Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
MA LA FAME ATAVICA DI POTERE DELLA DESTRA RISCHIA, ALLA LUNGA, DI CREARE GROSSI PROBLEMI ALLA PREMIER, CHE DOVREBBE STARE BEN ATTENTA A NON RIPETERE L’ESPERIENZA DI ALEMANNO A ROMA”
Una decina di anni fa, nel pieno della Parentopoli che stava squassando la giunta di Gianni Alemanno, un fedelissimo del sindaco ammise a labbra strette l’errore politico che gli ex fascisti stavano commettendo.
«Forse diamo l’idea di essere affamati», disse l’allora amministratore delegato dell’Atac giustificando le (854) assunzioni all’Atac di ex terroristi neri, parenti, mogli e amici degli amici.
Un’ingordigia che in pochi mesi portò all’occupazione sistematica di ogni centimetro quadrato dell’amministrazione della capitale, e che di rimbalzo provocò il declino rapido di quell’esperienza
Talmente nefasta che i cittadini di Roma non sono riusciti ancora a dimenticarla: da Ignazio Marino a Virginia Raggi e Roberto Gualtieri votano chiunque, ma non la destra.
La triste parabola di Alemanno dovrebbe servire come monito a Giorgia Meloni. Perché oggi l’abbuffata invereconda degli ex missini vincitori si sta replicando a livello nazionale, con un’arroganza e con stilemi assai simili a quelli dei predecessori romani. Anche l’origine pavloviana dell’avidità sembra la stessa: i Fratelli d’Italia che hanno conquistato Palazzo Chigi reagiscono con l’occupazione selvaggia all’esclusione coatta dai sistemi di potere
Entrati nelle stanze dei bottoni, Meloni e i suoi paiono ora volere mandare via tutti quelli che c’erano dentro. Meloni nega che le sue decisioni egemoniche nascano da desideri di vendetta o rivalsa, e discetta di normale spoils system basato su “merito” e “capacità individuali”.
Ma in questo primo anno di governo di normale o meritorio nella sottomissione scientifica della Rai, dei dicasteri, dei poteri terzi e delle authority indipendenti c’è stato ben poco.
Viale Mazzini è stata brutalizzata dalla lottizzazione. Perfino Rai 3 è stata azzannata dai meloniani. I vertici dell’azienda pubblica hanno concepito una programmazione che ha un unico compito: […] una propaganda costante che provi a mantenere alto il consenso del governo e della premier.
In questo quadro non sorprende che a un alto dirigente di Viale Mazzini scappi alla festa di FdI Atreju che lui non è solo un uomo azienda, ma parte integrante del partito di maggioranza relativa.
L’estrema destra ha piazzato i suoi fedelissimi in ogni angolo dei ministeri, nei musei più importanti del paese, alla Biennale, nelle società di stato, senza studiare la qualità del curriculum dei cooptati, ma solo il grado di fedeltà ai capi-partito.
Tema che presto si riproporrà per le nomine di due aziende fondamentali come Fs e Cdp, i cui vertici scadono tra pochi mesi.
La fame però porta spesso a scelte miopi, che alla lunga rischiano di minare proprio quel consenso popolare a cui Meloni tiene più di ogni cosa. Nominare sorella e cognato ai vertici del partito e dell’esecutivo è mossa aggressiva che porta inevitabilmente guai. Politici e giudiziari.
Il caso di Francesco Lollobrigida ne è un emblema, come quello dell’ex avvocato di Meloni, il sottosegretario Delmastro, o dell’amica Daniela Santanchè, promossa ministro nonostante inadeguatezza manifesta e conflitti di interessi macroscopici.
Un modus operandi che ha due conseguenze. Mettere in posizioni di comando chi non conosce il manuale d’istruzioni e manda a sbattere la macchina, e tenere ai margini il deep state non conformato ma abituato da sempre a cogestire potere insieme a chi di volta in volta vince le elezioni […]. Chi ha troppa fame tende a lasciare agli altri le briciole. Ma è una strategia politica che – escluse le democrature – alla lunga non paga.
(da EditorialeDomani)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
DI LEI SI ERANO PERSE LE TRACCE PER MESI, POI È RISPUNTATA IN ITALIA COME DIPLOMATICA (QUINDI GODE DI SPECIALI IMMUNITÀ). ANCHE SE IL SUO NOME NEL REGISTRO DEL CONSOLATO È CAMBIATO
Le finestre della grande villa in cui ha sede il consolato generale di Russia a Palermo si affacciano sul golfo di Mondello. È una zona appartata, frequentata solo nel periodo estivo, per il resto dell’anno i diplomatici russi che lavorano in questi uffici isolati sono protetti dal silenzio e dall’assenza di villeggianti.
Dal 18 agosto scorso in Sicilia, nel cuore del Mediterraneo, risulta inserita a Palermo in questa struttura diplomatica una giudice, Anastasia Vladimirovna Shapoval, che faceva parte del tribunale della città di Feodosia nella Repubblica di Crimea. Ha origini ucraine, ma negli ultimi anni è stata al servizio di Putin.
Il presidente Zelensky il 16 giugno scorso ha firmato un decreto con il quale applica sanzioni personali anche alla giudice Shapoval, nella sua qualità di «rappresentante della magistratura che ha preso decisioni parziali in casi politicamente motivati contro persone che si opponevano all’invasione militare dell’Ucraina, o decisioni che giustificavano le azioni militari e di altro tipo della Federazione Russa sul territorio dell’Ucraina»
Shapoval avrebbe infatti processato e condannato attivisti che inneggiavano, anche attraverso i social, alla ribellione contro Putin. «Una giudice che uccide ogni speranza di giustizia e non finge nemmeno di lottare per l’obiettività», si legge nei commenti degli utenti nei siti ucraini che riportano informazioni su di lei. «Durante l’udienza sorride e si permette di esprimere direttamente sostegno all’uno e ostilità all’altro».
I siti internazionali che riportano la sanzione di Zelensky indicano Shapoval come «traditore della Patria. Complice degli occupanti russi. Complice dei crimini delle autorità russe contro l’Ucraina e i suoi cittadini. Complice del reato di aver inventato casi contro persone palesemente innocenti».
Shapoval fa parte del gruppo di giudici utilizzati da Putin in Crimea contro gli oppositori, fra i quali studenti, giornalisti, attivisti, storici, artisti. E anche ragazzi, bollati come “estremisti” e “terroristi”, magari solo per una frase di troppo postata su internet.
Il sito “War&Sanction”, che riporta le accuse degli ucraini contro Shapoval, invita i governi mondiali «a sanzionare questa persona per il suo sostegno alla guerra della Russia contro l’Ucraina».
Di questa donna si erano perse le tracce. Adesso eccola in Italia, a Palermo, nelle vesti di diplomatica. Il nome della giudice, però, è indicato in modo errato nella lista consolare predisposta periodicamente dal cerimoniale diplomatico della Repubblica presso la Farnesina. Lista che elenca i nomi dei funzionari consolari di carriera ed onorari stranieri nel nostro Paese. I Funzionari consolari sono – a norma di quanto previsto dalla Convenzione di Vienna – tutte le persone incaricate d’esercitare funzioni consolari e godono di speciali immunità.
Si scopre che nell’ufficio del Consolato generale della Russia a Palermo, oltre al console Sergey Yurievich Patronov, è indicata nell’elenco come “addetto consolare”, dal 18 agosto, anche Anastasia Shapovalova. Sul sito dell’ambasciata russa a Roma, invece, compare il nome per intero: Anastasia Vladimirovna Shapovalova, mentre c’è ancora una modifica al nome se si va a leggere quello riportato sul sito del consolato generale di Palermo: Anastasia Shapovalova.
Un tentativo di confondere l’identità della donna, che dalla scorsa estate ha riparato con passaporto diplomatico a Palermo, lontana dalle ricerche e dalle sanzioni imposte a giugno da Zelensky. All’ambasciata di Russia abbiamo inviato per email domande precise su questa giudice e sul ruolo che svolge a Palermo, ma non abbiamo ricevuto risposta
(da La Repubblica)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
LA FINANZIARIA COI FICHI SECCHI È UN POZZO SENZA FONDO DI VERGOGNE. DOVRÀ PRESTO FARNE UN’ALTRA CORRETTIVA CON ULTERIORI LACRIME E SANGUE… LA SUA SQUADRA È UNA VIA DI MEZZO TRA LA FAMIGLIA ADDAMS E IL BAR DI GUERRE STELLARI. E DOVRÀ PRESTO RATIFICARE IL FAMIGERATO MES
II trucco è talmente vecchio che lo vede anche un bambino. Eppure in giro è pieno di allocchi che ancora ci cascano.
Un politico è disperato perché non ne azzecca una, o perché mente e viene sbugiardato, fallisce su tutto, o perché è circondato da mostri, o perché passa da uno scandalo all’altro, o per tutte queste cose insieme.
E allora si sceglie qualche nemico, vero o immaginario non importa, purché sia famoso quanto lui o più di lui, e gli spara addosso a pallettoni.
Così il nemico gli risponde e, siccome è famoso, tutti i media rilanciano sia l’attacco sia il contrattacco, che diventano la notizia del giorno e la gente pensa solo a quelli, dimenticando gli errori, le menzogne, fallimenti, i mostri e gli scandali del politico disperato.
Che può tirare a campare un altro po’, fino al fiasco successivo, seguito immancabilmente da un’altra armadi distrazione di massa.
Prendete la Meloni. La sua finanziaria coi fichi secchi è un pozzo senza fondo di vergogne e lo sarà vieppiù a mano a mano che la gente ne sentirà gli effetti sulle proprie tasche. E siccome in Europa non sta cavando un ragno dal buco sul Patto di stabilità, dovrà presto farne un’altra correttiva con ulteriori lacrime e sangue.
La sua squadra è una via di mezzo tra la Famiglia Addamse il bar di Guerre stellari . Mezza maggioranza vuole prorogare il Superbonus che lei spaccia per una mega-truffa. Più stringe patti anti-migranti con Tunisia, Albania, Gran Bretagna e Madagascar, più migranti sbarcano.
E il famigerato Mes, che lei accusava Conte di aver firmato e persino preso, dovrà presto ratificarlo lei. Infatti di che parlano da due giorni tg, talk, giornali e social? Dell’attacco a Ferragni e Saviano, delle risposte dei due attaccati e delle immancabili “reazioni” (c’è pure chi scambia la Ferragni per una staffetta partigiana: la compagna Balocco).
Mondi paralleli, lontani anni luce dalla realtà. Per la Meloni, missione compiuta: le vergogne della casa possono continuare lontano da occhi indiscreti.
Tantopiù che, mentre Conte tenta di inchiodarla alle sue balle sul Mes, il Pd è impegnatissimo in un nuovo gioco di società, ancor più avvincente del Perdi-elezioni e dell’Ammazza-segretario: il Fanta-federatore, seguitissimo fra gli editorialisti-onanisti di Twitter e dei giornaloni, che pur troppo non hanno ancora spiegato chi dovrebbe federare cosa e perché. L’ultima mano si è disputata alla presenza (si fa per dire) di Prodi, Gentiloni e Letta: praticamente una seduta spiritica.
Marco Travaglio
per “il Fatto quotidiano”
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
NEL NUOVO GIRO DI NOMINE IN RAI IL MOVIMENTO 5 STELLE SI PORTA A CASA LA CONDIREZIONE DELLA TGR: ROBERTO GUELI, CHE DA PALERMO AFFIANCHERÀ ALESSANDRO CASARIN
Nuove prove di lottizzazione alla TgR Rai. La fame di poltrone di Fratelli d’Italia non si ferma, e in un giro di nomine che dovrebbe essere ufficializzato nei prossimi giorni otterrà la vicedirezione nella testata regionale, dove finora non era rappresentato.
La firma dell’amministratore delegato Roberto Sergio, che ufficializza gli incarichi su proposta del direttore di testata, si attendono a ore. Il nome dei meloniani è quello di Luca Salerno, caporedattore degli Esteri del Tg2 ed ex portavoce di Ignazio La Russa, finito nella bufera nel 2019 per la pubblicazione di una vignetta omofoba.
La TgR guadagnerà anche un’altra vicedirettrice, Roberta Serdoz, oggi caporedattrice del Lazio, considerata vicina all’area dem.
Le due promozioni vengono collocate da fonti di viale Mazzini nell’ambito di un accordo del Nazareno con il direttore generale Giampaolo Rossi, mentre l’amministratore delegato Roberto Sergio avrebbe curato i rapporti con Giuseppe Conte, assicurandogli – in cambio di un atteggiamento meno aggressivo del consigliere d’amministrazione d’area, Alessandro di Majo, che ha avallato le ultime decisioni dei vertici – un terzo condirettore della TgR.
Il direttore della TgR Alessandro Casarin sarà quindi affiancato, oltre che da Roberto Pacchetti (gradito alla Lega, come Casarin stesso) e Carlo Fontana (area dem) anche da Roberto Gueli, che peraltro dovrebbe svolgere il suo incarico da Palermo, un’altra novità per ora sconosciuta in Rai.
Si tratta soltanto dell’ultima conquista dei Cinque stelle, che nei palinsesti e nelle nomine hanno ottenuto parecchio mentre in cda Di Majo si asteneva o votava a favore delle decisioni di Sergio e Rossi, spesso addirittura tanto da trovarsi senza nomi da segnalare per gli incarichi. Il numero di vicedirettori quindi nel complesso cresce e raggiunge quota sette tra condirettori e vice, lo stesso di Tg1 e Rainews24.
Ma ci sono movimenti anche per quanto riguarda le caporedazioni: sempre nell’ambito dei contatti Rossi-Nazareno il Pd avrebbe portato a casa la nomina del nuovo caporedattore dell’Emilia-Romagna, da sempre appannaggio del centrosinistra. Sia la caporedazione di Bologna che quella di Roma erano già nel mirino dei Fratelli, ma a valle della trattativa i dem sarebbero riusciti a mantenere la posizione in Emilia-Romagna.
Per la guida della redazione del Lazio, che Serdoz lascerebbe per passare alla vicedirezione di testata, dopo un breve interim a gennaio si aprirebbe invece un job posting. Quel posto passerà probabilmente alla destra, che ha in mano palazzo Chigi e la regione Lazio: circola già il nome di Antonella Armentano, una degli attuali vicecaporedattori, considerata gradita ai meloniani, oltre a quello di Loris Gai, ex caporedattore della Tgr Lombardia
I Fratelli, guadagnata Roma, avrebbero invece rinunciato alla guerra sulla redazione di Bologna, per la quale era in corsa anche Fabio Maritano, attualmente in forze al Tgr Lombardia e considerato vicino al presidente del Senato La Russa: il prossimo caporedattore di Bologna sarà Filippo Vendemmiati, classe 1958.
Una trattativa che stride con la difesa accorata di Report da parte del Movimento 5 stelle, dopo che il programma di Sigfrido Ranucci è stato più volte attaccato dalla destra, ma anche con la polemica del Pd sul direttore degli approfondimenti Paolo Corsini – intervenuto nei giorni scorsi ad Atreju con parole da militante – e con il direttore di Rainews24 Paolo Petrecca, per cui i dem hanno chiesto addirittura la convocazione in commissione di Vigilanza Rai.
A prendere posizione nell’immediato è stato l’Usigrai, che ha denunciato il carattere ecumenico delle nomine, frutto di rapporti incrociati, che spesso e volentieri, scrive il sindacato in una nota, non tengono conto dei problemi finanziari che viale Mazzini deve gestire: «Nella Rai della maxi esposizione finanziaria sarebbero in arrivo nuovi condirettori, vicedirettori e capiredattori, utili solo alla spartizione politica dell’Azienda; nessuno escluso».
(da EditorialeDomani)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROF. CLEMENTI: “NON SOLO LA RIFORMA INDEBOLIREBBE IL QUIRINALE, MA RISCHIEREBBE DI PORTALO NELLA LOTTA NEL FANGO DELLO SCONTRO POLITICO”
Hanno creato polemica le parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa, sulla riforma costituzionale del premierato e sul presidente della Repubblica. Parlando durante gli auguri di fine anno che si sono trasformati in una vera e propria conferenza stampa, La Russa ha detto che la riforma “lascerebbe al capo dello Stato i compiti che i padri costituenti vollero, ridimensionando quelli che nel tempo hanno dovuto meritoriamente allargare per supplire alle carenze della politica”. Oggi, ha sostenuto, si applica una “Costituzione materiale” che “ormai attribuisce al capo dello Stato poteri più grandi di quelli che originariamente la Costituzione prevedeva”.
Dopo il montare delle contestazioni, La Russa ha specificato che la riforma costituzionale proposta dal governo “non modifica i poteri del Presidente della Repubblica”.
Francesco Clementi, professore ordinario di Diritto pubblico comparato all’università La Sapienza di Roma, ha risposto alle domande di Fanpage.it e ha smentito la versione di La Russa.
Non solo la riforma “intacca profondamente” i poteri del presidente della Repubblica, ma l’idea che oggi il ruolo del Quirinale sia più ampio rispetto a quello previsto dalla Costituzione mostra una lettura “quasi cieca” del testo costituzionale.
Professore, La Russa – come molti esponenti del governo Meloni in passato – ha detto che la riforma del premierato non intaccherà i poteri del presidente della Repubblica, perché nessuno degli articoli che lo riguarda sarà modificato. È davvero così semplice?
L’intervento del presidente La Russa guarda al testo della riforma senza vederne la dinamica reale. Sembra rifarsi a una lettura della Costituzione meramente formalistica, quasi cieca. Difficilmente passerebbe a un esame del primo anno di uno dei nostri corsi di università.
Quindi la riforma proposta dal governo Meloni tocca il ruolo del presidente della Repubblica?
Lo tocca, certo, e intacca profondamente i suoi poteri, il suo ruolo e la sua funzione.
Il governo Meloni non lo vuole ammettere perché gli italiani, storicamente, apprezzano molto la figura del capo dello Stato?
Certamente è difficile ammettere la verità, ossia che gli italiani nutrono una grande fiducia nei confronti del presidente della Repubblica, e a maggior ragione nel presidente Mattarella. E per il resto gli italiani vedono che quando c’è la debolezza della politica, c’è la forza istituzionale e neutrale del capo dello Stato, che trova le soluzioni. Molte volte i presidenti della Repubblica sono entrati in campo come “reggitori nello stato di crisi”. Che si tratti di crisi economica, pandemica o politica, il capo dello Stato fa da garante per l’intero Paese. E questo va preservato.
La Russa ha detto che il premierato è utile perché ormai il Quirinale esercita degli “ulteriori poteri”, che sono “più grandi di quelli originariamente previsti dalla Costituzione”, dato che si applica una sorta di “Costituzione materiale” diversa da quella originale. È vero?
No, messa così, non è vero. La Costituzione “materiale” la fa il sistema politico, e se il sistema politico funziona di certo il capo dello Stato non si oppone, tutt’altro! Però la macchina costituzionale ha due ‘motori’: il principale è quello della rappresentanza politica, dei partiti. Quando questo si inceppa, entra in campo il secondo motore: il presidente della Repubblica. Che svolge anche una funzione di “parafulmine”, attirando su di sé le debolezze della politica e portando una soluzione. Questo è parte essenziale del suo ruolo, non un eccesso.
Quindi limitare i suoi poteri non servirebbe per risolvere i problemi di instabilità politica dell’Italia?
Mettiamola così: si parla spesso della crisi della rappresentanza, del mancato funzionamento del sistema politico, dell’instabilità dei governi. Ma c’è un dato che il presidente La Russa non ha sottolineato: dei 68 governi che sono caduti nella storia repubblicana dell’Italia, 66 sono caduti senza un voto esplicito delle Camere, con quella che si dice una crisi extra-parlamentare. Solo due governi sono caduti per una crisi parlamentare. Quindi il vero tema più profondo è la crisi dei partiti e del Parlamento. E la Costituzione, nei casi di crisi dei partiti, ha affidato la soluzione al presidente della Repubblica. Ma invece di guardare la Luna, si guarda il dito. Eppure questo testo non dice nulla sul monocameralismo alternato, su un bicameralismo paritario che non esiste più, su un ruolo del Parlamento sempre più fragile. Un peccato vero
E quale sarebbe la Luna da guardare?
Il punto è che l’intervento del presidente La Russa sembra non vedere che il presidente della Repubblica interviene dopo la crisi dei partiti, non prima. In questo ho l’impressione che ci sia un eccesso di miopia politica. Infatti, il testo che ha presentato il governo è confuso, è pasticciato. Ma non bisognerebbe dimenticare una cosa chiara a tutti, in primis agli italiani: che il presidente della Repubblica svolge una funzione imprescindibile, il cui ruolo non può essere messo in discussione.
La Russa ha detto anche che il premierato è la riforma “meno invasiva” possibile, “il minimo che si potesse fare”. È davvero una riforma così leggera?
No, non è per nulla leggera. La ragione è molto evidente: quando una figura politica come un presidente del Consiglio viene eletta direttamente dagli elettori, e si presenta di fronte al presidente della Repubblica, eletto dal Parlamento, qualsiasi attività del capo dello Stato può essere contrastata opponendo la volontà popolare. Detto in altre parole: il presidente del Consiglio eletto direttamente può sempre puntare un cannone contro il capo dello Stato non eletto direttamente. E questa è la crisi politica che dobbiamo evitare. Nella lotta nel fango, il capo dello Stato non ci deve entrare, lo devono proteggere. Questo testo di riforma non aiuta a farlo.
(da Fanpage)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
“SUL BARCONE IN MARE APERTO STAVO IN SILENZIO E PREGAVO”
“Sono scappato dalla Nigeria dopo le continue minacce di morte. Ho attraversato il deserto per sei giorni, sono stato schiavo in Libia due anni, ho attraversato il Mediterraneo su un gommone con altri 150 migranti. Sono arrivato in Italia e qui ho avuto il mio lieto fine”. A Fanpage.it Mario (nome di fantasia perché nel suo Paese rischia la vita) racconta la sua storia. Racconta il viaggio da migrante durato anni prima di raggiungere l’Italia: più volte è scappato, più volte ha pensato di morire.
Chi l’ha liberato dalla schiavitù in Libia lo ha caricato su un barcone sperando di dargli una futuro migliore in Italia. Una volta in acque internazionali però il barcone ha iniziato a imbarcare acqua: “Metà delle persone che erano a bordo pregava, l’altra metà piangeva. Io stavo in silenzio. Non parlavo con nessuno, tenevo la testa bassa. Pregavo e speravo”.
Lo ha salvato una nave di un’organizzazione umanitaria: è sbarcato ad Augusta in Sicilia e poi è arrivato in Valtellina. Qui ha incontrato il parroco del paese, Mario lo chiama Babbo: “Lui per me è stato il mio angelo custode”. Mario ha iniziato da capo gli studi in Italia, si è diplomato in ragioneria. Oggi lavora in banca.
Perché sei scappato dalla Nigeria?
Era il 2013. I miei genitori sono stati assassinati e i killer hanno iniziato a minacciare di morte anche me, il loro unico figlio. Non ho potuto affidarmi all’aiuto delle forze dell’ordine perché sono corrotte. Per salvarmi la vita sono dovuto così fuggire via senza però sapere cosa mi aspettava. Sapevo che avevo l’80 per cento delle probabilità di morire e il 20 per cento di restare vivo. Prima di lasciare la Nigeria ho chiamata un mio amico in Libia, mi aveva detto che viveva bene e che mi avrebbe ospitato lui. Dovevo però raggiungere la Libia.
Qual è stato il momento più difficile del viaggio?
Per sei giorni ho percorso il deserto in Niger. Eravamo 30 persone strette come sardine su un picup. Viaggiavamo senza sosta a grande velocità perché dovevamo evitare che qualcuno ci fermasse. Facevamo sosta solo per cambiare le ruote.
Se qualcuno vi avesse trovato quali sarebbero stati i rischi?
Ci avrebbero potuto fare prigionieri o ci avrebbero ucciso anche sul posto. Dovevamo quindi viaggiare veloci.
Poi la Libia. Qui cosa è successo?
Appena sono arrivata in Libia ho chiamato questo mio amico che mi ha ospitato a casa sua. Ma dopo un mese chiuso in casa, gli ho chiesto di trovarmi un lavoro. Non volevo stare a fare nulla. Un giorno quindi mi ha presentato un uomo: questo mio amico – che si è rivelato poi non esserlo – mi ha detto che sarei andato a vivere con questo signore e che avrei lavorato con lui e che avrei avuto uno stipendio. Non ero convinto, ma non puoi dire di no.
E qui è iniziata la tua schiavitù…
Sì. Dormivo in una camera con altri uomini la notte e durante il giorno raccoglievamo pomodori in un campo di proprietà di questo signore, rivelatosi poi un padrone. Dopo due mesi di lavoro gli ho chiesto lo stipendio. Lui mi ha riso in faccia: mi aveva comprato dal mio “amico”, non mi avrebbe pagato. Aveva già pagato lui, mi aveva comprato. Ero un suo schiavo, mi ha detto che ero di sua proprietà. Lo sono stato per due anni.
Hai mai tentato di fuggire?
Sì, certo. Ma ci chiudeva in camera dopo il lavoro. Un giorno però mi sono calato dal secondo piano aggrappato alla tubatura dell’acqua all’esterno della casa. Il tubo però non era bene agganciato al muro e ha ceduto. Cadendo mi sono rotto una spalla. Quando la “guardia” del palazzo mi ha trovato mi ha trascinato dentro in una stanza e mi hanno picchiato.
Come sei riuscito a scappare da quella situazione?
Il mio padrone un giorno mi ha “prestato” a un signore del posto che cercava qualcuno che gli pulisse un locale dopo aver tenuto una festa. Pulivo con un fortissimo dolore alla spalla, non riuscivo ad andare avanti. Il proprietario della casa si è accorto: gli ho raccontato cosa mi era successo. Mi ha liberato lui dalla schiavitù.
Come?
Ha detto al mio padrone che mentre quel giorno ero impegnato nelle pulizie ero scappato via e non mi aveva più visto. L’uomo poi mi ha promesso che avrebbe fatto qualcosa per me ma che avrei dovuto attendere che finisse il Ramadan. Non ho potuto sistemarmi la spalla perché non potevo andare in ospedale.
Cosa è successo una volta finito il Ramadan?
Era una notte di luglio del 2015. Mi ha svegliato improvvisamente e mi ha portato via. Ero spaventato, ho pensato che quella sera sarei morto. Non potevo più andare indietro e non sapevo cosa mi aspettava il futuro. Quella notte in macchina siamo arrivati in spiaggia. Mi ha detto di aspettare dentro l’auto e che lui sarebbe tornato dopo pochi minuti. Una volta di nuovo da me mi ha fatto scendere. C’era un gommone pronto a partire, lui aveva già parlato con gli organizzatori del viaggio. Sarei andato in Europa, ha sperato che una volta in Italia avrei trovato fortuna. Così sono salito sul gommone, eravamo 150 migranti.
Chi guidava il gommone?
Non so se chi guidava il gommone era uno scafista. So solo che oltre all’uomo che guidava il gommone ce ne era un altro che guidava una motovedetta che ci seguiva. Una volta arrivati in acque internazionali, l’uomo alla guida del gommone è salito sulla motovedetta e sono tornati sulle coste della Libia.
Siete rimasti in mezzo al mare…
E senza sapere in che direzione andare. Intanto il gommone stava iniziando a imbarcare acqua.
Cosa vi siete detti voi migranti in quei momenti?
Nulla. Io sono stato sempre in silenzio. Pregavo nella mia testa. C’é chi pregava ad alta voce, chi piangeva. C’erano donne e bambini. Potevamo solo sperare. Era un momento di alta tensione. Intanto imbarcavamo acqua. Tenevamo le dita incrociate.
Chi vi ha salvato?
Il primo a vederci è stata una nave che ha chiamato i soccorsi. Siamo saliti poi su una nave di un’organizzazione internazionale. Ci ha portato ad Augusta, in Sicilia.
Finalmente in Italia…
Sì, finalmente. In Sicilia sono stato due settimane in un campo di prima accoglienza. Poi insieme ad altre 60 persone ci hanno trasferito subito in Valtellina.
Come ti sei trovato a Bormio?
All’inizio è stato difficile perché non conoscevo la lingua. Cercavamo però di renderci utili, eravamo volontari del Comune. Pulivamo le vie del paese.
Poi qui un incontro ti ha cambiato la vita…
Qui ho conosciuto il parroco del paese. Oggi lo chiamo Babbo, per me è mio padre, è il mio angelo custode.
Come vi siete conosciuti?
Io sono credente e spesso andavo in chiesa a pregare. Lui si avvicinava a me ma non parlava inglese e io non parlavo italiano. Così abbiamo deciso di scriverci email aiutandoci con google traduttore. Quando pochi mesi dopo il Don mi ha detto che sarebbe stato trasferito in un paese nel Comasco, mi ha chiesto se volevo andare con lui. Non ci ho pensato due volte. L’ho seguito subito. Una volta a Como ho frequentato una scuola di italiano: ho iniziato da capo le scuole e mi sono diplomato in ragioneria. Lo stesso diploma che avevo preso anni prima in Nigeria.
Dove vivi ora e cosa fai?
Oggi lavoro in banca. Il mio Babbo è ritornato in Valtellina. Appena posso torno da lui, ci sentiamo al telefono tutti i giorni. La mia è stata una storia a lieto fine.
(da Fanpage)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
SONO SALTATI 25 MILA INTERVENTI E CENTINAIA DI VISITE SPECIALISTICHE)… I CAMICI BIANCHI LAMENTANO RISORSE INSUFFICIENTI, ASSUNZIONI BLOCCATE E GRAVE CARENZA DI PERSONALE CON SOVRACCARICHI DI LAVORO, PRONTO SOCCORSO INTASATI, LISTE D’ATTESA ANCHE DI ANNI E GIOVANI CHE SCAPPANO
Non hanno scioperato in quanto «servizi essenziali». Ma anche nei pronto soccorso di tutta Italia la seconda protesta del mondo della sanità contro la manovra economica del governo Meloni si è fatta sentire con messaggi di solidarietà ai colleghi che invece in tanti si sono fermati partecipando a decine di presidi, assemblee e sit-in davanti agli ospedali per chiedere di «salvare la sanità pubblica».
E già viene annunciata una nuova mobilitazione in gennaio, ma stavolta di 48 ore. Almeno 9 interventi chirurgici non urgenti saltati su 10 con punte del 90% (secondo i sindacati) delle adesioni tra gli anestesisti, blocco quasi totale delle macellazioni seguito allo stop dei veterinari, oltre a centinaia di visite specialistiche rimandate (anche di mesi). E centinaia di professionisti in piazza davanti al ministero della Salute a Roma.
Il nuovo sciopero nazionale di 24 ore di medici, farmacisti e veterinari ha avuto «adesioni molto alte» e fino a 25 mila interventi saltati. Disagi si sono registrati in tutti i servizi ospedalieri e territoriali (esclusi quelli garantiti) e nella filiera agro-zootecnica-alimentare. È la seconda protesta di 24 ore in meno di un mese, dopo quella del 5 dicembre. E al centro della contestazione ancora una volta è la legge di Bilancio giudicata «l’ennesimo schiaffo al servizio sanitario pubblico e ai suoi professionisti» che da «eroi» durante la pandemia, «oggi sono trattati come un costo» preferendo «favorire l’appalto al lucro privato di chi fa della sanità un business».
Risorse insufficienti; assunzioni bloccate in una situazione di grave carenza di personale con sovraccarichi di lavoro, turni impossibili, pronto soccorso intasati; fenomeni di burnout; liste d’attesa anche di anni; giovani che scappano, «ogni anno 5 mila specialisti vanno verso mercati più gratificanti» denuncia la Cisl medici. [E poi c’è il caso pensioni saranno tagliate quelle di chi lascerà il lavoro in anticipo, indipendentemente dall’età. È escluso però chi matura i requisiti entro il prossimo 31 dicembre 2023. È durata solo poche ore invece l’ipotesi di allungare l’uscita volontaria a 72 anni di età. […] Il limite […] torna a 70 anni
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
SULLE NUOVE REGOLE DI BILANCIO L’ITALIA, IN PARTICOLARE, SI STA GIOCANDO IL PROPRIO DESTINO. LA DIFESA DELLE RISPETTIVE RAGIONI VA ACCOMPAGNATA DA NERVI SALDISSIMI. QUELLI CHE NON SEMBRA AVERE GIORGIA MELONI
Con l’Europa a rischio paralisi, Sergio Mattarella fa sentire la propria voce contro gli «sterili» egoismi che bloccano tutto. L’Unione non può più essere ostaggio dell’unanimismo. Il presidente auspica un «sempre maggiore ricorso al voto a maggioranza» come antidoto contro le impuntature di questo o di quello.
Coglie l’occasione offerta dalla Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori, in corso alla Farnesina, per sollecitare scelte condivise e senza veti sul Patto di stabilità, terreno di scontro tra gli Stati membri anche all’ultimo Consiglio Ue. Sulle nuove regole di bilancio l’Italia, in particolare, si sta giocando il proprio destino. La difesa delle rispettive ragioni, suggerisce l’inquilino del Colle, va accompagnata da nervi saldissimi.
Serve «ferma chiarezza», certo, ma anche «pazienza» perché l’importante a questo punto è portare a termine il negoziato. La peggiore disgrazia sarebbe lasciarlo in sospeso, rinunciare a concluderlo, accettare il nulla di fatto con l’ennesimo rinvio. «Tirare avanti per inerzia» segnerebbe la fine politica dell’Europa.
Il presidente è visibilmente preoccupato. Ascolta le parole di Antonio Tajani, capo della diplomazia, e subito interviene con la sua denuncia dei pericoli che sta correndo l’umanità. È in forse addirittura «la sopravvivenza del pianeta», avverte, per il sommarsi contemporaneo di guerre e crisi climatiche. Vede un disegno che mira a sostituire il diritto internazionale con la «prepotenza» e che non esita a far leva su eserciti privati di mercenari, sulla militarizzazione dello spazio, sulle risorse energetiche e alimentari impiegate come armi strategiche. La cooperazione internazionale è precipitata ai minimi. Il prezzo lo pagano gli innocenti, nell’Ucraina come in Medio Oriente.
Ma il cuore dell’allarme è l’Europa, che il Cremlino vorrebbe «frantumata, in pezzi, impotente». Il pericolo è rappresentato dalle tesi nazionaliste, dalla miopia di quanti contrappongono l’Europa degli Stati a un’Europa sempre più integrata, e ripropongono nel dibattito pubblico un modello di «sovranità solitaria» che sarebbe «soltanto apparente, illusorio e sterile», in quanto le sfide sono più grandi dei singoli Paesi.
È la democrazia che rende protagonisti i cittadini, non sono certo i confini di una volta. E tra sei mesi, rammenta Mattarella, «saremo parte di quel grande esercizio di sovranità popolare rappresentato dall’elezione del Parlamento europeo». Un’occasione per dare voce alla gente, per farla contare davvero.
(da agenzie)
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Dicembre 19th, 2023 Riccardo Fucile
AL GOVERNO NON INTERESSANO I CORSI DI FORMAZIONE PER AVVIARE AL LAVORO, L’IMPORTANTE ERA TOGLIERE IL PANE AI POVERI
La cancellazione del Reddito di Cittadinanza e la sua sostituzionecon due diverse misure rivolte ad una platea più ridotta, con criteri più restrittivi e importi più modesti, è stato il primo atto del Governo Meloni, con l’approvazione della legge di stabilità per il 2023.
Una velocità decisionale che tuttavia si è arenata, prima nella mancata messa a punto dei corsi di recupero dell’obbligo che avrebbero dovuto frequentare i giovani privi della licenza media e dei corsi di formazione cui avrebbero dovuto partecipare i disoccupati in grado di lavorare, poi nel ritardo nel predisporre gli strumenti previsti per accedere, a seconda dei casi, all’Assegno di inclusione (Adi) o al sostegno per la formazione e lavoro (Sfl) che dal primo gennaio sostituiranno il Rdc.
Si è arrivati a fine anno senza che nulla fosse pronto: le procedure per presentare la domanda, gli accordi con gli istituti (Caf, patronati) che possono aiutare chi ha difficoltà a districarsi in procedure complesse e che comunque richiedono come minimo l’accesso ad internet, la piattaforma per firmare il patto di inclusione, per non parlare dei corsi di formazione.
In questi giorni si cerca di correre affannosamente ai ripari, come se non ci si fosse stato tempo di preparare quanto necessario e previsto, creando un’emergenza dal nulla e creando gravi disagi ad una parte degli aventi diritti che, a motivo di questi ritardi, non riusciranno a completare l’iter per avere il sussidio a gennaio e dovranno vivere in apnea, o indebitarsi o ricorrere alla carità in attesa di ricevere a febbraio anche la mensilità perduta.
Ancora peggio, se possibile, è la situazione per quanto riguarda i corsi di formazione e aggiornamento professionale che sia i beneficiari adulti non disabili dell’Adi, sia i beneficiari del molto più modesto e temporaneo Sfl dovrebbero frequentare per continuare ad avere il sussidio.
Sembra che basti che gli enti più vari carichino su una piattaforma la propria offerta formativa, senza alcuna verifica non solo sulla loro serietà, ma sulla loro corrispondenza ad una domanda di lavoro effettiva. Ovvero, dopo aver imposto una obbligatorietà, il governo non si prende alcuna responsabilità rispetto alla sua utilità.
Lo hanno già sperimentato sulla propria pelle coloro che già ad agosto sono stati espulsi dal Reddito di cittadinanza, perché, adulti, non avevano minorenni, o anziani, o persone con disabilità in famiglia e non erano disabili o anziani essi stessi. Non è forse un caso che non si trovi traccia, a sei mesi dalla loro decadenza dal Reddito di Cittadinanza, di che cosa è successo a queste persone, quali servizi siano stati offerti loro e con quale risultato.
Quando era in vigore il Reddito di Cittadinanza, Inps ed Anpal fornivano notizie trimestrali sia sulle caratteristiche dei beneficiari, sia sui flussi in entrata e in uscita e, nel caso dell’Anpal, anche su quanti erano coinvolti in percorsi formativi, quanti avevano un contratto di lavoro più o meno intermittente.
Proprio questi dati avevano consentito di cogliere le criticità del Rdc e di avanzare proposte di riforma. Il governo attuale sembra invece non solo aver fatto tabula rasa del Rdc, sostituendolo con un sistema in netto contrasto con l’ultima raccomandazione europea in tema di garanzia di reddito minimo, ma anche aver calato un sipario sulla disponibilità di dati di monitoraggio, forse per togliere dal tavolo ogni possibilità di valutazione empiricamente fondata della promessa di scambiare il sussidio con il sostegno alla «occupabilità» e l’accesso a occupazioni dignitose.
Promessa un po’ azzardata, almeno nel breve periodo, viste le caratteristiche dei beneficiari attuali del Reddito di cittadinanza che, nella maggioranza dei casi, è a bassissima istruzione e in circa la metà dei casi, specie se non si tratta di giovani, è lontana dal mercato del lavoro da diversi anni.
La pretesa che accettino una e una sola offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale è solo un po’ indegno modo di mostrare che la povertà è solo la conseguenza della mancanza di voglia di lavorare, nascondendo il fatto che si tratta di persone che nella loro vita hanno incontrato ben poche opportunità di sviluppare i loro talenti e che non sono molto appetibili per un potenziale datore di lavoro.
Opportunità che continueranno ad essere loro negate nell’approccio burocratico e puramente formale al tema della formazione adottato da questo governo , in perfetta continuità, in questo, con ciò che non ha funzionato nel Reddito di cittadinanza.
Eppure la presidente del consiglio nel chiudere la festa di Atreju ha dichiarato di essere fiera di aver cancellato il Reddito di cittadinanza, perché era una questione di equità. Dichiarazione indubbiamente forte e a suo modo coraggiosa in un paese in cui i poveri assoluti, tra cui anche molti lavoratori e le loro famiglie, continuano ad aumentare. Ma forse la Presidente del Consiglio è fiera di aver in questo modo fortemente ridotto l’esborso di denaro pubblico, dirottando quanto risparmiato verso flat tax, Ponte sullo stretto ed altro.
(da La Stampa)
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