Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
L’ITALIA PERDE POPOLAZIONE E INVECCHIA NONOSTANTE IL CONTRIBUTO DEGLI STRANIERI… SEMPRE PIÙ SBILANCIATO IL RAPPORTO GENERAZIONALE: PER OGNI BAMBINO CON MENO DI 6 ANNI, CI SONO PIÙ DI 5 ANZIANI
La popolazione italiana al 31 dicembre 2022 è scesa sotto i 59 milioni, esattamente a 58.997.201 residenti.
Lo accerta l’Istat con il censimento 2022 spiegando che l’Italia “perde popolazione e invecchia nonostante il contributo degli stranieri”.
Il 51, 2% sono femmine e il 48,8% maschi.
Sempre più sbilanciato il rapporto generazionale: per ogni bambino con meno di 6 anni,ci sono più di 5 anziani, precisamente 5,6%.
Per l’indice di vecchiaia se nel 1971 si contavano 46 over 65 ogni 100 giovani under 15,oggi se ne contano 193 .
Nuovo record negativo per la natalità: 393mila nel 2022, quasi 7mila in meno rispetto al 2021 (-1,7%).
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
IL PIANO DI MACRON E SCHOLZ PER NEUTRALIZZARE IL POTERE DEI SOVRANISTI: MODIFICARE I TRATTATI E PERMETTERE LE DECISIONI A MAGGIORANZA. E I “NO” DELLA DUCETTA FINIRANNO NEL CESTINO… SE INVECE MELONI DECIDERA’ DI VOTARE LA “MAGGIORANZA URSULA”, DOVRA’ USCIRE DAL GRUPPO DEI CONSERVATORI
“Allargamento e approfondimento dei meccanismi di integrazione economica e politica sono due aspetti strettamente connessi. Perché l’Unione Europea possa svolgere un ruolo rilevante a livello interno ed internazionale, essi debbono procedere di pari passo.
Una esigenza, questa, che dovrebbe indurci ad un sempre maggiore ricorso al voto a maggioranza”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando alla Conferenza degli ambasciatori in corso alla Farnesina.
Disarmare giuridicamente i sovranisti. E in particolare l’ungherese Viktor Orbán. Che ormai rappresenta una mina costantemente pronta a esplodere nel cuore dell’Ue e nel percorso di integrazione europea.
Il patto tra il francese Macron e il tedesco Scholz è questo. Siglato nei giorni precedenti l’ultimo Consiglio europeo. Nella previsione che l’Ungheria avrebbe fatto fuoco e fiamme – come poi è avvenuto – contro l’Ucraina e contro l’allargamento dell’Unione, i due hanno concordato che a questo punto la riforma dei Trattati europei, in particolare sulla regola del voto all’unanimità, va realizzata. Entro tre anni.
Trasformando la prossima in una sorta di “legislatura costituente”. La Governance europea va resa più agile ed efficiente. Ne va del futuro dell’Ue. Soprattutto nel caso di un ampliamento del numero degli aderenti. È infatti difficile concordare le scelte con 27 membri, figuriamoci con 30 o 35.
Ma il punto è che Francia e Germania, le “locomotive politiche” dell’Unione, hanno stretto un patto per impedire il ripetersi delle situazioni di stallo vissute l’altro ieri al Consiglio europeo. E stanno fondando la loro azione su un voto già espresso dal Parlamento europeo.
Il 22 novembre scorso, infatti, nel corso della sessione plenaria a Strasburgo è stata approvata una risoluzione in cui si richiede la modifica dei Trattati. Con l’introduzione del voto a maggioranza qualificata su quasi tutte le materie, assegnando all’Eurocamera un pieno diritto di iniziativa legislativa e rivedendo anche la composizione della Commissione, che non potrà più essere formata da un commissario per ogni Paese membro.
Avviare questo percorso, però, non è semplice. Tutto si basa su un articolo del Trattato sull’Unione europea: il numero 48. Il voto in Parlamento consente di sottoporre le proposte al Consiglio europeo. Già oggi in occasione del Consiglio dei ministri Ue dell’Ambiente ci potrebbe essere il primo incardinamento procedurale. Al momento all’ordine del giorno di questa riunione figura proprio «Il futuro dell’Europa: proposta del Parlamento europeo a norma dell’art. 48, par. 2, TUE».
Questo passaggio consentirebbe se ratificato – di avviare la procedura con «Presentazione al Consiglio europeo e notifica ai Parlamenti nazionali ». A quel punto toccherebbe al vertice di capi di stato di governo presumibilmente a marzo – decidere di esaminare le proposte e in caso convocare una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento e della Commissione. Successivamente spetterebbe a una Conferenza intergovernativa l’approvazione finale. Tempi lunghi, appunto.
Il patto Macron-Scholz prevede che il primo step sia fissato al summit di marzo. Nei giorni scorsi sembrava potesse essere calendarizzato già alla riunione di tre giorni fa, ma vista la complessità delle scelte già in programma si è preferito suggerire alla presidenza del consiglio europeo di rimandare l’appuntamento al prossimo vertice. Il calendario comunque prevede che tutto si chiuda entro il 2028. Prima dei nuovi ingressi dell’Unione e prima delle successive elezioni europee.
L’obiettivo resta quello di evitare che Orbán o un altro come lui paralizzi l’Unione. Magari in combutta con Vladimir Putin. Quindi, via l’unanimità da tutte le materie – a partire da Esteri, Difesa e Fisco – , tranne che sull’allargamento dell’Unione.
Per una “rivoluzione” di questo tipo servono impegno e determinazione. E probabilmente anche leadership. Per i prossimi anni l’autorevolezza delle Istituzioni europee sarà fondamentale. Così come quella di chi le guiderà. Forse anche per questo è iniziato a circolare il nome di Mario Draghi.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“MI SONO ESPOSTO PER LEI MA NESSUNO MI HA INTERPELLATO”
“Io mi sono esposto mediaticamente ma non sono mai stato interpellato, una grande presa in giro”. È lo sfogo di Morgan nella chat aperta con i giornalisti dopo il caso dell’esclusione decisa dai produttori di X Factor. Il cantautore si lamenta del silenzio di Giorgia Meloni dopo che, scrive, “mi sono esposto ovunque”. E aggiunge che dopo le elezioni “andate a suo favore, è diventata capo del governo. Io sono stato di parola, purtroppo lei no”.
All’indomani dell’ultima giornata di Atreju 2023, Morgan decide di parlare del suo rapporto al governo e in particolare a Giorgia Meloni, annunciando di voler togliere il suo “appoggio mediatico”, come lui stesso lo definisce, alla premier. In un lungo post nella sua chat “conferenza stampa”, l’artista ha spiegato le motivazioni di questa scelta.
“Due estati fa durante la campagna elettorale per le primarie ho chiesto all’allora leader dell’opposizione Giorgia Meloni se fosse interessata a rilanciare la cultura in questo Paese, se avesse voglia di investire in progetti culturali per risollevare dalla stasi culturale e artistica l’Italia, per nobilitare il mondo dell’economia e opporsi all’analfabetismo funzionale come metodologia dell’industria e della deriva scellerata del pensiero unico”, scrive Morgan, “visto che la sinistra allora al governo andava proprio nella direzione di aderire alla ‘cancel culture’ che avrebbe abbassato di molto il livello culturale di questa nazione, involgarendola, incattivendola, chiudendo le porte alla diversità di pensiero e alle alternative, come di fatto avviene”.
La Meloni, secondo quanto riferisce Morgan, “si è detta d’accordo con la mia visione e ha detto che aveva l’intenzione di fare una politica della cultura. Io le ho detto che se lei fosse stata interessata ad investire nella cultura io l’avrei appoggiata mediaticamente. Così ho fatto. Mi sono esposto ovunque, ragionando, comunicando, esprimendo pensieri e idee in suo supporto per mesi. Sono stato di parola e l’ho fatto perché credo nell’arte e nella bellezza non perché sono un uomo di destra, non lo sono mai stato perché sono un libertario che crede negli esseri umani e nel rispetto della persona umana. Ho rinunciato a molti rapporti di lavoro, ho dovuto giocarmi quasi tutto quello che avevo costruito con gli ambienti di sinistra che si sono sentiti traditi. Ma io ho spiegato che lo facevo perché tutti ne avrebbero beneficiato, soprattutto le menti nuove, pulite, le persone energiche e creative, i giovani artisti, gli uomini e le donne libere, la gente in gamba, quella intelligente”.
Quindi la chiusura e la lamentela per il silenzio ricevuto da Meloni e dai rappresentanti del suo Governo: “Non mi è stata data la possibilità di proporre progetti, altro che incarichi, nemmeno la parola. Non ho avuto nessuna facoltà di azione né sono stato interpellato mai. Il ministero della Cultura ha deciso di proseguire nel solito torpore senza nemmeno un solo investimento in direzione diversa dal classico cristallizzato sistema di soldi sperperati random agli amici di vecchia data. Nulla di fatto, solo una grande presa in giro, nessun progetto, nessun cambiamento. In Rai peggio che peggio”. Per questo l’artista annuncia la decisione di “togliere il mio appoggio mediatico, per quanto possa contare l’opinione di uno che non ha nulla da perdere perché non ha avuto nulla. Quindi l’opinione di uomo libero”, conclude Morgan.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
TRUMP CHE PARLA DI “MIGRANTI CHE AVVELENANO IL SANGUE DEL NOSTRO PAESE” FARA’ SCUOLA ANCHE IN EUROPA
Blut und Boden, Sangue e Suolo: torna la magnifica ossessione trumpiana, e stavolta non solo indica una direzione ai conservatori d’Occidente ma segnala che non bisogna più avere paura delle parole.
Se fino a ieri l’immigrazione era nemica per motivi pratici, perché rubava il lavoro, trascinava in basso i salari, alimentava la criminalità, inquinava le tradizioni, adesso si può andare dritti al punto: «avvelena il sangue del nostro Paese». Trump lo ha ripetuto di durante un appuntamento di campagna elettorale nel New Hampshire. Lo aveva già detto in un’intervista, suscitando le reazioni dell’Anti-defamation League, organizzazione internazionale ebraica contro il razzismo che aveva segnalato l’evidente assonanza con le elaborazioni del nazismo. La protesta deve averlo elettrizzato e quindi ha riproposto la frase, stavolta davanti a un grande pubblico, per vederne l’effetto: applauditissimo.
Se qui in Europa la sola idea che esista un “sangue statunitense” fa un po’ ridere, visto che non c’è italiano, irlandese, polacco, francese, greco o ungherese che non abbia un parente americano a pieno titolo, negli Usa l’idea degli immigrati come un virus, una peste, un nuovo Aids che contamina il corpo della nazione, sembra funzionare, almeno nell’opinione pubblica di destra.
E bisognerà prendere sul serio le frasi di Trump perché non sono solo uno slogan. Segnalano un salto di qualità importante nell’argomento che unifica i sovranismi e che ne ha determinato il successo ovunque: la battaglia contro l’immigrazione clandestina e la generica diffidenza verso gli immigrati, visti come cittadini di qualità inferiore rispetto a quelli consacrati, appunto, dall’elemento del sangue.
La lotta alla contaminazione migratoria è stata nell’ultimo decennio il vero fattore unificante delle destre mondiali e il tema di maggior consenso che hanno saputo produrre.
Conservatori britannici, sovranisti polacchi e ungheresi, destre italiane, francesi, tedesche, svedesi, finlandesi, spagnole, hanno ricette economiche disparate e spesso confliggenti, riferimenti internazionali e schemi di alleanze assai diverse, posizioni variegate sui diritti, la giustizia, il welfare, la religione, ma su una cosa sola si ritrovano: l’idea che l’anima delle nazioni sia nella continuità della discendenza dei nativi doc, e che questa continuità sia a rischio quotidiano a causa dell’immigrazione.
Peraltro, almeno qui in Europa, le classi dirigenti hanno ancora freni inibitori nel linguaggio. Il premier inglese Rishi Sunak, l’albanese Edi Rama e Giorgia Meloni, che due giorni fa hanno firmato il loro patto contro l’immigrazione clandestina, lo hanno presentato come una questione di legalità e lotta alla tratta di esseri umani.
Hanno evocato il “radicalismo della Thatcher”. Hanno immaginato centri di identificazione e rimpatrio fuori dai confini dell’Unione. Ma si si sono fermati ben prima di pronunciare termini che la cultura democratica ritiene inaccettabili e urticanti. “Deportazione”. “Campi di detenzione”. “Trasferimenti forzati di massa”.
Sono le parole novecentesche legate ai lager, alla shoah, agli esodi forzati dello stalinismo, che nessuno finora aveva osato riproporre nel discorso pubblico. Trump no, non ha avuto paura di urlarle al microfono: nel suo comizio ha usato con disinvoltura tutte e tre le espressioni associandole alla difesa del “sangue americano”. Ed è immaginabile che quel ragionamento, visto il successo che ha avuto, sarà elemento centrale di ogni evento della sua corsa per le primarie.
Possiamo solo sperare che non faccia scuola anche da noi.
In teoria l’Europa comunque collocata, di sinistra, di destra, di centro, sovranista o progressista, dovrebbe essere vaccinata contro l’ideologia del sangue e la sua farsesca replica in bocca a un miliardario americano: a differenza degli Stati Uniti l’ha vista all’opera e ne ha pagato le conseguenze.
Ma la coincidenza tra la campagna elettorale Usa e le elezioni europee nel Vecchio Continente autorizza qualche preoccupazione: una barriera si è rotta, l’indicibile può essere detto, forse diventare normale.
(da La Stampa)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
UNA FRASE CHE RICHIAMA ALLA MEMORIA IL CELEBRE “DISCORSO DEL BIVACCO” CHE MUSSOLINI PRONUNCIÒ IL 16 NOVEMBRE 1922
Durante il suo intervento sul palco della convention di Fratelli d’Italia appena conclusasi a Castel Sant’Angelo, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato fra le altre cose che “Atreju è un appuntamento unico nel suo genere.
È per eccellenza il luogo nel quale le idee sono protagoniste, in cui le idee si incontrano, si scontrano e possono anche mescolarsi. Il tutto grazie a un’alchimia che però è possibile soltanto a chi è puro di cuore e veloce di testa”.
L’ultima frase richiama curiosamente alla memoria – come una madeleine proustiana – un altro discorso, pronunciato alla Camera dei Deputati il 16 novembre 1922, il primo pronunciato in veste di Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia da… Benito Mussolini.
Il cosiddetto “discorso del bivacco”, quello in cui il Duce solennemente intimava: “Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli… potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. E così via.
Il “discorso del bivacco” si concludeva con questa frase: “Lavoriamo piuttosto con cuore puro e con mente alacre per assicurare la prosperità e la grandezza della Patria”. Parole non molto dissimili a quelle usate da Giorgia Meloni.
Una suggestiva coincidenza dettata dalla solennità del momento? Chissà.
(da Dagospia)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
“UN MIO COLLEGA ALBANESE HA DOVUTO VIVERE UN ANNO IN ALBERGO PERCHE’ VENIVA RIFIUTATO. ANCHE LE PERSONE DEL SUD HANNO DIFFICOLTÀ A TROVARE CASA”… IL RIMEDIO ESISTE NELLA COSTITUZIONE: VIETATE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI, QUINDI IN GALERA E VEDRETE CHE AI RAZZISTI PASSA LA VOGLIA DI ROMPERE IL CAZZO
Condizioni per trovar casa a Reggio Emilia: appartenenza al gruppo etnico caucasico, pulizia dell’appartamento e pagamenti regolari. Nero su bianco, ma in termini più crudi, è quanto si è vista rispondere per iscritto una ragazza di 24 anni nata in Italia e di origini marocchine, quando ha chiesto informazioni per un alloggio nel capoluogo emiliano: «Non affitto il mio appartamento agli africani», ha scritto letteralmente la proprietaria nella mail.
A farne le spese è Mouna Bour, di Guiglia, nel primo Appennino modenese: vorrebbe tanto avvicinarsi al luogo di lavoro, uno studio di architettura e allestimenti a Cadelbosco, nel Reggiano, a cento chilometri dal suo paese. Ha un lavoro stabile, è nata in Italia, ha tutte le carte in regola, eppure sono tre mesi che cerca casa in affitto senza risultati.
A sentire il suo racconto vicende del genere sono per niente isolate: «Anche le persone del sud hanno difficoltà a trovare casa. Un mio collega albanese poi ha vissuto per un anno in albergo perché nessuno a Reggio Emilia ha voluto affittargli casa, mentre una mia amica di Milano si è sentita dire più volte dai proprietari che non affittavano a stranieri». Tanto più difficile da mandare giù quando, oltre tutto, si è cittadini italiani figli di cittadini italiani, dal momento che anche i genitori, arrivati in Italia all’età di vent’anni, hanno la cittadinanza del nostro Paese: «Per me tutto questo è sconvolgente», commenta con amarezza.
Una storia che ci riporta indietro di sessant’anni, alla grande immigrazione dal sud al nord Italia, quando a Torino appendevano i cartelli «Non si affitta ai meridionali».
Che succeda di nuovo, nel 2023 e a Reggio Emilia, dove un abitante su cinque è di origine straniera e la mescolanza dovrebbe essere un fatto acquisito, dimostra quanto siano diffuse le sacche di resistenza allo straniero di pelle nera.
A Mouna, pur abituata per sua stessa ammissione «a farsi scivolare addosso» certi commenti, la condizione di non essere africana per poter entrare in un’abitazione ha fatto l’effetto che si può immaginare: «Sono nata e cresciuta a Modena – ha detto alla Gazzetta di Reggio -, ma in momenti come questi mi chiedo a che cosa appartengo. Vorrei sentirmi a casa perché questa è casa mia, e non abituarmi a sentirmi discriminata. Faccio parte di una seconda generazione (di immigrati, ndr), ma ci saranno terze, quarte e quinte generazioni, questa è la realtà».
A questo punto viene anche il dubbio che i mesi di ricerca infruttuosa non siano conseguenza del caso, ma di una diffidenza frequente verso lo straniero: «Sto guardando ovunque, a Reggio ma anche in provincia: Cadelbosco, Sesso, Rubiera, Massenzatico, Bagno, Bagnolo in Piano…». Finora tutto inutile, l’appartamento resta un sogno e la ragazza continua a farsi ogni giorno duecento chilometri andata e ritorno per raggiungere l’ufficio.
Neanche la circostanza che il suo impiego sia a tempo indeterminato è sembrato una garanzia sufficiente, c’è questa faccenda dell’essere africana a tagliarla fuori, in una riedizione casereccia delle corsie preferenziali riservate a chi ha la pelle bianca.
Più Alabama Anni 60 che Emilia 2023, il che risulta particolarmente indigesto a chi, come la ragazza italiana ma africana, non si rassegna neanche agli stereotipi più diffusi: «Generalizzazioni come quella che i marocchini spacciano mi danno molto fastidio – dice Mouna -, perché certo ci può essere il marocchino spacciatore, ma così come c’è l’italiano spacciatore. O il marocchino sporco come l’italiano sporco, tornando in tema di casa da tener pulita. La nazionalità non racconta una persona».
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
LA MAPPA DELL’EDITORIA ITALIANA
Nel giornalismo italiano le proprietà che si occupano solo di editoria e non hanno altri interessi sono poche. Intervistiamo Pier Luca Santoro, fondatore di Datamediahub, con cui ha realizzato un’indagine sul tema: “Abbiamo individuato dieci gruppi editoriali impuri, dal Corsera ai giornali locali”
“Io un giornalista? No, in realtà io sono un giornalaio”, dice con un sorriso ironico Pier Luca Santoro. Lui i quotidiani cartacei li conosce bene. Non soltanto perché li ha studiati, analizzati, tanto da diventarne un consulente, ma perché a un certo punto della sua vita, nel 2011, dopo varie esperienze ha deciso di venderli, i giornali, acquisendo una tabaccheria-edicola e dando vita a un blog che si chiama appunto il Giornalaio.
“Un blog che si è subito conquistato grande visibilità nel mondo del giornalismo, tanto che a un certo punto mi invitarono a un festival di giornalisti. È da queste esperienze che abbiamo costruito la mappa sui quotidiani cartacei. L’idea è nata da un insegnante di semiotica. Così ho deciso di guardare più da vicino i quotidiani e i loro editori, ho dovuto scavare tra gli assetti proprietari e ho scoperto che di editori puri ce ne sono ben pochi, in Italia.”
Già, è vero, sono davvero pochi. Se non mi sbaglio gli unici due quotidiani senza padroni sono il Fatto Quotidiano e il manifesto, dove tra l’altro ho lavorato per trent’anni. Per il resto le casematte del capitalismo italiano e straniero controllano ogni centimetro dei quotidiani italiani.
È proprio questa la geografia che ne esce. La mappa che abbiamo costruito con pazienza è relativa ai principali quotidiani cartacei, con corrispondente versione online, aggiornata ai più recenti movimenti di mercato, e si riferisce ai cosiddetti editori impuri, ovvero a coloro che hanno i loro principali interessi in attività terze che non riguardano l’editoria di giornali. Abbiamo identificato dieci gruppi editoriali di quotidiani che sono classificabili come impuri, tracciando il profilo per ciascuno di essi.
Vedo che tra questi compare in prima fila il gruppo GEDI (FIAT), che controlla tra gli altri la Repubblica. E dire che alla fine degli anni Ottanta, quando Eugenio Scalfari e Lucio Caracciolo decisero di liberarsi della testata che avevano fondato, erano un esempio di quotidiano “puro”. Poi non riuscendo a ottenere un’autonomia finanziaria con la loro impresa, malgrado il successo editoriale, cedettero la proprietà al gruppo De Benedetti. Fu uno dei primi casi di impurità.
Oggi invece il Gruppo GEDI è probabilmente il principale di questi quotidiani in mano ai potentati economici. Controllato da Exor, che a sua volta detiene imprese di rilevanza internazionale quali Ferrari, Stellantis, CNH Industrial, Philips, Iveco Group, The Economist, SHANG XIA e Casavo, solo per citare alcune delle più note – e ha partnership con un elenco ancora più lungo di altre aziende. Non è da meno Cairo Communication, che a sua volta controlla RCS Mediagroup, gruppo editoriale italo-spagnolo che nella compagine societaria, oltre a Cairo, vede Mediobanca, al cui interno figura tra gli altri il Gruppo Caltagirone, a sua volta editore di quotidiani, Della Valle, azionista di maggioranza di Hogan e Tod’s e dell’azienda italiana di trasporti Nuovo Trasporto Viaggiatori (nota ai più come Italo Treni, N.d.R.), Unipol, e anche China National Chemical Corporation, impresa pubblica cinese che opera nel settore dell’industria chimica, e che è classificata da Fortune Global 500 come la 167ª multinazionale nel mondo.
Il Corriere della Sera meriterebbe una storia a sé, essendo un pezzo di storia d’Italia. Fino agli anni Settanta, quando il quotidiano di via Solferino era di proprietà della signora Crespi, era classificabile come giornale indipendente dai potenti dell’economia. Poi negli anni Ottanta ci fu il baratro della P2, che prese il controllo del quotidiano, e poi ancora l’amministrazione controllata. Erano gli anni della massima impurità condita con la massima illegalità. A metà degli anni Ottanta il potente Enrico Cuccia decise che piuttosto che finire in mani incerte (allora si parlava di una cordata voluta da Craxi), il Corsera se lo dovevano comprare FIAT, Mediobanca e in parte Banca Intesa. Insomma, via Solferino diventò uno dei salotti buoni della finanza e dell’industria governata da Mediobanca.
Ma tra questi primati di “impurità” leggo che non manca neanche il Sole 24 Ore.
Direi che l’arcipelago di Confindustria è variegato: è a lei che si è soliti ricondurre il Gruppo Sole 24 Ore, ma l’oggetto degli interessi dell’associazione non è solo l’editore del principale quotidiano economico-finanziario del nostro Paese. A questo si aggiunge infatti il Gruppo Athesis, proprietario dell’Arena, il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi, che ha come principali azionisti le Confindustrie di Verona e di Vicenza. E poi la Gazzetta di Parma, che tra i propri azionisti vede l’Unione Parmense degli Industriali, associazione aderente al sistema Confindustria della provincia di Parma. E la neonata Nord Est Multimedia, di cui detiene una quota, tra gli altri, anche Confindustria Udine.
Mi pare che la giungla che avete esplorato, oltre che essere di grande interesse e originalità, sia appena agli inizi. Leggendo il vostro rapporto si incontrano anche realtà locali assai impure, in genere poco monitorate.
Certo, anche dietro al gruppo SAE, che come Nord Est Multimedia sorge sulle ceneri di alcuni dei quotidiani locali del Gruppo GEDI, vi sono realtà quali Sviluppo Toscana, società per azioni operante sotto il controllo diretto della Regione Toscana; Nextaly, importante realtà nelle TLC; e Portobello S.p.A., società che a sua volta fa parte del Gruppo Portobello, che detiene la proprietà e la gestione di una catena di negozi a marchio proprio, un portale di intrattenimento e il marketplace ePRICE. E ancora, Caltagirone Editore, controllato dal Gruppo Caltagirone, che oltre alla precitata partecipazione in Mediobanca ha quote non trascurabili di imprese nel settore immobiliare, a cominciare da Cementir, i cui interessi pare influenzino direttamente nomine e ruoli a Il Messaggero, e pure nei settori bancario e assicurativo. Altra realtà tutt’altro che trascurabile è il Gruppo Athesia (diverso dal sopra citato Athesis, N.d.R.). Tale gruppo, oltre ad avere pressoché il monopolio dell’informazione in Trentino-Alto Adige e a controllare, tra gli altri, Dolomiten (quotidiano in lingua tedesca che riceve più contributi diretti di ogni altro quotidiano, e che da quattro anni a questa parte percepisce circa il quadruplo di quanto riceveva prima), è attivo in moltissimi settori, tra i più diversi, dell’economia italiana.
Da un po’ di anni la destra politica ha capito che mettere le mani sui giornali – e in particolare su quotidiani, anche locali – è fondamentale per garantirsi il consenso. Silvio Berlusconi docet. Noto inoltre che in alcuni casi regna l’opacità degli assetti proprietari.
È così. In questa intricata mappa si sta allargando il polo della destra gestito dagli Angelucci, famiglia che controlla Il Tempo, Il Giornale e Libero, altro quotidiano sovvenzionato dallo Stato in modo generoso e indebito. La stessa famiglia, come abbiamo segnalato di recente, controlla in modo indiretto anche la Verità. La Famiglia Angelucci opera attraverso la propria finanziaria, Tosinvest (che prende il nome dalle prime due lettere dei nomi del fondatore Antonio, detto Tonino, e della prima moglie Silvana Paolin), a sua volta controllata da una società con sede in Lussemburgo, la Tree sa, che oltre che nei media è attiva anche nell’immobiliare e nel facility management. Peraltro gli Angelucci, stando alle più recenti indiscrezioni, ambirebbero a metter le mani anche su Radio Capital (attualmente di GEDI) e addirittura su Rete 4. Infine, ultimo ma non ultimo, Il Gruppo Monrif, che oltre a possedere tre importanti quotidiani regionali è attivo in altri settori con Monrif Hotels, in espansione, e Compagnia Agricola Finanziaria Immobiliare. Il Gruppo è controllato dall’attuale presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, che pare voglia introdurre una riorganizzazione dell’Editoriale Nazionale, che edita le testate Il Resto del Carlino, Qn, Il Giorno, La Nazione. In palese violazione del contratto di lavoro firmato dalla stessa FIEG, di cui è, appunto, presidente.
Proviamo a fare una prima riflessione su questi dati. Stando alla sua esperienza di consulente, quanto potere hanno le proprietà dei giornali di incidere sui contenuti e quindi sulla libertà di stampa? Io ho lavorato al manifesto per anni, dove vincoli non ce n’erano, ma quando mi è capitato anni fa di lavorare alla RCS ricordo che FIAT, Mediobanca (editori di allora) e i loro amici erano intoccabili. Una volta provai a fare un pezzo critico sull’ENI e il direttore mi disse con chiarezza che non era possibile, essendo l’ENI uno dei principali inserzionisti pubblicitari.
Direi che il peso delle proprietà sui loro giornali è molto forte. Mi dicono che la stessa cosa avviene al Corsera: gli amici di Urbano Cairo non si toccano.
Si è mai chiesto perché i quotidiani italiani a un certo punto della loro storia hanno dovuto cedere a imprenditori, finanzieri e banchieri le quote di maggioranza? La storia del quotidiano la Repubblica e del Corsera è emblematica a questo proposito. Non pensa che questo sia un fallimento della cosiddetta editoria indipendente?
È di certo il fallimento di un progetto. Ma io penso che accanto a ragioni di carattere culturale ci siano ragioni molto concrete che lo spiegano, questo fallimento. Mi riferisco alla filiera distributiva, che se non hai numeri alti di vendita ti ammazza. Tenga conto di questi dati: all’inizio del Duemila c’erano 40.000 punti vendita; ora sono per l’esattezza 22.500. Con questa struttura distributiva i giornali che hanno una vendita, ad esempio, di 20.000 copie, dovrebbero stamparne almeno 40.000 per coprire al minimo tutti i punti vendita, con costi altissimi per una piccola impresa. L’altra questione riguarda la pubblicità, che come è noto ha un peso formidabile sui bilanci delle imprese editoriali. Bene, se si sfoglia il manifesto o il Fatto Quotidiano ci si rende conto di quanta poca pubblicità c’è su quei giornali.
Un’ultima questione, il passaggio all’online. La vulgata sostiene che una delle ragioni della crisi della carta stampata va ricercata nell’espandersi a dismisura di internet e nella sua gratuità. Lei che cosa ne pensa?
Credo che questa tesi non sia vera. Non è internet che ha ammazzato i giornali. Si sono ammazzati da soli. I dati Audipress ci dicono che i quotidiani venivano letti gratis anche prima. La verità è che i giornali in Italia si sono suicidati perché hanno perso la fiducia dei lettori. Guardi i quotidiani online: hanno utilizzato la rete, ma non abitano lì.
Bruno Perini
(da SenzaFiltro)
(da informazionesenzafiltro.it)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
UN PROBLEMA AGGRAVATO DALLA DIFFUSIONE DELLA COMUNICAZIONE DIGITALE… PER GLI SCIENZIATI, BUONA PARTE DELLA VIOLENZA VERBALE PUBBLICA E PRIVATA DERIVA DALL’INCAPACITÀ DI ESPRIMERE I PROPRI SENTIMENTI E LE PROPRIE RAGIONI IN UNA FORMA COMPLESSA
Torna ciclicamente d’attualità una nota ricerca di Christophe Clavé, docente di Strategia e Management all’Institut des Hautes Etudes Economiques et Commerciales di Bordeaux, secondo cui dal 1975 a oggi il Quoziente intellettivo medio della popolazione vivrebbe una lenta e continua flessione nei Paesi sviluppati. Tra le tante cause, la più significativa sarebbe l’impoverimento del linguaggio.
Secondo quella ricerca, buona parte della violenza anche verbale pubblica e privata deriva dall’incapacità di esprimere i propri sentimenti e le proprie ragioni in una forma complessa con tanto di virgole, punti e virgola, varianti di lessico, sfumature di significati, coniugazioni verbali adeguate e architetture sintattiche non banali.
Se così fosse, la miseria del linguaggio e la povertà del vocabolario non sarebbero le conseguenze di una lacuna cognitiva o culturale ma la causa di un inaridimento del pensiero. È una faccenda su cui scienziati e linguisti di varia tendenza dibattono da molto tempo e che diversi scrittori distopici (Orwell in primis) hanno messo efficacemente in gioco. Ma è innegabile che la semplificazione all’osso del linguaggio, tipica della civiltà dei social, va di pari passo con la riduzione della capacità critica del cittadino.
Banalità teoriche che però comporterebbero riflessioni serie sull’importanza dell’educazione linguistica per la salute democratica. Ma di tutto si parla oggi tranne che di scuola e di istruzione. Forse perché anche il QI dei politici è irrimediabilmente in calo. Le catastrofi attuali, che non trovano mai soluzioni ragionevoli, ne sarebbero una prova drammatica.
(da agenzie)
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Dicembre 18th, 2023 Riccardo Fucile
GLI ELABORATI SONO CARENTI DI SINTASSI, COERENZA GRAMMATICALE E SCELTE LESSICALI… I GIOVANI, CHE SPIPPOLANO TUTTO IL GIORNO SU WHATSAPP, NON SONO ABITUATI A SEGUIRE LE REGOLE DELL’ITALIANO
Scrivono, costantemente. Messaggi brevi, spezzettati, arricchiti di emoticon. Frasi non per forza stringate ma immediate, ispirate dal momento, sollecitate dall’interlocutore. Con il risultato che nessuna generazione ha mai scritto tanto quanto i ventenni di oggi.
Tra chat e social è un profluvio di parole quotidiane. Quando però devono dare forma a un testo complesso, si arenano. Anche gli studenti universitari. Si perdono nel mare della punteggiatura, tentennano nella sintassi.
È il risultato di uno studio che ha coinvolto 2.137 studenti di 45 atenei italiani. A guidarlo Nicola Grandi, ordinario di glottologia e linguistica a Bologna, capofila del progetto condotto insieme agli atenei di Pisa, Macerata e all’università per stranieri di Perugia. «Nel febbraio 2017 — spiega Grandi — una lettera inviata da seicento professori al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento denunciava le carenze linguistiche degli studenti, messi sotto accusa per l’italiano scritto con errori “appena tollerabili in terza elementare” ».
Così Grandi e il suo gruppo di lavoro sono voluti andare a fondo con il progetto Univers- Ita, la prima ricerca sistematica condotta in Italia sulle capacità di scrittura di chi è iscritto a un corso di laurea. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole, un elaborato in cui si doveva mettere nero su bianco la propria esperienza durante il lockdown (era la primavera del 2021). Gli scritti sono stati poi corretti in base a numerosi parametri, tra cui lessico, sintassi e punteggiatura. Con il risultato che per ogni elaborato sono presenti in media 20 errori, di cui la metà di punteggiatura.
«L’abitudine alla scrittura in ambito informale — osserva Grandi — sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata” ».
Testi carenti di sintassi, coerenza, scelte lessicali. E l’uso di punti e virgole ne è la manifestazione più evidente: «D’altronde la punteggiatura non è, come spesso si insegna, solo un fatto grafico, ha un forte valore testuale, cioè scandisce l’organizzazione del testo. Ed è risultata molto deficitaria».
D’altronde scorrendo i risultati della ricerca solo il 17,5% del campione legge più di dieci libri in un anno, mentre il 52% si cimenta a malapena con cinque volumi in 12 mesi. Altro dato sorprendente è che gli studenti di area scientifica sono più bravi nella redazione di un elaborato rispetto agli umanisti.
(da La Repubblica)
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