossero i deputati che, durante le camere di consiglio, cercassero di condizionare i giudici?».
E poi si preoccupa di spiegare alla Fnsi, che chiede a Mattarella di non firmare la legge, che non ha capito nulla: «Si può dare notizia dell’arresto, e pure raccontare il contenuto, solo niente atti, così come era fino al 2017, prima della riforma Orlando». Ma prima del 2017, sui giornali, sono uscite tonnellate di atti e di intercettazioni. Quindi, non pare un semplice ritorno a un passato garantista più immaginario che reale. E allora? Per Costa bisogna spezzare il «legame perverso» tra giornali e Procure, e quindi siamo solo alla prima puntata.
La seconda Costa la annuncia: le sanzioni sono troppo deboli, e lui, giura, non vuole toccare i giornalisti. Nel mirino ci sono gli editori, con multe salate che facciano passare la voglia. Più difficile capire che fine farebbero atti e intercettazioni come quelle sull’omicidio di Giulia Cecchettin, o sulle coltellate a Giulia Tramontano, che tanto dibattito sui femminicidi hanno suscitato nel Paese. O anche i testi su Matteo Messina Denaro
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
UN MILIONE E 700MILA EURO PER IL CAMPO SPORTIVO DI ARZANO (DOVE È NATO IL FORZISTA SILVESTRO)… 450MILA EURO PER UN’ASSOCIAZIONE DI MELILLI, IN PROVINCIA DI SIRACUSA, DOVE ABITA LA SENATRICE DANIELA TERNULLO, FEDELISSIMA DI GIANFRANCO MICCICHÉ
Due milioni e 400mila euro fino al 2026 per ampliare i campi del Golf Club di Asiago (costo della tessera per un socio ordinario: 1.420 euro l’anno). Un milione e 700mila euro per il campo sportivo di Arzano, cittadina di 31mila abitanti in provincia di Napoli che ha dato i natali al senatore forzista Francesco Silvestro. Altri 450mila euro per un’associazione del terzo settore di Melilli, borgo di 13mila anime in provincia di Siracusa, dove abita la senatrice Daniela Ternullo, fedelissima di Gianfranco Micciché.
E ancora: centomila euro all’associazione per il “grano duro” di un ex parlamentare dei 5Stelle poi passato a FI la scorsa legislatura e oggi fuori dal Parlamento: Saverio De Bonis.
Mezzo milione di euro per l’Osservatorio nazionale del lavoro pubblico, che quando è stato istituito dal ministro Paolo Zangrillo, così diceva il decreto del 22 giugno scorso, non avrebbe dovuto comportare “maggiori oneri per la finanza pubblica”. Anche 110mila euro per l’associazione “Antichissima rappresentazione dei misteri di Santa Cristina”, nel Viterbese.
Elly Schlein le chiama “mancette”. Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio, è ancora più dritto. Dice così, “marchette”, nella conferenza stampa convocata ieri dai democratici in Senato per discutere degli emendamenti alla finanziaria targata Meloni.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
GLI AUTORI DELLO STUPRO SONO FIGLI DI UOMINI DELLA ‘NDRANGHETA… METTETELI TUTTI IN GALERA E BUTTATE LA CHIAVE
Una giovane vittima di violenze sessuali che aveva deciso di denunciare gli abusi subiti sarebbe stata addirittura “invitata” a suicidarsi dai parenti, che le avrebbero anche disattivato la scheda telefonica del cellulare, simulandone uno smarrimento.
È accaduto in provincia di Reggio Calabria e, stando a quanto emerso, i familiari della vittima avrebbero tentato di dissuaderla a confermare la denuncia degli abusi subiti, una querela che aveva portato all’identificazione di 20 persone, alcuni anche minori, legati da vincoli di parentela a esponenti di vertice di cosche di ‘ndrangheta.
Inoltre, gli indagati, avrebbero anche tentato di costringere la giovane donna a sottoporsi a visita psichiatrica, con l’intento di ottenere una certificazione medica attestante la non capacità di intendere e di volere, rendendone inutilizzabili ed inattendibili le dichiarazioni.
Fatti gravissimi che hanno portato all’arresto di quattro persone, due donne e due uomini, per i reati di violenza o minaccia per costringere a commettere reato ed intralcio alla giustizia. Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di un’ordinanza emessa dal Tribunale di Palmi.
L’attività investigativa che ha fatto scattare le manette è collegata all’operazione “Masnada” coordinata dalla Procura di Palmi e nell’ambito della quale, nello scorso mese di novembre, la polizia di Stato ha arrestato tre “rampolli” di ‘ndrangheta e il figlio di un amministratore locale. Erano stati, inoltre, individuati una ventina di soggetti, alcuni dei quali minorenni, che in qualche modo, stando alle indagini, avevano partecipato alle violenze sessuali di gruppo.
Dopo il blitz del commissariato di Palmi eseguito nelle scorse settimane, contro i presunti componenti del branco, adesso l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, su richiesta del procuratore Emanuele Crescenti, nei confronti dei familiari di una delle due vittime. Ai domiciliari sono finiti il fratello e la sorella della ragazza abusata dal branco, assieme ai loro rispettivi compagni. Proseguendo le indagini dell’inchiesta “Masnada”, infatti, i poliziotti hanno accertato vari e reiterati episodi di vessazione subìti dalla ragazza da parte dei propri familiari che, contrari alla sua scelta di denunciare, hanno costantemente tentato di ostacolarne la collaborazione con gli investigatori cercando di farle ritrattare quanto già dichiarato davanti all’autorità giudiziaria.
(da Fanpage)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
OVVERO COME IN EUROPA FARE LA VOCE GROSSA NON SERVE SE NON CONTI UNA MAZZA
Per raccontare la partita del Patto di stabilità, conviene cominciare dalla coda. Ieri pomeriggio, nel salone del Quirinale. I ministri del governo Meloni passeggiano, in attesa di Sergio Mattarella. Ci sono Matteo Piantedosi, Gilberto Pichetto Fratin, Daniela Santanchè, Guido Crosetto, Raffaele Fitto, Maria Elisabetta Casellati, Andrea Abodi. Si creano capannelli. Le voci si accavallano. «Chiederemo il rinvio del Patto a gennaio», assicura uno. «Sì – dice un altro – Giancarlo mi ha detto che non possiamo votarlo subito, faremo un po’ di scena, poi chiuderemo con un nuovo Ecofin straordinario».
Novanta minuti dopo, il colpo di scena: «Accordo fatto, c’è l’ok di Roma alla riforma». Cosa è successo? Di tutto. Ma soprattutto, è accaduto che Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, nell’ultimo di mille contatti, prendono atto che l’Italia è rimasta sola, immobilizzata nella morsa franco-tedesca: «Se mettiamo il veto – è il senso del ragionamento su cui concordano – rischiamo il ritorno alle vecchie regole. E i mercati potrebbero colpirci».
Fin dalla notte di martedì, d’altra parte, realismo e rabbia si fondono in un inestricabile groviglio di sensazioni che la premier deve governare. Ha di fronte un bivio, ineluttabile: rompere, denunciando la mortificazione subita dall’annuncio unilaterale dei ministri di Parigi e Berlino sul Patto, oppure accettare il compromesso e pagare un prezzo in termini di reputazione. Per prendere tempo, lanciano la palla un po’ più avanti: «Trattiamo ancora fino all’Ecofin, l’accordo non è chiuso». In realtà, i margini per migliorare quel testo sono residuali. E c’è soprattutto da costruire una ritirata.
Mentre Palazzo Chigi studia la strategia – e mentre Meloni sente Emmanuel Macron, ma anche Matteo Salvini – la maggioranza sbanda. In Parlamento, dove la linea della premier si confonde nei duelli tra alleati. Succede al mattino: FdI e Forza Italia sono pronti a far votare in commissione Bilancio il parere sul Mes. È l’ultimo passo prima del passaggio in Aula. Il via libera arriverebbe dalle opposizioni, la maggioranza si asterrebbe. Eppure, qualcosa si incaglia: la Lega fa sapere che si opporrà. In fretta e furia, si decide per un rinvio.
Passa qualche ora. In videocollegamento, Giorgetti offre il via libera italiano al Patto. I ministri non se lo aspettano. A dire la verità, sono anche convinti che il Mes sarà votato soltanto a febbraio, dopo il Consiglio europeo straordinario sul bilancio comunitario. E invece, il titolare del Tesoro – rinnegando lo scetticismo con cui soltanto quattro giorni prima aveva sostenuto che non è consigliabile varare una riforma epocale in streaming – accetta la proposta franco-tedesca. È la svolta.
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
IL PARTITO SOVRANISTA, ORA ALL’OPPOSIZIONE INVOCA UN’INFORMAZIONE LIBERA E ANTI-GOVERNATIVA. CIOÈ QUELLA CHE HA IMPEDITO NEGLI ULTIMI OTTO ANNI… INFAMI CHE HANNO VOMITATO ODIO E FALSITA’ PER ANNI, RINGRAZINO DI ESSERE ANCORA A PIEDE LIBERO
Il canale tv che interrompe le trasmissioni e il fruscìo dello schermo grigio sono associati da sempre al colpo di Stato, al rovesciamento violento del potere. Ed è esattamente quello che devono aver pensato i vertici di Diritto e Giustizia (Pis), quando hanno deciso ieri di oscurare il canale all news statale Tvp per protestare in modo spettacolare contro la decisione del nuovo governo guidato dal filoeuropeista Donald Tusk di azzerare i vertici dell’informazione pubblica.
Per un po’ non si è visto nulla, poi è partito un vecchio telefilm su un prete che fa il detective. Una scelta molto simbolica per un partito che fino alle elezioni di ottobre dello scorso anno ha oppresso la Polonia con il suo cattolicesimo oltranzista e i suoi governi oscurantisti e che vuole dare adesso l’idea di essere vittima della «fine della democrazia» come ha twittato l’ex premier Mateusz Morawiecki. Del resto, il vittimismo è la cifra tipica di tutti i fascismi, come insegna il filosofo di Yale Jason Stanley. Insieme al rovesciamento della realtà.
La verità è che Donald Tusk sta cercando di ripulire la tv e la radio e i media pubblici dall’assalto del Pis avvenuto otto anni fa. Il ministro dei Beni culturali, Bartlomiej Sienkiewicz, ha cacciato ieri mattina i vertici di Tvp , della Radio polacca e dell’agenzia di stampa Pap.
«Stiamo esercitando il diritto di proprietà concesso dal Tesoro che detiene il 100%» delle aziende pubbliche di informazione, ha fatto sapere il suo ministero. Da quel momento, ai vecchi dirigenti è stato impedito anche di mettere piede nei loro uffici. E il parlamentare della sinistra, Robert Biedron, ha twittato «buongiorno, informazione libera!».
Ma i parlamentari del Pis hanno organizzato una protesta al quartier generale di Tvp cui ha partecipato anche il padre-padrone del partito, Jaroslaw Kaczynski. «Questa è la difesa della democrazia. In ogni democrazia ci deve essere un’informazione fortemente anti-governativa», ha tuonato. Ma è esattamente ciò che ha sistematicamente impedito, in questi ultimi otto anni. E la sua vera natura è venuta fuori quando un manifestante anti-Pis lo ha contestato: «Stai attento o finirai in prigione, piccolo pezzo di merda», gli ha sibilato.
Dal 2015, sotto il controllo ferreo di un direttore fedelissimo a Kaczynski, Jacek Kurski, e dopo una purga che aveva eliminato tutti i dirigenti e i giornalisti non allineati, i media pubblici erano diventati il megafono del Pis
Un leggendario servizio di qualche anno fa raccontava di coppie di omosessuali che si compravano bambini a un mercato di Bruxelles. La Polonia dall’inizio dell’era del Pis era precipitata di decine di posizioni, nei ranking internazionali sulla libertà di stampa, e Reporter senza frontiere aveva denunciato «la trasformazione dell’informazione pubblica in propaganda di Stato».
(da agenzie)
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